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NINO

 

"E' un comodo vivere quello di credersi grande di una grandezza latente"

- E' cancro. - dice il dottore guardando Nino dritto negli occhi- Il livello dell'antigeno prostatico specifico è altissimo. Siamo in quello che noi chiamiamo stadio C2, quando il tumore occupa tutta la prostata e sta invadendo le strutture circostanti. -

Nino non abbassa gli occhi, riesce perfino ad abbozzare un sorriso:

- E allora?- Il dottore sospira e fa un gesto con la mano come se volesse scacciare una mosca:

- Dobbiamo operare subito ma forse è già tardi. -

- Ho letto che poi si diventa impotenti. - Il dottore scaccia un'altra mosca inesistente:

- Sì quasi sempre. Se non ci sono metastasi nelle vescicole seminali, cerchiamo di risparmiarle. Operiamo col metodo Walsh del nerve-sparing, cioè non tagliamo i fasci nervosi e i vasi sanguigni che servono per l'erezione. Un anno dopo l'operazione un certo per cento dei pazienti torna quasi normale. Lei quanti anni ha?-

- Sessanta. -

Il medico fa una smorfia:

- Tra la vita e una scopata, che sceglie?-

- Una scopata. - è la sorridente risposta di Nino. Il dottore torna serio:La terapia alternativa all'intervento è ormonale e prevede l'asportazione dei testicoli per diminuire il livello degli androgeni. -

- Se non mi curo quanto mi resta da vivere?-

- Difficile da dire. Potrebbe essere un anno, come tre. Il problema è il dolore. Se il cancro va in metastasi nelle ossa i dolori sono tremendi e non c'è nulla che li allevii. In ogni modo al sesso non ci pensa più. -

- Nessuno può vivere in eterno. -

Nino si alza e tende la mano al dottore che esita a stringerla:

- Ci pensi bene. Senta altri medici e mi telefoni tra una settimana. - Nino mantiene il sorriso sulle labbra e la mano tesa. Il dottore la stringe.

Roma è monumentalmente indifferente. Nino guida lungo le sue larghe strade piene di fumo e di traffico, gli occhi attenti all'antico, cercando inconsapevole consolazione nella testimonianza del passaggio dei secoli. Il Tevere è acqua che scorre imprigionata tra due muraglie, la vita è acqua che scorre stretta tra quello che si fa e le mille altre cose alternative che si sarebbero potute fare. L'acqua di Nino è allo sgocciolo. Un enorme rubinetto sovrasta il suo cielo e lascia cadere le ultime gocce. Ogni goccia per qualcuno è stata l'ultima: piazza Navona è una goccia del Seicento, il Colosseo è una goccia di quasi duemila anni fa, il Vittoriano è una goccia del primo Novecento. In ogni goccia milioni di morti e tutti hanno dovuto accettare la fine. Nino suona a un ragazzo in motorino che lo sorpassa da destra.

- Ma io sono felice...- balbetta a se stesso girando lo sguardo sulle lamiere delle altre auto in cerca di un aiuto che non può arrivargli da nessuna parte. I portici dell'Esedra: una goccia di Ottocento. Nino suona a una signora che passa sulle strisce pedonali col rosso e che gli fa un gestaccio irritata dalla petulanza del suo clacson.

- Caro corpo - si obbliga a pensare Nino levando gli occhi dai larghi fornici umbertini- perché mi vuoi già morto? I muscoli sono ancora validi, le ossa bianche di buon calcio, e godi di lunghi quasi giovanili amplessi, perché vuoi smettere così presto di camminare, di vedere bellezza, di ascoltare armonia, di gustare sapori? E tu piccola grossa prostata, muscolar ghiandoletta complice di mille orgasmi, perché permetti alle tue cellule di proliferare maligne? Taglia loro i codini del DNA che gli regalano l'eternità e rendile uguali alle altre, caduche ma sane. Su da bravo, cervello mio, convinci la ghiandolona ribelle a rientrare nei ranghi, io non so come ma so che puoi farlo perché se esistono malattie psicosomatiche devono esistere anche guarigioni psicosomatiche.

