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Grandi Voci


 
Padova, 2 Maggio 2001

INTENZIONALITÀ E INCONTRO. FENOMENOLOGIA DELLA CURA E CLINICA DELL'ESISTENZA

Dr. Gilberto Di Petta

---------1° parte-------



Di Petta: Buon giorno a tutti. Io non posso che partire da questa atmosfera di sospensione, da questa atmosfera così di attesa, di un qualcosa che, che si manifesterà, ma che comunque per ora non può ancora manifestarsi. E… io volevo anche un po' capire, cioè volevo un po' regolare il linguaggio, volevo un po' capire che cosa ci possiamo dire e in che termini ce lo possiamo dire. Perché l'intenzionalità è un termine filosofico e io non sono un filosofo, però non siete neanche voi degli studenti di filosofia, e … io non so effettivamente che cosa potremmo dirci sull'intenzionalità.
Andrò a parlare su un campo un po' minato, cioè della serie andrò a riesumare una specie di fantasma che è stato liquidato probabilmente, magari un po' frettolosamente, però anche operativamente liquidato da nuovi paradigmi.
Il titolo che ho dato a questa mia relazione è: “Intenzionalità e incontro. Fenomenologia della cura e clinica dell'esistenza”. Quindi fenomenologia della cura e clinica dell'esistenza. Allora l'intenzionalità per noi sarà nel corso di tutto questo, di tutto questo, di tutta questa trattazione, sarà una stella cadente, un qualcosa che noi potremo intravedere in alcuni momenti, ne seguiremo la traccia, la perderemo.
Siccome c'è una splendida lavagna, e sono molto attratto dall'idea di sporcarla, di tracciarci qualcosa, e io potrei farci uno schema, che è una cosa insolita per un fenomenologo. Però mi voglio esporre, vorrei farvi uno schema di un qualcosa anche di nuovo, perché in fondo la fenomenologia non è mai stata una terapia. Però il fatto che ne stiamo parlando in una facoltà di Psicologia, il fatto che io sia un clinico, il fatto che voi siate studenti che vi occupate della relazione umana, a me piacerebbe dire dell'esistenza umana, e che un domani avrete a che fare con esistenze malate o con esistenze mancate come diciamo noi fenomenologi, dà una curvatura clinica molto forte, dà una curvatura terapeutica ad ogni discorso fenomenologico che verrà fatto qui. Quindi il mio compito è veramente arduo, perché da qualche parte, ho ricevuto questa consegna: l'intenzionalità.
Il prof. Marhaba mi ha detto: “ Tu verrai e parlerai dell'intenzionalità”. Però io voglio arrivare dall'intenzionalità alla terapia, cioè se è possibile una psicoterapia fondata sulla fenomenologia. Se lo sguardo, se l'incontro tra il fenomenologo e il malato possono definire un contesto terapeutico, senza far ricorso ad altri modelli come quello psicoanalitico, cognitivo-comportamentale, ecc…
La fenomenologia è stata molto libera, nel senso che non ha mai chiesto di seguire un approccio terapeutico anziché un altro. Per cui i fenomenologi hanno dato i farmaci, hanno fatto anche gli elettroshock quando si facevano gli elettroshock, hanno fatto gli psicoanalisti, hanno fatto i cognitivisti, hanno fatto di tutto. Però facevano sempre i fenomenologi, qualunque cosa facessero. Io credo sia arrivato il momento di uscire un po' fuori dall'ombra, e avere il coraggio di proporre la fenomenologia non come un approccio terapeutico che va ad aggiungersi agli altri 300/400 tecniche accreditate. Però io credo che oggi la fenomenologia possa dire a testa alta che quando un clinico incontra un uomo, in quel momento sta producendo un cambiamento in quella persona. Quell'incontro sta producendo un cambiamento. Dentro di lui e dentro quella persona. E questo cambiamento può definirsi terapeutico. Il mio compito è arduo perché partendo dall'intenzionalità io cercherò di mantenermi fedele alla consegna che ho avuto, perché non sarebbe corretto da parte mia dribblare o sciftare, quindi ho ricevuto una consegna ben precisa. E mi propongo di partire dall'intenzionalità e di descrivere un semi cerchio e andare a vedere cosa c'è sotto il semicerchio, dall'altra parte però. E mi propongo di incontrarci la terapia. Quindi il percorso che dovremo fare sarà abbastanza duro, improbabile però in alcuni tratti, credo, affascinante. Già è un concetto che assomiglia ad una freccia che ci fa vedere un bersaglio, che poi è quello della clinica, è quello della clinica inteso in senso forte, cioè anche della terapia.


