"Parola e Numeri" Padova - Novembre 1999 PUBBLICO: il prof. Galimberti prima aveva fatto una premessa, partendo dal discorso di Foucault e arrivando, secondo me, alla conclusione che la psicologia non è scienza nella misura in cui vuole rinunciare all'individualità. Poi successivamente ha parlato di Galilei dicendo che la scientificità era nel tradurre la soggettività corporea in oggettività. Io chiedevo se la psicologia non potesse essere una scienza quando cerca di tradurre la soggettività psichica in oggettività. Lei faceva l'esempio della radiografia nella quale diceva che il paziente non vede se stesso. Anche nella psicologia questo accade nel momento in cui viene utilizzato un modello per rendere oggettiva la soggettività. Lo stesso paziente non vede, per esempio, l'Es o l'Io, eppure lo psicologo individua queste istanze. Allo stesso modo questo modello può essere usato dagli psicoanalisti per comunicare tra di loro, così come la radiografia è una misura che può essere utilizzata. Allo stesso modo, secondo me, la radiografia è opinabile; infatti molto spesso i medici chiedono di fare delle nuove radiografie nel momento in cui non riescono a trovare l'elemento che vanno cercando, così come molto spesso gli psicologi non si accontentano della strutturazione fatta da uno precedente a loro, della divisione Io/Es/Super-io, ma ne vanno cercando una propria. Relativamente all'intervento che lei ha fatto prima a proposito della riformulazione della psicologi, lei mi sembra abbia proposto uno psicologo come surrogato di un medico e in tal senso lei ha detto che lo psicologo deve imparare il linguaggio dei medici per poter comunicare. Ecco, io sono d'accordo in questo perché penso che sia necessaria la comunicazione tra varie categorie, ma non so cosa diverremo, cosa sia uno psicologo forse è un esperto del vissuto di cui parlava prima Di Petta, oppure qualcos'altro, ma sicuramente per me lo psicologo non è un medico mancato. GALIMBERTI: Ma, dunque, quando dico che la psicologia non è una scienza intendo dire questo: definisco scienza quel processo di oggettivazione per cui la cosa (nel caso vostro la psiche) sta di fronte alle ipotesi che io ho anticipato e che, sperimentate, assumo provvisoriamente come leggi. Questa è la scienza! Giusto? Quando Kant dice: Gli antichi guardavano la natura e cercavano di catturare le costanti che chiamavano leggi e si comportavano, nei confronti della natura, come lo scolaro si comporta di fronte al maestro, che beve tutto quello che egli dice. La scienza in senso moderno, che è poi la nostra - dice Kant- prevede invece che lo scienziato non stia come lo scolaro che beve tutto quello che dice il maestro (la natura), ma stia come il giudice che obbliga l'imputato (la natura) a rispondere alle sue domande. Se la psicologia vuole essere scienza deve obbligare la psiche a rispondere alle sue domande di indagatore scientifico. Questa è scienza! Va bene? La mia domanda è: la psiche che risponde alle ipotesi anticipate dallo scienziato psicologo è ancora psiche? Non lo so perché almeno Kant aveva detto: Con questo metodo noi riusciamo a manipolare la natura, ma che cosa sia la natura in sé non lo sapremo mai. Cioè la scienza ha almeno il pudore di sapere che non sa la cosa in sé. Se c'è un personaggio che ha a che fare continuamente con l'ignoto, questo è lo scienziato probabilmente non il prof. Scientifico, ma lo scienziato senz'altro. Uno scienziato da laboratorio sa che è in continuo contatto con l'ignoto e sa di non sapere; l'atteggiamento di un biochimico che lavora in laboratorio è un atteggiamento socratico, è più la frequentazione dell'ignoto che quella del noto. Il professore scientificamente sedicente professore, che pensa di spiegare la psiche come qualcosa di scientifico, deve oggettivarla. La mia domanda è questa: La psiche oggettivata è ancora la psiche? Secondo me, no! Dopodiché, con la scusa della psiche, voi vi organizzate di un coacervo, abbastanza disorganico ma utile, di sapere perché io vorrei anche capire come si fa io capisco un