Nino parcheggia l'auto nel garage sotto casa aspettando risposta, ma il cervello gli manda pensieri vaghi, colorati di rassegnazione. Compra il giornale, prende l'ascensore e sale all'attico. Lisa gli corre incontro trepidante.

- Un semplice adenoma. Niente di cui preoccuparsi. - mente Nino abbracciandola e sfiorandole le labbra con le sue. Lisa si stringe a lui felice.

- Ha chiamato l'editore. Aspetta il romanzo. Dice che sei in ritardo di due settimane.

Nino si affaccia sull'ampio terrazzo fiorito, ornato di palme e guarda l'azzurro ceramica della piscina. Davanti a lui, ombreggiate dal carboncino dello smog, le cento cupole di Roma paiono gonfi polletti sparsi davanti alla grande chioccia ideata dal Michelangelo. Nino sbuffa: ci sono pensieri più cretini per un condannato a morte? 

Si siede davanti al computer, carica il programma di scrittura e richiama in memoria RAM l'ultimo pezzo del romanzo che sta scrivendo "La Chiave della Fortuna": racconta la storia di Decio, un sognatore sfortunato che convive con una pretesa veggente che legge la buona ventura guardando in una sfera di cristallo. La veggente si chiama Lisa, come la moglie di Nino, perché i personaggi femminili gli vengono bene solo se si chiamano Lisa. La donna sostiene di dire quello che vede nella sfera e predice alla gente avvenimenti disgraziati, la gente si arrabbia e non paga, chiamandola jellatrice. Decio non lavora, Lisa non guadagna, i due fanno la fame in un seminterrato spennando il culo di una gallina che tengono chiusa in una stìa perché Lisa con le piume di quella povera bestia confeziona amuleti che vende a un negozietto di articoli magici. Un giorno, depresso da un'ennesima lite con Lisa, Decio tenta il suicidio col gas ma provoca un'esplosione nel seminterrato. Quando si riprende dal rintronamento, la gallina starnazza nella gabbia urlando parole sconnesse. Stando a quel che le esce dal becco, un viaggiatore intergalattico sarebbe intrappolato nel pennuto e supplica Decio di uccidere la gallina per poter riprendere il viaggio. Convinto di essere pazzo, Decio accetta il dialogo con la gallina che gli chiede come mai, invece di tentare di ammazzarsi, non usi la chiave stocastica. Decio non sa che cos'è e il viaggiatore intergalattico glielo spiega con un po' disprezzo per il mondo inferiore in cui è capitato: una chiave stocastica mette in ordine gli eventi casuali in modo che siano vantaggiosi per chi la possiede. La gallina gli propone un patto: la chiave stocastica in cambio dell'uccisione del pennuto in cui è prigioniero. Decio accetta e la gallina fa un uovo: dentro c'è una piccola chiave che scintilla di luce propria. Decio la prende stupito e subito suonano alla porta e una bellissima ragazza gli annuncia che ha vinto cinquanta milioni a un concorso indetto da una ditta di detersivi. Decio si lega la chiave al collo e la ragazza gli casca fra le braccia. Da questo momento tutto va per il meglio: qualunque cosa Decio faccia si risolve in un vantaggio per lui. Ogni suo desiderio trova realizzazione. Le disgrazie degli altri sono fortune sue. Diventa ricco, padrone di un impero finanziario internazionale. Tutte le donne lo amano, purtroppo anche Lisa sembra accettare le sue prepotenze per godere del privilegio della sua ricchezza. Gli propongono la carica di Primo Ministro. Decio è incerto. Da molto tempo gli cresce dentro una curiosa scontentezza: sa che ogni cosa è merito soltanto di quella maledetta chiave che gli dà le cose levandogli il desiderio di averle, ed è tentato di disfarsene. Una mattina, dopo un'ennesima disgrazia pubblica che si è risolta in un grande guadagno per le sue aziende, Decio scaraventa la chiave stocastica dalla finestra. Essa tintinna in mezzo alla strada, un cane la inghiotte e un camion per il trasporto carni sbatte contro un bus schiacciando una vecchietta: il portellone posteriore del camion si spalanca e spiattella davanti all'incredulo animale succosi quarti di bue.

