1967: La guerra dei sei giorni
Premesse al conflitto: dalla guerra del 1956 alla radicalizzazione dello scontro
La sconfitta araba nel 1948, assieme alla visione di Israele come stato "intruso" in una regione dominata da popolazioni arabe, aveva condotto i leader dei paesi mediorientali a guidare i loro popoli verso un forte sentimento anti-semita e anti-americano La tensione, causata da questi sentimenti, fra Israele e le nazioni del Medioriente, si rifletteva in continui scontri di confine fra gli eserciti di entrambi gli schieramenti, a cui si aggiungevano azioni di guerriglia svolte dalle organizzazioni indipendentiste palestinesi in territorio israeliano.
Il 23 Giugno 1956 Gamal abd el-Nasser venne eletto presidente della repubblica egiziana, il nuovo leader egiziano era un dichiarato anti-imperialista e anti-israeliano. Nasser era membro fondatore dell’organizzazione dei liberi ufficiali e aveva partecipato al colpo di stato del 1952, che aveva deposto la monarchia egiziana. Nasser e i suoi colleghi golpisti dichiararono che i sovrani egiziani erano stati incapaci di vincere la guerra del 1948 contro Israele e li accusarono di essere troppo accondiscendenti con le potenze occidentali, queste due ragioni fornirono la giustificazione ideologica del golpe.
Il 26 Luglio del 1956 Nasser annunciò la nazionalizzazione del canale di Suez, il quale doveva essere sgomberato da qualunque presenza britannica, Israele temette che la nazionalizzazione potesse condurre alla chiusura del canale per le navi israeliane e quindi l’allora premier Ben-Gurion, assieme a inglesi e francesi, decise di imbastire un’operazione militare contro l’Egitto.
L’obbiettivo di tale operazione era riportare il canale sotto controllo anglo-francese e eventualmente abbattere il governo di Nasser. Venne deciso che Israele avrebbe lanciato un attacco contro l’Egitto, in modo da consentire alle due potenze occidentali di intervenire, per mettere fine allo scontro israelo-egiziano, questo modo di agire doveva fornire una giustificazione all’intervento europeo nella zona del canale. La guerra cominciò con un lancio dei paracadutisti israeliani, il 29 ottobre 1956, sulla zona del canale, immediatamente dopo le forze di terra della IDF (Israel defence force) iniziarono l’avanzata nel Sinai, costringendo gli egiziani a ritirarsi precipitosamente verso il canale. In realtà Nasser era consapevole che presto gli anglo-francesi sarebbero interventi nell’area, quindi temendo che le sue forze potessero essere intrappolate nel Sinai (cosa che sarebbe accaduta se gli anglo-francesi avessero preso il canale) ne ordinò la ritirata sul canale stesso. I sospetti di Nasser divennero realtà quando la notte del 31 ottobre gli alleati distrussero con una sola operazione aerea l’intera aviazione egiziana. Nonostante la vittoria fosse a portata di mano, gli anglo-francesi esitarono a occupare il canale, a causa di un eccesso di prudenza dovuto alla sopravvalutazione delle forze di terra egiziane, permettendo così alle due superpotenze (USA e URSS) di intromettersi nella faccenda. L’URSS infatti guardava con simpatia a Nasser, un democratico socialista anti-imperialista e voleva impedire la caduta del suo regime, poiché poteva costituire il punto di penetrazione dell’influenza sovietica in Medioriente. I sovietici fecero sapere a Israele che se la guerra fosse proseguita lo scontro avrebbe potuto coinvolgerli direttamente e nel contempo minacciarono di attaccare con armi nucleari la Gran Bretagna, d’altro canto gli Stati Uniti comunicarono a Francia e Gran Bretagna che non vedevano di buon occhio il rigurgito imperialista, che si stava verificando in Egitto. Il 7 novembre si giunse ad un cessate il fuoco fra gli alleati (Israele, la Gran Bretagna e la Francia) e l’Egitto, il ritiro definitivo degli europei dal canale avvenne il 23 novembre, mentre gli Israeliani pretesero il controllo degli stretti di Tiran, della città di Eliat e la disposizione di una forza ONU lungo il confine fra Israele e Egitto prima di ritirarsi. L'evacuazione delle truppe della IDF venne completata solo il 6 Marzo del 1957, quando gli israeliani lasciarono Gaza e da Sharm al Shaykh.
La crisi di Suez ebbe notevoli conseguenze sulla situazione mediorientale: Gran Bretagna e Francia persero il ruolo di interlocutori privilegiati nella regione, per essere rimpiazzati dalle due superpotenze. Nasser si rese conto dell’assoluta impreparazione militare egiziana rispetto alle forze israeliane, ben presto richiese l’appoggio sovietico, ottenendolo, per ricostruire e modernizzare l’apparato militare egiziano e dei paesi arabi. Infine Israele dovette accettare gli USA, come nuovo interlocutore privilegiato della sua politica estera, da quel momento tutte le decisioni dell’amministrazione israeliana furono sottoposte al vaglio più o meno esplicito degli Stati Uniti.
Nasser riuscì, grazie al ritiro europeo dal canale, a convincere l’opinione pubblica araba di essere il leader giusto per una possibile unione pan-araba. Ben presto in Iraq e in Libano fazioni militari pro-nasseriane deposero i precedenti regimi con colpi di stato, mentre Egitto e Siria costituivano la RAU (Repubblica araba unita), una federazione dei due stati con Nasser presidente, che avrebbe dovuto costituire il primo passo dell’unità degli stati arabi. Nasser intendeva radicalizzare lo scontro fra Israele e gli stati arabi, riunendo questi intorno al comune odio verso lo stato ebraico. Si trattava di una mossa che aveva molta popolarità fra i dirigenti e le masse arabe, ma lo strumento volto a coalizzare le nazioni arabe (la RAU) si rivelò fallimentare: da un lato molti paesi, anche amici dell’Egitto come l’Iraq o il Libano, rifiutarono di aderire alla federazione mentre lo Yemen lo fece solo parzialmente. Nasser, nonostante tutto, negli anni fra le due guerre riuscì a divenire il punto di riferimento del mondo arabo. La radicalizzazione dello scontro è testimoniata anche dalla nascita nel 1964 dell’OLP, l’organizzazione per la liberazione della Palestina, un corpo paramilitare che raccoglieva palestinesi desiderosi di compiere atti di sabotaggio e terrorismo contro Israele, finanziata dalla Siria e con basi in Libano e Giordania.
A partire dal 1964 gli eserciti dei paesi arabi si sentirono abbastanza forti per iniziare una serie di scontri di confine con Israele, l’esercito siriano spesso cannoneggiò gli insediamenti ebraici lungo il confine nei pressi delle sorgenti del Giordano. Poiché la Siria prendeva di mira i coloni israeliani, l’IDF decise di reagire usando l’artiglieria e i carri armati per distruggere le postazioni siriane che aprivano il fuoco contro il territorio israeliano. La Siria stava cercando di realizzare una deviazione del fiume Giordano per privare Israele di una importante fonte d’acqua, per tutto il 1965 truppe israeliane e siriane si scontrarono lungo il confine, la Siria mirava con l’artiglieria sulle postazioni di confine israeliane o sulle fattorie vicine provocando poi la reazione dell’esercito israeliano, che bombardava a sua volta le postazioni siriane. Gli scontri raggiunsero il culmine quando, nel luglio del 1966, Israele bombardò con l’aviazione i cantieri siriani sul Giordano, i bulldozer siriani vennero distrutti assieme a molti carri armati e inoltre un Mig-21 siriano venne abbattuto dalla IAF (Israelian air force).
