Padova,
16-02- 2001
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Prof. BRUNO CALLIERI


PSICOPATOLOGIA CLINICA E ANTROPOLOGIA


Parte 2°





Armezzani: …io vorrei lasciarla a loro proprio perché sono sicura che ci sono molte domande che premono in questa folla… quindi io lascerei la parola a loro, solo rilevando una cosa: io sono sempre stupita da come le parole che fanno parte del lessico psicologico, le parole di uso comune della Psicologia – intersoggettivitaà, relazione, incontro e così via – qui hanno preso una spessore, un semantema vissuto, per citare Di Petta, che veramente fa impressione… proprio si sente che il senso qui è stato recuperato dalle parole, che invece scappano via dal nostro linguaggio corrente da psicologi esperti. Di questo sono veramente impressionata e grata al Professore.
Lascio la parola a voi per domande su quanto è stato detto.

Di Petta
: E' diciamo un onore per me porre la prima questione al Professore, ma anche un modo per far ricircolare tra di noi alcune cose, collegandole poi dal piano della teoresi al piano della clinica più spietata, più radicale. Mentre il Professore parlava io prendevo degli appunti; lui ha iniziato in maniera incredibile, toccando un punto vivo, doloroso, nevralgico: l'ambiguità del vissuto, di ogni vissuto. Nel momento in cui è mio è altro, nel momento in cui è conosciuto ed è straniero.
Il Professore non ha mai citato la nozione di inconscio, però è riuscito a farci vedere sempre ogni vissuto come dotato di una punta che sta sopra ad un pelo d'acqua e di una massa che sta sotto il pelo dell'acqua: una di queste due è l'Io, l'altra è l'Altro. Mentre il Professore parlava io pensavo a come queste cose transitano quell'abisso che è la fine del mondo, l'esperienza di fine del mondo e l'esperienza della ricostituzione delirante del mondo su cui c'eravamo proposti ieri di interrogarlo, visto che lui è stato un grande patologo di questi due momenti di transizione.
E poi, mentre lui parlava, io mi figuravo come questo schizofrenico vive quest'ambiguità, e ritrovavo in una maniera amplificata, quasi spettrale, queste due sue categorie così forti della Meità e dell'Alterità; per esempio, questo stato d'animo, così ben descritto dagli psicopatologi-fenomenologi che è l'Entfremdung, l'Estraneità, l'Estraneamento, l'Estraneazione – vedete quante vibrazioni si possono dare allo stesso termine: Estraneità, Estraneamento, Estraneazione – che è qualche cosa che veramente ci porta al paesaggio lunare, alla polvere, ai sassi, a questo essere sideralmente lontani da tutto; e però al tempo stesso a quella caratteristica che è stata descritta da Cameron come “over inclusion”, in cui tutto è mio, tutto entra dentro di me, il mondo mi appartiene, è mio, lo riconosco. E allora questa è un po' la prima questione: com'è possibile che, dopo il crollo del mondo, un mondo ricostituito esalti - in una maniera così ambigua, così antimerica eppure così viva, incarnata, sofferta, lacerata - questi due momenti, della Meità e dell'Alterità, dilatandoli all'infinito?
Questi sono aspetti che sono stati descritti da più ottiche psicopatologiche: pensavo a Benedetti, con i due termini di “transitivismo” e di “appersonazione”, in cui da una parte, nel transitivismo, c'è l'espulsione completa di questo nucleo del proprio Io dentro le cose – un processo che da altri patologi è stato descritto addirittura come anacoresi dell'Io (questa è una cosa su cui il Professore può senz'altro illuminarci), per cui l'Io se ne va lontano da se stesso - , e l'appersonazione, in cui poi c'è il ritorno, quel rebound violento del mondo dentro di sé. Gli analisti toccano questa problematica con due meccanismi di difesa, che mi piace citare, che sono l'identificazione proiettiva e la scissione, come difesa ultima e invalicabile. E' Minkowski che riprende questi due momenti, che il Professore ha illuminato, con i termini forti, pregnanti, di schizoidìa e di sintonia: vediamo come qui non ha più importanza sapere se stiamo parlando di una condizione schizofrenica o di una condizione maniaco-depressiva… ecco come ci stiamo spostando sul piano della trans-nosografia, ma in una maniera completamente diversa da quelle che sono le griglie sintomatologiche. Allora mi sembra che Bruno Callieri abbia posto in un colpo solo due momenti: uno conoscitivo –non ci dimentichiamo che attraverso questo sentimento dell'Estraneità si sono fondate per anni alcune metodologie diagnostiche: pensiamo al precox Gefuhl di Gruhle, in cui lo schizofrenico viene colto, al suo ingresso, proprio per questa atmosferizzazione dell'Estraneo, che si polverizza nell'aria, si respira quasi – , in cui addirittura si fa dell'Estraneità, del proprio stesso vissuto, un momento per arrivare a conoscere l'Altro, questo è lo scandalo, la rivoluzione; e poi mi pare che il Professore abbia fondato le premesse per una terapia fenomenologica, nel momento in cui, attraverso l'Estraneo che è in me, cioè l'Altro che è in me, io mi metto in contatto con l'Estraneo che è nell'Altro… e non è un gioco di parole, è come se qui ci stessimo aprendo alla non-relazione, al non-incontro, a quello che lo stesso Buber chiama Ver-gegnung, che non è il contrario di Be-gegnung, perché il contrario di incontro è scontro.
Io gli passo la parola.

