«...Ringrazio Nuova Consonanza per aver voluto dedicare a me questa serata che avrebbe dovuto essere una festa e che invece una festa non è perché manca la persona che ritenevo la più importante per capire questo concerto. Parlo di Domenico Guaccero che il 24 aprile di quest'anno ci ha lasciato. Domenico è stato per me più di un amico: vorrei dire che è stato un grande maestro. A lui, da lui ho avuto molto spesso insegnamenti gratuiti, spesso non richiesti. A volte richiesti con molta umiltà, come eravamo soliti trattarci tra di noi. E con lui ci telefonavamo praticamente tutti i giorni. E quindi il discorso era un discorso di vita, come di vita sono i pezzi che stasera vi propongo. Vorrei che tutte le note che questa sera saranno suonate da interpreti eccellenti, tutti, fossero dedicate a lui»
Egisto Macchi
(dal discorso tenuto nel corso del concerto dedicato a Macchi da Nuova Consonanza l'8 ottobre 1984 presso l'Auditorium del Foro Italico della Rai di Roma).
Domenico Guaccero
di Egisto Macchi
[In «Eupalino. Cultura della città e della casa», n. 6, 1985, pp. 58-61; anche in AA. VV., Egisto Macchi «ARCHIVIO, Musiche del XX secolo», CIMS, Palermo 1996]
Sono 66 i titoli che è dato leggere nel catalogo delle opere che Domenico Guàccero ci ha lasciato, arco di tempo 1951/1983. Di queste 66 opere solo 9 sono edite: sensibilità dei nostri editori musicali! L'ultimo lavoro, Un hombre per voce e pianoforte, precede di soli otto mesi la morte del compositore avvenuta alle ore 17 di martedì 24 aprile 1984, due giorni dopo la domenica di Pasqua.
Domenico Guàccero fu uomo del nostro tempo, vero "operatore musicale" (un "musicista operativo"), "con l'occhio", come dice lui stesso, "alle vicende pratiche, alle cose da fare, e da fare con tutte le partigianerie di chi si sente di fare quelle cose e, in quel momento, non altre"(D. Guaccero, Premessa, Saggi 1961-1983, in AA. VV., di Domenico Guaccero, prassi e teoria, Nuova Consonanza, Roma 1984, pp. 69-70). Attento ad ogni mutamento, sensibile a tutte le sollecitazioni, curioso di ogni possibile nuovo, usò il principio della "variazione" come credo estetico, permeandone tutta la sue attività. E' proprio il catalogo delle opere a darci una prima conferma di questo. I suoi "organici" si presentano variati al massimo grado, quasi avesse voluto assicurare alle sue composizioni una tensione autonoma, indipendente dal fatto esecutivo, una originalità di scelta non revocabile mai in dubbio, nemmeno in presenza di sempre possibili esiti infausti. In totale 66 organici di cui solo 9 (divisi in quattro gruppi) presentano situazioni di identità e precisamente:
1. due composizioni per voce e pianoforte, curiosamente quella che apre il catalogo (Tre liriche di Montale 1951) e quella che lo chiude (Un hombre 1983);
2. tre composizioni per pianoforte solo (Partita 1953 - Sonatina prima 1956/57 - Esercizi 1965);
3. due composizioni per soprano solo (Esercizi 1965 e Glossa 1970);
4. due composizioni per quartetto d'archi (1955 e 1980).
Le altre 57 composizioni presentano tutte organici differenti. Gli anni "bianchi", in cui cioè non compare alcuna composizione, sono il 1966, il 1969, il 1971, il 1974 e il 1984. Guaccero lascia 18 scritti apparsi fra il 1959 e il 1983. A lui sono stati dedicati solamente 5 (cinque!) articoli di una certa consistenza a firma di Mario Bortolotto, Piero Dallamano, Antonino Titone e Gianfranco Zaccaro (con due interventi). A "Domenico Guaccero, compositore e musicologo" è stata dedicata una tesi di laurea da Toni Geraci che l'ha discussa il 4 luglio 1984 alla Facoltà di Lettere dell'Universita di Palermo, relatore il prof. Paolo Emilio Carapezza. Nuova Consonanza ha poi pubblicato questa tesi nel volume Di Domenico Guaccero, prassi e teoria apparso nel novembre 1984 (T. Geraci, Domenico Guaccero compositore e musicologo, in di Domenico Guaccero cit., pp. 11-66).
