Se mi permettete,
vorrei fare una prefazione al brano che segue,
intitolato "CARO DIARIO" e scritto da Davide, mio
figlio di tredici anni.
|
"CARO DIARIO" |
Caro diario, è strano e miracoloso essere vivo, in
qualche punto del mondo: vivo, capace di respirare, mangiare e ridere;
parlare, dormire e crescere; capace di vedere, udire, toccare. È meraviglioso, stupendo. Spesso, molto spesso, noi non ci facciamo nemmeno caso.Non facciamo caso al fatto che ognuno, ognuno di noi quando nasce, almeno ha la possibilità di compiere tutte queste azioni. Sovente mi capita, molte volte anche inopportunamente, di fermarmi a pensare, a farmi una ragione del perché sono qui. Perché sono qui a scrivere questo tema che me ne ha dato la possibilità. Può sembrare stupido da parte di un ragazzino di tredici anni ma è così: mi chiedo se questa vita ha un senso, perché siamo tutti qui, capaci di interagire l’uno con l’altro, con le nostre capacità, le nostre libertà, i divieti, le caratteristiche di ognuno. E pensare a tutto ciò mi rende felice, felice di essere qui, di potermi muovere, di poter parlare con gli altri o di stare fermo, di poter fare ciò che voglio nei limiti delle mie possibilità. Giorni fa parlavo con un mio amico. Stavamo studiando, ad un certo punto abbiamo cominciato a parlare ininterrottamente di tutti gli avvenimenti di questo periodo e non. Perché si muore. Perché la vita finisce? O perché comincia? O pensavamo alle guerre. Come si fa, come, a decidere di poter spezzare una vita: quale forza di volontà ci vuole? Ma probabilmente chi uccide non ha scrupoli, non si fa problemi. Ma io mi chiedo, quale razza di persona si può permettere di giudicare, di essere certo che quella determinata persona deve morire? E allora sono triste, divento incredulo, sono felice perché c’è la vita, io esisto. Ma questa luminosa felicità si spegne, quando penso che c’è anche la morte e che la vita finisce. C’è sempre la contraddizione, il paradosso in
molte cose. La vita, la morte. Quando ero a Parigi, all’Eurodisney, ero felicissimo, perché mi sentivo bene, libero da tutti i problemi: mi sembrava di essere su un altro pianeta ma ero triste, perché molto presto me ne sarei andato. Un’esperienza simile a quella del brano di William Saragan. Credo che i suoi pensieri fossero più che giustificati. E i suoi sogni. Davide. 04/11/02 |
Nome autore Note sull'autore sito |
Davide
De
Marco. nato e vive a Bari. Studente di 13 anni. internauti@libero.it |