LA TETTONICA DEL FRIULI-VENEZIA GIULIA

 

    La tettonica non è quello che alcuni, maliziosamente, potrebbero pensare, ma un termine ben noto ai geologi il quale deriva da una parola greca che significa “arte del costruire”. Le tettonica è in realtà una parte fondamentale delle scienze geologiche e precisamente quella che studia le dislocazioni (cioè gli spostamenti) e le deformazioni subite dalle rocce che formano la superficie del nostro pianeta, in conseguenza di spinte che traggono origine all’interno della Terra stessa. Lo scopo di questa disciplina è anche quello di rivelare l’intima struttura, si potrebbe quasi dire l’architettura, della crosta terrestre. Perciò il termine tettonica è anche sinonimo di geologia strutturale.

    La regione del nord-est d’Italia che comprende il Friuli-Venezia Giulia è stata definita da Ippolito Nievo, per i suoi paesaggi molto vari, “un piccolo compendio dell’Universo”. La grande diversificazione del paesaggio che va dal mare alle alte montagne e che comprende le lagune che le correnti di marea riescono a mantenere sempre vive, le pianure aride e sterili del nord e quelle fertili della “bassa”, le colline ricche di vegetazione e le alte vette delle Alpi Carniche e Giulie è conseguenza sia della natura delle rocce sia delle modificazioni che le rocce stesse hanno subito nel tempo. Appare quindi opportuno analizzare come si sono formate le masse rocciose e descrivere i movimenti che successivamente le stesse hanno subito.

 

1. LA STORIA GEOLOGICA DELLA REGIONE

    Il Friuli-Venezia Giulia è terra geologicamente giovane in quanto si è formato in seguito all’Orogenesi Alpino-Himalayana. Orogenesi (dal greco òros = monte e génesis = nascita) è un termine con cui in geologia si definiscono i processi che portano al sollevamento delle montagne. La Terra, nel corso della sua storia, è stata interessata da una serie di cicli orogenetici, l’ultimo dei quali, che prende appunto il nome di “Orogenesi Alpino-Himalayana” perché dette origine alle catene montuose che vanno dalle Alpi all’Himalaya e oltre fino all’estremo oriente asiatico, è iniziato una cinquantina di milioni di anni fa e si può dire che sia tuttora in atto.

    La storia geologica della nostra regione comincia però molto tempo prima e cioè quando, agli inizi di quella che viene chiamata l’Era Paleozoica, in un vastissimo mare che si estendeva fra il continente africano e quello europeo, si andavano accumulando i sedimenti che i fiumi, i quali scorrevano sulle terre emerse del nord, portavano copiosi. Là dove oggi sorgono le montagne più alte, il mare era molto profondo, ma si andava riempiendo velocemente per l’accumularsi in esso di sabbie e fanghi portati dai fiumi oltre che di detriti erosi dal moto ondoso. Questa zona di mare profondo sistemata in prossimità della costa viene chiamata dai geologi “geosinclinale” ed ha la caratteristica di sprofondare lentamente a mano a mano che nuovo materiale si accumula al suo interno.

    Durante questo tempo, la Terra era già popolata da esseri viventi che proliferavano soprattutto in mare e che, dopo la morte, si andavano ad adagiare sul fondo lasciando sui fanghi l’impronta della loro esistenza. Queste impronte insieme con le strutture più resistenti del loro corpo, come ad esempio le conchiglie, si sono conservate, all’interno dei sedimenti, fino ai giorno nostri. I resti di animali e piante vissuti in epoche remote e racchiusi all’interno degli strati rocciosi vengono chiamati fossili (dal latino fodere che significa “scavare”) e consentono al geologo di risalire all’ambiente in cui avveniva la deposizione del materiale terrigeno, alle condizioni climatiche esistenti a quel tempo e alla profondità e salinità del mare.

    Quando la geosinclinale fu piena di sedimenti, si crearono le condizioni per l’instaurarsi di un ambiente di scogliera. La scogliera corallina è caratterizzata da un insieme di fattori fisici e chimici quali la temperatura, la salinità delle acque e l’ossigenazione delle stesse, ma soprattutto dal permanere della sua parte viva a pelo d’acqua. Quest’ultima condizione era garantita dalla lenta subsidenza (sprofondamento) della geosinclinale dovuta al peso dell’immensa scogliera calcarea formata da una miriade di organismi costruttori. Oltre agli organismi costruttori tipici della scogliera (coralli, alghe calcaree, spugne, briozoi, ecc.) vi erano anche molti altri animali marini come gasteropodi, lamellibranchi e trilobiti che oggi si possono trovare, allo stato fossile, sui monti della catena carnica.