Marhaba, tu hai detto che l'intenzionalità è una categoria ingenua, e io mi attaccherò molto a questa tua definizione, questa definizione che hai riportato.
Se guardo alle domande che mi sono arrivate ne trovo una che chiede cosa va a coprire l'intenzionalità, da che problema parte. Qui siamo di fronte alla problematica del soggetto e dell'oggetto, della coscienza e del mondo. Cosa va a coprire l'intenzionalità… direi la distanza che per migliaia di anni ha separato soggetto dal mondo esterno, intenzionalità, coscienza di mondo, quindi coscienza intenzionale, intenzionalità, libertà, simbolo, trascendenza. L'idea del simbolo attacca la metafora anche. Responsabilità, cambiamento, cura, movimento, addirittura intenzionalità sociale. E tutto questo è moltissimo per una categoria ingenua. È strana questa cosa, categoria ingenua che muove dentro di voi delle questioni così forti. Io non risponderò analiticamente a queste questioni che mi avete portato, però le tengo ben presenti per quanto riguarda la scansione del mio intervento. Intanto vorrei utilizzare qualche minuto per tracciare uno schema, perché credo sia importante che, sia importante che abbiamo una traccia su come ci dobbiamo muovere. Siccome ci dobbiamo muovere in una terra incognita, e come gli esploratori che si muovevano, che partivano per delle terre sconosciute, avevano quanto meno una mappa, quanto meno una carta, quanto meno un racconto, un qualche cosa, magari anche un po' fantastico, però ce lo avevano.
E noi ci proponiamo di entrare in quella che, almeno per la fenomenologia, è la terra incognita della terapia, della psicoterapia. Quindi da qualche parte io sento il bisogno di muoverci cautamente, accortamente. Dicevano gli antichi “ hic sunt leones”, scrivevano sulle carte geografiche quando finivano le carte geografiche, no? Partire dall'intenzionalità e arrivare a proporre l'idea di una psicoterapia fenomenologicamente orientata, che poi tra l'altro non è una cosa che propongo io, ma è una cosa che da un po' di tempo echeggia, come dire, negli scritti dei fenomenologi.
E vorrei ricordare anche che il testo della professoressa Armezzani “L'enigma dell'ovvio”, nella sua parte finale adombra, direi in maniera più che speranzosa, questa idea della costituzione di un approccio terapeutico fondato sulla fenomenologia. E tuttavia, come dire, ci muoviamo in un terreno che non è sostenuto, in un terreno che non è supportato, allora abbiamo bisogno di un minimo di traccia.

