PAOLO EMILIO CARAPEZZA
da Un iter segnato verso Il sole e l'altre stelle in AA. VV., Domenico Guaccero «Archivio Musicale del XX Secolo», CIMS, Palermo 1995.

Fra i tanti maestri ch'ebbi grazia d'incontrare solo uno me lo scelsi io stesso in assoluta libertà in una città grande in un momento felice della sua storia millenaria: Domenico Guaccero a Roma nel solstizio d'estate del 1962. S'incarnava in lui perfettamente ai miei occhi l'antica sentenza: Homo sum: nihil humani a me alienum puto. Aveva allora trentacinque anni, dieci più di me: fu mio maestro di contrappunto, due lezioni alla settimana per un anno.
Tra i compositori della romana Nuova Consonanza era l'unico che al genio creativo ed alla solida preparazione tecnica musicale univa una cultura umanistica vasta e profonda: laureato in lettere, diplomato in pianoforte ed in composizione, alla scuola di Goffredo Petrassi. Conosceva in modo vivo e diretto la soria della musica, della filosofia e della letteratura, dai Greci al XX secolo.(...)

Un iter segnato, per doppio quintetto d'archi e fiati (1960), è, a parer mio, una delle due vette supreme della creatività musicale del mio maestro eletto; l'altra è la sua ultima opera, Il sole e l'altre stelle, per voce bianca solista e coro di voci bianche (1983). La prima massimamente problematica e complessa, la seconda definitivamente risolutiva e divinamente semplice.
Una delle più belle fortune della mia vita fu ch'ebbi modo d'esprimer gratitudine al mio maestro, quando incombeva ormai vicinissima su lui la morte, con un intenso, transitivo, circolare scambio di vita. Toni Geraci, mio allievo geniale, studiava allora nel modo più ampio e profondo possibile, la vita e le opere di Domenico Guaccero, in stretto contatto con lui. (...)

Nel mezzosecolo intenso (1960-1983) tra i due capolavori Guaccero prova tutto quanto in musica sia umanamente possibile. Nihil humani a se et a musica alienum putat! Basta scorrer i titoli dei capitoli nel saggio di Geraci: "Impegno e utopia, elementi impuri nella musica, sperimentalismo, frizioni linguistiche, grafismo, spazio, gestualismo". La creatività di Guaccero, e il saggio di Geraci, sfociano conseguentemente ne "Il teatro musicale", ma un teatro musicale ch'è la vita stessa, un iter segnato verso "l'umanità armoniosamente organizzata", proprio questo è, secondo Blacking, lo scopo della musica. Ma Il sole e l'altre stelle va oltre la vita nel tempo: platonico canto del cigno esplica meravigliosamente il nostro "istinto d'eternità".

 

MICHELANGELO ZURLETTI
da Proibito tacere, il silenzio è una sconfitta (Ricordando Domenico Guaccero, esponente della musica romana e generoso sperimentatore), «La Repubblica», domenica 29 aprile 1984.

La cordiale immagine che abbiamo di Domenico Guaccero ha aspetti apparentemente contraddittori: lo ricordiamo al centro di attività di grande richiamo, come il Festival di Palermo o la Biennale di Venezia e indaffarato nelle cantine romane a cavar suoni dai primi sintetizzatori; esponente di prima fila della musica ufficiale romana e sperimentatore tra i suoi allievi di improvvisazioni di vario tipo, in cui il gioco valeva quanto l'impegno. Che si trattasse non di contraddizioni ma di aspetti semplicemete diversi di una sola attività lo scoprimmo dopo, e ci piace ricordarlo ora, a pochi giorni dalla scomparsa. (...)

La continua ricerca del nuovo è verificabile anche attraverso le sue partiture strumentali. I suoi sessantaquattro lavori propongono sessantaquattro organici diversi, come se la variazione weberniana lo obbligasse a utilizzare in ogni opera timbri non ancora sperimentati e lo inducesse a salvarsi da ogni possibile ripetizione del già detto. Non importa che Guaccero credesse a fondo nei materiali ai quali ricorreva: le misteriosofie orientali, gli artifici linguistici, le mascherature, gli sperimentalismi; importa che anche attraverso quei materiali la sua personalità si presentasse ricca di temi e di stimoli. Veniva fuori un'ambiguità di far musica veramente moderna, con quel credere e diffidare, quel deridere e compatire, quel gioco e quell'impegno; e quell'ambiguità svelava la difficoltà di far musica oggi.
E c'è un aspetto di Domenico Guaccero importante almeno quanto quello produttivo: quello didattico. Dal conservatorio di Pesaro all'Aquila, da Frosinone a Roma, le sue lezioni si svolgevano in gran parte in biblioteca: sui fiamminghi, su Palestrina, su Bach. E ciò in un momento in cui la nuova didattica della composizione poteva confondersi con una didattica della nuova composizione, ossia la sperimentazione didattica poteva diventare didattica della sperimentazione. Nessun dubbio, per Guacero, che l'apprendistato dovesse passare per una solida impostazione contrappuntistica.

