ELETTROSMOG
Chi vive vicino a linee di alta tensione (elettrodotti), in prossimità
degli alti tralicci che sorreggono i potenti trasmettitori radiotelevisivi o
sotto gli impianti per la telefonia mobile, spesso sistemati sui tetti dei
palazzi, ha l’impressione di correre molti rischi a tutto vantaggio di altri.
La polemica sugli effetti delle radiazioni elettromagnetiche di bassa
frequenza e su una loro presunta pericolosità per la salute dell’uomo si è
andata ingigantendo in seguito ad una vicenda politica legata alle antenne di
Radio Vaticana. Vi sono lavori scientifici in materia di campi elettromagnetici,
a cui si sono appellati molti comuni cittadini e anche scienziati di chiara
fama, che dimostrano la pericolosità delle onde elettromagnetiche ed altri che
dimostrano la cosa contraria, ossia che quelle stesse onde sono innocue. Dove
sta la verità? Prima di rispondere facciamo presente che esiste una legge al
riguardo approvata dal Parlamento Italiano nel febbraio del 2001 ed essa deve
essere rispettata, sia che si tratti di antenne della Santa Sede sia di
elettrodotti dell’ENEL. La nuova legge in verità non fissa limiti precisi
alle emissioni ma in generale abbassa di molto quelli esistenti e prevede la
messa a norma degli elettrodotti, compresi quelli delle ferrovie, entro dieci
anni.
1. LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
Cosa sono le onde elettromagnetiche? Si tratta di radiazioni che si
generano per il movimento di cariche elettriche lungo un filo conduttore, ma in
alcuni casi possono uscire direttamente dagli atomi degli elementi radioattivi o
dai loro nuclei. La scoperta delle onde elettromagnetiche costituisce, nella
storia della fisica, un evento così fondamentale che merita di essere
raccontato fin dall’inizio.
Intorno al 1820, sembra nel corso di una lezione, il fisico danese Hans
Christian Oersted nota che l’ago di una bussola posta in vicinanza di un filo
di platino percorso da corrente elettrica si muove dalla sua posizione naturale
(nord-sud) disponendosi perpendicolarmente al filo. Quando il flusso di corrente
lungo il filo viene interrotto l’ago ritorna a puntare verso nord.
Che vi fosse un collegamento fra elettricità e magnetismo era noto da
tempo. Si sapeva ad esempio che Talete, filosofo greco vissuto 600 anni prima di
Cristo, aveva scoperto che un pezzo di ambra (resina fossile) dopo essere stato
strofinato sulla pelle di gatto attirava a sé piume, piccoli frammenti di
foglie secche e peli di lana. Talete conosceva anche un altro materiale che si
comportava più o meno allo stesso modo; si trattava di una pietra che proveniva
dalla città di Magnesia al Sipilo sul mare Egeo e che per tale motivo era
chiamata magnetite: essa era in grado di attirare pezzetti di ferro. Le proprietà
della resina fossile vennero chiamate “elettriche” dalla parola greca elektron
che significa ambra mentre le proprietà della magnetite possono essere
trasferite a pezzi di ferro variamente sagomati che prendono il nome di magneti
o calamite.
Bisogna però aspettare l’invenzione della pila da parte di Volta per
arrivare a conclusioni definitive sul comportamento così stranamente simile
dell’ambra e della magnetite. La pila di Volta inventata all’inizio del 1800
apre questo campo di ricerche perché permette di operare con cariche elettriche
in movimento e non più ferme come quelle sistemate sull’ambra, sul vetro e su
altri materiali elettrizzabili per strofinio.
L’esperimento di Oersted descritto in precedenza aveva dimostrato in
modo inequivocabile che esiste un collegamento fra elettricità e magnetismo.
Ampliando questa scoperta un oscuro scienziato francese scoprì che avvolgendo un
lungo filo di rame intorno ad un anello di ferro e collegando gli estremi ad una
pila si otteneva un campo magnetico molto più intenso di quello generato da una
calamita. Questa nuova forma di magnete venne chiamata elettrocalamita ma non
ebbe applicazione pratica, anche perché per creare corrente elettrica era
comunque indispensabile utilizzare la pila di Volta: un marchingegno pieno di
acido e ingombrante. Le cose però cambiarono quando il fisico britannico
Michael Faraday venne a conoscenza dell’esperimento di Oersted.