medico che studia biologia, fisiologia, ecc. ma uno che studia biologia, e poi statistica, e poi fenomenologia, deve essere filosofo matematico, scienziato, è troppo dispari il curriculum dei vostri studi. O diventate approssimativi su tutto, oppure siete dei geni che riescono ad affondare nel biologico, nello statistico e nell'esperienziale umano. Io penso che non siate capaci di fare questo, come non sono capace io. Se io apro un libro di fisica, resto un po' perplesso, circa proprio la comprensione delle pagine che ho davanti, però voi dovete studiare anche questo. Questa disomogeneità del vostro curriculum di studi a me sconcerta; in questo senso dico: Rifondiamo queste benedette facoltà di psicologia e decidiamo cosa devono sapere. Lo zoccolo duro della biologia sì, non perché voi dobbiate parlare con i medici come prima ho detto io, ma perché non potete prescindere da che cos'è il corpo dal punto di vista di coloro che hanno coniugato il corpo-oggetto. Non potete prescindere! Anche se per voi il corpo è un'altra cosa e lo conoscete magari meglio a letto che quando studiate la biologia, non è importante perché la cultura è biologica e voi non potete non appartenere alla cultura e operare all'interno di questa se non sapete il suo linguaggio . Se non altro per questo, per decenza, per buona educazione bisogna sapere il linguaggio della biologia, oltre al fatto che probabilmente, come diceva bene Freud, tante cose che si spiegano psicologicamente sono un prodotto dell'ignoranza; può darsi anche questo, no? Perché dobbiamo escludere che la biologia scopra quello che noi leggiamo anche psicologicamente? Io non ho nessuna difficoltà a ipotizzarlo resta sempre il limite che una scienza vi spiegherà come succede una cosa e non vi indicherà mai il senso di quella cosa è nella promozione del senso che scatta l'eccellenza della fenomenologia! Che significato ha questa cosa di cui la biologia può spiegare benissimo perché accade? E come se mi dicessero: Hai sognato perché hai mangiato tanto. Sì, ho capito, ho mangiato tanto e quindi ho sognato, ma mangiare tanto non mi spiega la qualità di un sogno, perché ho sognato questo invece di quest'altro, perché il delirio è in questo modo invece di quest'altro. Il contenuto è specifico e quindi c'è un'eccellenza di significato . La biologia secondo me bisogna saperla, non potete farne a meno. La statistica, la testistica mi hanno spiegato che sono utili. La fenomenologia non è un sapere, è, lo ripeto, una sensibilità. Io sono stato allievo di Jaspers nel 1962, allievo per modo di dire perché lui non insegnava più, andavo a casa sua a salutarlo lui non poteva più muoversi perché era un po' vecchio e lì io ho imparato questa cosa: mi ha corrotto la testa, mi ha fatto deviare dalla filosofia, mi ha fatto dei tarli, dal punto di vista accademico, ma mi ha dato questa percezione di cos'è lo psichico .Lamentava, inoltre il fatto che oggi non c'è più una ricerca .psicopatologica; la psicopatologia è la ricerca della psicologia. GALIMBERTI: e poi dopo lo hanno chiuso e buonanotte. Sono nate adesso dei nuovi libri di psicopatologia presso Cortina ma non ho visto un volare di questa disciplina, quindi gli stessi psicologi non credono in se stessi, perché poi non fanno gli psicopatologi, preferiscono adagiarsi sulla quiete medica, sulla quiete biologica dove per altro devi sapere molto di certo anche lì, ma questo lo sanno i biologi che cercano, non coloro che fanno confessione di competenze biologiche all'università. STANGHELLINI: Ma solo una battuta sulle 500 cose che mi sono venute in mente sentendo gli altri parlare sulla psiche oggettivata che non è più psiche. Ehm il sogno o la fantasia, non mi ricordo, di una mia paziente psicotica che una volta mi raccontò che aveva pensato, sognato, fantasticato- questo non sapeva dirlo nemmeno lei con precisione- che davanti a casa sua si era raccolta della neve e lei aveva costruito, aveva fabbricato, un pupazzo e aveva voglia di mostrarlo alla sua mamma, e quindi lo aveva preso in mano, lo aveva portato