Callieri: … mah… interloquire con Gilberto Di Petta anche a distanza di tempo per me è sempre molto stimolante… Ha toccato due o tre punti che io naturalmente mi ero guardato un pochino dall'esporre, ma ovviamente poi ci portano a questo. Due punti importanti: questa netta dichiarazione dell'ambiguità del vissuto - che d'altra parte, voi sapete benissimo, la scuola di Lovanio ( the violence eccetera ) , nella quale è stato studiato benissimo il pensiero di Merleau Ponty, intitola “In philosophie de l' ambiguitè” (?)- , ergo anche una psicopatologia dell'ambiguità che si ispira alla Fenomenologia della percezione, per esempio: è inevitabilmente ambiguo, ma l'ambiguo non come una categoria da condannare o da superare, bensì l'ambiguo come costitutivo di una dualità, di una dialettica interiore insuperabile perché costitutiva, come vi ho accennato prima, della nostra identità. La nostra identità è fatta di Ego e di Alter Ego. Questo Di Petta lo ha detto molto esattamente, usando i due termini di Meità e Alterità, ed anche un'altra cosa, che da me era stata omessa - ma tantissime sono state omesse - , ossia il problema della depersonalizzazione, dell'estraneamento del mondo delle percezioni, e quindi anche l'aggancio ad eventuali impegni neuro-biologici: voi pensate al lobo temporale, all'epilessia temporale, all'estraneamento del mondo delle percezioni crepuscolare - come avrà detto forse anche ieri – da un lato, e dall'altro tutta la dinamica - e tutta una psicopatologia ricchissima - , in gran parte da costruire, secondo la nostra ottica, della over-inclusion, di Cameron: questo enorme affollarsi interiore, dove c'è anche però la perdita delle dimensioni limite; e qui tutto il problema di come si costruiscono i limiti internamente, non solo i limiti spazio-temporali, ma i limiti alla gestione del proprio pathos e alla gestione della paticità dell'Altro.
Di Petta ha parlato di appersonazione di Benedetti; qui adesso vorrei stringere un po' perché è tutta una sollecitazione di tematiche.
L'anacoresi dell'Io di Winckler, che è stato forse il prediletto di Kretschmer; quando io fui tantissimi anni anche a Tubingen, Winckler era un po' – se potessimo usare il “si licet parva componere magnis – il Di Petta della situazione… (risate).
Ha toccato i problemi dell'identificazione proiettiva e della scissione, il praecox Gefuhl, e poi un punto che ci coinvolge tutti – e debbo dire che mi ha lasciato perplesso, ma perplesso bene, perché ha toccato un punto… sai come quando il neurologo tocca il punctum dolens nel ramo del trigemino e capisce… - che è il problema del contatto tra i nostri Estranei: l'Estraneo tuo e l'Estraneo mio, che nel rapporto interpersonale colloquiano… e quando colloquiano? Colloquiano quando noi stiamo zitti, colloquiano in un tacere, che non è un tacere di opposizione, bensì un silenzio a volte fatto di riflessioni, di aperture meditative o addirittura un silenzio nutrito di un pathos che si sta verificando tra i due, senza distinzione di sesso : un pathos che si può verificare – parlo sempre a titolo personale quando dico queste cose – tra un vecchio psichiatra che ascolta e un giovane pre-schizo – le pre-schizofrenia dell'adolescenza- e che è un pathos che riesce ancora a coinvolgere il vecchio psichiatra, che ne ha vissuti, tanti, ma che trova in questo, come anche negli altri, l'irriducibilità di questo pathos dai tanti altri. Quindi il comunicare all'Altro questa sua singolarità di messaggio recepito, anche se non battuto a macchina o trasmesso, è come dare una specie di carica energetica, perché, dopo questi silenzi vissuti, è come se quel fuoco, che era quasi spento sotto la cenere, con un soffio si riaccendesse. Questo è un sentimento, una sensazione che è proprio al limite; Di Petta giustamente ha detto: “il contatto tra i nostri Estranei”, che, secondo me - ve lo dico proprio ormai da vecchio psichiatra contento di farlo e di averlo fatto - , è una delle cose più gratificanti nel nostro lavoro, come ha detto anche la Professoressa Armezzani nella lettera che mi ha scritto, ve l'ho letta: cioè, anche qualche punto che emerge in questo modo ci permette… perché il nostro lavoro è tra i più deludenti… proprio per questo io credo che poi – e qui chiudo – , proprio per questo motivo, Di Petta abbia usato la mirabile botta finale, presa da Buber, dell'incontro mancato, la Ver-gegnung, che non è lo scontro. L'incontro mancato, come voi sapete, accadde in Martin Buber, da bambino, e lui lo racconta nelle sue memorie, quando – lui avrà avuto tre o quattro anni – la madre, alla quale era molto affezionato, abbandona la casa. Buber parla di questo come di una Ver-gegnung della madre; ne parla dopo trent'anni, dopo quarant'anni, quando alla sua memoria vissuta riemerge questa improvvisa carenza, che poi non fu mai colmata; le memorie di Buber fanno scuotere proprio… vi ricordate Tillich, lo shaking of the foundation, lo scuotersi delle fondamenta. Buber usa un neologismo, perché non esiste in Tedesco la parola Vergegnung, che si potrebbe tradurre come un incontro mancato, che delle volte è peggio di uno scontro; pensate a quante volte noi - e qui siamo parenti stretti dei nostri pazienti – siamo costellati di incontri mancati, che delle volte ci feriscono, mentre delle altre volte li accantoniamo, ma il fatto di accantonarli non significa averli superati. Che poi questo lo vogliamo chiamare preconscio o inconscio … sono dizioni, possiamo fare come ci pare; la realtà è che noi siamo fatti anche di tutte queste Vergegnungen, di tutte queste occasioni mancate, incontri mancati, che qualche volta, mi viene in mente adesso una cosa proprio clinica, emergono nei depressi di colpa, nei malinconici di colpa quando la colpa non è per aver fatto una certa cosa, ma per aver omesso di farla: “Non ho fatto quello che dovevo fare, non sono andato a quell'appuntamento, non ho dato quel prestito… e adesso? Forse per questa mia omissione non ho più visto quella persona”. Quando noi abbiamo contatto con molte depressioni di colpa, questo degli incontri mancati, questo che la Weitbrecht diceva “culpa per omissionen”… veramente siamo fatti spesso di colpe per omissioni, non di colpe per aver fatto.
E' molto bello, da parte di Gilberto, avermi sollecitato a ricordarvi queste cose.
Spero che adesso emerga qualche altra cosa dall'invito che loro due hanno fatto… ecco, sentiamo…”

