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La transizionalità nel rapporto terapeutico

Prof. Antonio Maria Favero

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2° incontro.


Oggi parleremo della Identificazione Proiettiva.
L'altra volta vi avevo fatto un discorso molto generale, era anche un modo per conoscerci e tracciare a grandi pennellate quello che sarebbe stato il nostro lavoro seminariale.
Comunque, in maniera assolutamente schematica, si diceva che tracceremo un percorso terapeutico e clinico, teorico ed epistemologico, che andrà da un netta differenziazione tra Oggetto e Soggetto (si parla del campo della relazione terapeutica) ad una situazione di unione del Soggetto-Oggetto all'interno di un campo relazionale.
Il primo suggerimento che vi do, per definire questo concetto di "campo relazionale", è di usare una metafora di cui parlano Antonino Ferro, i Baranger e anche altri autori, che è quella dell'Ologramma.
L'ologramma sarebbe quella figurina a 3 dimensioni. Praticamente, una figura bidimensionale viene proiettata su un piano, sull'altro piano viene proiettata l'altra proiezione della figura e sul terzo piano una terza proiezione della figura. Da ciascuno di questi punti vengono emesse delle onde che potrebbero essere raggi laser. E nel loro sapiente congiungersi, ovviamente ben programmato, si crea al centro dei tre piani un'immagine tridimensionale. Quest'immagine tridimensionale non appartiene a nessuno dei piani ma appartiene a tutti.
Ebbene il campo relazionale, nel suo non appartenere né al soggetto né all'oggetto, ci appare come una sorta di ologramma, può essere il soggetto transizionale di Benedetti, può essere un aspetto dell'oggetto transizionale di Winnicott .
Ed è comunque quel campo di transizionalità che non appartiene né al terapeuta né al paziente ma a tutti e due. Più volte anche il Prof. Ferlini ha ricordato nelle sue lezioni che quello che più conta non è tanto un'identità unica di un terapeuta , di un oggetto o di un paziente. Ogni terapeuta ha il suo tipo di pazienti, ogni paziente ha il suo terapeuta. Cioè è stato dato rilievo all'incontro tra paziente e terapeuta. Quell'incontro tra "Quel" terapeuta e "Quel" paziente costituisce un'entità unica ed irripetibile.
Se noi seguiamo per anni un determinato paziente e dopo un altro terapeuta segue quello stesso paziente, ne avremmo un ritratto totalmente diverso. Questo non soltanto perché nel frattempo è stato fatto un percorso e la persona è cambiata, ma perché io posso parlare di "A" soltanto a modo mio, come lo vedo io. Chiunque altro, se fosse possibile questa verifica, parlasse sempre di "A" ne parlerebbe in maniera totalmente diversa.
È facile da verificare quando tra di voi avete degli amici comuni. Parlate assieme di questo amico comune e spesso ne escono ritratti molto diversi. E se i ritratti non sono diversi, questa similitudine è dettata più dal bisogno di compiacersi a vicenda tra voi due che non da come vedete veramente questa terza persona. D'altra parte l'esperienza d'amore è anche questa: una persona di cui voi siete pienamente innamorati, che sentite come unica ed insostituibile, agli occhi di un vostro compagno può apparire irrilevante o rompiscatole e per niente seduttiva ed attraente.
Quindi è l'incontro tra due persone a formare questa entità unica ed irripetibile che è questa sorta di ologramma.
La settimana scorsa dicevamo che avremmo tracciato un percorso storico che teneva in considerazione vari fattori: di che patologia ci occupiamo, di che tecnica ci occupiamo, di che meccanismo di difesa ci occupiamo ecc. Ebbene vedremo l'evolversi di tutte queste colonne in relazione ai vari argomenti che di volta in volta toccheremo.
Oggi, vi dicevo, parlerò dell'Identificazione Proiettiva che è un concetto, a mio avviso, estremamente importante perché è un concetto che rompe quella netta differenziazione tra Soggetto ed Oggetto di cui si parlava prima.
Innanzitutto, l'Identificazione Proiettiva è un concetto che fa da ponte tra la psicologia individuale e la visione relazionale della psicologia, quindi la psicologia "bi-personale" come la chiama Modell.
Praticamente un definizione che a noi piace è la seguente:
"Contenuti intrapsichici di una persona diventano contenuti intrapsichici di un'altra persona. C'è insomma una sorta di migrazione di elementi psichici."
Questa è la definizione su cui dobbiamo lavorare.