Il 13 novembre 1966 si verificò uno degli episodi più gravi prima del conflitto, due giorni prima al-Fatah, movimento indipendentista palestinese, aveva ucciso due paracadutisti israeliani, di pattuglia lungo il confine con la Cisgiordania. Israele, che sapeva del possibile coinvolgimento siriano nell’attentato, decise di reagire duramente, le truppe israeliane sfondarono il confine con la Cisgiordania dirigendosi contro il villaggio di As Samu’. Il quale secondo l'intelligence israeliana era il luogo da cui i terroristi, responsabili dell’attentato ai paracadutisti, provenivano, l’esercito di Gerusalemme quindi si diresse in pieno giorno con mezzi blindati, carri armati e copertura aerea verso il piccolo villaggio, qui dapprima tese un’imboscata alle truppe della legione araba (l’esercito regolare giordano) e poi demolì le case di coloro fossero sospettati di collusione con al-Fatah. La reazione dell’opinione pubblica giordana fu violentissima, il re Hussein venne accusato di immobilismo davanti alle azioni degli israeliani e questi, per impedire che i palestinesi residenti in Giordania si rivoltassero contro la monarchia, accusò l’Egitto di Nasser di essere passivo (Nasser prometteva di difendere tutti gli arabi grazie al redivivo esercito egiziano) davanti all’iniziativa israeliana. L’accusa del re di Giordania al rais egiziano pesava non poco sulla sua immagine di fulcro del mondo arabo, il che spinse ulteriormente Nasser a preferire l’azione al dialogo con Israele.
Il 1967 si aprì con una vera e propria battaglia fra Siria e Israele, il 7 aprile la IAF bombardò 17 postazioni militari siriane, durante l’operazione l’aeronautica siriana provò a reagire e il risultato fu che sei Mig-21 vennero abbattuti, due di questi sopra Damasco e il governo siriano dovette subire l’umiliazione di vedere i jet israeliani che sfrecciavano sui cieli della capitale.
Gli scontri fra Siria e Israele compromisero una situazione di per se precaria, i siriani, visti i colpi incassati, ritennero che il paese fosse prossimo ad un’invasione israeliana, Muhammad Fawzi capo di stato maggiore dell’esercito egiziano fu invitato a Damasco, per discutere le possibilità di una difesa comune tra Egitto e Siria, nel caso di un’offensiva israeliana; i sovietici inoltre avevano riferito ai siriani che la data possibile, dell’attacco israeliano, era il 17 maggio. Tuttavia gli egiziani e i siriani convennero, nonostante le informazioni ricevute, che l’attacco israeliano era un eventualità molto remota, infatti non vi erano state mobilitazioni della riserva, ne massicci schieramenti di truppe presso la frontiera, cosa che tra l’altro venne avvallata dalle foto dei ricognitori.
Nonostante non vi fossero prove di una mobilitazione israeliana, il feldmaresciallo Amer, comandante in capo dell’esercito Egiziano e ministro della difesa, decise che era giunto il momento di azzerare le conquiste israeliane nel Sinai e perciò l’esercito egiziano provvide alla militarizzazione della penisola. La reazione israeliana fu naturalmente quella di mobilitare, anche se parzialmente, i riservisti, richiamando in servizio il 16 Maggio fra il 15.000 e i 18.000 uomini.
S’era entrati in una spirale che avrebbe inevitabilmente condotto alla guerra, l’esercito egiziano stanziato al confine rappresentava, per l'IDF, una minaccia ben più grave degli scontri che Israele aveva avuto con la Siria. Nasser voleva riscattarsi dalle accuse mosse da re Hussein ,quando la Siria si sentì minacciata, la prontezza nell'offrire aiuti a Damasco fu il giusto modo per mostrare la volontà dell’Egitto di soccorrere qualunque stato arabo minacciato dal sionismo.
Israele era ormai alle strette, il 20 e 21 maggio le truppe ONU di stanza nel Sinai e nella striscia di Gaza vennero evacuate, mentre lo stesso giorno (il 21) Nasser ordinava la mobilitazione generale. Egitto e Siria premevano ai confini di Israele e il 22 maggio, durante un discorso alla base aerea di Bir Gafgaga, Nasser annunciò la prossima chiusura dello stretto di Tiran.
Il ministro Amer, immediatamente dopo il discorso del presidente, ordinò per le 12:00 del giorno successivo la chiusura del passaggio per tutte le navi battenti bandiera israeliana e per tutte le petroliere dirette verso il porto di Eliat, scopo della mossa era strozzare la principale fonte di approvvigionamento energetico per Israele: il petrolio della Persia. Questa probabilmente fu la mossa che più di tutte costituì il punto di non ritorno del 1967: ormai sia le nazioni arabe, sia Israele capivano che lo scontro era inevitabile. I toni delle minacce rivolte contro Gerusalemme crescevano progressivamente, i leader arabi attraverso i media diffondevano messaggi di odio e terrore contro gli ebrei di tutto il mondo e contro la nazione israeliana, il 26 maggio Nasser tuonava dicendo: se Israele vuole la guerra, ebbene, allora Israele sarà distrutto.
Quello stesso giorno lo stato maggiore israeliano venne messo in allarme dal passaggio di due ricognitori egiziani sopra il reattore nucleare di Dimona.
Dimona è uno dei misteri della storia israeliana, costruito fra la fine degli anni’50 e l’inizio degli anni’60 con l’aiuto francese, il reattore doveva servire quasi certamente per la produzione del materiale fissile, destinato alla realizzazione di armi nucleari sia francesi che israeliane. La realizzazione di armi nucleari nel 1967, da parte israeliana, è ancora dubbia, ma certo è che l’impianto era probabilmente già all’epoca in condizione di produrre materiale fissile e gli egiziani erano certamente interessati a bombardare l’impianto all’inizio delle ostilità, basandosi su questo presupposto, alcuni generali, fra i quali Weizman, proposero al primo ministro Eshkol di cominciare le ostilità il giorno successivo, il capo del governo però rifiutò.
Mentre i media arabi tuonavano contro Israele, il sionismo e l’America, nello stato ebraico si diffondeva il terrore, i cittadini scavavano trincee nelle strade, e ci si preparava ad un secondo olocausto se gli arabi fossero entrati nelle città israeliane. Lo stato dell’umore nel paese venne riflesso dal discorso di Eshkol la sera del 28 Maggio, durante la trasmissione radio il premier cominciò a balbettare e usando un tono preoccupato e titubante diffuse l’idea che il governo considerasse la situazione senza via d’uscita. Il primo giugno, esponenti dello stato maggiore e del mondo politico israeliano imposero al primo ministro, considerato un debole da molti membri dell’establishment, la nomina di Moshe Dayan (il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano durante la guerra del 1956, ormai in pensione) a ministro della difesa, i militari poterono così contare nel governo su un figura forte, alla quale appoggiarsi.
Due giorni prima, il 30 maggio, il re di Giordania era volato al Cairo per un vertice bilaterale con il presidente egiziano, al termine dell'incontro Re Hussein aveva firmato un trattato di amicizia e mutua protezione fra Egitto e Giordania, acconsentendo all’invio nella Cisgiordania di una brigata meccanizzata irachena, in appoggio alle truppe della legione araba, inoltre il generale egiziano ‘Abd al-Mun’im Riad venne nominato sulla carta comandante delle forze armate giordane. Lo schieramento arabo era ormai al completo: Egitto, Siria, Giordania, Iraq e le formazioni paramilitari palestinesi erano uniti dal comune desiderio di schiacciare Israele, il progetto di unità pan-araba fatto da Nasser sembrava realizzato.