Faraday era di origini molto modeste tanto che a quattordici anni invece
che farlo studiare per valorizzare le sue eccezionali doti intellettive fu
mandato a lavorare come apprendista presso un rilegatore. Nella bottega venne a
contatto con molti libri che lo incuriosirono: fra questi ve ne era uno che
parlava di elettricità, un argomento che lo interessava particolarmente.
Utilizzando le nozioni apprese dalla lettura di quel libro si
costruì una pila ed iniziò quindi una serie di esperimenti che ne avrebbero
fatto uno degli scienziati più prolifici della storia delle fisica. Quando
venne a conoscenza della scoperta di Oersted si pose una semplice domanda: se
una corrente elettrica era in grado di creare un campo magnetico, non poteva
accadere anche il contrario e cioè che un magnete potesse creare elettricità?
Per provare la veridicità della sua intuizione costruì
un’elettrocalamita ma invece che collegare le estremità del filo di rame ad
una pila le collegò ad un misuratore di corrente. Fece quindi passare un
magnete attraverso l’anello di ferro dell’elettrocalamita e notò che
l’indice del misuratore di corrente si spostava. Aveva scoperto un sistema del
tutto nuovo per creare corrente elettrica: quando nell’anello di ferro intorno
a cui era avvolto un filo di rame si introduceva una calamita attraverso il filo
metallico passava della corrente, ma quando la calamita stava ferma la corrente
cessava di passare. La corrente elettrica, pertanto, si originava solo quando
magnete e cavo di rame erano in movimento reciproco. Faraday pensò allora di
sfruttare la sua scoperta e mise a punto un apparecchio nel quale un disco di
rame girava fra i due poli di un magnete. Oggi quell’apparecchio si chiama
dinamo ed è praticamente identico a quello montato sulle biciclette.
Faraday dopo la costruzione della dinamo continuò a fare ricerche
sull’elettricità e sul magnetismo nel tentativo di scoprire il meccanismo che
legava le due forme di energia, ma non essendo in possesso di conoscenze
matematiche sufficienti non riuscì a svelare le leggi che stavano dietro al
fenomeno. Vi riuscì invece James Clerk Maxwell un fisico inglese che conosceva
molto bene la matematica. Applicando il calcolo differenziale ideato da Newton,
Maxwell riuscì a mettere a punto quattro equazioni che spiegavano la
connessione esistente fra elettricità e magnetismo. Tali equazioni non
dimostravano solamente che le due forme di energia erano in realtà una sola, ma
anche che elettricità e magnetismo davano origine a radiazioni
elettromagnetiche che si diffondevano nello spazio alla velocità della luce,
una misura che era stata da poco ottenuta utilizzando diversi metodi
indipendenti. Egli non tardò a convincersi che non poteva essere una
coincidenza il fatto che i due tipi di energia viaggiassero alla stessa velocità:
la luce doveva essere una forma di radiazione elettromagnetica.
Il lavoro di Maxwell rimase tuttavia di validità solo teorica fino a
quando il fisico tedesco Gustav Ludwig Hertz nel 1888 non mise a punto un
esperimento che confermava la esistenza delle onde elettromagnetiche descritte
matematicamente da Maxwell. Egli fece scoccare una serie di scintille fra una
sfera carica di elettricità e una seconda connessa a terra e utilizzando un
particolare rilevatore osservò che si generavano delle onde del tutto simili a
quelle luminose, ma di lunghezza molto maggiore. Hertz non si rese conto
dell’enorme importanza pratica che questa sua scoperta avrebbe potuto avere
nel campo delle comunicazioni e solo nell’anno della sua morte il giovane
Guglielmo Marconi mise in atto i primi tentativi di applicare le onde osservate
da Hertz alla telegrafia. Tali radiazioni elettromagnetiche oggi si chiamano
onde radio o anche herziane.