Nino sfiora i tasti con le dita come un pianista che voglia sgranchirle prima di un concerto, al romanzo manca il finale e per quanto Nino lo interroghi il personaggio Decio non gli dà risposta. 

Nino resta con le dita sospese sui tasti ma non batte una sola lettera. E' sconvolto, vorrebbe essere Decio e possedere quella chiave della fortuna per costringere le cellule cancerose a rabbonirsi e a rientrare nella normalità. Per null'altro vorrebbe usarla, la sua vita è stata molto fortunata.

Non riesce a dare importanza al romanzo, le mappe emozionali si affollano nei circuiti neuronali del troncoencefalo e il cuore accelera i battiti. Subbugliano fantasie nella corteccia ma non si incanalano nella strettoia del racconto diramando in zone sconosciute venate di panico.

Decio è diventato evanescente, anonimo. L'ultimo sguardo che gli ha dato era di sberleffo. Decio è creatura di Nino, come Nino crede di essere creatura di dio e nei molti romanzi che ha scritto ha sempre intessuto lunghi dialoghi con le proprie creature. Adesso Decio non risponde. 

Nino si reputa un dio assai liberale con i propri personaggi, li ascolta e scrive quello che sono disposti a dire e a fare. Il suo mondo fantastico si fa da solo e Nino ne è soltanto il notaio. Ma Decio gli ha dato quell'occhiata beffarda ed è svanito.Suona il telefono. E' un amico, scrittore di fortuna più incerta, ma che pubblica con regolarità.

- Nino, attaccati alla sedia, che te ne racconto una che è una bomba! Sai che ha fatto il nostro amico Benvenuto?-

- Chi, Aldo?- cerca di interessarsi Nino, muovendosi sulle proprie natiche perché gli sembra di sentire nel basso ventre la sfera gonfia della prostata.

- Sì, lui! Ha fatto un viaggio in treno con Ingmar, quello del premio Nobel...-

- Ingmar Johnasson, del comitato...-

- Ma sì, sono anni che Benvenuto briga per avere il Nobel per letteratura. Invita tutti gli anni il comitato nella sua tenuta di campagna... da morire dal ridere, prima di lui ci sei tu, cento altri e poi semmai io... ma Benvenuto, con quei suoi librucoli sull'eros pura pornografia del sentimento!- scuote la testa.

- E allora? Benvenuto ha viaggiato in treno con Johnasson e che è successo?- Nino non riesce a mascherare l'irritazione che gli monta dentro. Che importa il Nobel quando si ha il cancro alla prostata?

- E' successo che gli ha fatto credere di avere un cancro terminale! Hai capito? Ha convinto, piangendo, Ingmar e la moglie che ha un cancro terminale alla prostata e che se non gli danno il Nobel quest'anno non potranno darglielo mai più! Vedrai che finirà con l'ottenerlo quel bastardone infame! Pronto? Nino, pronto?-

Nino incastra il radiotelefono nel supporto con meticolosità. La chiave stocastica tintinna in mezzo alla strada, un grosso cane spelacchiato dalle botte e dalla fame la inghiotte e subito un camion per il trasporto carni sbatte contro un bus schiacciando una vecchietta. Il portellone posteriore del camion si spalanca e spiattella davanti al cagnaccio succulenti quarti di bue. Nino cerca di vedere il viso di Decio affacciato alla finestra del suo ufficio: ha buttato la propria fortuna è ha fatto quella di un cane rognoso causando la morte di una povera donna. Come si sente Decio? Le mappe cerebrali di Nino sono aperte, scintillanti, dandogli l'illusione di tendersi fuori dal cranio verso il mondo di Decio, per scoprire la risposta. Ma non c'è più il mondo di Decio: dentro e fuori c'è solo una grossa ghiandola tumefatta e bitorzoluta che continua a crescere sbarcando cellule cancerose nei linfonodi e nel tessuto osseo. Nino innesta nella corteccia un'altra sequenza di pensieri. Questi cambiamenti gli riescono automatici, come buttarsi in acqua e nuotare dopo mesi di inattività: solo la decisione di nuotare è cosciente, i movimenti sono affidati a zone basse del cervello e ai neuroni motori che "sanno" come si fa. Nino è allenato per mestiere a inventare storie diverse. Negli anni del boom cinematografico riusciva a scrivere quattro o cinque copioni tutt'insieme e passare da un corral del Far West al senato dell'antica Roma a Mulberry Street anni Venti, al castello di un principe vampiro, al deserto di El Alamein pieno di carri armati senza confondere personaggi e avvenimenti, gli viene facile. Innestare pensieri, cambiare sequenze, vivere più vite in mondi inventati incontrando gente più interessante di quella reale è il sopraffino piacere di ogni scrittore. Nino si è sempre sentito un privilegiato perché per fare quello che più gli piace, quello che farebbe anche se dovesse pagare, viene invece pagato assai bene.