Gli israeliani nel contempo avevano raggiunto la piena efficienza delle loro forze armate e il 2 Giugno, in seno al governo, si verificò un duro scontro fra il primo ministro e i generali, che chiedevano di attaccare immediatamente l’Egitto per poter eseguire al meglio i piani prestabiliti. Eshkol autorizzò l’attacco solo il 4 Giugno, dopo che il Mossad gli ebbe dato conferma che gli USA avrebbero appoggiato Israele, anche se indirettamente.
Fra le nazioni coinvolte nella guerra dei sei giorni Israele era di gran lunga meglio preparata alle operazioni militari. L’esercito israeliano era composto per circa un quarto da coscritti professionisti, l'IDF, per i restanti tre quarti, era composto da uomini della riserva richiamati in caso di mobilitazione. In pratica questo sistema riversava gli uomini della riserva, che svolgevano annualmente un turno mensile di addestramento, in uno stampo fatto da militari professionisti. Il sistema aveva dato già prova di validità negli eserciti occidentali, specie quello tedesco, durante la seconda guerra mondiale, permettendo alle riserve di avvalersi dell’esperienza dei professionisti. L’esercito israeliano era quasi completamente meccanizzato, disponendo di oltre 1100 carri armati (Super-sherman, M-48 Patton e Centurion) efficienti, a cui si aggiungevano oltre 400 pezzi d’artiglieria, assieme al nucleo corazzato dell’esercito c’erano oltre 3000 veicoli di fanteria semicingolati, che assicuravano all’esercito israeliano maggiore mobilità dei suoi nemici. Infine Israele disponeva di due brigate di paracadutisti e tre battaglioni di forze speciali estremamente addestrati.
La vittoria israeliana tuttavia fu dovuta fondamentalmente non all'esercito, ma all'aviazione: la IAF. Dopo la vicenda del canale di Suez, Israele era stato armato dai francesi, infatti il caccia di punta dell’aviazione israeliana era il Mirage-III, di cui erano disponibili 65 esemplari. Vi erano poi 35 super-Mystère, 35 Mystère Mark IV, 50 Ouragan, 45 Fouga e infine 20 bombardieri leggeri Vatour. Si trattava probabilmente della forza armata del Medioriente meglio addestrata, con una media di tre piloti disponibili per ogni velivolo e molto più tempo speso ad addestrarsi dei loro colleghi egiziani o siriani.
La marina israeliana, che ebbe un ruolo del tutto marginale nel conflitto, comprendeva cacciatorpediniere, fra cui l’Haifa catturato all’Egitto, almeno tre sottomarini convenzionali, corvette e navi da pattuglia.
L’esercito egiziano aveva cercato, dopo il 1956, di diventare forte quanto quello israeliano. Fra il 1956 e il 1967 gli effettivi passarono da 80.000 a 160.000, questo ingrossamento della truppa non corrispose ad un equivalente aumento degli ufficiali addestrati, l’esercito egiziano si trovò quindi in sottonumero di ufficiali e dovette ricorrere a promozioni senza merito per occupare i posti vacanti.
Oltre a questo indebolimento della preparazione nel corpo ufficiali, si registrò una generale centralizzazione del potere nelle forze armate. Il maresciallo Amer dopo essere diventato comandante supremo, nel 1953, aveva deciso di far convergere sulla sua figura tutto il potere decisionale, lo stato maggiore egiziano venne quindi costituito sulla base di nomine politiche e non di merito, un fatto che comprometteva non poco l’efficienza militare egiziana. Infine Amer poco prima dell’inizio della guerra iniziò a gestire direttamente lo schieramento delle forze a livello divisionale, scavalcando lo stato maggiore e i comandanti in campo, compromettendo le capacità gestionali degli alti ufficiali durante i giorni della guerra.
L’esercito egiziano disponeva di circa 900 carri armati di fabbricazione sovietica, fra cui i carri Stalin-3 i più pesanti del Medioriente, oltre a ottocento pezzi di artiglieria. Quasi tutto l’esercito egiziano era concentrato nel Sinai alla vigilia della guerra, nella regione infatti si trovavano 18 brigate di fanteria (meno meccanizzate delle equivalenti israeliane), due meccanizzate, sei brigate corazzate e 18 battaglioni corazzati o semicorazzati distribuiti in due divisioni corazzate e infine una brigata di paracadutisti. L’aviazione egiziana dopo il 1956 era stata completamente rimodernata dai sovietici, la mattina del 5 giugno l’Egitto aveva in linea 420 aerei. Fra questi vi erano le ultime versioni del Mig-21, il caccia di punta dell’aeronautica sovietica, bombardieri Iljusin e Tupolev in grado di colpire le città israeliane, cacciabombardieri Sukhoi, oltre a un centinaio di vecchi Mig-19 e 17. Infine la difesa aerea egiziana poteva contare su oltre ottanta postazioni radar e sulle nuovissime batterie di missili SAM-2, ciò nonostante gli israeliani troveranno, come vedremo in seguito, il sistema di passare attraverso la rete radar egiziana indisturbati.
L’esercito giordano, denominato Legione Araba, comprendeva 56.000 effettivi, la maggior parte erano inseriti nelle nove brigate di fanteria di cui la legione disponeva, vi erano inoltre due brigate corazzate e una meccanizzata in cui erano inseriti 264 carri armati, il parco di artiglieria comprendeva 160 pezzi fra cannoni e mortai. L’aeronautica giordana era composta da 24 caccia Hawker Hunter di fabbricazione inglese. In Giordania inoltre il 2 giugno s’erano schierati due battaglioni di commandos egiziani e una brigata meccanizzata irachena, quest’ultima comprendeva 30 carri armati e 34 cannoni, infine a disposizion c'era anche un battaglione misto iracheno-palestinese.
Le forze armate siriane schieravano circa 70.000 uomini, con circa 300 carri armati inseriti in due brigate corazzate e un battaglione corazzato autonomo, a questi si univano sei brigate di fanteria e due battaglioni di forze speciali, la gran parte delle forze era schierato nei pressi del confine all’inizio delle operazioni. L’aviazione infine comprendeva 92 caccia, fra cui un discreto numero di Mig-21 e 2 bombardieri Iljusin.
In termini quantitativi lo scontro sembrava assai svantaggioso per Israele, in tutto le forze di terra israeliane dovevano affrontare circa 300.000 soldati nemici, 1500 carri armati e circa 530 aerei nemici, inoltre, gli israeliani dovevano diluire le loro forze su tre fronti, tuttavia alcuni fattori morali giocavano a favore degli israeliani. Essi si trovavano a difendere la loro terra e le loro case da un nemico deciso a distruggere la nazione ebrea, mentre il soldati siriani o egiziani, anche se odiavano i loro nemici per le umiliazioni sofferte nel 1948 e nel 1956, non potevano godere della stessa spinta morale di chi si trova a combattere per la sopravvivenza.