Due sono i parametri fondamentali che permettono di classificare le onde
elettromagnetiche: la lunghezza dell’onda e la frequenza. La lunghezza
d’onda è la distanza che intercorre fra due creste consecutive e può variare
da valori inferiori al millesimo di millimetro fino ad alcuni kilometri; la
frequenza invece è il numero delle volte che si ripete l’onda nell’unità
di tempo e viene misurata in hertz. E’ facile controllare, osservando le onde
del mare, le quali sono dello stesso tipo di quelle elettromagnetiche, che
quando sono corte grande è il numero di esse che tocca la riva in un certo
intervallo di tempo, cioè grande è la loro frequenza, mentre quando sono
lunghe bassa è la frequenza con cui si vanno ad infrangere sulla battigia. 2. LE ANTENNE INQUINANO L’AMBIENTE
Le onde elettromagnetiche osservate da Hertz oggi rappresentano le
emissioni radiotelevisive, quelle generate dagli elettrodotti, le microonde
utilizzate per la telefonia mobile e quelle che emergono da tutte le
apparecchiature elettriche delle nostre case come ad esempio dal forno a
microonde, dal rasoio elettrico, dal frigorifero, dal televisore e dallo stesso
monitor del computer che mi sta davanti agli occhi. Tutte queste radiazioni
rientrano nel campo delle cosiddette onde non ionizzanti, cioè di quelle onde
relativamente lunghe e poco energetiche che non dovrebbero causare danni
all’uomo. Raggi X e raggi gamma sono invece onde estremamente corte e quindi
di frequenza elevatissima e vengono classificate come onde ionizzanti. Queste
ultime hanno energia sufficiente per strappare elettroni dagli atomi che
costituiscono le molecole dei tessuti biologici e creare i cosiddetti radicali
liberi: esse rappresentano quindi uno dei fattori fondamentali per un eventuale
danno a carico degli organismi viventi.
Le onde elettromagnetiche come abbiamo visto esistono anche in natura.
Sono onde elettromagnetiche ad esempio i raggi del Sole, quelle che escono dalle
rocce radioattive e quelle che piovono dal cielo sotto forma di raggi cosmici.
Per quanto riguarda i loro effetti sugli organismi viventi e in particolare
sull’uomo sono sicuramente pericolose le radiazioni ionizzanti, soprattutto se
l’esposizione è prolungata nel tempo, mentre quasi altrettanto sicuramente
non lo sono le radiazioni non ionizzanti soprattutto se non vengono assorbite in
quantità massicce (stare troppo a lungo esposti ai raggi del Sole fa male e
potrebbe anche essere pericoloso).
Vi sono altri due parametri di cui bisogna tener conto per valutare la
pericolosità delle onde elettromagnetiche: l’intensità del campo elettrico
che si misura in volt al metro (V/m) e l’induzione magnetica che provoca
riscaldamento e che si misura in tesla (dal nome dello scienziato slavo Nikola
Tesla che all’inizio del secolo passato si interessò del fenomeno). Questi
parametri vengono misurati ad una ben definita distanza dalla sorgente perché
con l’aumento della distanza i valori decrescono velocemente. Ad esempio, per
una linea ad alta tensione da 150 kV (kilovolt) a 30 metri di distanza i valori
dell’intensità del campo elettrico e della induzione magnetica divengono
quasi dieci volte inferiori rispetto a quelli misurati a 10 metri dalla
sorgente.
Per il momento, come abbiamo detto, non vi sono prove inequivocabili che
le onde elettromagnetiche di bassa frequenza possano fare male all’uomo mentre
è sicuro che possono interferire sul funzionamento delle macchine. Si racconta
che nel 1984 le antenne di un’emittente radio hanno messo fuori uso gli
strumenti di bordo di due aerei militari statunitensi facendoli precipitare.
D’altra parte, tutti coloro che negli ultimi tempi hanno preso l’aereo,
hanno sentito il comandante raccomandare loro di non usare, durante il volo, il
telefono cellulare o qualsiasi altro apparecchio elettronico che possa causare
interferenze con gli strumenti di bordo.
Nel caso della stazione emittente di Santa Maria di Galeria dalla quale
viene trasmessa in tutto il mondo la voce di Radio Vaticana un servizio
televisivo ha mostrato che dai citofoni delle case ubicate in vicinanza, anziché
la voce dell’inquilino si poteva ascoltare quella del Papa e le lampadine che
decoravano gli alberi di Natale, si accendevano da sole.
E’ successo anche che la scintilla generata dall’accendigas abbia
messo fuori uso l’antifurto di casa e le antenne dei radioamatori abbiano
provocato l’accensione degli antifurti delle auto parcheggiate in vicinanza.
Onde elettromagnetiche sono state anche responsabili di incidenti sul lavoro
provocati da apparecchiature elettroniche sottoposte accidentalmente a disturbi
elettromagnetici.