L'iter compositivo di Guaccero può essere utilmente ricostruito solo se si riesce a coagulare sotto denominatori comuni una quantità di opere che, in particolare dopo il 1960, sfuggono ad una evoluzione lineare, come acutamente rileva Toni Geraci nella tesi citata: "Dopo il 1960 nella sue musica non si può più riscontrare una linearità di sviluppo ma piuttosto un diverso e vario intrecciarsi di alcuni motivi fondamentali. Nella maturità egli ha infatti teso a rinnovarsi in ogni opera piuttosto che a definire chiaramente un linguaggio. Tale scelta e state assolutamente cosciente ed ha avuto un valore di invito alla non chiusura, alla problematicità, alla ricerca; è stata insomma una volontà di esorcizzare il pericolo dell'accademismo, sempre presente nella musica contemporanea". I denominatori più importanti sotto il cui segno riportare questa congerie di opere sembrano potersi individuare nei quattro seguenti:
1. l'alea e le grafie aleatorie
2. lo sperimentalismo
3. la gestualità e il teatro musicale
4. l'opera teorica
1. L'alea e le grafie aleatorie
Le lezioni che John Cage tenne a Darmstadt alla fine degli anni Cinquanta aprirono in Europa il dibattito sull'opera aperta e sulle grafie aleatorie. Scrive lo stesso Guaccero: "Tali grafie si sono sviluppate in svariatissimi tentativi e ricerche ed efflorescenze originali, talché non sembrano più servire ad una esecuzione (nel senso del pratico uso, ossia del servigio, assolto tradizionalmente dalla grafia musicale, di trasmettere quanto più compiutamente all'esecutore il pensiero musicale dell'autore): esse si pongono come evento autonomo, come un qualcosa di altro, una "graphie autre" da ciò che intendiamo come scrittura di qualcosa. Una radicale diversità, dunque, che, una volta sgombrata dalle nebbie di interessate difese di parte o dalla superficiale incomprensione (di controparte), si rivela come organicamente connessa e con il linguaggio e la sintassi aleatoria e con la generale configurazione della civiltà contemporanea" (Ibidem).
Questa autonomia del segno nelle grafie aleatorie si presenta, secondo Guaccero, in due casi o momenti principali: a) quello della non-corrispondenza del segno all'evento in quanto o l'evento è volta per volta ineseguibile puntualmente o, se eseguibile, è però tale da non poter essere apprezzato nella sua pur estrema precisione a causa delle limitate capacita percettive dell'ascoltatore; b) quello del segno grafico usato come stimolo per una lettura muta o come evento pittografico, nel primo caso mettendo in moto l'autonomia di azione dell'esecutore, nel secondo caso superando l'esperienza sonora vera e propria, anzi addirittura astraendone, a favore di una "autonomia dell'immagine interna" dove rimane possibile ma non alla fine indispensabile aggiungere suoni. La classificazione che Guaccero dà dei segni grafici, e che non pretende di esaurire tutte le possibilità, parte dalle grafie tradizionali e, attraverso le grafie prive di metro e quelle puramente casuali dovute all'azione dell'autore (le macchioline di inchiostro di Cage), giunge alle pittografie (vedi Bussotti) di cui si e accennato. Ma Guaccero a questo proposito si dà la pena di esaminare il problema nei minimi dettagli, scandagliando uno per uno i parametri classici del suono, cominciando dalle altezze e dalla loro regolazione nel tempo (tempo come successione, la monodia, e tempo come simultaneità, la polifonia), per passare poi alle intensità e ai timbri, con tutte le implicazioni, e non solo grafiche, connesse con l'uso più accorto, più specifico e analitico dei parametri stessi per inseguire una melodia di timbri, di schonberghiana memoria, e addirittura una melodia di intensità da porre accanto alla tradizionale melodia di altezze. "Al punto in cui la grafia di tutte le dimensioni", nota Guaccero, "altezze, intensità, timbro, durata offre insormontabili difficoltà o per intrinseca difficoltà grafica o per resistenza offerta dai mezzi materiali d'esecuzione o insufficiente ricerca sul comportamento di tali mezzi, le strade si biforcano. Da una parte il velleitario "controllo" sul materiale operato dai compositori "puntillisti", durato, si finisce per ammetterlo da autorevoli cervelli, l'espace d'un matin, si scarica nella fissazione assolutamente definitiva sul nastro magnetico [...]; dall'altra si lascia correre la effettiva fuga del materiale verso la casualità, mascherandosi nel paludamento di un preteso controllo, oppure si accetta coscientemente questa fuga e si incorpora il caso. Siamo già nella dichiarata fase aleatoria" (D. Guaccero. L Alea da suono a segno grafico, "La Rassegna Musicale", XXXI, 1961 pp. 367-389 anche in di Domenico Guaccero cit., pp. 71-95).
