L'Evoluzione delle Monoposto negli ultimi decenni

Alcuni brevi cenni alle prime vetture da gara fino alle attuali monoposto di adesso.......

La storia del motore

Monoposto L'evoluzione del motore di Formula 1 di moderna espressione può trovare un significativo punto di partenza nel momento di piena affermazione dell'aspirato, dopo un lungo predominio della sovralimentazione. E questa fase coincide proprio con la ripresa dei Gran Premi del dopoguerra e con l'istituzione del campionato mondiale: i vecchi schemi, residuati d'anteguerra, sono andati rapidamente esaurendosi e la rivoluzione motoristica ha trovato un terreno molto fertile in tema di regolamenti e un sostegno prezioso da altre tecnologie in progresso, specie per la metallurgia e per i carburanti. Indubbiamente, la più forte delle componenti è stata quella della definizione del regolamento; perciò, prima di esaminare i valori dei rendimenti e altri fattori legati a queste tecnologie si dovranno considerare proprio le scelte fatte dal regolamento. Con una precisazione iniziale sulla sovralimentazione: quella sviluppata dal 1923 al 1951 era basata su compressori azionati meccanicamente dal motore, mentre quella riproposta sul finire degli anni Sessanta e successivamente sottoposta a crescenti progressi, fino ai vertici di questi ultimi anni, è ottenuta dall'azione di turbo-compressori comandati dai gas di scarico. Teoricamente, l'equivalenza tra motori di concezione così diversa dovrebbe avvenire sulla base di calcolazioni rigorose e soprattutto alla luce di valutazioni energetiche essenziali. Finora, invece, si è preferito giocare sugli "handicap" in modo assai semplicistico e con orientamenti precisi. Così s'è fatto fin dall'inizio, cioè dal 1938, quando si è voluto accostare il motore sovralimentato di tre litri all'aspirato di 4500 cc, con un rapporto di 1,5 fra le due cilindrate che, a quell'epoca, era di tutto favore per la prima soluzione, dopo quindici anni di conquiste. E lo è stato ancora nel 1947, quando questo rapporto è stato di colpo raddoppiato, con il surcompresso di 1500 cc e l'aspirato di 4500 cc, nel chiaro intento di capovolgere la situazione. Ciò che ha potuto verificarsi soltanto nel 1951, con la piena maturità del motore ad alimentazione atmosferica. Ed è significativo notare come questo processo abbia potuto attuarsi anche al di fuori di queste esagerazioni; infatti, fino a quel periodo, la formula internazionale e quella di Indianapolis procedevano parallelamente, per segnare una divergenza proprio dal 1947, con la decisione di conservare il rapporto di 1,5 tra le cilindrate in questione, sia pure a un livello più basso, di 4200/2800 cc. E pure in questi termini, la tecnologia più semplice ha conosciuto una lunga prevalenza, durata ininterrottamente per una ventina d'anni.