LA GUERRA
L’OPERAZIONE FOCUS
Il presupposto di ogni vittoria militare, dalla seconda guerra mondiale in poi, è stato il conseguimento della superiorità aerea sul campo di battaglia. Gli israeliani erano consapevoli che per sconfiggere l’esercito egiziano, che essendo la minaccia maggiore alla sicurezza di Israele era il principale obiettivo dell'IDF, era necessario innanzitutto mettere fuori combattimento l’aviazione egiziana. Weizman, il comandante della IAF, aveva iniziato a elaborare, a partire dal 1962, un ingegnoso piano: distruggere a terra l’intera aviazione egiziana per poter lasciare il dominio dei cieli a Israele. Si trattava di un’operazione piuttosto complessa, ma fu resa possibile dal lavoro di intelligence svolto dai servizi segreti di Gerusalemme. Nel corso degli anni, grazie ad agenti dislocati in territorio egiziano e all’intercettazione elettronica, l’Aman, sezione informazione militari del Mossad, riuscì a creare un database informativo sull’aviazione egiziana. I servizi israeliani riuscirono a catalogare la posizione di ogni singolo aereo, di ogni pilota e del ruolino di missione che svolgeva, a schedare i tipi di formazione adottati e il sistema di pattugliamento della caccia egiziana. La IAF conosceva ogni dettaglio possibile sulla sua controparte egiziana, il che permise di pianificare l'attacco aereo a sorpresa meglio riuscito dai tempi di Pearl Harbour. L’aviazione israeliana, basandosi sulle informazioni acquisite, potè addestrarsi al meglio per l’attacco, che richiese ben cinque anni di preparazione. Weizman fu sostituito nel 1966 da Motti Hod, che continuò il lavoro del suo predecessore, gli israeliani scoprirono che la rete radar egiziana non era in grado di rilevare velivoli in volo a bassa quota e che era particolarmente debole nell’area del Delta del Nilo, in quanto si riteneva improbabile che i jet nemici potessero giungere da quella direzione.
Il 5 giugno 1967 alle 7:10, ora di Tel Aviv, cominciava l’operazione Focus: l’annientamento delle forze aree egiziane.
In meno di un’ora l’intera aviazione israeliana si levò in volo, i jet si diressero verso occidente, verso il Mediterraneo, per poi virare a sud sul Delta, il resto si diresse a bassa quota attraverso il Sinai e lungo il Mar Rosso, per poi giungere il sud dell’Egitto. Il momento dell’attacco fu scelto con estrema precisione, gli egiziani infatti erano convinti che gli israeliani avrebbero attaccato nelle prime ore del mattino e quindi tenevano in volo tra i 40 e i 50 intercettori, per impedire qualunque violazione dello spazio aereo, fra le 4:00 e le 7:00 del mattino. Quando gli aerei israeliani arrivarono sugli aeroporti egiziani, all’incirca alle ore 8:00 del Cairo, l’intera aviazione egiziana era a terra e in corso c’erano solo quattro voli d’addestramento con aerei disarmati, i piloti stavano facendo colazione e gli aerei erano parcheggiati sulle piste per essere riforniti.
I jet israeliani per sfuggire ai radar volarono radenti al suolo, in alcuni casi ad appena 15 metri da terra, cogliendo completamente impreparati gli egiziani quando d’improvviso balzarono a quota 2700 metri per cominciare la manovra d’attacco sulle basi aeree nemiche. Quella mattina gli israeliani furono favoriti da una incredibile coincidenza: il feldmaresciallo Amer, assieme a buona parte dello stato maggiore egiziano, era in volo dal Cairo verso la base di Dir al-Thamada. Temendo pericoli per la propria incolumità, il maresciallo diede ordine alle batterie antiaeree di non aprire in nessun caso il fuoco, quando gli israeliani furono sugli obbiettivi la contraerea egiziana quindi non aprì il fuoco, se non in rari casi.
Ogni ondata di aerei compiva tre passaggi per ciascuno dei suoi obbiettivi, uno per bombardare gli altri due per mitragliare, per prima cosa gli israeliani colpirono le piste con le nuove bombe Durandal, in grado di provocare danni irreparabili e renderle inutilizzabili, poi toccava ai bombardieri esser presi di mira e infine ai caccia, in meno di un’ora gli israeliani distrussero 204 aerei egiziani.
Le ondate successive portarono il numero delle perdite a 284 aerei nemici e alle 10:35, ora di Tel Aviv, Hod, rivolgendosi al capo di stato maggiore Rabinm disse: l’aviazione egiziana ha cessato di esistere.
Da parte egiziana non ci si rendeva conto di quello che era appena accaduto. Ad Amer, che era riuscito ad atterrare fortunosamente all’aeroporto internazionale del Cairo, fu detto che erano stati abbattuti 161 aerei nemici, in realtà gli israeliani avevano perso solo 8 aerei sui circa 250 impiegati. Il ministro telegrafò ad Amman, dicendo che gli israeliani avevano perso il 75% della loro potenza aerea, chiedendo che Siria, Giordania e Iraq iniziassero immediatamente a bombardare le basi aeree e le installazioni militari israeliane. Per tutta risposta, fra le 11:30 e le 12:30, la IAF decise di dedicare la propria attenzione alle aviazione siriana e giordana. Hussein, re di Giordania, vide i Jet nemici bombardare i campi di aviazione attorno ad Amman e tutti gli aerei dell’aviazione giordana distrutti, allora cominciò a capire come erano realmente andate le cose in Egitto. Ai siriani, che persero metà della loro forza di combattimento aerea, circa 58 aerei, accadde lo stesso e furono costretti ad allontanare dalle basi di confine i restanti aerei. Infine venne colpita la base irachena H-4 l’unica in grado di lanciare operazioni contro il territorio israeliano. Nella mattinata del 5 giugno, Israele aveva conseguito la superiorità aerea sull’intero scenario di guerra, da quel momento la IAF potè proiettare tutta la sua forza sul bombardamento delle truppe nemiche, gettando un’ipoteca definitiva sull’andamento della guerra. Lo stato maggiore israeliano non si sarebbe mai atteso un successo simile, alla fine del giorno, al prezzo di 15 aerei, gli arabi avevano perso il 70-80% delle loro forze aeree: era un miracolo, il miracolo che permise agli israeliani di vincere la guerra il primo giorno.
COMINCIA L’OFFENSIVA NEL SINAI: LENZUOLO ROSSO
Alle ore 7:50, del 5 giugno, cominciò l’offensiva israeliana nel Sinai, nome in codice dell’operazione: lenzuolo rosso.
Il piano consisteva in tre avanzate simultanee da parte delle divisioni corazzate israeliane La prima aveva lo scopo di liquidare la striscia di Gaza, per poi avanzare lungo la costa settentrionale del Sinai, che era la strada più rapida per arrivare al canale di Suez, il generale Tal era il comandante di questa offensiva. Tal aveva al suo comando una divisione corazzata, con 250 carri AMX e Centurion. La prima fase dell’attacco fu l’attraversamento del confine in due punti della striscia di Gaza: presso Nahal Oz e Khan Yunis. Gli egiziani, che sapevano che il probabile punto di penetrazione israeliana sarebbe stato tra la striscia di Gaza e il Sinai nord-orientale, avevano disposto lungo la costa ben 4 divisioni di fanteria, oltre a ciò il confine era pesantemente fortificato con bunker, casematte e campi minati. Tuttavia gli israeliani già a prima mattina avevano ripulito la striscia di Gaza e s’erano lanciati verso occidente, sebbene il passaggio dei campi minati di Rafah avesse causato gravi problemi all’IDF. Nel tardo pomeriggio le truppe di Tal raggiunsero la gola di Jiradi, qui gli egiziani scambiarono le truppe israeliane per loro e ciò permise agli israeliani di avanzare dentro la gola, fino a quando entrambi gli schieramenti si trovarono a una distanza inferiore ai 50 metri, ne conseguì un duro scontro a fuoco, che portò più volte alla conquista del passo da parte degli israeliani e a riconquista da parte egiziana, alla lunga gli israeliani riuscirono a spuntarla e alla sera giunsero in vista di al-‘Arish, il centro amministrativo dell’esercito nemico nel Sinai. In un giorno Tal e i suoi uomini erano avanzati di 32 chilometri, completando tutti gli obiettivi previsti dal piano di Rabin.