Patarnello: Parlare su quello che hai detto è impossibile, se non riducendo al minimo le suggestioni che son venute fuori dalla tua relazione; ci sono però alcune cose che son rimaste - magari le piccole, minime cose - , che in questo momento penso di trasformare in una domanda. Ci sono due punti che mi hanno stimolato: quello relativo alla reciprocità e all'asimmetria, e quello relativo all'impersonalità, cioè al mondo del Das o dell'On.
La questione della reciprocità mi ha molto colpito, perché su di essa tu hai fondato anche la questione dell'asimmetria. Questo apre, allora, anche un discorso sulla simmetria, nel senso che la reciprocità riporta alla memoria la questione dell'asimmetria nella Fisica Astronomica: la questione della asimmetria del tempo come unidirezionalità; nella situazione di reciprocità, invece, i vettori hanno questa bipolarità, questa capacità di rivolgersi dall'altra parte, per cui l'oggetto è anche oggetto di una relazione in quanto soggetto, in quanto capace di trasformare questa condizione di passività in una condizione di attività. La reciprocità è quindi anche una simmetria oltre che una asimmetria.
La questione forse ancora più suggestiva è quella dello sfondo, quella per cui ci domandiamo cioè se lo sfondo in cui ci muoviamo è lo sfondo della impersonalità, cioè dell'On o del Das, o viceversa non sia invece lo sfondo della familiarità; lo sfondo che, pur nella dimensione del non conosciuto, mantiene, per la soggettività, il carattere di familiarità: il concetto di impersonalità non esclude il senso di familiarità; il nostro sfondo, anche se fatto di persone non conosciute e con cui non avremo mai nulla a che fare, si muove sempre nella dimensione del muoversi nel proprio spazio di vita. Questo lo dico anche perché in certe patologie, in particolare quella che noi conosciamo come delirio di rapporto sensitivo, vediamo proprio che questa condizione di sfondo viene meno, per cui non esiste quell'accogliente - seppur indifferente in un certo senso, seppur impersonale- sfondo nel quale mi muovo, perché questa condizione rassicurante- che è la sensazione di non essere conosciuto e di non conoscere, e tuttavia di essere in un mondo familiare- viene meno in certi deliri - come il delirio di interpretazione, il delirio di rapporto sensitivo- e l'Uomo, la Persona, la Soggettività si muove sempre nella estraneità, quindi nell'ostilità potenziale, non nello sfondo… e questo veniva fuori da quello che tu dicevi relativamente al muoversi tra la gente che non conosci, ma è un non conoscere ancora aderente al senso di Meità, cioè di familiarità.