Nino a modo suo viaggia nel tempo, stando con il culo ben fisso sul fondo della poltrona e le dita sulla tastiera del computer, come un pilota in un film di fantascienza davanti alla complicata consolle dei comandi per schizzare nell'iperspazio. 

Si immagina come vorrebbe essere: sano, giovanile, allegro, ironico, con la battuta pronta, l'intelligenza vivace, la curiosità intatta. Tende di nuovo le dita sui tasti e immagina di battere parole storiche, periodi superbi, concetti penetranti. La corteccia di entrambi i suoi lobi frontali si eccita come se le dita stessero scrivendo ma restano sospese a un centimetro dalla tastiera, percorse da una microtremarella parkinsoniana 

Lo sguardo di Nino sale sulla parete di fronte a lui, oltre il monitor del computer, mentre chiude le dita a pugno. Appesa al muro c'è la foto di Lisa, bellissima e sexy nel pieno dei suoi trent'anni, e quelle dei loro tre figli, stupendi figli, Ninfa, Giuseppe e Gabriele. 

Nino ha scelto il nome di Giuseppe per ricordare suo padre morto da poco, orgoglioso di lui, diventato scrittore di buona fama. Gli altri due nomi li ha scelti Lisa pescando nel classico e nell'eufonico. Ninfa è un architetto di grande talento, nota per avere arredato la Casa Bianca, protettrice dei diversi, dei deboli, dei poveri e degli emarginati, sposa felice di un uomo d'affari di successo, e che ha dato a lui e a Lisa la gioia di tre nipotini belli e affezionati.

Giuseppe, dolce e brillante, si è laureato in Elettrodinamica Quantistica e segue un corso di specializzazione a Princeton, indicato dai professori come la nuova speranza della Fisica, dopo la scomparsa di Feymann, e l'affascinante Gabriele colleziona trenta e lode alla facoltà di Scienze Politiche, avviandosi a diventare uomo di spicco della nuova classe dirigente.

Nino e Lisa si amano sempre di più: trentacinque anni di matrimonio passionale passati in tenerezza. E adesso nessuno dei suoi cari sa che lui sta per morire. Nessuno deve sapere, finché é possibile fingere. Proprio per restituire un po' della grande felicità che gli hanno dato con solo fatto di esistere non vuole rubar loro neppure un giorno di serenità.

Verranno i giorni della morte e saranno dolorosi per tutti, ma i suoi tre figli perfetti avvolgeranno il dolore nella struggente nostalgia dei ricordi, rendendo i loro rapporti ancora più belli. Per Lisa rimarrà invece la solitudine e un resto di vita da vivere. Povera Lisa! Una vecchia madre sola affidata all'affetto dei figli che saranno impegnati a vivere la loro vita. Gli occhi di Nino si riempiono di lacrime per l'attivarsi dei circuiti emotivi e la secrezione di endorfine provocata dal pianto placa la sua ansia.

Si guarda allo specchio molte volte al giorno perché gli sembra che dovrebbe esserci stampigliata la data della sua scadenza: ma è la faccia di sempre, la bella faccia felice di uno che ha fatto tutte le scelte giuste, però è difficile morire quando si lascia una vita così fortunata.