Il secondo obiettivo, da attaccare, il giorno 5 era la piazzaforte di Umm Qatef, che assieme ad un sistema di fortificazioni lungo 10 chilometri e profondo 2 era difeso dalle truppe della 2a divisione di fanteria egiziana. Umm Quatef era una roccaforte possente, che nel 1956 aveva resistito a lungo agli attacchi dell’IDF, gli egiziani ne avevano ampliato notevolmente il dispositivo di difesa, costruendo una triplice linea con cannoni, bunker e campi minati.Il generale Sharon che comandava l’attacco decise, per indurre la fortezza alla resa, di sfondare le linee egiziane nel punto più debole: Abu’Ageila, poco a nord-ovest della roccaforte principale. In serata, a prezzo di gravi perdite, i carri Centurion, comandati dal colonnello Natan Nir, arrivarono a portata di tiro utile per bombardare la fortezza, dopo aver sfondato proprio ad Abu’Ageila, anche questa operazione s'era risolta in un successo per le forze israeliane.
Il terzo attacco, operato da una divisione corazzata, al comando del generale Yoffe, si mosse poco a nord delle truppe di Nir, scopo dell’attacco era arrivare alla seconda linea difensiva egiziana, schierata tra Jebel Libni e Bir Assana, dove si trovavano la 3a divisione di fanteria e due brigate corazzate egiziane, esse avrebbero dovuto costituire il punto di ripiego nel caso Israele avesse sfondato le difese di Umm Quatef. L'operazione avrebbe permesso di sfaldare completamente lo schieramento egiziano nel Sinai, in quanto le truppe egiziane disposte a Umm Qatef si sarebbero trovate con le spalle scoperte, quindi accerchiate.
Riguardo alle operazioni nel Sinai, va aggiunto che, a partire da mezzogiorno, il supporto aereo fornito dalla IAF alle truppe di terra andò scemando, questo era dovuto in gran parte allo spostamento degli attacchi aerei sul fronte del Giordano, a causa della scelta di Amman di combattere attivamente Israele.
LA GIORDANIA ATTACCA: GERUSALEMME MINACCIATA
La quasi totalità dell’esercito israeliano il 5 Giugno era concentrata nell’offensiva contro il Sinai, i dirigenti israeliani volevano evitare a tutti i costi un coinvolgimento della Giordania nel conflitto e quindi, per evitare di provocare il governo di Amman, lo schieramento difensivo nell’area di Gerusalemme e lungo il confine era ridotto al minimo. Appena una cinquantina di carri armati si trovavano fra il confine giordano e l’area metropolitana di Tel-Aviv, il generale comandante della guarnigione israeliana di Gerusalemme era seriamente preoccupato per la situazione, aveva pochi uomini per difendere la parte israeliana della città e inoltre doveva fare i conti con le enclaves israeliane isolate in territorio nemico, come ad esempio il Monte Scopus.
La mattina del 5 giugno, re Hussein, come già detto, venne contattato prima dal maresciallo Amer, che gli comunicò, la falsa notizia, della sconfitta israeliana nei cieli egiziani, falsità che poi fu confermata da Nasser, il quale chiese al re di Giordania di conquistare quanto più territorio possibile, prima che l’ONU imponesse un cessate il fuoco. La notizia della “sconfitta” israeliana e del bombardamento egiziano di Israele sembrò essere confermata dall’impianto radar giordano di Aljun, il più moderno del Medioriente, quando verso le ore 9:00 rilevò centinaia di aerei in rotta dall’Egitto verso Israele, lasciando intendere che l'aviazione egiziana si preparasse a colpire il territorio nemico. In realtà le tracce rilevate dal radar giordano erano quelle dei velivoli israeliani, che rientravano alle basi dopo la vittoriosa operazione Focus, infine re Hussein fu indotto a credere che Israele fosse sull’orlo della sconfitta quando alle 8:30 gli era giunta, attraverso la sede ONU di Gerusalemme, la notizia che il governo di Gerusalemme chiedeva un cessate il fuoco. Questi elementi indussero Hussein a credere che la vittoria fosse a portata di mano, inoltre il popolo e il generale egiziano Riad si dichiaravano a gran voce favorevoli alla guerra.
Alle 10:00, ora di Tel Aviv, la Giordania aprì il fuoco sul territorio israeliano: l’artiglieria a lunga gittata prese di mira la periferia di Tel Aviv e la base aerea di Ramat David, mentre l’aviazione giordana si dedicava a bombardare postazioni israeliane nei pressi del confine. L'attacco giordano fece sparire la speranza, nutrita da Moshe Dayan e da altri esponenti del governo israeliano, di evitare uno scontro su più fronti e rendeva necessario un intervento rapido e deciso.
Lo stato maggiore israeliano decise che la IAF avrebbe dovuto smorzare la pressione posta al confine dalle truppe Giordane, fra le 12:30 e le 13:30 l’aviazione di Amman venne annientata a terra dalle forze aree israeliane e lo stesso accadde al radar di Aljun. Poco dopo vennero bombardate le colonne della 40a brigata, che negli attacchi perse quasi metà dei suoi carri armati e del parco artiglieria, ciò rallentò non poco la velleità del generale Riad di spingesi all’attacco contro il territorio israeliano senza il supporto della Siria, la quale promise 10 brigate disponibili per il giorno successivo.
La Giordania allora concentrò i suoi sforzi nel tentativo di isolare Gerusalemme, con una sorta di manovra a tenaglia. In mattinata le truppe di Amman isolarono e cominciarono l’assedio del Monte Scopus, un'enclave ebrea in territorio giordano delle dimensioni di circa 1,5 chilometri quadrati, da qui i giordani potevano premere sui quartieri nord-occidentali di Gerusalemme, quelli che costituivano la capitale dello stato ebraico. L’artiglieria giordana cominciò a prendere di mira la Knesset e la casa del primo ministro israeliano, mentre a sud le truppe giordane conquistavano la collina del palazzo del governo, questa posizione costituiva il cardine meridionale dell’offensiva giordana contro la città. Isolando il monte Scopus e prendendo il palazzo del governo, il generale Riad aveva quasi accerchiato Gerusalemme, una situazione che Dayan e Rabin trovavano intollerabile, perciò venne deciso dallo stato maggiore israeliano, che sarebbe stata al più presto condotta un offensiva contro la Cisgiordania e che la città vecchia di Gerusalemme, allora in mano araba, sarebbe stata conquistata per indurre i giordani alla pace.
La sera del 5 giugno, i reparti israeliani cominciarono a penetrare in Cisgiordania dirigendosi verso Jenin, mentre tre brigate (una motorizzata, una di paracadutisti e una fanteria) cercavano di impedire l’accerchiamento di Gerusalemme, le truppe riuscirono a riprendere la collina sulla quale si trovava il palazzo del governo, spezzando l’accerchiamento a sud, ma a nord le truppe proseguirono più lentamente e il monte Scopus rimase circondato dai giordani.
Il governo e l’esercito israeliano avrebbero preferito limitare gli scontri all’Egitto, ma il pan-arabismo aveva come proprio collante proprio l’odio comune verso Israele,perciò i leader siriani e giordani furono costretti ad accettare lo stato di guerra, per evitare che i loro popoli gli si rivoltassero contro. Il caso della Giordania era poi emblematico, Hussein aveva rinunciato all’amicizia della Gran Bretagna, da sempre sua alleata, per aderire all’alleanza pan-araba di Nasser, tuttavia il re era apertamente ostile ad alcune idee di Nasser e inoltre era contrario al potere delle organizzazioni palestinesi, che si andava ampliando nel suo regno grazie ai cospicui finanziamenti egiziani e siriani.