dentro casa e nel portarlo dentro casa il pupazzo ovviamente si era sciolto, Io non voglio spiegare le barzellette o i sogni o le fantasie o i pensieri, però è molto chiaro che nel portare dentro questa costruzione fragilissima, quest'ultima aveva mostrato tutta la sua fragilità, però in questo gesto c'è anche tutta un'utopia di comunicazione che se nella fantasia non si era realizzata con la mamma, quantomeno nella meta-comunicazione nel momento della visita o della seduta (se preferite) si è realizzata con me. Allora che facciamo? Stiamo zitti? Parliamo? Oggettiviamo? Non oggettiviamo? Non credo sia lecito dare una risposta definitiva, ogni risposta sarebbe una scorciatoia, no? Poi una proposta: per me la psichiatria- e con psichiatria, se mi consentite, inglobo qualsiasi discorso terapeutico che riguardi la patologia dello psichico- è filosofia applicata. PUBBLICO: Io volevo dire: intanto parlo a livello personale- credo che già l'intervento della Prof. Armezzani nel riassumere le lettere, esprima un disagio dello studente medio di psicologia, nel senso che se quello che si cerca è un conforto, vuol dire che la preparazione non è adeguata, quindi è tutto vero, sostenere o esprimere le critiche e quello che si è detto sulla facoltà di psicologia. Secondariamente volevo chiedere, no, non posso chiedere, volevo dire al Prof. Galimberti : CORPO e MENTE : in questo siamo divisi. Io credo che la parola corpo intesa come totalità di corpo vissuto che include corpo e anima non esprima quello che io mi sento, perché io mi sento psichico che vive, cioè energia che si esprime attraverso il corpo e non so se questo secondo lei può essere una parafrasi . E un'altra cosa, invece, se esiste questo psichico che non è trattato dalla psicologia e lo psicologo non è pronto ad affrontare, almeno nella preparazione italiana, quello che è lo psichico umano e il suo destino . La psichiatria che dà dei farmaci , in qualità, in prodotto, in convenienza e lo psicologo che è personale paramedico. Io sono molto attratta da TOBINATUN e da questo approccio farmacologico e volevo chiedere la vostra opinione. E' un po' una carrellata di pensieri che ho. GALIMBERTI: Non so brevemente, perché se no dopo io sono in crisi di astinenza, perché, che volete, fumo 50 sigarette al giorno e sono due ore che non fumo! Brevemente, cioè: per me il problema del dualismo anima e corpo non si pone, nel senso che non credo nell'anima, sono convinto che esista solo il corpo punto e a capo, la legge tra corpo e cadavere. Cioè tra il corpo vivente e il corpo morto. Questa è la mia posizione, però non ho nessuna difficoltà anche a muovermi all'interno del dualismo, nel senso che siccome io sono in una tradizione dove tutti sono persuasi che c'è il corpo e che c'è l'anima hanno inventato la Medicina somatica e la Psicologia. e vabbe', muoviamoci in questa tradizione, che male c'è? Se questo è il binario, parliamo con questo linguaggio, tutto sommato basta sapere che l'errore non presenta soluzioni, perché non si può comporre in unità quello che è stato metodologicamente diviso. Per metodo abbiamo diviso il corpo dall'anima, sappiamo che abbiamo perso il corpo e l'anima, però questo ci giova per distinguere i campi del sapere e per le procedure di ricerca, quindi non ne farei un grosso problema. Il problema invece è un altro, lei prima ha detto: Dove va la nostra psiche? Dunque: noi dal punto di vista italiano siamo molto psichici non dimenticate che abbiamo avuto duemila anni di confessioni, che è la forma più potente dell'intrattenimento psichico; quando i Protestanti si sono messi a parlare con Dio hanno sviluppato la metodologia meditativa, se volete, ma non la metodologia comunicativa, quindi noi su questo siamo molto forniti di psichismo. Il fatto che noi siamo anche molto individualisti, non nel senso che siamo egoisti, ma nel senso che siamo molto variegati per effetto di questo continuo dialogo con l'anima, è una tradizione Cristiana della religione cattolica di cui confessione anzi a me piacerebbe ogni tanto trovare