"La chiave stocastica tintinna in mezzo alla strada, un grosso cane spelacchiato dalle botte e dalla fame la inghiotte e subito un camion per il trasporto carni sbatte contro un bus schiacciando una vecchietta. Il portellone posteriore del camion si spalanca e spiattella davanti al cagnaccio succulenti quarti di bue." L'attenzione di Nino torna sull'ultimo periodo del suo romanzo. Perché il cane dev'essere grosso? E quel "subito" si può togliere. Un punto fermo e poi l'azione del camion dovrebbe dare al lettore l'impressione del subito. E "schiacciando una vecchietta" è sufficiente? Non rende abbastanza l'orribilità dell'evento che sarà fortunato per il cane.

"La chiave stocastica tintinna in mezzo alla strada, un cane spelacchiato dalle botte e dalla fame la inghiotte. Un camion per il trasporto carni tampona un bus frantumando con rumore di grissini le sottili ossa di una vecchietta. Il corpo della donna si stampa a sangue sulla lamiera dell'autobus e poi si affloscia come un cencio sporco sull'asfalto mentre il suo sangue pallido e acquoso cola nell'oscena bocca di un tombino. Il portellone posteriore del camion si spalanca per il contraccolpo e spiattella davanti al cagnaccio succolenti quarti di bue."

Nino guarda verso Decio, in alto, alla finestra del suo studio. L'uomo è là e guarda in strada. Il suo volto è indecifrabile. La prospettiva si capovolge e ora è Nino che guarda in basso con gli occhi di Decio: la maledizione-benedizione della chiave stocastica ora perseguiterà quel cane, ma non si sente sollevato, da adesso in poi gli può capitare tutto il male possibile: scoprire che la moglie lo tradisce, la morte violenta di un figlio e anche di avere un cancro alla prostata. La strada svanisce e

Nino spegne il computer con un gesto di rabbia. Si distende sul divano dello studio: è tempo di un più serio bilancio. Tra poco tutto finirà. E' abituato a pensare alla morte: da ragazzo ha creduto in lei come a un passaggio verso il paradiso. Da adulto ha creduto che il buio che c'è prima di essere nati è uguale a quello che c'è dopo essere morti. Da vecchio gli sono venuti dei dubbi sulle eternità di ogni tipo, morte compresa.

 Passato e futuro potrebbero essere le parti già proiettate e da proiettare di un film che sta passando e il presente è il fotogramma illuminato istante per istante. E i proiettori potrebbero essere infiniti come le storie proiettate, ne siamo consapevoli di una sola per volta, dalla nascita alla morte, ma esse sono tutte qui e siamo condannati a viverle tutte: da quelle che ci vedono aborti ai primi mesi di gravidanza, a quelle che ci mostrano vegliardi di cent'anni, soffrendo tutte le sfumature del soffribile e godendo tutti gli arcobaleni del godibile, una volta re e una volta schiavi, con tutte le innumerevoli possibilità intermedie, come nell'elettrodinamica quantistica le ampiezze di probabilità elevate al quadrato danno la probabilità oggettiva e riscontrabile in laboratorio, così le vite estreme sono rare e quelle mediamente percorribili fanno aggio.

E non è vero che il buio che c'è prima è uguale a quello c'è dopo. Una diversità tra il prima di esser nati e il dopo esser morti esiste: nel nulla dell'eternità che ci precede noi non c'eravamo mai stati, nell'eternità del nulla che ci seguirà invece il nostro esserci stati potrebbe avere lasciato qualche segno. Forse esiste un universo pluridimensionale, un multiverso, di cui il nostro mondo è solo un riflesso, com'è se nel multiverso esistesse un brillante e i riflessi di luce delle sue sfaccettature fossero i nostri universi: i riflessi cambiano e si spengono al ruotare del brillante, ma che importa? La vera realtà è il brillante e non i suoi riflessi. Nel multiverso senza tempo si possono riconoscere i paradisi e gli aldilà di tante religioni.