Stabilita la connessione fra radiazioni e macchine alcuni sperimentatori
stanno studiando il modo di usare le onde elettromagnetiche come armi per
interferire con i sistemi di guida elettronica dei missili. Si sta anche
progettando una pistola a microonde in grado di provocare nella vittima attacchi
epilettici o il brusco aumento della temperatura corporea. In effetti le onde
elettromagnetiche e in particolare quelle generate dai telefoni cellulari sono
in grado di interagire con i tessuti biologici riscaldandoli.
Le conseguenze termiche delle radiazioni elettromagnetiche sull’uomo
furono notate per la prima volta durante la seconda guerra mondiale quando si
scoprì che i militari addetti alla manutenzione dei radar rischiavano la cecità
e la sterilità. Il cristallino e i testicoli, infatti, l’uno perché poco
irrorato dal sangue, gli altri perché molto sensibili agli sbalzi di
temperatura sono organi ad elevato rischio termico. Bisogna però chiarire che i
radar usano frequenze elevatissime di gran lunga superiori a quelle cui è
esposta normalmente la popolazione civile. Se l’esposizione è localizzata
sull’orecchio, come nel caso di un uso prolungato del telefonino, la zona
verrebbe riscaldata ma non in misura maggiore del riscaldamento prodotto
spontaneamente dall’organismo umano sottoposto a sforzo fisico.
Da quando si è sparsa la voce di una eventuale pericolosità delle onde
elettromagnetiche è cresciuto l’interesse fra la gente per la possibilità di
bloccare con particolari dispositivi le emissioni di tali onde. Esistono in
effetti dei materiali in grado di schermare le radiazioni elettromagnetiche ma
si tratta di materiali che non sono utilizzati negli ambienti in cui si svolgono
le attività quotidiane. È inefficace anche la miriade di gadget in commercio,
che se veramente funzionassero, anziché trattenere le onde le rafforzerebbero.
Il telefono cellulare ad esempio analizza di continuo la potenza ottimale
affinché si ottenga una conversazione pulita e qualora qualche cosa ostacolasse
il segnale, l’apparecchio, ritenendo insufficiente il campo, lo rafforzerebbe
automaticamente.
In realtà esisterebbe un sistema per rendere le antenne meno inquinanti
e sarebbe quello di sostituire una antenna molto grande e potente con una serie
di antenne di più piccola portata e quindi adatte a coprire aree di minore
estensione. Le antenne potentissime di Radio Vaticana potrebbero ad esempio
essere sostituite da un maggior numero di antenne di dimensioni minori e
l’inquinamento elettromagnetico verrebbe subito ridotto.
Il vero aspetto negativo della presenza di antenne di grandi dimensioni
è tuttavia di natura estetica: la loro presenza deturpa l’ambiente. 3. I DANNI SULL’UOMO
Una cosa è constatare che le onde elettromagnetiche a debole potenza
interferiscono con i macchinari, altra cosa ritenere che le stesse onde possano
arrecare danno all’uomo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità informa che sulle radiazioni
non ionizzanti sono stati scritti più di 25.000 articoli negli ultimi
trent’anni di ricerca e che si sa su questo agente più che sulla maggior
parte dei composti chimici. Ebbene, tutti questi studi non hanno svelato alcuna
evidenza di effetti nocivi causati dalle linee di trasmissione elettrica né
dalle antenne per le radiofrequenze. Naturalmente questo non basta per
tranquillizzare chi è convinto che le onde elettromagnetiche siano nocive
soprattutto ai bambini.
In molti ritengono che le onde elettromagnetiche siano cancerogene e a
sostegno della loro tesi citano proprio la stessa Organizzazione Mondiale della
Sanità la quale classifica le onde a bassa frequenza fra i “possibili
cancerogeni umani”. Essi però dimenticano di dire che si tratta della terza
categoria della pericolosità di alcuni prodotti dopo i cancerogeni certi e
quelli probabili. Della stessa categoria delle onde elettromagnetiche non
ionizzanti fa parte ad esempio anche il caffè, mentre le bevande alcoliche e il
tabacco appartengono al gruppo 1, quello dei cancerogeni accertati.
Da un sondaggio condotto recentemente su un largo strato della
popolazione adulta risulta che la gente è più preoccupata dei cibi transgenici
o del cosiddetto elettrosmog cose che finora non hanno fatto male a nessuno
(almeno così sembra), che del fumo di sigaretta, del consumo di bevande
alcoliche o degli incidenti stradali che, è certo, mietono centinaia di
migliaia di vittime all’anno. A tale proposito gli psicologi fanno notare che
la percezione del rischio è inversamente proporzionale alla volontarietà della
scelta. I telefonini cellulari, ad esempio, sono diventati troppo indispensabili
per essere ritenuti rischiosi per la salute e infatti, nonostante i dubbi che
persistono, sono stati assolti.