"Identificazione Proiettiva "… Racamier suggeriva un termine migliore di questo.
In effetti, se noi non sappiamo bene cos'è, non possiamo dire "lo dice la parola stessa", perché la parola non ci dice gran che.
Per questo Racamier diceva che era preferibile usare il termine di "Iniezione Proiettiva".
"iniezione proiettiva" mi dice molto di più, perché mi fa pensare a qualcosa che si inietta da me all'altro, proprio come un'iniezione.
Abbiamo detto che è una migrazione di contenuti psichici tra due persone.
In questo modello che vi propongo cercate di vedere molto schematicamente la persona come un'entità entro la quale esiste un mondo interno. Noi possiamo immaginare lo schema del soggetto come un luogo in cui la pelle delimita l'io dal nostro non-io . Quindi dentro ciascuno di noi c'è un mondo che noi riteniamo "interno": "chi sono io, che sentimenti provo, che cosa penso, mi è andato bene/male l'esame, sono felice, ho progetti per il futuro" e tutto quello che io ritengo il mio mondo interno.
Però dentro di me c'è anche un "mondo esterno", cioè la mia percezione di ciò che mi circonda.
In questo momento vedo voi e ciascuno di voi vede il banco, la penna. Noi abbiamo dentro un mondo interno che diciamo essere costituito da parti di io e da parti di non-io.

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Non so se questo concetto vi è chiaro, ma voi quando pensate a voi stessi pensate a qualcosa che chiamate io ("io sono così, io penso così, io provo così"), poi dentro di voi ci sono altri oggetti, altre cose che voi considerate non-me, non-io, praticamente le considerate "il mondo esterno".
Allora abbiamo dei contenuti psichici che migrano da una persona all'altra; vi è chiaro questo concetto di parte esterna nel mondo interno?
Praticamente noi in psicologia, in psicoterapia potremmo soprassedere al concetto di una realtà esterna oggettiva (che per carità esiste, altrimenti non si costruirebbero i ponti e le autostrade).
Però noi in psicologia quando abbiamo una persona che ci parla della sua famiglia, si sta parlando di una cosa che questa persona suppone esterna a lei, ma noi la consideriamo interna alla persona.
Ad esempio, se in un delirio una persona ci racconta in maniera delirante una certa situazione, noi possiamo in un certo senso, in maniera compromissoria, immaginare che sia una descrizione della realtà, però pensiamo che questa descrizione sia fortemente colorata dalle strutture interne, dal mondo interno della persona.
Riprenderemo questo aspetto di "migrazione" chiedendoci casa viene "migrato". Qui dobbiamo introdurre un concetto Bioniano, che vi propongo in maniera molto schematica.
Io vi proporrò sempre le cose in maniera schematica perché non credo alla metapsicologia intesa come sofisticato metodo di descrizione di processi, di contenuti, di meccanismi. Io credo che la metapsicologia possa essere un valido strumento, per noi che lavoriamo sul campo, solo se semplice, schematica, immediata. Kernberg è un autore che ha scritto pagine e pagine su meccanismi estremamente complessi, sofisticati, in cui il Super-io interagisce con la parte scissa dell'io che a sua volta però identificandosi con…ecc. e descrive patologie in una maniera così complessa, minuziosa, ossessiva, che secondo me perde l'essenza del lavoro terapeutico, di quella che dovrebbe essere la vera metapsicologia come strumento di comprensione delle cose. Secondo me, rende poi il fianco, mostra tutta la sua vulnerabilità a critiche, ad esempio, di tipo neurobiologico; quindi io vi inviterei, quando usate la metapsicologia, a utilizzare meccanismi semplici, concetti semplici.
Io vi spiego Bion in maniera semplice, banale, anche se qualcuno potrà dire che è molto più complesso, è molto altro…diffidate da chi vi dice che la cosa è molto più complicata; noi dobbiamo ragionare, di fronte al paziente in termini semplici, schematici. Dobbiamo proprio essere dei "meccanici".
Bion dice che ciascuno di noi ha dentro di sé degli elementi non elaborati, elementi grezzi, chiamati Elementi Beta; un elemento grezzo può essere un'angoscia, tutto quello che noi non capiamo, non sappiamo, non conosciamo, possono essere dei contenuti dolorosi (ma non solo), potrebbero essere dei contenuti che comunque non stanno bene dentro di noi.
Noi, per tendenza naturale, tendiamo a buttare fuori questi contenuti, buttarli addosso agli altri; noi, come dicevamo l'altra volta siamo "affamati" di relazioni con gli altri, perché la relazione con l'altro è il mezzo con il quale possiamo elaborare gli Elementi Beta.
Cioè la prima cosa che vogliamo fare quando vediamo l'altro è buttargli addosso gli elementi beta, in maniera più o meno consapevole e automatica, più o meno voluta - per tanti è molto voluta - .
Senz'altro nell'ambito terapeutico, è proprio quella la regola del gioco. L'altro li dovrebbe recepire e dovrebbe mettere in atto quella che viene chiamata Funzione Alfa, che è una funzione trasformativa degli Elementi Beta .

