da Intervista a Mario Schiano
(Napoli, 1933 - Sassofonista e compositore)
a cura di Stefania Gianni, in AA. VV., Domenico Guaccero «Archivio Musicale del XX Secolo», CIMS, Palermo 1995.

D. Come realizzavate queste improvvisazioni? E in cosa si differenziavano da altri tipi di improvvisazioni?

L'improvvisazione era assolutamente libera. Non c'era una traccia, non c'erano neanche accordi verbali. Semplicemente eravamo come sintonizzati sulla stessa lunghezza d'onda. Io conosco molto bene l'area contemporanea, ho frequentato anche Franco Evangelisti, ma, al contrario di Giancarlo Schiaffini che proviene dall'area del jazz, l'unico musicista di formazione accademica che abbia avuto delle aperture collaborando in maniera molto attiva con il nostro settore è stato Guaccero. (...)

A Guaccero piacevano molto le cose che facevo, ed io andavo sempre a sentire i suoi concerti: ero interessato soprattutto alla sua straordinaria intelligenza musicale e mi incuriosiva il fatto che un musicista di area accademica fosse così attento alla nostra attività (...)

Amava tutto ciò che è autentico e il jazz è una musica dove non esistono orpelli o finzioni di sorta: in ogni caso traspare chiaramente la vera essenza di chiunque vi si dedichi. E' un'esperienza straordinaria che Guaccero sentiva molto. Guardava con grande interesse al fenomeno jazzistico, ascoltava, prestava attenzione.

 

da Intervista a Lucia Vinardi
(Roma, 1930 - soprano)
a cura di Stefania Gianni, in AA. VV., Domenico Guaccero «Archivio Musicale del XX Secolo», CIMS, Palermo 1995.

D. Vorrei rivolgerle una domanda sul Gruppo di Improvvisazione Intermedia. Qual'è l'origine di questo nome, chi erano i componenti, che tipo di improvvisazione eravate soliti mettere in atto?

Si chiamava Intermedia percé tutti dovevamo essere sia autori che esecutori e dunque autonomi ma al tempo stesso responsabili dell'esecuzione. Oltre a Guaccero e a me il gruppo era costituito anche dal mimo Claudio Conti e dalla danzatrice Lidia Biondi la quale però, dopo tanto studio, dovette partire per l'America e fu quindi sostituita da una ballerina classica, Claudia Venditti, che con l'aiuto di tutti noi si inserì perfettamente. Per quanto concerneva l'esecuzione, Guaccero dava delle precise tracce, che si dovevano seguire quasi per intuito e che presupponevano un lungo studio e un grande affiatamento. Poi le sue tracce furono tolte e il lavoro si chiamò "s-traccia", ovvero "senza traccia".(...)

(...) Ognuno di noi, nel completo silenzio, cominciava la respirazione e quindi la vocalizzazione sul respiro, respiri di studio prima, poi respiri improvvisati. Era una cosa quasi mistica, come forse i primissimi "gesti" compiuti dall'uomo quando aveva appena la sensazione e la sensibiltà di una vocalità. Tutto questo era lunghissimo ed il pubblico rimaneva generalmente un po' perplesso e sconcertato. (...) Quindi una bella quantità di respiri, fatti in un certo modo, alti, bassi, gravi, e poi si entrava con la voce. A me era affidato l'inizio che in genere era un flautato. Leggerissimo, sul quale normalmente si intonava Claudio, il mimo, con una nota gravissima, poi la danzatrice, timidamente, perché è logico che gli attacchi vocali sono difficili, quindi una flessione o magari due, e già ci si cominciava ad avvicinare a quello che è il tratteggiare una frase, anche se solo con l "A", con la "O", con l'inserzione di una consonante insieme alla vocale, poi ci si concatenava, mano a mano, e da questo si passava alla parola. In un primo momento si era seduti a specchio, a croce: io davanti a Guaccero e gli altri due all'opposto. Si cominciava pian pianino a parlare sotto voce tra di noi con dialoghi costituiti non da semplici fonemi ma da parole fornite di significato, insomma un discorso, una chiaccherata: "Hai preso la macchina?", "Hai fatto questo?", "Hai preso quest'altro?". Io spesso parlavo di storia della musica perché sono una appassionata di questa materia. Cominciavo ad esempio un discorso sul madrigale e parlavamo ognuno per proprio conto ma incrociandoci.

D. Quindi erano come tanti monologhi?

Monologhi che però avvenivano interpellandoci. Era molto difficile. Abbiamo lavorato da morire. Ad un certo momento ci si voltava verso il pubblico e a quel punto si raggiungeva il massimo, per cui il pubblico non capiva più niente, diventava allucinato, con un dialogare che si faceva sempre più teso, più pressante, sino ad arrivare a i fortisimi che avevamo congetturato (la "traccia"), fino alla vera e propria esasperazione e quindi Guaccero dava il "la" ad una situazione che non era musicale, ma di fermo, di stasi. Gli piaceva stare fermo e allora noi ruotavamo attorno a lui e subentrava il movimento. Noi gli ruotavamo intorno cercando di muoverlo ma lui era capacissimo di stare perfettamente immobile, nonostante tutti i nostri sforzi. Una volta riusciti finalmente a muoverlo, si passava agli strumenti, che erano ovviamente tutti percussivi: raramente lui usava il pianoforte. Allora la cosa diventava più delicata perché il gesto doveva essere bello, elegante, a volte violento, ma sempre pensato e ragionato (...)

D. A proposito di teatro, Guaccero l'ha scelta per cantare in Rot. Come è nata quella collaborazione?

Mi convocò a casa sua per ascoltare la mia voce in determinate tessiture, quindi mi fece fare dei salti vocali e provare una sezione della voce (...)

Guaccero carezzava l'idea di riprendere Rot, perché quello che desiderava non era stato realizzato. Me lo ricordo come in questo momento. Disegnò con le mani nel vuoto una pedana per due ballerini, non di più, e un'altra pedana per due cantanti. Inoltre era prevista la voce folk e per il canto bastava il nastro registrato per lo spettacolo. Una ripresa di Rot era quindi fattibilissima anche senza la farragine tipica dei grandi teatri, che ci aveva procurato tante angosce (...)

D. Quindi l'idea era quella di uno spettacolo povero, con una scena essenziale?

Più che povero, da camera, senza quella fastosità del teatro tradizionale: perciò poteva risultare molto più interessante ed essere più vicino al publico. Probabilmente sarebbe arrivato più facilmente al pubblico. Questo era il suo sogno e diceva sempre che lo avrebbe riproposto. Purtroppo non ha fatto in tempo.

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