Callieri: Grazie a Patarnello per queste precisazioni, che secondo me sono essenziali, colmano degli aspetti che non erano stati toccati, ma soprattutto sono espresse con una precisione linguistica meravigliosa. Patarnello ha sottolineato- lo voglio ripetere con parole mie, perché forse in esse è implicita anche una risposta- il problema fondamentale- che è anche quello freudiano- dell'Unheimlichkeit, dell'Estraneo come perturbante: questa estraneità mi fa ripensare certamente al deliroide di rapporto sensitivo (e su cui appunto ??? ha costituito tante cose), a questa freddezza del rapporto con gli altri che pervade ogni tipo di relazione, fino a penetrare anche nelle più intime riserve di intimità, in casa, e nello stesso tempo alla potenza equivoca del linguaggio, perché spesso è proprio attraverso lo scambio del linguaggio, del detto e del non detto- del linguaggio mimico per esempio- che si delinea la sempre più pesante e oppressiva interpretazione del sensitivo. Quindi tu hai toccato- ti ringrazio anche per loro- un punto della Psicopatologia di una delicatezza estrema. Io credo però che nessuno di noi, se si scruta bene, sia del tutto immune da certe sospettosità: chi è senza peccato scagli la prima pietra! “Ma non mi ha salutato, perché?… Vuoi vedere che…?”
Poi hai sottolineato giustamente il problema del mondo impersonale, che poi è il mondo burocratico, è il mondo in cui il quotidiano rischia di degradare continuamente in un giornaliero minacciante, o in un giornaliero appunto estraniante. A questo proposito debbo sottolineare ancora l'enorme aiuto che ci viene, più che dai neurorecettori, dalla Letteratura, dalla Poesia, che ci viene da Balzac, che ci viene da Dostojewskj, che ci viene dai più recenti, da “Il mestiere di vivere” di Pavese, da tutto quello che la Letteratura ci fornisce come qualche cosa che è un vissuto che noi immediatamente riusciamo a percepire nella densità della sofferenza.
Io quindi ringrazio molto Patarnello per avermi fornito questa stimolazione. Sarebbe molto bello poter organizzare proprio dei seminari sui singoli temi da lui proposti: per esempio il problema della asimmetria e della simmetria nella reciprocità, che è fondamentale; il problema della figura-sfondo in ogni rapporto di familiarità-non familiarità. Sono temi che assolutamente sono intrisi di implicanze psicopatologiche; non è un'elucubrazione di terminologia, non è – come mi è stato detto qualche volta- un esercizio di paleontologia… perché tutto adesso è riducibile e semplificabile, persino l'Amore... ma è proprio invece il toccare con mano senza distruggerla,5 o senza lasciargli un'impronta negativa, la delicatezza ineffabile di ogni esistenza. Qui ci hai dato proprio un esempio anche nella formulazione, secondo me. Grazie.
Sentiamo il collega….