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Esempio banalissimo: il bambino ha mal di gola e non sa cosa vuol dire avare mal di gola. Per lui è una esperienza dolorosa, che dà molto fastidio, che potrebbe durargli per sempre, che potrebbe invalidarlo per sempre, potrebbe portarlo alla morte…un'esperienza bruttissima.
L'esperienza del mal di gola per il bambino, è un Elemento Beta. Quindi nel bambino, vista la forma di comunicazione molto semplice, una trasmissione di Elemento Beta potrebbe essere quella di dire alla mamma :"mamma ho mal di gola, ho paura, che cos'è?".
Immaginiamo un bambino molto piccolo.
La Funzione Alfa materna, detta anche "funzione di contenimento" (la mamma), elabora l'Elemento Beta (mal di gola). La mamma capisce quello che il bambino gli dice e pensa tra sé e sé : "ha il mal di gola, ha preso freddo, guarirà"; quindi se lo elabora, non è angosciata da ciò che il bambino le dice, trasforma l'elemento restituendo al bambino l'informazione "guarda, non è nulla, guarirai".
Ammetto la banalità della cosa, ma questo è proprio la molecola sulla quale possiamo lavorare e arrivare a comunicazioni estremamente complesse, che vanno dai deliri più complicati alle comunicazioni più quotidiane.
Quindi Elemento Beta, Funzione Alfa di elaborazione e restituzione.
Al bambino, a questo punto, viene restituito questo mal di gola che non lo porterà alla morte, non gli durerà sempre e se prende una medicina passerà. A questo punto il bambino sta meglio, ha avuto una elaborazione, la Funzione Alfa ha funzionato. Di processi del genere ne facciamo circa 100.000 al giorno, con tutte le persone e non sono necessariamente veicolati da un termine verbale ("mamma ho mal di gola", "ho paura" ecc.) ma nel meccanismo di identificazione proiettiva ciò che ci interessa è che non necessariamente viene detta la cosa, ma c'è egualmente una migrazione da contenuto psichico a contenuto psichico.
Come dicevamo la scorsa volta io posso avere una grossa preoccupazione, molto profonda, un Elemento Beta non elaborato e di cui non sono nemmeno consapevole e posso iniettarlo (ed uso il termine di Racamier) nell'altro che proverà questo sentimento che provo io.
L'altro potrà elaborarlo, e vedremo come, potrà non elaborarlo, e vedremo come.

Un meccanismo classico della psicoanalisi, uno dei primi che elaborò Freud, è la Proiezione.
Cos'è in sostanza? È un meccanismo che viene definito abbastanza sofisticato, un meccanismo nevrotico che noi tutti utilizziamo.
La Proiezione non è altro che un gioco intra-psichico, in cui un elemento del mio mondo interno viene proiettato su di un elemento sempre del mio mondo interno, ma che io considero esterno.