schema

La prima cosa dalla quale partiamo è senz'altro l'incontro. Se dovessimo dire così a bruciapelo, se dovessimo rispondere alla domanda “Ma che cosa è una psicoterapia fondata sulla fenomenologia?” noi diremmo: è un incontro che si propone come sua finalità di arrivare all'incontro. E non è una tautologia, perché in fondo l'incontro tra due persone non è una cosa che, non è un'esperienza alla quale si può accedere così, solo perché due persone si vedono. E questo stesso concetto riguarda l'esperienza vissuta, noi spesso ci riempiamo la bocca di vissuto, il mio vissuto, ho vissuto, che hai vissuto, tu hai vissuto, ho vissuto. Forse vissuto è una della parole più citate, come dire, anche nel linguaggio orale, soprattutto da chi fa studi di questo tipo. L'esperienza vissuta, no?, quella che i tedeschi chiamano Erlebnis, quella che la fenomenologia ha eretto a fondamento, proprio a pietra miliare della sua costruzione, non è un qualcosa che, che si dà così, e come dirvi, mi verrebbe da dire nulla è più lavorato dell'immediatezza, nulla è più scavato, nulla è più carsico, nulla è più sacrificato dell'immediatezza. Quindi anche l'esperienza vissuta è una cosa alla quale si accede dopo un po' di tempo, a principio possiamo avere l'esperienza, non è un caso che la lingua tedesca ha due parole per significare l'esperienza, mentre la nostra lingua ne ha una sola. Nella lingua tedesca c'è il termine Erfarung e il termine Erlebnis che significano tutte e due esperienza, però Erlebnis ha a che vedere con l'esperienza interna, dobbiamo caricarla di un altro aggettivo, mentre Erfarung ha a che vedere con l'esperienza che io posso fare, per esempio, portando la macchina che si è guastata da un meccanico, che certamente è un'esperienza anche quella interna ma che però non ha la risonanza che può avere un lutto, o che può avere un impeto di gioia, o che può avere un delirio, o che può avere semplicemente l'incontro con la persona che amo. Allora, è un incontro la fenomenologia che si propone come finalità di arrivare ad un incontro. Come accade tutto questo? C'è il passaggio per una fase intermedia che è la cura. Molto bella la domanda che mi ha fatto Simone quando dice “ho sentito il termine cura, non ho sentito il termine terapia”. E un altro termine che non si sentirà sarà quello, oggi in voga, di presa in carico. Ma che cosa si prende in carico? Voglio dire la presa in carico dell'utente, del paziente, dell'ammalato, di chi sia, questo è un termine tecnico con cui oggi i nostri Servizi di Salute Mentale sul territorio funzionano. Si prende in carico un sacco di patate, si prende in carico un qualcosa che fa abbassare profondamente la bilancia, sul monta carichi si prende in carico. E il termine preciso qui non è neanche avere in cura, è semmai avere cura, o prendersi cura di, e la cura ha a che vedere molto con tutta la tematizzazione, che è uno dei più grandi filosofi del '900, Martin Heidegger, ha dato della esistenza umana nel mondo. Quando lui dice: l'essere nel mondo dell'uomo è fondamentalmente la cura, il fatto che un uomo è vivo è indicato dal fatto che quest'uomo si prende cura di qualcosa o di qualcuno. Nel momento in cui scompare la cura, è la morte. Il termine tedesco che Heidegger utilizza per cura è Sorge, ma qui non facciamo filosofia. Se siamo qui è perché c'è stato un clinico, che si chiama Binswanger, il quale ha utilizzato l'impianto filosofico di Husserl e di Heidegger per vedere, quando dico vedere il senso fenomenologico è un senso forte, non per vedere con gli occhi, per vedere con uno sguardo che entra dentro, per vedere le essenze, per vedere le forme, le forme di vita, le Lebensvelt.
La forma di vita schizofrenica, malinconica, maniacale, non esistevano nella psicopatologia Kraepeliniana, Grisingheriana, nel paradigma della neuropsichiatria positivista; la descrizione clinica era fredda, asciutta, ed era molto mista ad una strana patologia della coscienza, per cui lo schizofrenico era demente. La descrizione che fa Kraepeling della servetta schizofrenica che lui chiama a lezione, a cui punge la lingua con uno spillone da balia, dimostrando ad una platea di studenti che la paziente non è in grado di valutare cognitivamente lo stimolo doloroso, e questo a surrogare l'idea della Dementia Praecox, è un paradigma che è stato completamente frantumato dalle descrizioni che gli psicopatologi fenomenologi, in primis Binswanger, hanno fatto delle esistenze schizofreniche, delle esistenze maniacali, delle esistenze malinconiche. Binswanger parte dalla cura per arrivare all'amore. Quindi il passaggio dalla teoria filosofica, l'essere nel mondo dell'uomo è caratterizzato dalla cura, fin qui Heidegger. Il mio rapporto con te, io tu, il l'essere noi due insieme in un percorso terapeutico e umano e caratterizzato dall'amore, per cui se la cura definiva l'essere nel mondo, secondo Binswanger il modo di essere degli amanti, Mitt-ein-dasein, dice lui, il modo di essere l'uno con l'altro insieme degli amanti, e in questo vediamo la coppia clinico malato, arriva alla tematizzazione di un'altra forma di vita che non è più e non è solo l'essere nel mondo, ma è l'essere oltre il mondo.
Per cui noi vediamo che, se dall'incontro si parte da un Dasein, la parola Dasein significa esserci, essere qui, si parte da una esistenza e si diventa due esistenze, che nell'incontro sono l'una di fronte all'altra, quindi direbbero i tedeschi Vor-Dasein, cioè siamo davanti, io davanti a te, vis-a-vis.
Si arriva ad un certo punto del percorso terapeutico, quando uso la parola terapeutico io lo uso sempre in senso forte, mi piacerebbe dire del percorso clinico al Mit-dasein, all'essere con, l'esserci con.
Tutti questi passaggi avvengono in un campo che io qui delimito con un semi cerchio, che è il campo della coscienza, non sarà mai chiamata in causa nel corso di questa esposizione, nel corso di questa relazione, nel corso di quest'incontro la nozione di inconscio, non è un qualcosa a cui noi dobbiamo fare esplicito e necessario riferimento. L'approccio fenomenologico ripropone al centro del campo la coscienza, la ripropone in modo luminoso, chiaro, evidente, per cui non ha mai bisogno in nessun momento di fare ricorso alla nozione di inconscio. Qui scrivo sotto questa linea “campo di coscienza”.
In tutto questo l'intenzionalità non è stata mai nominata. Però ci sono delle linee su questo quadrante che in termine fisico potremmo chiamare vettori, vediamo che hanno una direzione, perché ogni vettore ha una direzione, ha un senso, il senso non è altro che la direzione. Per ora accontentiamoci di dire che queste frecce stanno ad indicare l'intenzionalità. Per cui l'intenzionalità ci funziona qui sia come trattino che lega una parola all'altra sia come vettore che indica una direzione, un movimento, di un soggetto, attenzione non verso un oggetto, bensì verso un altro soggetto.
Io adesso mi fermerei qui per riprendere fra un attimo con l'intervento vero e proprio.


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