Monoposto Quindi, da parte della Federazione internazionale, è stato tutto un susseguirsi di "handicap" sfavorevoli al compressore, con una punta massima del rapporto pari a 4 (2000/500) per la Formula 2 che ha sostituito la Formula 1 nei mondiali del 1952 e 1953 e con un ritorno a 3,33 per la F.1 1954-60 di 2500/750 cc. Addirittura cancellata è stata la sovralimentazione con la successiva formula di 1500 cc (1961-65), mentre la sua riconsiderazione nella formula dei tre litri, attualmente in vigore, in cui si era previsto, nel 1966, un rapporto pari a 2, è avvenuta unicamente allo scopo di poter utilizzare il materiale tecnico della formula di un litro e mezzo. In quel momento, infatti, pur assegnando un valore di 1,4 al rapporto fra le cilindrate delle vetture Sport e Gran Turismo, non si pensava alle prospettive del turbocompressore azionato dai gas di scarico e tanto meno alla sua riuscita in F.1 con soli 1500 cc a disposizione. Ora, questo ciclo di grandi evoluzioni per il motore aspirato ha preso l'avvio necessariamente da cilindrate ragguardevoli, data l'esiguità delle potenze specifiche realizzabili: appena 60-80 cavalli/litro, contro i 200-230 cavalli per litro di cilindrata dei sovralimentati. Appena avviato il processo, tuttavia, la corsa alle più alte potenze specifiche è stata notevole, con il traguardo dei 100 cavalli per 1000 cc raggiunto per la prima volta dai motori della formula di due litri e mezzo e con incrementi spettacolari per la F.1 1500, fino alla soglia dei 150 CV/litro, e per la F.1 3000, ormai prossima ai 180 CV/litro. In termini molto rigorosi, essendo l'aumento delle potenze legato a molti fattori, quali il numero dei cilindri, il rapporto corsa-alesaggio, il regime di rotazione, il sistema di alimentazione, eccetera, il criterio stesso della cilindrata non è che parzialmente vincolante, ai fini dell'equità della competizione, tanto da essere sostenuto attualmente da altre limitazioni; ma la sua validità permane pressochè indiscussa per l'unità di tempo entro i cui limiti avvengono i progressi. Occorrono, però, degli indici di valutazione per poter seguire con la massima precisione l'evoluzione di motori che possono sfuggire al confronto diretto, in seguito all'avvicendamento delle formule di gara, con vari limiti di cilindrata. In prima approssimazione, l'indice della potenza specifica in cavalli per litro di cilindrata, con cui si paragona ogni costruzione a un ipotetico motore di 1000 cc, risponde bene a questa esigenza, pur non tenendo conto di tutte le leggi di equivalenza. Tanto più che vi si possono aggiungere altri riferimenti, in funzione del numero dei cilindri, quindi a parità di cilindrata unitaria, con particolari legami ai rendimenti meccanico e termodinamico, e in funzione anche del regime di rotazione, se appena se ne divide il valore per il numero dei giri. La prima legge significativa riguarda l'influenza che riveste il valore della cilindrata; in linea generale, infatti, la potenza specifica di un motore, a parità di eccellenza della costruzione, mostra una marcata diminuzione dei valori al crescere delle cilindrate, sia totali sia unitarie. Proprio per questa ragione, si è considerato per molti anni come ottimo indice di valutazione la proporzionalità della potenza alla radice cubica del numero dei cilindri; ma tanti progressi di rendimento termodinamico e di rendimento meccanico hanno seriamente compromesso la validità di questo parametro.

Monoposto Il punto di partenza per la grande avventura del motore aspirato in questo dopoguerra è stato di potenze specifiche comprese fra i 60 e i 70 cavalli/litro; un livello relativamente basso, che aveva, nondimeno, prospettive di rapido incremento con gli insegnamenti dell'esperienza parallela in campo motociclistico, dove la sovralimentazione era stata abolita con grande anticipo e la quota dei 100 cavalli/litro poteva già considerarsi una norma, pur con il vantaggio delle cilindrate unitarie esigue. Quindi, al momento del confronto cruciale fra il sovralimentato e l'aspirato, la bilancia proponeva su un piatto l'otto cilindri in linea delle celebri Alfa Romeo 158/159 con punte massime di 425 cavalli, ma con 400 cavalli effettivi nella media delle applicazioni, e sull'altro piatto i 12 cilindri Ferrari a V di 60°, di quattro litri e mezzo, con disponibilità di 360-380 cavalli e con vantaggi già sensibili nelle utilizzazioni e nei consumi. La prevalenza del motore ad alimentazione atmosferica, al culmine della stagione 1951, è stata determinata proprio dal più favorevole andamento delle curve di potenza e di coppia. Ma un giudizio definitivo sulle tecnologie a confronto non deve assolutamente basarsi su questo orientamento della competizione, che implica anche valutazioni sulla freschezza del materiale in gioco. L'"handicap" stesso fra le due cilindrate avrebbe dovuto essere rivalutato alla luce dei puri rendimenti. Tuttavia, nel favorire il motore aspirato, il regolamento ha avuto buone ragioni di ordine pratico, giacchè da un lato appariva evidente l'esaurirsi di quel tipo di sovralimentazione, con compressore comandato dall'albero motore, e dall'altro lato si assisteva ad un rapido progredire, in termini di semplicità, affidabilità ed economia, tutti elementi di grandissimo interesse anche per la normale produzione di serie.Chiusa la partita del 1500 cc surcompresso e del 4500 cc atmosferico con il ritiro dell'Alfa Romeo e con l'impreparazione degli altri contendenti, questa formula, che avrebbe dovuto durare sino alla fine del 1953, è stata interrotta automaticamente, per mancanza di materiale tecnico, e il campionato mondiale si è rivolto alla Formula 2, che prescriveva motori di 2000 cc, con la dissuadente prospettiva della cilindrata di 500 cc per il compressore. Un "handicap" fatto apposta per bloccare in partenza qualunque tentativo, con il pregio di accelerare le ricerche sul motore aspirato di dimensioni più accettabili, senza cioè incappare nelle proibitive difficoltà degli elevati rendimenti meccanici.