Anonimo: La mia domanda si riferisce ai due autori a cui ha fatto riferenza principalmente, Buber e Husserl, e al campo di tensione che sta tra i due…

Callieri: Al campo?

Anonimo:…il campo di tensione, il campo problematico tra Husserl e Buber.

Callieri: No, tra Husserl e Heidegger!

Anonimo:… Adesso spiego perché: la mia domanda è centrata sul concetto di intersoggettività, che, secondo me, rappresenta un legame interessante tra Husserl e Buber: il concetto proprio di Inter, di Zwischen. Husserl però usa intersoggettività, e nell'intersoggettività rimane un primato del Soggetto; volevo chiederLe se, a suo avviso, Husserl riesce, ne “Le meditazioni cartesiane” (quinto libro), a liberarsi da questa premessa del Soggetto, anche se cerca di arrivare poi all'Inter; il punto di partenza è però il Soggetto. Secondo Lei Husserl arriva ad un punto in cui si riesce a pensare questo Entro o questo Inter come riesce a pensarlo Buber? Grazie.

Callieri: Grazie! Guardi, caro amico, Lei ha fatto una domanda fondamentale, non solo per me, ma proprio per lo stato attuale della questione. Secondo me Husserl non ci riesce, e non ci riesce, pure facendo uno sforzo enorme, perché non riesce a cogliere, cosa che invece ha colto Edith Stein, il concetto di Persona, l'empatia. A Husserl, in un certo modo, sempre fedele alle sue premesse matematiche, l'empatia non lo tocca; lui prende questa dimensione tangenzialmente, la sfiora, ma non la coglie dentro. La sua discepola, a volte amata a volte vilipesa, la coglie.
Il problema dell'empatia, come ultimamente è stato proposto nel libro della Hales Bello, la filosofa della Lateranense sulla Stein, dà una risposta a questo quesito, che rivela in Lei –mi consenta di dirlo, non La conosco, ma…delle volte dalle domande…-una grande preparazione su questi temi.
Io ho sbagliato quando Le ho detto: “No, Husserl e Heidegger!” … in questo senso aveva perfettamente ragione Lei. Io pensavo piuttosto al problema del perché Buber litiga tanto con Jung: è in fondo l'idea del figlio del pastore protestante e del maestro degli Hassidim, anche se poi tutti e due, in una forma estremamente colta e destoricizzata… lì c'è questo incontro-scontro; non è veramente questa una Vergegnung, no no, è proprio un cozzo! L'interpretazione dell'eclissi di dio, fatta da Buber e fatta da Jung, con le risposte che ci sono state… Io avevo pensato dapprima a questo suo aggancio, ma trovo che invece l'aggancio ad Husserl, nel suo non essere riuscito a cogliere questa dimensione empatica, ci fa scorgere anche i limiti di questo grande filosofo, secondo me il più grande filosofo del Novecento. Questi stessi limiti sono stati almeno in pare superati, invece, ne “Gli idoli dell'autoconoscenza”, da Max Scheler, che, secondo me, in quel punto ha toccato una vetta che, nella speculazione in quest'ambito della prima metà del Novecento, nessuno aveva toccato così bene.
Io la ringrazio… peccato che non abbiamo tempo, perché ci sarebbe da dire moltissimo su questa problematica scheleriana, di cui adesso ci stiamo occupando molto. Grazie.