Da qualunque parte la si osservi, l'esperienza di Guaccero (cui non arrise la dovuta considerazione: e anche questo è un segno dei tempi) fu segnata de un furore di fare, come se il dubitare o il tacere fossero segni di sconfitta. Come lo stesso Guaccero dichiarò in "Rappresentazione et esercizio", quando fa ripetere le stupende parole: "Uror, et occultae rodunt praecordia flammae. O ego, si sileam, terque, quaterque miser" (Brucio, e le fiamme nascoste rodono il cuore. Ahimé, se taccio, tre o quattro volte misero).

 

GIOACCHINO LANZA TOMASI
da Ricordo di un maestro, in AA. VV., Domenico Guaccero «Archivio Musicale del XX Secolo», CIMS, Palermo 1995.

Fra gli artisti emergenti sul finire degli anni '50 Domenico Guaccero ebbe particolare importanza in quella che può esser definita la sezione romana della Nuova Musica. La sua influenza dipendeva in primo luogo da una preparazione culturale superiore alla media, da una poliedricità di interessi, da un riconosciuto talento didattico. La cosidetta scuola romana era numerosa e formata da personalità che, pur accomunate dalla professione, divergevano nelle mete; a Roma risiedono tutt'ora compositori di primaria importanza come Aldo Clementi e Francesco Pennisi, la cui presenza artistica è viva ancora oggi, e vivevano in quel tempo musicisti la cui identità si esprimeva specialmente nella militanza. Fra questi rientrava Guaccero, un uomo che trasmetteva problematicità ad ogni livello del proprio operare. Questa tendenza potrebbe sembrare comune all'intero panorama compositivo italiano del tempo, ma la scuola romana si poteva già allora distinguere da quella settentrionale per un diverso approccio all'impegno politico. Mentre Nono, Manzoni, o anche gli esordi di Renosto e Gentilucci, erano portatori di una musica organicamente ideologica, i romani affrontavano la problematica rivoluzionaria raccordandosi soltanto indirettamente ai progetti politici della sinistra, il loro intervento era soprattutto volto alla rivoluzione sintattica e formale dell'operare artistico. In tale contesto la personalità di Guaccero ebbe un influsso determinante ed esso dipendeva dalla superiorità dell'approccio speculativo, dal potenziale sofistico della sua formazione filosofica. (...) In tale contesto Guaccero si inserì con uno specifico estremismo radicale, fondato non soltanto sui talenti di musicista artigiano, che egli possedeva in modo supremo, ma apportandovi una violenza speculativa che sembrava distruggere ogni chiesa, e al cui soffio di fuoco non pochi finirono col bruciare le proprie ali.

 

LUIGI PESTALOZZA
da La nuova musica che viene dal Sud (Il Festival Domenico Guaccero a Palo del Colle), «Rinascita» - sabato 30 maggio 1987 - n. 21.

Da Palo del Colle sono tornato, ora che il Festival Domenico Guaccero c'è stato, con dei pensieri in più rispetto a quanto scrivevo presentandolo. Non solo su Guaccero. Anzi, prima di tutto, su questa cittadina e il suo comune, per come hanno promosso e fatto questo festival. (...)