Monoposto Ecco, allora, una preziosa concentrazione dei tecnici su motori a quattro e a sei cilindri in linea, con molti studi rivolti alle camere di combustione, all'evacuazione dei gas di scarico, con particolare riferimento alle lunghezze critiche dei condotti, e con grandi sforzi concentrati sull'alimentazione, monocarburatore e perfino a iniezione. E' il momento dello studio intenso anche sulle proprietà dei carburanti e dell'affacciarsi delle prime camere di scoppio adatte a far risaltare i fenomeni di "swirl" e di "squish". Il quattro cilindri in linea rappresenta veramente l'ideale per gettare solide basi, utili ad un serio sviluppo del moderno motore aspirato: i propulsori della Ferrari e della Maserati propongono 9192 CV/litro e 12-13 CV/litro a mille giri, ciò che testimonia già di elevati valori del rendimento volumetrico, e con pressioni medie effettive superiori agli 11 Kg/cm#2, che rappresentano autentici primati. Il sei cilindri in linea viene introdotto da Gordini, sia pure con un bilancio tecnico più modesto, mentre da parte inglese (Era-Bristol e HWM-Alta) un gradino più sotto, si fa leva su valori specifici già confortanti. Così, con l'avvento del sei cilindri in linea della Maserati del 1953, con il conseguimento dei 190 cavalli a 7500 giri, si arrotonda a 95 CV/litro la potenza specifica, con la bellezza di 12,7 CV/litro a mille giri. Le basi per la successiva Formula 1 di due litri e mezzo (1954-1960) sono gettate e l'avvento delle tecnologie della Mercedes, con distribuzione desmodromica e iniezione diretta, danno nuovi stimoli alla ricerca. La sovralimentazione è definitivamente uccisa, con il valore di 750 cc per la cilindrata a confronto. Ma con i 280 cavalli effettivi dell'otto cilindri in linea della marca tedesca, con 112 CV/litro e ben 13,2 CV/litro a mille giri, saliti nel 1955 a 118 CV/litro e a 13,9 CV/litro a mille giri, il tetto è stato raggiunto per quell'epoca di sviluppo e i primati tecnici di questo motore sono tali da restare insuperati per tutto il corso della formula. E dire che il limite dei due litri e mezzo ha destato particolari vivacità di progettazione, con il V 8 della Lancia, con i sei cilindri della Ferrari e della Maserati, con un paio di quattro cilindri molto avanzati, per merito della BRM e della Vanwall, e perfino con un interessante tentativo della risorgente Bugatti con un otto cilindri in linea trasversale di eccezionale compattezza. Ogni inizio di formula è sempre propizio al fiorire di innovazioni e a tanto ampliamento di materiale tecnico.