Di Petta: Io vorrei dire una cosa al collega, per quanto riguarda la tensione come l'ha chiamata, tra Husserl e Buber: non dobbiamo dimenticarci, per un fatto di correttezza, che Husserl è un filosofo, peraltro un matematico, è uno che viene dalla logica pura. Quindi il compito di arrivare all'Altro è nostro e non è suo; lui lo può predisporre, lo può intenzionare, lo può indicare, ma poi chi lo deve fare non è certo lui. Questo è un punto cruciale.
Buber è sull'incontro, Husserl è prima dell'incontro, questo va detto per correttezza: nel quadro fenomenologico della Fenomenologia, all'interno del quale si muove Edmund Husserl, l'Altro è già nel Soggetto prima che il Soggetto lo incontri. L'incontro diventa cioè l'occasio fugax, diventa la possibilità di arrivare all'Altro, la possibilità che si manifesti questo impatto con l'Altro, che di fatto però precede come a priori l'incontro con l'Altro. Questo solo come specifica.

Ferlini: Io volevo molto ringraziarLa Professore, e volevo pregarLa di dire due parole sulla esaltazione non psicopatologica, perché io passo per un esaltato non psicopatologico, spero. Io credo che uno degli aspetti che mi ha trasmesso Barison, che è fondante di questo modo di vedere il mondo, sia la gioia; come Lei prima accennava, gli psichiatri e gli psicologi sono tristi, e io credo che sia difficilissimo farsi curare da una persona triste come uno psichiatra o uno psicologo triste.
Ora io sono reduce, anzi, sono dentro ad una serie di sessioni- assieme alla Professoressa Armezzani, assieme a Ludovico a tanti colleghi- di laurea: è una tristezza infinita! (risate) Pensi che un giovane collega, giovanissimo, di fronte ad una studentessa che portava una tesi e citava Winnicott, Binswanger, la Mahler, Minkowski, ha detto che se la sua preparazione fosse fatta su questi libri sarebbe, la sua, una preparazione devastata… c'eri Maria?
Armezzani: Ha detto che queste teorie sono inaccettabili…
Ferlini: Inaccettabili, vecchie, obsolete… ecco, allora io stavo per dargli un cazzotto sulla testa, ma poi ho pensato che no, perché, evidentemente, questo, per fortuna, è stato un incontro mancato! Perché gli incontri mancati possono anche essere molto piacevoli! (applausi)
Allora io volevo ringraziarLa di questo, cioè dell'accenno che Lei ha fatto, veloce ma secondo me fondamentale, al fatto che nell'incontro con l'Altro Psicotico– che poi siamo anche noi psicotici forse, no?- c'è quella tenerezza, quella paura, quella sensibilità di non ledere, di non far male, che credo che sia proprio il fondamento di questa nostra condivisione. Grazie.

Callieri: Una brevissima risposta, vista l'ora, concedetemela, perché Ferlini ha toccato una cosa essenziale. Io avevo solo accennato all'inizio, tanto per ricordare, i livelli più bassi, i livelli intermedi e i livelli elevati, dove l'Altro ci dà luogo a sentimenti di pienezza, a sentimenti di gratitudine – la gratitudine è qualche cosa che dobbiamo ricordarci accanto all'invidia- , a questo senso di lietezza, gioia, soddisfazione, serenità eccetera. La riduzione radicale operata da questo signore che parlava di obsoleto di certe tematiche, che invece devono costituire l'ossatura della nostra formazione- e mi pare che di questo Lei sia un po' un maestro, un portatore di idee- , fa vedere, purtroppo, quanto è pericoloso l'indulgere a una visione diciamo pure limitata, riduttiva, miope, perché questo porta veramente alla tristezza. Pensate la tristezza – non faccio nomi- della interpretazione dell'Amore come effetto di neurorecettori alterati… basterebbe questo per farci piangere!

Armezzani: Ci sono tante prenotazioni. Io pensavo che, a questo punto, potremmo interromperci e nel pomeriggio, alle 15.30, con tutti gli studenti che hanno voglia di fare domande, e anche con i non studenti, ci ritroviamo qui solo per rispondere alle domande.