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...Ecco, la proiezione si gioca nel movimento che va da una parte all'altra del nostro cerchio.
Per esempio: io, nella mia testa, ho un'idea degli zingari. Nelle mie notti insonni penso agli zingari e penso che siano tutti ladri.
Interpretazione classica: se questo enunciato fosse un fatto proiettivo lo sarebbe perché le mie parti che sfuggono al controllo del Super-io, le mie parti ladre, delinquenziali, trasgressive vengono proiettate su questo oggetto. Ci sono fuori gli zingari , ma sono gli zingari che io ho dentro, il mio pensiero sugli zingari. Cioè il mio pensiero sugli zingari viene investito di quello che è un aspetto mio intrapsichico non elaborato.
Allora se ben guardate succede una cosa simile al discorso Elemento Beta-Funzione Alfa, ma sul piano intrapsichico anziché sul piano relazionale. Io posso stare tranquillo perché tanto i ladri sono fuori, le cose peggiori sono gli altri. Io, ad esempio, potrei pensare che il mio vicino di casa sia un omosessuale, in realtà forse starei proiettando sull'altro una mia omosessualità non accettata e non accettabile.
Quindi la Proiezione è un meccanismo di difesa intrapsichico molto comune.
Sottolineo ulteriormente questo punto: tutto il gioco della Proiezione si gioca tutto dentro. Io posso non dire nulla a nessuno perché si svolge tutto dentro.
Ora, ribaltiamo il discorso. Se io sono l'oggetto di una proiezione può darsi che il mio vicino di casa supponga che io sia omosessuale. Sono fatti suoi. È la sua omosessualità che lui proietta nella sua parte interna ma io posso non saperlo. Posso anche non sapere chi è il mio vicino di casa. Magari lui mi vede alla mattina che getto le immondizie e pensa che io sia omosessuale, ma è una notizia che non mi arriva, sono fatti suoi. È un problema intrapsichico.
Ben diverso invece è il meccanismo dell'Identificazione Proiettiva in cui questo contenuto intrapsichico diviene relazionale. Cioè non si limita ad essere un pensiero sulla rappresentazione che lui ha di me, ma è una situazione in cui questa sua idea viene iniettata nell'altro, migra dentro l'altro.
Risultato: io mi sento omosessuale ogni volta che mi trovo con questa persona e comincia a venirmi il dubbio "ma sta a vedere che sono omosessuale, non so perché mi viene quest'idea, strano… ogni volta che sono con questa persona".
Attenzione perché la sto semplificando molto e adesso dobbiamo capire un paio di cose importanti.
Perché alle volte il processo si limita ad una proiezione interna e perché invece altre volte il processo si estende ad una proiezione esterna? C'è una spiegazione.
Un autore che ha trattato bene questi temi è un certo Ogden.
Egli divide tale meccanismo in tre movimenti:
  1. Proiezione
  2. Pressione interpersonale
  3. Re-internalizzazione
Ogden dice questo: innanzitutto perché ci sia Identificazione Proiettiva ( perché si vada oltre il fenomeno intrapsichico della Proiezione) occorre che ci sia un forte bisogno, cioè questo bisogno di proiettare sull'altro questi elementi non elaborati deve essere molto forte, quantitativamente forte.
Se il problema è piccolo, se il problema è contenuto posso limitarmi ad una proiezione, ad esempio:
"siccome ho rubato una penna all'ufficio postale e allora sono un ladro, ma non mi va di essere ladro, i ladri saranno quelli là che rubano di più".
Quando invece il problema in gioco è potente, è forte, è quantitativamente significativo, un problema che tocca la struttura stessa dell'ego, quindi un problema che potrebbe essere legato ad una minaccia psicotica, allora io ho bisogno di buttarlo fuori, estruderlo da me, non posso più tenerlo nel mondo interno, devo buttarlo sull'altro.