2. Lo sperimentalismo
"II fallimento delle varie progettazioni sinora effettuate nella storia non è buona ragione perché si rinunzi a progettare" scriveva Guaccero nel 1961. In realtà il suo operare e stato un continuo sperimentare "col cauto scetticismo del negativo", come ebbe a dire lui stesso , potendosi ben definire la sperimentazione "la sua vocazione naturale" (G. Petrassi, Introdazione, ibidem, pp. 7-8). Basta osservare con attenzione gli organici delle sue 66 opere per averne una prima conferma. In detti organici si nota una ricerca timbrica che viola senza tregua comportamenti tradizionali, per approdare a nuovi lidi sonori attraverso accostamenti arditi o per estrema differenziazione di strumenti o per accorpamento di timbri simili se non identici (per esempio Positivo 1980 per flauto solista e 11 flauti). Ci si imbatte spesso in organici variabili, come per es. nelle Variazioni 3 (1968), eseguibili da formazioni che possono andare da 1 a 54 esecutori, o nella Sinfonia 3 (1971) per piccola, media o grande orchestra. Non mancano esempi di partiture complesse costituite da più tronconi, come per esempio Kardia formata da tre partiture, quella per soli archi, composta nel 1972, quella per soli fiati, composta nel 1973, e quella per sole voci, composta nel 1976, le quali possono essere eseguite singolarmente o a due o a tre contemporaneamente. Sono assai numerosi i brani composti per singoli esecutori con l'intento dichiarato di sperimentare nuovi tipi di emissione: la lunga lista comprende clarinetto, pianoforte, viola, clavicembalo, soprano, baritono, vocalista, mimo, percussionista, arpa, violino e violino preparato.
Appartiene al suo sperimentalismo l'uso dei quarti di tono, spesso usati come mezzo per ottenere una migliore polverizzazione dello spazio frequenziale senza pretendere mai di fondare su di essi un qualunque tipo di nuovo sistema armonico. Anche l'uso che Guaccero fa dello spazio appartiene al suo animus di sperimentatore. Fin da Iter segnato del 1960 Guaccero indica con precisione e meticolosità la disposizione degli strumenti in sale e i loro eventuali spostamenti. Per esempio in Sinfonia I (1963) per organico variabile prescrive che gli esecutori debbano disporsi lungo il perimetro della sale e che inizino "a suonare simultaneamente al gesto del direttore con intensità pianissimo come se realizzassero un "pannello" fonico spaziale. A seconda che un ascoltatore si avvicina a uno strumento, questo aumenterà di poco la sua intensità, come se fosse un particolare del pannello che venisse in evidenza". In Variazioni 2 (1967) per archi, 1'ultima variazione deve essere eseguita "su tre piani psicologici sonori, uno più esterno e virtuosistico, verso il pubblico, uno mediante l'esterno con l'interno, indifferente al pubblico, uno interno e statico, invisibile al pubblico".