la maniera di pubblicare le confessioni del '500, rispetto cui i re cattolici fanno ridere di fronte alla potenza del gioco delle passioni la stessa Psicologia è costituita sostanzialmente sulla storia delle passioni del '700. Il problema sarà un altro: la psiche c'è ancora? Cioè voglio dire eh non so mi piacerebbe fare una domanda a Stanghellini e Di Petta che sono terapeuti: voi riuscite a fare le stesse terapie di vent'anni fa?. Cioè, io incontrando la gente trovo ancora soggetti psichici o soggetti omologati? Se è vera la teoria fenomenologica, che io condivido naturalmente, che la psiche è il mio rapporto con il mondo, se non abbiamo più un rapporto col mondo, ma abbiamo solo rapporto con ciò che ci viene rifornito come mondo dai media, noi abbiamo un abbassamento, direbbe Janet, del livello non dico mentale, ma in questo caso psichico? Cioè la nostra psiche non diventa così per il fatto che siamo riforniti dallo stesso mondo ( io sono convinto che i mezzi tecnici non sono mai solamente tecnici, sono trasformatori antropologici) un poco omogeneizzata? Mi spiego: prima dell'avvento mediatico uno per fare psiche sudava nel mondo, faceva delle esperienze e tornava a casa con una psiche costituita sulla base delle sue esperienze. Oggi invece per sapere qualcosa del mondo invece di uscire di casa nel mondo, vado in camera, accendo il computer e subisco quello che mi viene fornito come mondo. Finiamo per avere delle psiche omogeneizzate perché facciamo tutti le stesse esperienze del mondo, tutti. Per cui anche il bisogno di parlare con un altro, anche se io non dovessi guardare la televisione (io sono un divoratore di televisione), più o meno so che cosa viene fornito come mondo, per cui parlare con gli altri non è neanche più interessante, perché abbiamo tutti quanti più o meno la stessa esperienza, e questo produce, secondo me, un abbassamento della diversificazione psicologica, un'omogeneizzazione psichica, ( ecco questo per rispondere a lei) e quindi dove va la psiche? Io penso che vada verso un significativo abbassamento di tensione psichica, con un impoverimento di strumenti di gestione della conflittualità psichica, per cui o divento superficiale o mi suicido. DI PETTA: Brevissimamente perché facciamo un intervallo, poi magari organizziamo con quelli che vogliono continuare dopo. Quando un ingegnere al termine della sua formazione arriva sull'oggetto, che sia un circuito oppure un edificio o una cosa qualunque, presumibilmente ne sa di più rispetto al committente del tipo di operazione che deve fare, altrimenti non lo chiamerebbe, probabilmente non lo pagherebbe. Quando uno psicologo arriva sull'oggetto ne sa di meno rispetto al committente, questa è la cosa assurda. Questo perché neanche il committente sa granché, altrimenti non si creerebbe proprio l'ingaggio, ma procedono tutti e due brancolando più o meno nel buio, certo uno ha delle coordinate e tutto un discorso appreso. Tobina Tun oggi non fa più lo psichiatra in senso classico: lui è arrivato a mettere queste persone in cerchio, poi mette i terapeuti tradizionali, qualcuno si veste in un modo suo strano, ci sono altri psichiatri, cominciano un po' a parlare, vengono buttati degli oggetti. Io non so se Tobie Nathan, pur muovendosi nel sistema sanitario francese sia un medico occidentale o sia una forma di sciamano diciamo civilizzato però di fatto riesce ad ottenere degli effetti terapeutici. Allora così per chiudere , lasciando poi un po' di curiosità per chi vuole approfondirle io sento molto quello che dice il Prof. Galimberti rispetto all'appiattimento della psiche, rispetto alla scomparsa, all'estinzione e questo anche nella sua domanda: Qual è il destino della psiche umana? Forse, in un certo senso fare oggi della fenomenologia dell'esperienza vissuta, significa anche in qualche modo fare ecologia del sistema encefalo-storia, cioè voglio dire non solo per copiare soltanto degli alberi, dei fiumi, dei laghi, dell'atmosfera, del tasso d'inquinamento, ma nel momento in cui incontriamo una persona che sia