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Per fare ciò ho bisogno di una vittima, una vittima che deve avere alcune caratteristiche: innanzitutto deve essere molto vicino a me, deve essere una persona che io vedo pressoché quotidianamente; deve poi essere una persona che abbia con me un rapporto abbastanza succube da stare lì ad ascoltarmi inchiodato, una persona così vulnerabile da poter ricevere senza difendersi, senza respingere le mie iniezioni. Sono quei rapporti, che forse tutti conosciamo, in cui una persona ci sta molto attaccata e ci fa provare emozioni, sentimenti, pensieri che mai avremmo potuto immaginare, che mai avremmo potuto pensare.
Questa seconda fase si chiama Pressione Interpersonale.
Quindi, per avere un'Identificazione Proiettiva, ci vuole un forte contenuto, molto significativo, in cui la posta in gioco è alta, anche la follia, la morte, il delirio; ci vuole una Pressione Interpersonale, cioè una vicinanza.
Noi non possiamo avere un'Identificazione Proiettiva dal vicino di casa, che sta alla finestra e ci sta spiando col cannocchiale, che penserà pure che siamo omosessuali, che siamo ladri o quel che vuole, quella non è Identificazione Proiettiva.
L'Identificazione Proiettiva, se ce l'avete, ce l'avete con chi vi sta vicino… guardatevi vicino, guardatevi alle spalle, quella è Identificazione Proiettiva; soprattutto guardatevi alla spalle quando vi capita sempre più spesso di provare sentimenti estranei a voi, di pensare per la prima volta cose un po' strane.
Io mi ricordo una mia collega che mi disse che in un certo periodo della sua vita, non sapeva bene perché, ma alla sera a casa andava sempre a controllare le valvolette di sfogo dei termosifoni. Non l'aveva mai fatto, anzi non le importavano i termosifoni ( è una di quelle donne proprio negate per la tecnologia) ma di sera era una pulsione più forte di lei andare a sfiatare i termosifoni.
Ci volle poco a capire che in quel periodo frequentava un paziente che aveva proprio dei problemi di "svuotamento", in senso metaforico, svuotamento di certi contenuti psichici e per Identificazione Proiettiva questo svuotamento, migrava dentro la testa di questa terapeuta, la quale si trovava a fare cose non sue, cose strane.
Come dicevo la volta scorsa il confine tra esperienza terapeutica ed esperienza quotidiana è un confine non così netto, come tante volte si crede. Per cui attenzione a quando fate cose non vostre, pensate cose non vostre. Chi fa un lavoro clinico, specie con gli psicotici, d'identificazioni proiettive ne "mangia" continuamente.
Terzo punto di cui parla Ogden è il seguente: nel momento in cui attraverso la Pressione Interpersonale vengono buttati fuori, per Identificazione Proiettiva, gli Elementi Beta non elaborati, occorre una terza fase che è quella della Re-internalizzazione.

Domanda: Vorrei sapere come si fa a distinguere così bene ciò che è proprio e ciò che è dell'altro.