Brabham_m Nel corso dell'evoluzione, nondimeno, il processo di assestamento vale anche a creare una selezione, ricca di insegnamenti pratici. E dopo la biennale esperienza della Mercedes, quel che rimane è la validità di schemi più semplici ed efficaci. Lo stesso motore a quattro cilindri raggiunge qui per la prima volta il traguardo dei 100 CV/litro e la sua successiva ascesa, con l'impegno della Vanwall, della BRM e con i primi approcci della Coventry-Climax, dimostra l'importanza di accelerare l'evoluzione di propulsori con grosse cilindrate unitarie, superiori ai 620 cc, con valori addirittura di 15 CV/litro per mille giri e pressioni medie effettive fino a 13,5 Kg/cm#2. Come soluzione intermedia, il motore V 6 della Ferrari si trascina le stesse ragioni di validità, con applicazioni preziose. Nondimeno, l'idea del frazionamento della cilindrata più spinto, pur con i consueti problemi di rendimento meccanico e di caduta della pressione media effettiva, esercita sempre una speciale attrattiva ed è la Maserati a giocare la grossa carta del 12 cilindri a V di 60° nella sua ultima stagione di attività, prima del ritiro ufficiale del 1958. La potenza effettiva è la più alta in assoluto, con 306 cavalli a 9500 giri; nonostante, però, l'alimentazione a carburatori e il disegno ancora embrionale delle testate, con due valvole per cilindro, i valori di pressione media non sono proporzionati al restante livello tecnico-motoristico della F.1, pur con 123 CV/litro e 12,3 CV/litro a mille giri. Una svolta importante è data dall'impiego del supercarburante di commercio a partire dal 1958; ma il finire degli anni Cinquanta non è favorevole a troppi investimenti nell'evoluzione dei motori: i progressi favoriti dalle rivoluzioni d'autotelaio appaiono ben più ingenti di quel che la tecnica motoristica potrebbe offrire, determinando una certa stasi. Il passaggio dall'architettura convenzionale del motore anteriore e trazione posteriore al motore posteriore-centrale con trazione sulle ruote posteriori, ha prodotto effetti preponderanti, tanto da garantire le maggiori affermazioni alle Cooper e alle Lotus con un quattro cilindri Climax di appena 240-243 cavalli, pari a 96,5-97,5 CV/litro, con buone concentrazioni di potenza in un regime di 6800 giri, che fa calcolare 14,2-14,3 CV/litro a mille giri, alla soglia dei 13 Kg/cm#2 di pressione media effettiva. Probabilmente, una insistenza su questi valori di cilindrata, una volta generalizzati i disegni di vettura a motore posteriore-centrale, avrebbe sicuramente segnato una ripresa nel corso degli anni Sessanta, anticipando in qualche modo la spettacolare progressione dei tre litri degli anni Settanta. Invece, ragioni di sicurezza hanno consigliato i regolamentatori ad una drastica riduzione delle prestazioni delle vetture di F.1 intervenendo unicamente sul livello delle potenze, con una energica riduzione a 1500 cc della cilindrata. In pratica, con una certa ripetizione storica, era il materiale tecnico della Formula 2 esistente ad essere promosso alla formula maggiore, con un ritorno alle più piccole cilindrate unitarie. E proprio perchè già impegnati in F.2, sia pur con motori ancora in embrione, costruttori come Ferrari e Porsche hanno potuto godere di qualche vantaggio iniziale. Da parte inglese c'è stata una certa impreparazione, in quanto alle piccole litro e mezzo di F.2 bastava il semplice quattro cilindri in linea della Coventry-Climax e per la nuova F.1 vi era la convinzione generale, fino all'ultimo momento, d'un orientamento del regolamentatore verso cilindrate semmai maggiori, date le prospettive di scambio tecnico con gli americani di Indianapolis.

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