La campagna del Sinai (6-8 Giugno)
L’offensiva di Yoffe di fatto divise le forze egiziane in due. A nord lungo la costa, Tal raggiungeva El-Arish già la mattina del sei e occupava la città, a sud le truppe di Sharon ripulivano le fortificazioni di Umm Quatef e proseguivano per Kusseima. Yoffe raggiunse la seconda linea egiziana presso Jebel Libni il giorno sei, gli scontri che seguirono condussero all’annientamento dell’intera forza corazzata della seconda linea egiziana, ormai per gli egiziani la situazione era compromessa. Le truppe israeliane avevano separato la costa dal centro del Sinai, impedendo ai due schieramenti nemici di interagire tra loro. El-Arish era caduta e lo stesso stava accadendo a tutti i nodi stradali strategici nel centro della penisola, grazie alla puntata di Yoffe contro la seconda linea, la prima era di fatto accerchiata. L’esercito egiziano era sull’orlo della distruzione, quasi tutta la sua forza combattiva infatti era circondata o rischiava di esserlo, inoltre gli egiziani non avevano più l’aviazione e questo permetteva alla IAF di martellarli continuamente senza che vi fosse alcun disturbo da parte di intercettori nemici. Sulla base di queste considerazioni, la sera del 6 giugno, il maresciallo Amer ordinò la ritirata generale sulla posizione dei passi di Mitla e Bir Gafgafa, sui quali l’esercito egiziano avrebbe dovuto attestarsi per impedire ulteriori avanzate israeliani. Se gli israeliani avessero sfondato queste posizioni, le truppe del Cairo avevano ordine di muoversi verso la sponda sinistra del canale di Suez e lì di attestarsi. I governanti dell’Egitto, umiliati da quanto stava accadendo, cercavano una scusa pretestuosa per comprendere la sconfitta subita, Nasser e Amer trovarono, in un presunto intervento americano a favore d’Israele, la giustificazione che cercavano. Dalla radio del Cairo, venne annunciato che all’operazione Focus avevano partecipato anche aerei americani e inglesi, si disse anche che, durante l’offensiva in corso nel Sinai, gli israeliani erano continuamente riforniti dagli americani e persino che in quel momento piloti americani stessero bombardando le truppe egiziane nel Sinai. Si trattava ovviamente di una gigantesca mistificazione, dimostrata dalla telefonata che Nasser fece la mattina del 6 a re Hussein, facendo intendere che si trattava di una sua invenzione per impedire il crollo del morale nell’esercito egiziano. La cosa però assunse dimensioni spropositate, tant’è che l’Egitto ordinò l’immediata espulsione dei cittadini americani presenti sul suo territorio, mentre, in molti paesi arabi, le ambasciate statunitensi erano prese d’assalto da manifestanti filo-egiziani.
Il presidente egiziano, in un colloquio con l’ambasciatore sovietico Pozidaev, affermò che gli USA stavano inviando a Israele armi e che fornivano supporto aereo all’offensiva nemica. L’ambasciatore sovietico sapeva che Nasser mentiva o si sbagliava, allora chiese prove di quanto diceva e per tutta risposta il leader egiziano deviò il discorso affermando che la sconfitta era anche colpa delle armi sovietiche, che definì difettose. Pozidaev fece presente che le stesse armi erano usate con grande successo contro gli stessi americani in Vietnam, inoltre i sovietici rifiutarono di intervenire direttamente nel conflitto provocando la furia di Nasser. La proposta di Nasser, di coinvolgere l'URSS nella guerra, indusse Mosca ad allontanarsi dal presidente egiziano. I sovietici, che tenevano d’occhio la sesta flotta americana nel Mediterraneo, sapevano che in realtà dalle navi statunitensi non c’era stato alcun movimento fuori norma, se l'URSS si fosse trovata coinvolta contro Israele, allora avrebbe assunto il ruolo di aggressore.
Nonostante tutto, la bolla esplosa sul presunto intervento americano condusse ad un embargo petrolifero da parte dei paesi arabi contro gli Stati Uniti.
Alla fine del 6 giugno l’esercito israeliano aveva messo in rotta il nemico su tutto il fronte del Sinai, ora si apriva il problema della strategia da seguire, l’offensiva infatti era andata oltre le più rosee previsioni e il quartier generale israeliano era indeciso sul da farsi. Lo sbando dell’esercito nemico, confermato dalla ricognizione aerea, avrebbe potuto permettere a Israele di avanzare indisturbato fino al canale magari intrappolando le truppe nemiche. La distruzione dell’esercito nemico e la conquista totale del Sinai (cose inimmaginabili prima della guerra) erano le basi dalle quali partire per negoziare una pace duratura o se non altro per assicurare a Israele posizioni di forza dalle quali condurre le trattative. Il problema della pace s’era posto immediatamente dopo l’inizio delle ostilità, quando i sovietici si resero conto che l’Egitto era sconfitto e che le armi fornite agli egiziani si dimostravano poco efficaci ci fu un accelerazione delle richieste di pace, sia americani che russi infatti si adoperavano sin dal primo giorno per riuscire a riportare stabilità nella regione. Il pomeriggio del 7 Giugno i sovietici inviarono a Gerusalemme un messaggio nel quale si auspicava che al più presto si giungesse ad un cessate il fuoco. Il monito di Mosca, cosa non nuova agli israeliani, li indusse solo ad accelerare le operazioni nel Sinai e in Cisgiordania, per giungere con le linee il più avanti possibile all’armistizio.
Il 7 fu il giorno in cui venne deciso di portare a termine due operazioni fondamentali: la presa di Sharm al-Shaykh e degli stretti di Tiran. Alle 4 del mattino l’aviazione israeliana effettuò una serie di ricognizioni sulla città di Sharm al-Shaykh, ne risultò che la maggior parte delle truppe egiziane era stata evacuata, secondo l’ordine impartito il giorno precedente da Amer, gli israeliani quindi lanciarono immediatamente i paracadutisti sulla città, i quali, dopo alcune ore di scontri, riuscirono a prenderla. Alle 12:15 il ministro della difesa Dayan annunciò che gli stretti di Tiran erano riaperti al traffico navale internazionale, mentre le prime navi israeliane lasciavano il porto di Eliat alla volta delle loro mete. Nel contempo a nord, pattuglie israeliane erano giunte in vista del canale di Suez, tuttavia per ordine di Dayan fu ordinato di tornare indietro, temendo che un eventuale chiusura del canale avrebbe attirato le ire degli occidentali su Israele.
Nel Sinai centrale la battaglia proseguiva, l’avanzata israeliana era ostacolata dagli sbandati egiziani e dalle carcasse dei veicoli nemici distrutti, ciò nonostante l’esercito nemico resisteva in alcuni punti chiave e cercava di portare a termine la ritirata ordinata il giorno precedente. Tuttavia anche il 7 i progressi israeliani furono notevoli, le truppe di Yoffe e Sharon avanzarono di quasi 80 chilometri, i soldati del primo arrivarono addirittura in vista del passo di Mitla. A nord, Tal avanzava pressoché indisturbato lungo la costa, anche se come già detto le sue truppe vennero fermate da Dayan che riteneva pericoloso spingersi sino al canale.