In realtà non esiste una formula, bisogna usare il proprio intuito e la propria sensibilità. Diciamo che un punto è abbastanza certo: l'emergere di contenuti che non sono abituali in noi. Cioè se noi non abbiamo mai trovato interessanti certe cose e ad un certo punto ci prende una passione per i termosifoni o seguiamo per la prima volta la Formula Uno o proviamo sentimenti e paure che non ci sono familiari noi dobbiamo essere attenti ed interrogarci sulla natura di questi pensieri.
Io penso che una persona che comincia ad avere una certa età, 25-35 anni, si accorge se improvvisamente lo coglie una preoccupazione che non l'aveva mai colto e soprattutto se non c'è motivo. Se io improvvisamente comincio ad interrogarmi sulla mia omosessualità e non l'ho fatto per 40 anni, posso sospettare che sia un meccanismo esterno.
Questo è un primo indizio, il secondo è chiederci chi può avercelo mandato. Quindi interrogarci sul nostro milieu umano e chiederci in qualche modo di chi possa essere questo problema, se non è mio.
In terzo luogo porremmo attenzione all'insistenza e persistenza del contenuto che noi sentiamo.
Possiamo dunque lavorare sugli indizi ma, certo, una certezza matematica non c'è.
Però già l'estraneità e la novità potrebbero essere dei buoni indizi.
Dopo di che non è nemmeno così importante sapere se è nostro o è un'Identificazione Proiettiva, nel momento in cui per noi diventa un problema e noi utilizziamo le nostre difese interne per elaborarlo, il problema è risolto. Cioè il nostro scopo terapeutico è raggiunto, perché nel momento in cui noi siamo consapevoli di un contenuto psichico sgradevole (nostro o altrui) elaboriamo questo contenuto, quello che facciamo è difendercene, farcene una ragione.
A quel punto mettiamo in atto quello che è il terzo momento che è la Re-internalizzazione, cioè il contenuto viene restituito all'altro, elaborato.
Nel momento in cui io mi tranquillizzo che i termosifoni posso sfiatarli una volta all'anno, a quel punto la mia tranquillità è raggiunta attraverso un meccanismo di difesa che poi è quello che viene restituito all'altro.
Attenzione: nella Funzione Alfa, dunque nell'elaborazione di un Elemento Beta (che è un contenuto) che trasmigra da uno all'altro, ciò che viene restituito al primo soggetto cos'è?
È un meccanismo di difesa. Ciò che viene restituito, ciò che viene re-internalizzato è un meccanismo di difesa.
Non sottolineerò mai abbastanza l'importanza che l'Identificazione Proiettiva ha in tutta una serie di fenomeni relazionali. Ad esempio, essa è la base di quella che viene chiamata Empatia, è la base di tutti i rapporti Transfert-Controtransfert.
Quindi è un concetto estremamente importante, lo è soprattutto per il lavoro che stiamo facendo, perché è un concetto relazionale.
Per cui oggi abbiamo visto, nell'esperienza pratica, di come il meccanismo di difesa non dobbiamo più pensarlo come un fenomeno che avviene tutto nella sfera intrapsichica (come per i meccanismi di difesa enunciati da Anna Freud) . Ora il meccanismo di difesa possiamo pensarlo anche come un meccanismo relazionale, questo lo ha detto Modell .
"Io utilizzo l'altro per difendermi dalle cose che io non posso controllare". Quindi questa nuova visione del meccanismo di difesa come fenomeno relazionale, fenomeno a due, è il fondamento di quella che Modell chiamava "Psicologia bi-personale".
Fate attenzione perché quando noi parliamo di transfert non parliamo di qualcosa di astratto "che capita". Il transfert non è altro che il porre in essere di una difesa relazionale: io utilizzo l'altro.
Ricordate Sandler? Parlava di "induzione di ruolo".
Diceva: voi mettete assieme 2 persone, sarà un lotta fratricida in cui ciascuno farà in modo di utilizzare l'altro allo scopo di controllarsi, ciascuno induce nell'altro il ruolo che più gli serve.
Se io ho dei sensi di colpa immensi che non riesco a controllare, utilizzerò l'altro in modo da provocarlo. Mi sceglierò il pollo giusto, il moralista, che ha potere su di me, lo scandalizzerò, lo provocherò, lui mi casserà con forza, mi redarguirà ed in questo modo mi terrà sotto controllo.
Vedete, questo è un meccanismo di difesa relazionale.
Ora sarebbe veramente da discutere se esistano veramente meccanismi di difesa pienamente intrapsichici. Io ne dubito un po'.
Credo che noi dovremmo cominciare ad osservare attorno come utilizziamo gli altri, che ruolo induciamo agli altri.
Cos'è la dinamica transfert-controtransfert se non questo?
Transfert-controtransfert è una dinamica per cui noi ci interroghiamo su come il paziente ci sta utilizzando, cosa vuole il paziente da noi? Perché sta tentando di sedurci? Perché sta tentando di svalutarci? Perché ogni volta che va via ci fa stare male? Perché?
Ma perché in questo modo lui ci sta creando ad immagine e somiglianza dei propri meccanismi di difesa. Io credo che questa prospettiva possa essere molto utile.

Domanda: Vorrei sapere se la comunicazione che c'è, nell'iniezione degli Elementi Beta e nella Re-internalizzazione della Funzione Alfa, è una comunicazione totalmente inconscia o diventa cosciente poi in un qualche momento dell'Identificazione Proiettiva?

Essenzialmente dobbiamo considerarla una comunicazione inconscia, un processo inconscio. È utile che sia cosciente nel processo terapeutico. Nel processo terapeutico, nella fase in cui si utilizza l'interpretazione, dev'essere cosciente almeno per il terapeuta, per il ricevente.
È interessante questa domanda. Anch'io in un mio articolo mi chiedevo se sia davvero così sovrapponibile il concetto di transfert con il concetto di Identificazione Proiettiva?
Ebbene io direi questo: se l'Identificazione Proiettiva dovete vederla come il motore, dunque come l'energia, il transfert è l'elemento figurato, è cioè la veste storica e narrativa che diamo a questa energia.
Se il mio bisogno è far sentire l'altro svalutato perché egli senta quanto sono svalutato io dentro, nel transfert questa comunicazione assumerà la forma di una storia, di un racconto di un ricordo, che otterrà lo scopo di farlo sentire molto svalutato (" Lei assomiglia a mio zio che mi picchiava"). Ma è la veste esterna, narrabile, che il transfert dà all'Identificazione Proiettiva.
Allora guardiamo al transfert come la parte narrabile e l'Identificazione Proiettiva come la comunicazione dei contenuti emozionali. La consideriamo essenzialmente inconscia anche se, per esempio, più la persona è regredita (o nel bambino) più essa assume maggiormente aspetti verbali.
Più si scende con l'età e più è facile comunicare in termini verbali anche contenuti difficilmente verbalizzabili.