Adesso però la morte è davanti a Nino e ogni filosofia è debole, già pensata da tutti e stupida: una manciata di giorni, cento o mille, non fa differenza. Il corpo abbandonato sui cuscini di cuoio esamina i cambiamenti che stanno avvenendo nei suoi ragionamenti, al di fuori della propria volontà. L'illusione di essere due dentro la stessa testa è la radice delle religioni: uno muore col corpo, ma quell'altro che è in grado di astrarsi e giudicare quell'uno, forse non può morire. Magari è l'Angelo Custode. Nino da anni ha svelato quel trucco dentro di sè: la complicata macchina che gli permette di dire io è alla ricerca continua di omeostasi, più complicata è la macchina più complessa è la ricerca di un equilibrio e più sofisticati devono essere i modi per riuscirci. Meditando su se stessi non è difficile staccare i due io che dialogano spontanei nel cervello, differenziarli al punto da renderli per molti versi estranei l'uno all'altro anche se Nino non è mai riuscito a far acquisire a uno dei due un punto di vista fisico autonomo e, come ha scritto Woody Allen, lasciarlo nel corpo in un lato dello studio e correre con l'altro a quello opposto. Ma forse non ha mai meditato abbastanza. E adesso non c'è più tempo. Mappe di consolazione fanno affiorare in lui banali visioni di infinite morti già consumate: intorno ai primi fuochi milioni di mezze scimmie hanno rotto i crani degli antenati per succhiarne i cervelli, già consapevoli della inevitabile morte ma troppo giovani e impegnati a sopravvivere per pensarci a lungo. Sulla grande piccola palla del pianeta decine di milioni di scimmie meno pelose e più longeve hanno innalzato piramidi e grandi templi, scavato tombe e necropoli per consolarsi dell'effimero e miliardi di scimmie glabre vivono innumerevoli tragedie che si perdono nell'oblio, subiscono orribili violenze che non avranno mai giustizia e in duemila millenni di storia la colonna dell'umana sofferenza è diventata un monumento invisibile di gran lunga più gigantesco di quelli in pietra. Poeti hanno cantato il dolore con nobili parole ma solo quello che si vive nella propria carne è reale. Nino sospira cercando di bloccare i pensieri che sorgono dentro di lui, non voluti, non evocati, prodotti dalla "macchina" che gli permette di sentirsi un'entità staccata dal resto delle cose.

Il primo cambiamento sostanziale in questo fantasticare è la mancanza di futuro. Non affiorano più progetti. 

Da alcuni mesi Nino si è accorto che deve fare uno sforzo per immaginare il futuro mentre i ricordi dominano le ore del giorno e della notte. Ed è bello abbandonarsi a essi e ignorare il bruciore inguinale che diventa più forte da un giorno all'altro gridandogli nella carne che il carcinoma sta crescendo.

Dalle nebbie dell'inizio emerge la figura di una nonna gigantesca, ammantata di nero, alle cui gonne sta aggrappato. La nonna fa un passo indietro chiacchierando con un altro gigante e Nino cade in avanti: una borsa posata a terra lo salva e la sua faccia finisce in una dolce torta di panna. E il corpo caldo e profumato della madre lo sommerge in un abbraccio di festa perché la sorella l'ha lasciato vincere a carte e il grande padre biondo ride con lui facendolo volare verso l'inarrivabile soffitto per poi riaccoglierlo fra le sue braccia possenti, porto sicuro contro ogni immaginabile pericolo.

E Maria, bambina dalle lunghe trecce, si lascia accarezzare tutta, nascosti dietro il portale della cantina della casa dal grande cortile.

E gli anni della guerra col padre capo partigiano, eroico e deciso, che il giorno della Liberazione torna a casa acclamato dalla gente e lo abbraccia per cinque minuti senza lasciarlo respirare.

E la scuola, l'incontro con Lisa, il primo e unico amore consumato la prima volta su un prato sotto le stelle in un coro assordante di grilli.

E la pallacanestro, con la vittoria ai campionati europei, centro pivot capitano di squadra, selezionato nonostante la tripla masturbazione effettuata la sera prima per calmare l'ansia.

E il premio di poesia, la collaborazione alla Fiera Letteraria, e poi la sua fortunata carriera di scrittore.

Ma sopratutto Lisa, gioia senza pause, amante e compagna perfetta, parte del suo successo, sempre pronta a sostenerlo, ineguagliabile padrona di casa nelle infinite cene offerte ad amici via via più importanti, affascinati da lei e invidiosi della sua fortuna.

E il mare: la grande barca a vela con due alberi con cui volare nel Mediterraneo alla ricerca di fondali pescosi e di grosse cernie. Tempo arioso tutto di colore blu attraversato da grandi ali bianche.