    Frattanto, il continente africano, alla deriva verso nord, premeva contro il materiale contenuto nella geosinclinale fino a sollevare, incurvare e accavallare gli strati di sedimenti che inizialmente avevano una giacitura orizzontale. Questo evento si verificò verso la fine dell’Era Paleozoica, quindi più di 200 milioni di anni fa e durò meno di una decina di milioni di anni, un tempo brevissimo, geologicamente parlando. In questo modo si formò una primitiva catena carnica che però immediatamente cominciò ad essere demolita dagli agenti esogeni, cioè dall’azione erosiva dell’acqua e del vento, e dalle variazioni termiche.

    Mentre la catena, che si era formata in seguito a quella che i geologi chiamano “Orogenesi Ercinica” si andava sgretolando, nel mare antistante continuavano ad accumularsi altri sedimenti che avrebbero dato vita ad un successivo corrugamento. Quando anche questa seconda geosinclinale fu piena di materiale terrigeno, ulteriori spinte tangenziali conseguenti al movimento dei continenti africano ed europeo alla deriva l’uno contro l’altro, ne schiacciarono il contenuto facendo emergere una nuova catena montuosa la quale, nel modellarsi, è stata influenzata dalla presenza del massiccio paleocarnico che, nel frattempo, l’erosione aveva ridotto alla radice e che finì per essere inglobato in quello di nuova formazione. Il rinnovato corrugamento alpino si presenta ora con la sezione più interna formata dal residuo della catena emersa nell’era Paleozoica durante l’Orogenesi Ercinica.

    Quindi, nell’Era Cenozoica, ossia circa cinquanta milioni di anni fa, lente, ma potenti e continue spinte provenienti da sud hanno sollevato, ripiegando e fratturando queste enormi pile di sedimenti che si erano andati accumulando nella geosinclinale in milioni di anni provocando, talora, vasti scollamenti e scivolamenti gravitativi degli strati rocciosi. Tracce di questi movimenti si hanno anche in tempi più recenti, per esempio sulla fascia collinare dove si possono individuare alcuni lembi alluvionali sollevati di recente o nella bassa pianura, soggetta a lenta e continua subsidenza, che ha portato depositi continentali e lagunari a centinaia di metri al di sotto del livello del mare. Quindi possiamo dire che il corrugamento Alpino-Himalayano è tuttora in atto e i terremoti, alcuni dei quali anche di forte intensità, che con una certa frequenza si succedono in queste zone, ne sono ulteriore testimonianza.

    Frattanto, insieme alla parte orientale, usciva dal mare, grondante d’acqua, anche il resto della catena alpina la quale, unitamente agli Appennini, formava lo scheletro di quella che sarebbe stata la penisola italiana. Alpi e Appennini, a quel tempo, limitavano un ampio golfo a forma di triangolo isoscele con il vertice in Piemonte e la base nel Veneto. I sedimenti e le alluvioni fluviali riempirono questo tratto di mare poco profondo e formarono l’attuale pianura padana di cui quella friulana rappresenta la parte di nord est.

    I depositi alluvionali che caratterizzano la pianura friulana sono di età molto recente e vanno datati nell’Era Quaternaria cioè nell’era geologica iniziata un paio di milioni di anni or sono e nella quale stiamo ancora vivendo. Il Quaternario è caratterizzato dal susseguirsi di almeno quattro fasi di espansione glaciale alternate a fasi più o meno marcate di ritiro (periodi interglaciali). Nelle nostre montagne sono ben evidenti i segni delle glaciazioni quaternarie durante le quali la coltre di ghiaccio copriva gran parte della catena carnica lasciando libere solo le cime più alte.