Domanda: io vorrei sapere se ci può presentare un altro esempio clinico sull'Identificazione Proiettiva.

Volevo leggervelo, dopo. Siccome non vi conosco ancora, non ho abbastanza confidenza, non vi porto ancora i miei casi clinici.
Mi ero portato, proprio a questo scopo, un libro di Antonino Ferro, che è uno psicoanalista italiano che si è molto occupato di questi fenomeni. Vi leggerò poi un paio di vignette cliniche che parlano proprio di questo.

Domanda: a proposito di quello che ha detto poco fa a proposito della Re-internalizzazione, Lei ha detto che viene restituito un meccanismo di difesa; quindi significa che il contenuto Beta rimane tale, però il soggetto ha un'opportunità per poterselo gestire.

Esattamente, proprio questo. Dice le testuali parole Ogden.
Questo vi dà anche il segno di come il processo terapeutico sia anche un processo pedagogico, nel senso che si impara.
Diceva Giuseppe Fara che i meccanismi di difesa sono cose che si imparano, che il bambino impara dalla mamma. Ad esempio, quando il bambino batte la testa sul tavolo, piglia una capocciata sul tavolo, la mamma cosa fa?: "brutto tavolo cattivo, fatto male al mio bambino (e batte la mano sul tavolo)".
Che cos'è questo? E' un meccanismo di difesa simile ad una ritualizzazione, una tipica difesa ossessiva, che il bambino impara, facendo anche lui "brutto tavolo" e antropoformizzando la realtà, la rende anche più accettabile. E' un meccanismo di difesa, che si impara; i genitori insegnano, non consapevolmente, ma insegnano ai figli i meccanismi di difesa.
Perché abbiamo questa apparente ereditarietà? Si vede spesso una madre nevrotica, agorafobica ad esempio, che ha un figlio che presenta la stessa struttura. Sono forse i geni la causa di questo? Può darsi siano i geni, ma dipende essenzialmente dal fatto che la mamma sta al mondo con queste difese, con queste nevrosi e chiaramente le insegnerà al suo bambino. Vedete come le difese si imparino, quindi c'è un aspetto pedagogico.
Mutatis mutandis, nel processo terapeutico, si cerca di insegnare qualcosa di buono o meglio qualcosa di utile; questo è un concetto che noi ribadiamo spesso, non c'è qualcosa di buono o di non buono, ma c'è qualcosa di utile. Utile vuol dire che assorbe l'angoscia e permette di elaborarla.
Prendo un esempio clinico dal libro di Antonino Ferro "Nella stanza d'analisi"; il brano s'intitola "Il pettine di Loredana".
Questo esempio ci dice qualcosa proprio su come quello che viene re-internalizzato è un meccanismo più che un contenuto, più che un pensiero alterato.

"Loredana, in fine analisi, sogna di ricevere dal padre una borsetta con tutto ciò che servirebbe (pettini, spazzole, bigodini, phon ecc.) per "mettersi la testa a posto" ogni volta che i capelli si fossero scompigliati; sogno che accanto ai più evidenti significati introiettivi, segnala all'analista il lungo cammino percorso da un sogno d'inizio analisi, nel quale compariva, con terrore di Loredana, la terribile testa della Medusa con i serpenti al posto dei capelli."

Praticamente, questa paziente ha un sogno ricorrente all'inizio dell'analisi, in cui lei quando si specchia si vede con la testa di Medusa, terribili serpenti al posto dei capelli. Quindi un Elemento Beta: "ho in testa dei serpenti, ho in testa dei pensieri disordinati, delle angosce che mi divorano e mi avvelenano!", in questo senso il serpente ha un forte significato comunicativo oltre che simbolico.
L'analisi a cosa porta? Porta a re-internalizzare una Funzione Alfa, perché in testa non si ha nulla che non possa essere pettinato, nulla che non possa essere soggetto a trasformazione ed io non ti do una parrucca, non ti do i capelli, io analista ti do degli strumenti per tenere in ordine questi capelli, pettine, spazzola, phon ecc.. E' uno strumento, quindi, quello che viene re-internalizzato.

Domanda: Rispetto a questo processo, l'interno del ricevente e quindi, anche la parte in cui posso essere più o meno colpito dal contenuto Beta o posso, a volte, rispondere con il mio irrisolto, come viene considerato nell'analisi del controtransfert?