Mentre gli israeliani avanzavano, al Cairo i governanti egiziani cercavano di porre rimedio al disastro. Amer era convinto che la pressione sovietica su Israele avrebbe condotto al più presto ad un negoziato di pace, basandosi su questo, ordinò alle truppe di arrestare la ritirata generale, di combattere e attestarsi sui passi, non più di ritirarsi sul canale, quando fossero state respinte indietro. Per rafforzare il dispositivo di difesa presso il passo di Mitla venne ordinato alla 4a divisione corazzata, che dal Sinai s’era ritirata dietro il canale il 6 giugno, di riposizionarsi presso Mitla e Bir Gafgafa, in modo da arrestare l’eventuale avanzata israeliana verso il canale. La 4a divisione raggiunse le posizioni presso Gafgafa dove ingaggiò il combattimento con le forze di Yoffe che vennero respinte, presso Mitla invece prima del tramonto un distaccamento di carri israeliani raggiunse il passo e lo occupò trincerandosi, l’unica via di fuga per ciò che restava dell’esercito egiziano (circa 30.000 uomini e 300 carri armati) era sbarrata.
Il giorno successivo gli israeliani portarono a termine la conquista del Sinai. Con i passi bloccati non c’era alcuna speranza per gli egiziani di poter riorganizzarsi sulla sponda est del canale, per riprenderli poi, gli israeliani intanto dovevano fare i conti con la massa di sbandati ancora armati che avevano intrappolato. Quel giorno fu di gran lunga il peggiore per l’esercito del Cairo, la IAF martellava incessantemente le truppe nemiche, mentre i carri armati di Yoffe ripulivano il Sinai centrale, le operazioni condotte senza pietà per accelerare la sconfitta nemica portarono alla morte di oltre 10.000 nemici, inoltre gli egiziani persero la metà dei carri armati che rimanevano in dotazione al loro esercito, tutto ciò che rimaneva da fare, ai soldati egiziani, era ritirarsi sulla sponda sinistra del canale.
Gli israeliani, decisi ad avanzare sul canale, si divisero in cinque colonne. Quattro delle destinazioni erano i punti chiave del canale: Ismailia, il grande lago Amaro, Suez e Quantara, ovviamente venne dato ordine di non raggiungere queste località che si trovavano tutte sul lato occidentale del canale, la quinta colonna aveva l’ordine di proseguire lungo la costa occidentale del Sinai dove presso Abu Zenima si congiunse con le forza di paracadutisti che provenendo da Sharm al-Shaykh risaliva la costa.
Gli israeliani si attestarono, dopo che Dayan diede la sua approvazione, definitivamente sul canale per mezzogiorno del giorno successivo, non era negli interessi di Gerusalemme spingersi verso il Cairo, cosa che avrebbe certamente causato l’intervento sovietico. L’8 giugno l’ambasciatore egiziano all’ONU, El-Kony, aveva dato la disponibilità del suo governo a giungere ad un cessate il fuoco. Tuttavia per Israele come vedremo c’era ancora la questione siriana da risolvere. Va annoverato fra i fatti dell’8 giugno un incidente che coinvolse la Liberty. La nave spia americana Liberty venne scambiata per egiziana, gli israeliani l’affondarono quasi uccidendo 34 membri dell’equipaggio e ferendone almeno 150, Eskhol fu costretto a fare le scuse e a stanziare 12 milioni di dollari per pagare risarcimenti alle vittime dell’attacco.
Alle 4:45 del giorno 9 allo stato maggiore israeliano venne comunicato che gli egiziani rispettavano il cessate il fuoco, mentre le truppe di Gerusalemme si trinceravano lungo la sponda orientale del canale.
La campagna della Cisgiordania (6-7 Giugno)
Nel pomeriggio del 5 giugno il governo israeliano, come detto in precedenza, maturò la decisione che il conflitto con la Giordania era inevitabile e quindi di usare quest’occasione per attaccare e prendere la metà araba di Gerusalemme.
La notte fra 5 e 6 giugno le prime truppe israeliane erano penetrate nei sobborghi di Gerusalemme, allo scopo di annullare la possibilità di un accerchiamento nemico contro la parte occidentale della città. I combattimenti si fecero durissimi, i giordani erano ottimamente trincerati e avevano assunto il controllo di due posizioni chiave: la collina delle munizioni e la scuola di polizia, che impedivano qualunque accesso a Gerusalemme da nord. Se gli israeliani volevano rompere l’accerchiamento della città e liberare dall’assedio il monte Scopus, dovevano adoperarsi per liberare queste due posizioni. Si trattava di un’aera estremamente fortificata, composta da bunker, casematte e trincee accuratamente preparate, in gran parte eredità dell’occupazione britannica durante la guerra mondiale. All’1:25 i paracadutisti israeliani presero posizione per l’attacco, si trattava di un operazione rischiosa, perchè condotta secondo i metodi della guerriglia urbana, gli obiettivi erano due: prendere la scuola di polizia e far avanzare una colonna attraverso la colonia americana, fino al museo Rockfeller. Alle 2:10 gli israeliani aprirono il fuoco contro le linee giordane, con l’artiglieria e i carri armati. Alle 3:10 i soldati del maggiore Yosef erano penetrati nella scuola di polizia e da qui si mossero verso la collina delle munizioni che venne presa alle 5:15, si trattò di una delle battaglie più sanguinose combattute durante la guerra, specie se si pensa che si trattò di uno scontro fra fanti, alla fine fra i giordani ci furono 81 morti e fra gli israeliani 35, un quarto degli uomini che Yosef aveva al suo comando. Nel frattempo altre truppe israeliane erano penetrate nel cuore della città, lungo la Nablus Road, qui dovettero fare i conti con una posizione giordana estremamente ben difesa e i carri armati di Gerusalemme dovettero intervenire per avere la meglio sulla resistenza nemica, che comunque si dimostrava formidabile. Alle 7:27 il museo Rockfeller venne preso e con questo sostanzialmente la città vecchia venne isolata dal resto del territorio giordano, a questo punto era possibile per gli israeliani in quello che era il cuore sacro della loro religione: la città vecchia di Gerusalemme, ma il consiglio dei ministri intervenne per fermare qualunque azione contro la città vecchia, che sarebbe dovuta cadere per fame.
Di fatto i giordani avevano perso la città e inoltre gli israeliani avevano cominciato ad avanzare verso Ramallah e Jenin, gettando le basi di un eventuale accerchiamento delle forze giordane ad ovest del fiume Giordano. Riad, il generale egiziano che comandava l’esercito giordano, impose al re di decidere se ritirarsi al di qua del fiume, perdendo metà del paese praticamente. Il re Hussein era incredulo per quello che stava succedendo, alla sera del 6 le forze giordane erano sul punto del collasso. Per tutto il giorno si cercò di trattare un cessate il fuoco, ma gli israeliani vista la vittoria appena conseguita a Gerusalemme erano ovviamente disinteressati a questa opzione, perciò Hussein contattò il Cairo e chiese l’autorizzazione a ritirarsi sulla sponda orientale del Giordano, Nasser acconsentì, capita la gravità della situazione, alle 23:30 venne ordinato alle truppe di ritirarsi.
Persino ‘Ata ‘Ali che comandava le truppe assediate nella città vecchia di Gerusalemme decise di evacuare la città, ciò che restava ai palestinesi erano poche roccaforti come l’Ospedale Augusta Vittoria e la stessa città vecchia che veniva difesa da un centinaio di uomini.
All’alba del 7 giugno gli israeliani ripresero ad avanzare verso Nablus, l’esercito giordano continuò a opporre resistenza, ma il dominio dell’aria della IAF rese vano qualunque tentativo di opposizione. Nonostante la netta superiorità israeliana, Hussein decise di interrompere la ritirata, sperando di poter ottenere un cessate il fuoco che gli consentisse di conservare almeno parte della Cisgiordania, per questo si cercò di convincere gli americani a esercitare pressione su Gerusalemme convincendoli che un’eventuale sconfitta totale sarebbe stata seguita dal crollo della monarchia in Giordania.
