Gregorio, fratello minore
di S.Basilio e di S.Macrina, era conoscitore in grado eminente dell’arte della
retorica, ma anche delle scienze naturali, dell’astronomia e della medicina.
Si dedicò alla professione di retore, fino a quando non fu indotto dal fratello
ad accettare, nel 371, la sede vescovile di Nissa in Cappadocia (nell’attuale
Turchia).
Gregorio era dotato di un
carattere naturalmente meditativo e di grandi capacità speculative, che ne
resero il pensiero più profondo di quello degli altri padri cappadoci. Come
retore fu molto apprezzato anche alla corte imperiale di Costantinopoli.
Tra gli scritti dogmatici
ricordiamo l’"Oratio Catechetica Magna", che presenta la motivazione
e la difesa dei principali dogmi cristiani,; e i dodici libri "Contro
Eunomio". Tra le opere esegetiche citiamo "La perfezione
cristiana", "La
verginità", "La vita di S.Macrina".
S.Gregorio morì nel 394.
Le
omelie sulle Beatitudini
Gregorio di Nissa, con le
sue omelie sulle Beatitudini, propone un'esegesi del testo di Matteo, volta a
coglierne un elemento teologico e spirituale che considera particolarmente
importante: la consequenzialità dell'ordine delle beatitudini, cioè
l'ordine delle virtù nel cammino verso Dio. Questo concetto viene rappresentato
dalla scala delle virtù.
Nella prima
omelia Gregorio individua già con chiarezza il cuore della questione: lo
scopo della vita secondo virtù è la somiglianza con Dio, ma come può essere
imitato dagli uomini ciò che è impassibile e privo di corruzione? Solo il Dio
fatto uomo rende possibile la somiglianza, in quanto la divinità, nella persona
del Figlio-Logos, accoglie in sé la povertà ontologica dell'uomo: l'imitazione
della povertà volontaria di Cristo è la prima tappa della vita virtuosa.
L'imitazione di Dio diventa imitazione di Cristo. Inoltre, se il modello della
prima virtù, che inizia la scala delle beatitudini, è la kénosis di
Cristo, è chiaro che la misura di tale virtù è smisurata. Così, nella seconda
omelia, Gregorio interpreta la mitezza evangelica come metriopatia,
come equilibrio nelle passioni, perché l'apátheia (l'assenza di
passioni) divina è impossibile all'uomo. Nella terza
omelia il pianto beato viene interpretato come nostalgia dell'origine, una
specie di ricordo ancestrale della beata condizione originaria. Nella quarta
omelia, la definizione di giustizia degli "esperti" del mondo
risulta irrilevante rispetto alla sete di giustizia dell'uomo, perché riguarda
solo una ristretta cerchia di uomini, i potenti: la giustizia a cui tutti siamo
chiamati è la volontà divina, che coincide con la nostra salvezza. Nella quinta
omelia Gregorio denuncia la pericolosa inadeguatezza della "religione
naturale": l'idea di Dio è naturalmente insita nell'uomo, ma rimanendo
oscuro chi sia veramente Dio, si genera l'errore che è fonte di empietà. Il
tema dell'impotenza della conoscenza umana rispetto al divino e della scoperta
del divino all'interno di sé, attraverso la via della purificazione, trova il
suo coronamento nella sesta
omelia. La settima
omelia ci presenta l'uomo, incapace di trascendere i suoi limiti creaturali,
fatto oggetto dell'inaudita promessa: essere chiamato a diventare figlio di Dio.
Nell'ottava
omelia, la persecuzione viene interpretata secondo la simbologia tratta dal
mondo sportivo, come corsa della fede.
Si tratta di un'opera di grande ricchezza spirituale, dalla cui lettura certamente ogni lettore trarrà grande beneficio.