3. La gestualita e il teatro musicale
Sulla gestualità Guaccero ebbe ad esprimersi in modo chiarissimo nel saggio Sulla tradizione del teatro musicale (1981 - 1983): "Non intendo parlare di "gesto" in senso traslato [...] ma del "gesto" in senso proprio, come attività corporea, come movimento, mimica, fatto-da-vedere, oltre che da udire" (D. Guaccero, Sulla tradizione del teatro musicale, ibidem, pp. 180-192). II gesto, cioè, come momento extra-musicale, non musicale del far musica, affidato a interpreti che si era avvezzi a vedere impegnati in altre attività specificamente musicali, di strumentisti per esempio o di cantanti o di direttore. A questa tendenza è da ascrivere il nascere e lo svilupparsi di un nuovo tipo di "opera d'insieme" in cui agli elementi costitutivi primari (suono, canto, movimento, parola) non erano più preposti, con formule automatiche, specialisti ma più genericamente esecutori chiamati a ricoprire una gamma di responsabilità assai più vasta. Con la duplice conseguenza di dar luogo da un lato a un teatro musicale di pochi mezzi e di grossa agilità e dall'altro a un fenomeno che Guaccero chiama di "despecializzazione", di "interdisciplina". Siamo già nel vero e proprio teatro musicale di Guaccero che fa leva appunto sulla agilità e sulla despecializzazione (senza dimenticare l'abolizione del palcoscenico come luogo privilegiato, operazione anche questa puntualmente eseguita da Guaccero in tutte le sue pièces). Teatro musicale, in una parola tutti gli elementi che fanno parte del teatro di prosa più la musica. L'opera d'insieme che ne deriva vede allineati gli elementi componenti in una gerarchia di dimensioni che va dai parametri della musica e dalla loro disposizione temporale attraverso la parola, la mimica e la visione fino all'azione degli interpreti e del pubblico, anch'esso coinvolto. "Contrappunto di elementi", dice Guaccero, e non solo "separazione degli elementi" come in Brecht. Contrappunto di alcuni o di tutti gli elementi in un avvicendarsi di ruoli principali e secondari proprio come nel contrappunto classico in cui il "tema" passava da una voce all'altra senza che nessuna avesse funzioni di guida o di parte principale. E qui mi pare che Guaccero dia prova di rara comprensione del fenomeno "teatro", quando scrive: "Ma quello che è costitutivo del teatro (musicale) non è la mera attività creativo-percettiva delle funzioni di udire (suoni e significati logici) e vedere (mimiche e scene), ma il "vivere dentro" un'azione. II teatro, cioè, è azione. Sia che si consideri un teatro dimostrativo o un teatro evocativo, secondo la distinzione di Brecht, il tessuto audiovisuale deve essere tenuto insieme da una trama d'azione. La trama, come in una stoffa, appunto". (Idem, Un'esperienz.a di teatro musicale, "11 Verri", 1966 [n. s.], pp. 53-66, anche in di Domenico Guaccero cit., pp. 147-166).
Tutto questo e altro ancora ritroviamo nelle opere più significative di teatro gestuale che Domenico Guaccero ci ha lasciato (Incontro a tre, 1963, Negativo, 1964, Interno esterno, 1967) e in quelle più propriamente di teatro musicale (Scene del potere, 1966-68, Rappresentazione et esercizio,1968, Rot, 1970-72 e Novità assoluta, 1972).
4. L'opera teorica
Gli scritti principali di Guaccero possono essere divisi in:
a) scritti che attengono alla serialità
b) scritti sulla problematica dell'alea e delle grafie aleatorie
c) scritti sul teatro musicale.
a) Scritti sulla serialità
Problemi di sintassi musicale I, pubblicato nel primo numero della rivista musicale "Ordini. Studi sulla nuova musica" (1959) si occupava della dodecafonia classica. II suo naturale seguito, Problemi di sintassi musicale II, che doveva essere pubblicato sul secondo numero di "Ordini" (purtroppo mai uscito a causa della morte dell'editore romano De Luca) rimase inedito. Colpisce in questi due saggi la chiarezza della posizione di Guaccero di fronte alle "impurità linguistiche" che compositori di osservanza dodecafonica come Schonberg e Berg, per esempio, denunciano nelle loro opere, impurità contro cui si era scagliato Boulez con il celebre articolo Schoenberg è morto.