La paura, che l’ONU obbligasse le parti al cessate il fuoco, spinse gli israeliani ad accelerare la conquista di Gerusalemme. L’artiglieria aprì il fuoco sulle posizioni giordane e la fanteria le conquistò, mente ci si apprestava a entrare nella città vecchia, alle 9:45 gli Sherman aprirono il fuoco contro la porta dei leoni sfondandola, i soldati israeliani dilagarono nella città nonostante il fuoco dei cecchini giordani e palestinesi, gli israeliani occuparono rapidamente la città vecchia. La guarnigione giordana si arrese poco dopo che le truppe nemiche erano entrate sul Monte del Tempio, il luogo più sacro agli ebrei.
L’avanzata israeliana travolse le ultime resistenze giordane ad ovest del fiume entro il pomeriggio, mentre le strade si riempivano di profughi palestinesi che scappavano verso est. Hussein, l’unico leader arabo che era stato al fronte fra i suoi soldati, comunicava allo stato maggiore di attestarsi sulla riva orientale e di radunare le forze. Quando gli israeliani raggiunsero i ponti sul Giordano li tagliarono per impedire qualunque controffensiva, con questo si giunse di fatto ad un cessate il fuoco tacito fra le parti.
Resa dei conti sul Golan (9-10 Giugno)
La sera dell’8 giugno sembrava che la guerra potesse avere termine a breve tempo, gli egiziani e i giordani erano stati sconfitti e l’esercito israeliano aveva conquistato il Sinai e la Cisgiordania. Alle nazioni unite, El Kony proponeva il cessate il fuoco a Israele, che accettava la proposta. Nello stato maggiore israeliano c’erano però delle tensioni, molti generali ritenevano che non lanciare un offensiva contro la Siria fosse segno di debolezza, il giorno 8 fu quindi passato anche a dibattere i pro e i contro di questa eventualità.
Eskhol era apertamente contrario ad una soluzione militare contro i siriani, temeva ritorsioni americane e magari anche un intervento diretto dell’URSS. Dayan invece si manteneva su una posizione ambigua, certo era che la situazione nel nord di Israele era assai precaria. I siriani avevano passato gli ultimi quattro giorni a bombardare con l’artiglieria le fattorie dei coloni israeliani, di tanto in tanto avevano compiuto anche scorrerie oltre il confine, ma erano stati sempre respinti dalle unità israeliane. La lobby dei coloni tuttavia esercitava pressione sul primo ministro, perché si attuasse un intervento contro le postazioni di artiglieria siriane, si trattava di un’operazione necessaria per impedire la perdita delle terre messe a coltivazione nella regione. Le tensioni nel governo israeliano divennero fortissime verso la sera: Dayan, che voleva evitare l’apertura di un altro fronte, affermò che pur di ottenere l’armistizio era possibile spostare i coloni, per non esporli al tiro dell’artiglieria siriana, ma la proposta sollevo un’ondata di proteste fra i ministri. Alcuni storici sostengono che quella di Dayan sia stata una provocazione deliberata, allo scopo di indurre il governo ad un’azione contro i siriani. Nel pomeriggio dell’8, lo schieramento siriano sul Golan cominciò a indebolirsi, Damasco infatti aveva ordinato una parziale ritirata in vista del possibile armistizio, di fatto la possibilità di conquistare il Golan con poche perdite fra le fila israeliane andava aumentando mano a mano che il tempo passava, d’altro canto più tempo passava e più possibilità vi erano che il cessate il fuoco diventasse ufficiale.
Nella notte fra l’8 e il 9 giugno la situazione cambiò radicalmente, con la cessazione delle ostilità in Giordania e nel Sinai la IAF poteva essere impiegata completamente in Siria, fu così che Dayan prese la decisione di attaccare, senza consultare il primo ministro Eskhol che parlò di una “cosa ignobile” in merito alla decisione del ministro.
Alle 9:15 del 9, l’aviazione israeliana cominciò un incessante bombardamento delle posizioni fortificate siriane, i jet della IAF disintegrarono qualunque cosa vi fosse sul terreno, tuttavia il Golan era pesantemente fortificato con bunker e casematte che le bombe degli aerei non erano in grado di sfondare. Le forze in campo erano assai ridotte, gli israeliani schieravano cinque brigate, tutte meccanizzate o corazzate, contro circa sette brigate di fanteria siriana. I siriani erano trincerati su una posizione difensiva formidabile, ma erano sotto bombardamento continuo e inoltre erano consapevoli che la Giordania e l’Egitto erano già stati sconfitti.
Gli israeliani nonostante il terreno avanzarono rapidamente, alla fine del giorno l’IDF riuscì a occupare una serie di fortificazioni a metà del pendio, che costituisce l’altopiano del Golan.
Le truppe israeliane seppero approfittare dello schieramento siriano, attaccando a nord e al sud, senza lanciarsi contro le posizioni centrali, maggiormente fortificate, poterono penetrare in profondità. All’alba del 10 giugno la situazione per i siriani era critica, l’aviazione nemica li martellava e il loro schieramento si stava sbriciolando e in giornata le truppe israeliane entrarono a Quneitra alle 12:30, e continuarono l’avanzata fino a quando alle ore 15:00 il ministro Dayan si incontrò con il rappresentante ONU.
Il colloquio si tenne a Tel Aviv, Moshe Dayan impose che il cessate il fuoco venisse dichiarato su tutti i fronti, agli ispettori ONU non sarebbe stato permesso di controllare le linee del fronte, inoltre qualunque attacco sarebbe stato fatto contro truppe o insediamenti israeliani avrebbe condotto ad una rottura del cessate il fuoco. In realtà l’esercito di Gerusalemme continuò a migliorare le sue posizioni nel Golan fino al giorno dodici, ma gli incidenti che seguirono al cessate il fuoco non vennero menzionati dai diplomatici che cercarono di riportare la situazione alla calma.
Dopo la guerra il quadro politico del Medioriente fu rivoluzionato. L’Egitto e il nasserismo ne uscirono estremamente indeboliti, sia militarmente che economicamente, l’ideologia panaraba del presidente egiziano s’era rivelata fallimentare e le divisioni erano presenti più che mai nel mondo arabo. Il regime giordano era sopravvissuto e da allora il re Hussein si adoperò per tenere a freno i movimenti palestinesi e l’influenza che Siria ed Egitto avevano nel paese, riuscendovi solo dopo decenni, la Giordania allora potè riavvicinarsi progressivamente all’occidente e divenire uno dei paesi dell’islam moderato. La crisi in Siria fu minore che in Egitto, perché gran parte delle forze siriane era riuscita a sfuggire alla distruzione. La sconfitta dei regimi arabi vide un maggiore coinvolgimento dell’URSS nelle faccende mediorientali, nei successivi anni vennero fornite nuove armi e istruttori per rimettere in piedi le infrastrutture militari egiziane e siriane, inoltre l’URSS ruppe i rapporti diplomatici con Israele minacciando ritorsioni nel caso di una nuova guerra.
L’occupazione israeliana della Cisgiordania provocò l’esodo in massa dei palestinesi, quelli che rimasero finiranno per essere sempre più integrati nello stato ebraico mentre sui territori occupati si insediavano coloni ebrei, dando inizio alla lotta per il controllo delle terre della regione, infine gli sfollati spesso si insediarono nel sud del Libano causando la nascita di uno stato nello stato libanese che condurrà alla guerra civile degli anni’80.
La guerra dei sei giorni è quindi all'origine sia del conflitto del 1973, che della questione palestinese, la quale tormenta ancora la regione ad oltre quarant'anni di distanza.