da Intervista a Mauro
Bortolotti
(Narni, 1926 - Compositore e didatta)
a cura di Stefania Gianni, in AA. VV., Domenico
Guaccero «Archivio Musicale del XX Secolo», CIMS, Palermo
1995.
D. In quale occasione ha conosciuto Domenico Guaccero?
Il nostro incontro è avvenuto al Conservatorio di Roma (...) Dopo i primi anni del corso superiore ci trovammo con lo stesso insegnante, Goffredo Petrassi, che giovanissimi avevamo ammirato molto, e considerammo un privilegio essere entrati nella sua classe. Ma soprattutto all'inizio i nostri incontri avvenivano per il comune impegno politico. Quelli erano anni in cui si dibattevano una quantità di tematiche sociali, c'era una volontà di impegno che almeno molti di noi vivevano in maniera piuttosto intensa. In Guaccero il tema sociale e politico era molto sentito e questa circostanza favorì la nostra amicizia. Cercavamo di ottenere all'interno del Conservatorio una maggiore democraticità, una maggiore presenza degli studenti. Sullo sfondo si agitavano già quei grossi problemi che sembrano tuttora irrisolti.
D. Guaccero condivideva profondamente l'ideale marxista di rinnovamento della società. Come vivevate concretamente quell'impegno sociale evidente anche nei testi di molti lavori di quel periodo?
Guaccero era impegnato molto più a sinistra di me e in lui il problema sociale era molto vissuto, molto sentito, era una grossa esigenza, ma bisognerebbe scavare nella sua formazione giovanile per capire bene da dove veniva questa carica di protesta che comunque chi più chi meno avevamo tutti. (...) Allora avevamo vent'anni e questo impegno c'era da parte di tutti noi: naturalmente in alcuni - come Guaccero - era più evidente. Lui aveva bisogno di agire, non tanto di essere il centro, ma di essere un promotore, colui che realizza determinate cose, che vorrebbe realizzarle immediatamente e chiede il concorso di tutti, anche con una semplice firma. Era capace di dialogare, di dibattere per ore ed ore, con la volontà sempre di comunicare, di parlare. Era un dialettico, loico, pronto a spezzare un capello in quattro, a trovare le ragioni ultime di ogni cosa ma, lo ricordo benissimo, anche pronto alla gran risata.