Guaccero individua nel tessuto musicale di questi autori la presenza di "fossili tonali", la cui funzione è quella di sopperire alle carenze della serie laddove essa non possa venir percepita con la stessa assolutezza con cui viene per esempio percepito il tessuto tonale. In questo senso il vero, autentico compositore seriale è Anton Webern, che dedica alla costruzione della serie una particolarissima cura per renderla evidente all'ascolto e allo stesso tempo tale da equilibrare opera e leggi sintattiche sottese alla serie stessa (non diversamente, in fondo, da quanto succede nella musica tonale).
Nel suo ... un iter segnato del 1960 (eseguito nello stesso anno durante la Settimana di Nuova Musica di Palermo) Guaccero metteva in pratica le considerazioni che aveva esposto nel suo saggio, allontanandosi dai principi seriali e introducendo coraggiosamente elementi "impuri" soprattutto di sapore jazzistico.
b) Scritti sull'alea e le grafie aleatorie
Questo argomento e stato trattato da Guaccero in cinque saggi, tre dei quali sono stati pubblicati nel volume citato edito da Nuova Consonanza. Di questo argomento abbiamo sufficientemente trattato al punto 1 di questo nostro articolo e pertanto a quello rimandiamo.
c) Scritti sul teatro musicale
Sono tre gli scritti che Guaccero ha lasciato sul teatro musicale: Una esperienza di teatro musicale (1965), Postilla sul teatro musicale (1966) e Sulla tradizione del teatro musicale (1981-1983). Guaccero si è occupato, prima di tutto, di ripercorrere la storia del teatro musicale, dal teatro greco a quello europeo, dalle pratiche misticoiniziatiche alla Messa e ai drammi liturgici derivati, fino al melodramma e a tutti i tentativi di "riforma" cui il teatro d'opera e stato assoggettato fin dai tempi di Marcello attraverso Gluck, Rossini, Wagner, Debussy e Berg. Da questo filo rosso che egli dipana con grande abilità viene alla luce una "univocità gerarchica" fra musica, testo e gesto che diviene bersaglio privilegiato dell'analisi di Guaccero, come si è già accennato al punto 3 di quest'articolo. In particolare mi preme sottolineare l'insistenza con cui Guaccero ritorna sul concetto di partecipazione attiva del pubblico. Scrive Guaccero: "Altra cosa è o dovrebbe essere una partecipazione attiva e cosciente, spontanea e critica. Si tratterebbe quasi di una prefigurazione di una nuova società di uguali, ove i rapporti di dipendenza e gerarchia fossero mobili e naturali, senza posizioni pregiudiziali. Ciò presuppone davvero che il pubblico non sia più "pubblico", cioè accolita di individui che, senza conoscersi e per il fatto d'essersi pagata la poltrona, si trovano seduti l'uno accanto all'altro. Il "pubblico" dovrebbe essere sostituito con il collettivo, con le comunità, già orientati ideologicamente, possedenti un minimo di intenzione comune in vista di quello che si deve compiere. La continuità su arte e vita si porrebbe, cosi, come dato positivo e reale e assumerebbe tutte le pratiche attuali che, in maniera sempre piu vistosa, camminano in questa direzione [...] Siamo alla "morte dell'arte", alla vittoria dei suoni e delle azioni of every day life? Ma anche la vita di ogni giorno pare tendere, per contraccolpo, alla fantasia dell'arte. Stiamo forse assistendo al livellamento dei due momenti, vita e arte?" (Idem, Postilla sul teatro musicale, "Duemila", II, n. 6, 1966, anche in di Domenico Guaccero cit., pp.167-179).