Allora, io ho spiegato tre possibili situazioni di questo tipo; vorrei dedicare un'intera lezione a questo, perché quello che ha detto lei adesso è un problema importantissimo ed è fondamentale. Nel senso che il processo del dire "mando l'Elemento Beta- viene elaborato-viene restituito", è un processo più teorico che non pratico. Non succede quasi mai. Tuttavia ci si avvicina e nella relazione terapeutica, questo processo, incontra degli impedimenti, delle caratteristiche funzionali.
Io ho studiato a lungo il problema e vi segnalerò un articolo che ho pubblicato a questo proposito; è pubblicato su "Gli Argonauti", ma ve ne parlerò, non serve che andiate a cercarlo. Esaminerò proprio quello che dice Lei e vedremo come, con che difficoltà…sono proprio tre meccanismi, anche se probabilmente sono anche di più, comunque io ne ho studiati tre e li condividerò con voi volentieri.
La prossima volta, magari, possiamo già parlarne.

Per un approfondimento, per cultura personale, un bel libretto che consiglio sempre è:
"Verità e Bellezza" - le ragioni dell'estetica nella scienza -"
di S. Chandraseckhar, Edizioni Garzanti.
Questo autore è un astrofisico, non uno psicoanalista, né un poeta. L'introduzione è di Margherita Hack, che è tutto fuor che una poetessa o una metafisica; è una persona molto concreta.
È un libro che amo perché mostra come anche le scienze esatte, epistemologicamente forti (come l'astrofisica, l'astronomia, la fisica nucleare), essendo oggi molto avanzate, sono diventate così complesse per cui è ormai una partita persa in partenza fermarsi ad un'idea di scienza positivista-misurabile-ripetibile, con tutti i criteri dell'800.
Essendo verità complesse bisogna entrare in un'altra dimensione, una dimensione post-quantistica, che apra alla ricerca della bellezza, perché la bellezza è verità. È questo un concetto che vi sembrerebbe paradossale, eppure è un ragionamento fatto da due scienziati che non si perdono in poesie ed è un ragionamento con un suo fondamento epistemologico interessantissimo.
Allora, se permettete, io ritengo che l'Uomo, l'essere umano, sia una realtà complessa, che meriti un grandissimo rispetto e proprio per questo non vada misurata, pesata, ripetibilizzata, diagrammatizzata ecc. come una certa psicologia pseudo-oggettivista (o pseudo-scientifica) vorrebbe fare, per propria tranquillità. E quindi questo concetto di "verità e bellezza", io lo applicherei anche all'uomo, ma ne parleremo nelle prossime volte.

Vi voglio leggere un'ultima annotazione, sempre dal libro di Antonino Ferro "Nella stanza d'analisi".
E' una considerazione generale su quello che è il processo di guarigione in analisi. Ferro dice praticamente, che fin dalla prima volta, fin dalla prima seduta si mette in atto un progetto. Ve lo leggo:

"La fine dell'analisi è preparata già dalla prima seduta, nel senso che saranno proprio le capacità mentali dell'analista, cimentate giorno dopo giorno per anni, a consentire l'introiezione del precipitato di esse. Ciò che a mio avviso conta è come ha funzionato, nel campo analitico, la mente dell'analista…"

Ricordatevi che lo strumento terapeutico, l'unico strumento terapeutico non è l'interpretazione, non è lo psicofarmaco, ma è la persona dell'analista.

"…quali trasformazioni da Beta ad Alfa ha consentito, prescindendo totalmente dalle teorie di cultura interpretativa utilizzate. E' fondamentale quanto la mente dell'analista colga e trasformi nell'oggi le angosce del paziente. Poco importa quanto la teoria stessa dell'analista comporti questo stesso fatto. Importa invece cosa fa realmente l'analista dal punto di vista delle microtrasformazioni in seduta, qualsiasi cosa creda di fare o in qualsiasi dialetto creda di farlo."

Approfondiremo questo, perché ricordatevi che non è come nei film di Hitchcock, in cui uno guarisce perché finalmente ha ricordato che ha ucciso il fratellino. Si guarisce giorno per giorno, frammento dopo frammento, perché egualmente ci si ammala giorno per giorno, frammento dopo frammento.
Arrivederci a lunedì prossimo.



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