E i figli, vicini con il cuore, ammiratori generosi della sua onestà e della sua bravura, orgogliosi della libertà di pensiero e di comportamento che gli ha insegnato, comprensivi del rigore morale che pretende da loro, amorevoli verso il prossimo meno fortunato.

Cullato da questi ricordi felici, Nino si appisola.

Uno spazio illimitato sta dentro lo spazio del corpo. Un buio di colore diverso punteggiato da settantamila miliardi di esseri viventi che ne segnano i confini con la loro frenetica attività chimica ed elettrica. Un'unione tattile, umida e calda. Settantamila miliardi: più degli abitanti di diecimila Terre, e tutti uniti in simbiosi, una Gestalt meravigliosa che autorizza a dieci miliardi di essi di parlare a nome dell'insieme per comunicare con le infinite altre Gestalt extracorporee.

C'è un allarme, pochi milioni di individui, assemblati intorno a quelli dell'uretere, stanno degenerando mettendo in pericolo l'armonia della Gestalt.

- Noi non ci lasceremo uccidere- lampeggiano le reti formate dagli ambasciatori della comunicazione e dell'autocoscienza collettiva- Forza ragazze, rimettiamo a posto le cose!-

Tutta la Gestalt è scossa dal messaggio e miliardi di nuovi marcatori vengono esposti dagli individui aiutanti che stimolano gli individui assassini ad uccidere ed impedire che la ribellione diventi rivoluzione, disgregazione e morte. In pochi giorni gli individui devianti vengono uccisi e il grappolo dei superstiti sani torna alla produzione del liquido da aggiungere agli sciami di avventurieri aploidi che migrano verso spazi diversi e sconosciuti, là dove nessuno è arrivato mai. La collaborazione torna armoniosa, la Gestalt è salva e Nino è guarito.

Un acuto dolore allo sfintere lo sveglia. La reverie è finita. La Gestalt dei settantamila miliardi di individui sta per finire.

Nino deve affrontare la prima e ultima tragedia della sua vita fortunata: smettere.Anche una vita senza dolori è destinata a finire: non è ammesso il lieto fine.

Nino si alza dal divano: nessuno che sappia davvero di dover morire può essere felice. Tutti sono vagamente consapevoli che ci sarà un ultimo giorno ma è perso nelle nebbie evocate dai circuiti cerebrali di difesa.

E' stato bravo. Moglie e figli non sospettano nulla. Ne è contento eppure irritato: è possibile che proprio nessuno dei suoi cari si sia accorto che sta morendo? Si nasce, si vive, si muore da soli: tutto il resto è panorama.

Nino apre un cassetto e cerca qualcosa che ha messo, tanto tempo prima, sotto il pacco delle multe e delle bollette pagate. Oltre il grande vetro della finestra il cielo è sereno. Sotto, in strada, la gente va e viene, inconsapevole. Nino sorride alle grandi fotografie sulla parete oltre il computer e le facce amate gli sorridono in risposta: Lisa dalla sbarazzina zazzeretta bruna e i grandi occhi azzurri, Ninfa dai capelli rossi e gli occhi verdi, Giuseppe col volto incorniciato da corti riccioli corvini e Gabriele biondo come l'oro dalla mascella maschia e volitiva. Che fortuna avere avuto quei figli tra i miliardi delle combinazioni possibili! Se la sera prima della selezione per la nazionale juniores di pallacanestro non si fosse masturbato tre volte, la ruota degli spermatozoi sarebbe rimasta indietro di tre giri e quella meraviglia non sarebbe mai nata. La morte non rovinerà una vita come la sua. Non se ne starà in giro ad aspettare la fine con cannule infilate nell'uccello. Questa vita troppo fortunata deve per forza essere poco probabile, deve trovarsi a una estremità delle vite possibili, bisogna dargli un taglio perché resti perfetta. Nino preme il grilletto cogliendo di sorpresa le mappe cerebrali della corteccia che gli mandano un ultimo mezzo pensiero pescato in chissà quale misteriosa sincronicità: inutile fuggire. Morirai di cancro infinite volte.

Fine

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