Se mi permettete, vorrei fare una prefazione al  brano  che  segue,  intitolato "CARO DIARIO" e scritto da Davide, mio figlio di tredici anni.
 Mi è capitato di leggerlo  perché  mia moglie, che lo ha letto prima di me ne è rimasta   colpita e  a  ragione.  Ho dovuto  riconoscere  che  diventando adulto e osservando  i ragazzi  oggettivamente,  mi   ero  fatto  un'idea   forse  un  pò troppo  qualunquista  e  superficiale sulla  mancanza  di ideali  e sulla povertà concettuale  che  li  anima.
  Crescendo   circondati   da   televisori   e   computer,  attaccati  da  ogni  lato  della  personalità  da  qualsiasi  genere  di  informazioni  massmediali,   essendo  costretti  a  dialogare  con  un  tipo  di  conversazione sempre più stringata  ed ermetica,  tra tutta questa babele di alta tecnologia e spazzatura elettronica, mi  aspettavo  che  la  stessa  anima  ne  potesse  rimanere  atrofizzata. E' quindi con stupore  e  con  un  incredibile piacere che ho dovuto riconoscere il mio torto.  Se è vero che  questi  ragazzi  stanno vivendo in una società che si preoccupa più  del  business  sui  ragazzi che dei ragazzi stessi,  se  è   vero  che  la  scuola  è  ben   lontana   dall'essere  quello  che  davvero  dovrebbe essere per  garantire  loro  delle  solide  basi culturali prima e  professionali poi, se è  vero ancora che i  genitori  hanno  sempre meno tempo prima  e  purtroppo sempre  meno  voglia poi  di  passare  più tempo  con i  propri figli  e se è  vero infine  che  il  nostro mondo è ormai da tempo rimasto senza un'idea portante, una ideologia  forte, capace di spingerci verso una fin troppo attesa  rivoluzione di pensiero, tale che possa  comprendere  non  più  un  solo gruppo  ristretto di   persone o  una   holding, una  Nazione  o una  Razza  ma tutto  il Genere Umano  perché ci si possa proiettare finalmente  verso  nuovi  orizzonti  (le  stelle  ci  aspettano!),  se  è  vero tutto questo, ebbene è anche  vero  che  nonostante  tutto  l'Anima  non  può  essere imprigionata, svilita o compressa. Essa  è  viva  e vitale in questi ragazzi, in questi nostri figli. E lo è sempre stata, in loro come in noi. Come  la speranza di un mondo migliore. I saggi ci  insegnano che tutto ciò è utopia. Ma almeno io, leggendo il brano riportato di seguito mi sono ricreduto. E tanto mi basta.  
Lorenzo De Marco. 
09/11/02

 

"CARO DIARIO"
di
Davide De Marco

   Caro diario, è strano e miracoloso essere vivo, in qualche punto del mondo: vivo, capace di respirare, mangiare e ridere; parlare, dormire e crescere; capace di vedere, udire, toccare.
Camminare per i luoghi del mondo, sotto il sole.
Essere contenti di esistere.

È meraviglioso, stupendo. Spesso, molto spesso, noi non ci facciamo nemmeno caso.Non facciamo caso al fatto che ognuno, ognuno di noi quando nasce, almeno ha la possibilità di compiere tutte queste azioni.

Sovente mi capita, molte volte anche inopportunamente, di fermarmi a pensare, a farmi una ragione del perché sono qui. Perché sono qui a scrivere questo tema che me ne ha dato la possibilità. Può sembrare stupido da parte di un ragazzino di tredici anni ma è così: mi chiedo se questa vita ha un senso, perché siamo tutti qui, capaci di interagire l’uno con l’altro, con le nostre capacità, le nostre libertà, i divieti, le caratteristiche di ognuno.

E pensare a tutto ciò mi rende felice, felice di essere qui, di potermi muovere, di poter parlare con gli altri o di stare fermo, di poter fare ciò che voglio nei limiti delle mie possibilità.

Giorni fa parlavo con un mio amico. Stavamo studiando, ad un certo punto abbiamo cominciato a parlare ininterrottamente di tutti gli avvenimenti di questo periodo e non. Perché si muore. Perché la vita finisce? O perché comincia? O pensavamo alle guerre. Come si fa, come, a decidere di poter spezzare una vita: quale forza di volontà ci vuole? Ma probabilmente chi uccide non ha scrupoli, non si fa problemi. Ma io mi chiedo, quale razza di persona si può permettere di giudicare, di essere certo che quella determinata persona deve morire?

E allora sono triste, divento incredulo, sono felice perché c’è la vita, io esisto. Ma questa luminosa felicità si spegne, quando penso che c’è anche la morte e che la vita finisce.

C’è sempre la contraddizione, il paradosso in molte cose. La vita, la morte.
La felicità, la tristezza. Questo è il più comune esempio di contraddizione.

Quando ero a Parigi, all’Eurodisney, ero felicissimo, perché mi sentivo bene, libero da tutti i problemi: mi sembrava di essere su un altro pianeta ma ero triste, perché molto presto me ne sarei andato. Un’esperienza simile a quella del brano di William Saragan. Credo che i suoi pensieri fossero più che giustificati. E i suoi sogni.

Davide.

04/11/02

 

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Davide De Marco.
nato e vive a Bari. Studente di 13 anni. 

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