L’ipotesi che i campi elettromagnetici a bassa frequenza possano essere
cancerogeni risale al 1979 quando due ricercatori di Denver in Colorado,
incuriositi da una piccola epidemia di tumori infantili, individuarono negli
elettrodotti i responsabili del danno biologico. A questo primo studio ne
seguirono altri dai risultati molto incerti. Alcuni individuarono nelle onde
elettromagnetiche un piccolo rischio, altri nemmeno quello. In queste ricerche
che sono fondamentalmente di natura statistica svolgono un ruolo importante i
così detti “fattori di confondimento” ossia la presenza di quegli elementi
che pur potendo influire sul fenomeno in esame non vengono presi in
considerazione o volutamente o perché non noti al momento dell’indagine. La
verità è che non esiste alcuna certezza scientifica che le onde prodotte dagli
elettrodotti o dalle antenne radiotelevisive siano pericolose per l’uomo;
tutt’al più la vicinanza prolungata ad elettrodotti molto potenti potrebbe
essere la causa in Italia di un caso di leucemia puerile all’anno mentre il
fumo di sigarette nello stesso periodo causa 90.000 morti.
Coloro che propendono per la pericolosità delle onde elettromagnetiche
invocano la applicazione del cosiddetto “principio di precauzione”. Si
tratta di una dichiarazione formalizzata in occasione della Conferenza mondiale
sull’ambiente tenuta nel 1992 a Rio de Janeiro, che molti scienziati ritengono
inutile e forse anche dannosa. Essa in parole semplici afferma quanto segue:
“Ove vi siano minacce di danno serio o irreversibile la mancanza di certezze
scientifiche non deve rappresentare un pretesto per non applicare misure volte a
prevenire il degrado ambientale”.
La raccomandazione contiene un errore concettuale e dei limiti di
applicabilità. Coloro che sono in possesso di conoscenze scientifiche anche
solo superficiali sanno che la “certezza scientifica” non esiste giacché il
dubbio è nella natura stessa della scienza: solo la metafisica, l’astrologia
o le religioni offrono certezze. Inoltre non deve essere confuso il principio di
precauzione con la precauzione che è un atteggiamento di cautela sicuramente da
adottare in ogni attività umana e soprattutto quando si è alla guida
dell’automobile. Se si dovesse applicare il principio di precauzione ad ogni
nuova scoperta scientifica e tecnologica l’umanità non avrebbe fatto passi
avanti e non sarebbero in circolazione automobili e aerei, ma non esisterebbero
nemmeno la luce elettrica, i vaccini, gli anticrittogamici e molti farmaci.
Esaminiamo, per concludere, due casi in cui il principio di precauzione
è stato invocato a sproposito. Il primo riguarda il problema dell’effetto
serra. A Rio, fra le altre cose, venne preso l’impegno di ridurre le emissioni
di anidride carbonica nell’atmosfera al fine di evitare il riscaldamento
globale del Pianeta con tutte le conseguenze che questo innalzamento della
temperatura avrebbe comportato sugli ecosistemi. Ma la riduzione di anidride
carbonica come previsto dal Protocollo di Rio produrrebbe un effetto quasi
irrilevante sul clima, mentre sarebbe disastrosa sull’economia dei Paesi
industrializzati.
Altro esempio è quello riguardante quella legge velleitaria, di cui si
è fatto cenno in precedenza, contro l’inesistente elettrosmog votata dal
Parlamento italiano su proposta dei Verdi. Per mettere a norma gli impianti
delle ferrovie italiane entro il 2010 è prevista una spesa di decine di
miliardi di euro e ancora maggiore sarà l’impegno finanziario per sistemare
gli elettrodotti dell’ENEL: con quei soldi, ha fatto notare il ministro della
sanità, verrebbe sconfitto il cancro. L’unico effetto positivo di questa
legge sarà invece quello di dare lavoro ai burocrati e di arricchire le
multinazionali, tanto odiate dai Verdi, cui toccherà il compito di mettere a
punto gli impianti. Si dimostra così come una legge sbagliata e demagogica
possa ritorcersi contro chi la propone. fine |