Davvero: sono stati giorni felici. Felici per questo esemplare funzionanmento pubblico, collettivo, cittadino delle giornate musicali dedicate a un musicista, protagonista fra l'altro di battaglie di sviluppo della musica, non facili a capirsi. Invece capite proprio per come le si è sapute collocare nella collettività da cui del resto Guaccero era uscito senza però mai perdere i legami che ad essa lo univano, proprio culturalmente. E infatti come musicista meridionalista è stato capito e perfino scoperto dalla gente che pure si rendeva conto che le sue battaglie musicali, destrutturanti di linguaggi e comportamenti, e ricostruttrici di rapporti "futuri" di comunicazione fra musica e uomini, le conduceva nel pieno dei discorsi e degli scontri posti e spesso imposti dall'egemonia mitteleuropea, germanica, sui processi musicali. Ma appunto quel suo agire di preferenza nel Sud, fino a trovare nelle giornate palermitane della nuova musica il suo preferito terreno d'azione, il luogo della corrispondenza teorica e pratica, ne fanno il compositore che seppe cogliere i molti nessi possibili fra la questione culturale-sociale meridionale e la possibilità-necessità di inventare una musica nuova anche nei confronti della Neue Musik. Questa fu la vera novità dellla ricerca e del lavoro musicale di Guaccero, così definibile musicista meridionalista: così rivelatoci da Palo del Colle, da come è andato il festival dedicatogli, giustamente disertato dalla grande stampa, dalla "grande critica" ormai incapace di capire dove avviene lo sviluppo musicale. (...)

...E' successo, come è emerso anche dalla tavola rotonda, o sintetico seminario, cui hanno partecipato autorevoli musicologi, che ci si è accorti come e quanto Guaccero vada proprio oggi ritrovato. Si tratta delle questioni di comunicazione musicali, forme e linguaggi, che pose allora, negli anni sessanta e settanta, come appunto oggi sono al centro.

 

CARLO MARINELLI
dal programma di sala di Omaggio a Domenico Guaccero ed Egisto Macchi - Istituto della Voce, 1992.

Agli inizi del 1985 una voce cominciò a serpeggiare nei meandri del sonnolento mondo concertistico romano. Qualcuno stava progettando l'esecuzione integrale - "integrale" - dei Lieder di Hugo Wolf. All'incredulità seguì la meraviglia, alla meraviglia l'ammirazione. Tutti - "tutti" - i Lieder di Wolf furono eseguiti, in 18 concerti, in meno di due mesi, tra il 15 ottobre e il 12 dicembre, affidati a interpreti illustri, anche - e soprattutto - italiani. Artefice dell'impresa Egisto Macchi, direttore dell' "Istituto della Voce".

Se in quella occasione l' "Istituto della Voce" balzò improvviso ad una notorietà di vasto raggio, esso aveva tuttavia dietro di sé una storia già concreta di fatti e una lunga gestazione. La gestazione si era consumata nella maturazione di una idea germogliata e a lungo coltivata nella mente di due amici carissimi, fraternamente legati da vincoli saldissimi, pur nella diversità dei caratteri (e fraternamente legati, ahimè, oggi anche nella morte, che ce li ha tolti per sempre, sia pure a distanza di otto anni, e non finiremo mai di sentire come un vuoto incolmabile la loro assenza), Domenico Guaccero ed Egisto Macchi. Domenico ed Egisto fondarono l'Istituto della Voce agli inizi del 1983, e subito al loro "primo anno di attività", se ne uscirono con due concerti e sette seminari nelle sale della RAI, al Foro italico (...)

In nove anni di attività l'Istituto della Voce ha fatto per la conoscenza della musica vocale e corale, cameristica e teatrale, e per la riflessione su di esa, come esperienza storica e come esperienza conemporanea, nel vivo del fare e dello studiare, quanto da altri non era mai stato fatto.
Ci si appresta a festeggiare il decimo anno di attività; e sarebbe stato l'anno in cui il teatro avrebbe avuto una parte più emergente, con una partecipazione in prima persona di Egisto Macchi autore, regista e direttore.
L'otto agosto 1992, a Montpellier, questa gioia viva del fare, e del fare per gli altri, non per sé, o non soltanto per sé, per comunicare, per discutere, per conoscere, è stata spezzata.
Come dal 1984 eravamo tutti più poveri (e il moltiplicarsi delle attività di Egisto sembravano voler supplire, quasi affermare che Domenico era ancora vivo in lui), dall'8 agosto di quest'anno siamo ancora più poveri, e per sempre.
Già nel 1980 ci aveva lasciato Franco Evangelisti. Ora nel 1984 e nel 1992, Domenico ed Egisto; una stgione della musica italiana si è chiusa. E si è chiusa anche una stagione della nostra vita.
Non so come chi e come potrebbe avere la forza di voltare questa pagina ed aprire una nuova stagione.
Ma certo il ricordo di quella stagione non ci abbandona e ci sorregge per i pochi anni che ancora ci restano.
La speranza è che l'esempio di chi ci ha lasciato sia modello e serbatoio di forza per coloro che sono i nosti figli e i nostri nipoti.

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