su un mezzo di trasporto o nel nostro studio o in un ambulatorio di quart'ordine o in un pronto soccorso pensiamo che in quel momento, nella misura in cui riusciamo ad accendere in quella persona il vissuto come un evento sempre nuovo, sempre misterioso, ma sempre in qualche maniera anche nostro nei limiti della comprensibilità, noi stiamo facendo un'operazione salvifica, di salvezza, cioè noi stiamo facendo ecologia non solo delle sue sinapsi ma anche del suo modo di essere uomo, cioè stiamo in una qualche maniera riattivando dentro di lui qualcosa, ci stiamo prendendo cura di qualcosa che sta accadendo dentro di lui; e forse questo ci aiuta anche a, come dire, tollerare di più la nostra impreparazione, la nostra ignoranza, o comunque il nostro sentimento di inadeguatezza che non abbandonerà mai, credo, neppure il più grande dei terapeuti. STANGHELLINI: Vorrei anch'io dare una breve risposta. Io non ho ancora 40 anni quindi di quello che succedeva 20 anni fa in psichiatria ho una vaga idea, naturalmente, però ci sono due trasformazioni della patologia che mi sembrano significative. Se uno prende un bel libro di psichiatria di fine dell'ottocento la parte del leone la fa l'isteria, la grande crisi isterica, no? Se uno vede come si è trasformata l'isteria in questo scorcio di millennio vede che l'isteria è tutt'altra cosa: l'isteria ha una espressione di tipo minimalista, si esprime come disturbo da conversione somatica, sostanzialmente. Sì è vero che gli americani poi hanno inventato pure il disturbo da personalità multiple, però dalle nostre parti, forse dato anche il veto Jasperiano, questa patologia dello zapping, no, non attacca. Direi però che il fenomeno più appariscente è la trasformazione della sintomatologia psicotica una volta detta schizofrenica; perché se noi di nuovo prendiamo un bel libro di psichiatria degli anni '50, quelli scritti dagli psichiatri di manicomio, vediamo che la parte del leone la fa il delirio, la patologia delirante. Noi siamo cresciuti su Jasper e Schneider evidentemente sulla psicopatologia generale e la psicopatologia clinica, e io per lo meno mi sono illuso che la schizofrenia fosse delirio, la schizofrenia fosse una sindrome delirante allucinatoria in qualche modo e che non si potesse assolutamente fare diagnosi di schizofrenia in assenza di sintomi deliranti o di sintomi allucinatori, questo è quello che hanno insegnato i nostri maestri. Lavorando in un servizio di psichiatria e non in un manicomio e nemmeno in una clinica psichiatrica, quello che io vedo è sempre meno persone che delirano e sempre più invece persone che in qualche modo si staccano dal contesto dell'intersoggettività, diciamo così, per qualche motivo che rimane a lungo, a volte per anni, anche nella relazione terapeutica, assolutamente imperscrutabile e che forse ha a che vedere con qualche micro-esperienza delirante, ha a che vedere con qualche scintilla allucinatoria, ha a che vedere non so con che cosa, però non certo con quella macrologia del delirio e delle allucinazioni di cui parlavano e continuano a parlare i trattati di psichiatria. Perché? Non lo so francamente, i motivi possono essere molteplici e comunque, a mio modo di vedere, credo che siano motivi di tipo socio-culturale; ne elenco soprattutto due: uno riguarda sostanzialmente l'evoluzione dei servizi di psichiatria, e quindi lasciatemi anche spezzare una lancia su questa evoluzione. Noi andiamo incontro alla psicosi, non aspettiamo che la psicosi venga incontro a noi e quindi vediamo le psicosi non in stato nascente naturalmente, però le vediamo in una fase in cui ancora la sintomatologia psicotica ( quella bella no?) non si manifesta. E poi, due: le sostanze di cui Gilberto che lavorava in un SER.T è un esperto e che modificano drasticamente i quadri psicotici, e devo dire che ormai è sempre più raro vedere uno psicotico che non sia un affezionato di sostanze. PATARNELLO: Benissimo altre e altre ancora sarebbero e ne venivano in mente di cose, però interrompiamo per un 3/4 d'ora un'ora e torniamo qui. |