    Il ritiro definitivo dei ghiacciai si concluse nell’alta pianura friulana e nella zona prealpina circa 10.000 anni fa non senza aver lasciato i segni della sua espansione, sia come deposito sia come forme di modellamento. Relitti glaciali possono essere considerati i piccoli laghi che caratterizzano alcune conche alpine come pure i circhi glaciali dalla tipica forma a “cucchiaio” posti in corrispondenza di testate vallive di molti massicci alpini e prealpini. L’enorme massa di ghiaccio che scendeva lungo la valle oggi occupata dal fiume Tagliamento e che perciò prende il nome di “ghiacciaio tilaventino”, aveva uno spessore, in alcuni punti, di oltre mille metri e ha operato sulle rocce sottostanti una intensa azione erosiva. Ad esempio, il classico modellamento ad “U” delle valli alpine, viene messo anch’esso in correlazione con il passaggio dei ghiacciai, di cui il tilaventino era solo il maggiore. Anche il più grande lago del Friuli, il lago di Cavazzo, ha un’origine legata al glacialismo del Quaternario: esso occupa una depressione tettonica nella quale il ghiacciaio ha scavato la conca lacustre che è stata riempita successivamente dalle sue stesse acque di fusione. 

    Il ghiacciaio tilaventino, nella fase di massima espansione, si era portato fino a pochi kilometri dalla zona in cui oggi sorge Udine dove ha contribuito a formare le tre cerchie collinari che costituiscono il ben noto anfiteatro morenico del Tagliamento. Si tratta di un deposito di grandi dimensioni composto da una matrice sabbioso-argillosa in cui sono immersi elementi più grossolani in un impasto caotico e privo di stratificazione. Depositi morenici non si trovano solo a nord di Udine, ma un po’ dovunque in regione dove hanno colmato depressioni e costruito spianate, influendo sensibilmente sulla morfologia della intera pianura friulana.

 

2. IL CARSO

    Non si può chiudere la descrizione della storia geologica della nostra regione senza fare un cenno a quello che rappresenta l’ambiente di essa più caratteristico e noto: il Carso. Da questo luogo prende nome un fenomeno molto tipico e assai diffuso in tutto il mondo detto “fenomeno carsico”, proprio perché fu studiato per primo su questo territorio dove è rappresentato in tutte le sue forme più proprie. Il lago di Doberdò viene citato da tutti i libri di geografia come esempio classico di lago carsico; il Timavo, con il suo misterioso percorso sotterraneo, lungo quasi quaranta kilometri, è conosciuto in tutto il mondo anche per essere stato menzionato nelle loro opere dai più grandi poeti e scrittori a cominciare da Virgilio; la Grotta Gigante, infine, è la caverna naturale più ampia esistente sulla Terra tanto da poter contenere la cupola della basilica di S. Pietro (come si può anche vedere in alcuni fotomontaggi).       

    Il paesaggio carsico è caratterizzato da un aspetto molto vario che comprende una tipica vegetazione con piante piuttosto basse e cespugliose intervallata da tratti di roccia nuda, grotte, pendii brulli, solchi vallivi privi di corsi d’acqua e tante altre forme originali prodotte come conseguenza della presenza di rocce calcaree profondamente fessurate e di condizioni climatiche adatte. Le acque piovane, leggermente acidule per la presenza di anidride carbonica che assorbono dall’atmosfera, sono in grado di corrodere il calcare creando forme di superficie ben diverse da quelle dovute ad altri agenti esogeni. Fra le forme di superficie più tipiche vi sono le doline (da una parola di origine slava che significa “valle”) avvallamenti più o meno ampi e più o meno profondi ricoperti di terra rossa, il residuo insolubile del calcare. Fra le forme tipiche del paesaggio carsico devono ancora essere annoverati i campi carreggiati, cosiddetti perché sembrano solchi lasciati dalle ruote di un carro; le grize, macerie incoerenti di pietre di varie dimensioni, gli inghiottitoi e le foibe che evocano in molti ricordi terribili di un recente passato impossibile da dimenticare. 

    Il Carso (il termine sembra sia di origine celtica e vuol dire semplicemente “pietra, roccia”) ebbe origine in un mare vasto ma non profondo di acque tiepide in cui vivevano un'infinità di organismi con il guscio calcareo, dai microscopici foraminiferi ai grossi lamellibranchi. La sedimentazione che dette vita alla roccia calcarea non fu tranquilla perché il mare cambiò spesso di livello e di vicinanza dalle coste passando da profondo a superficiale, condizione, quest’ultima, che consentiva la formazione di estese scogliere.

    La sedimentazione continuò per quasi cento milioni di anni sul fondo di un mare dal livello incostante in cui per lunghi periodi sedimentavano solamente le spoglie di organismi marini, mentre, quando in alcuni tratti il fondo veniva sospinto a pelo d’acqua, vi finivano dentro anche materiali terrigeni e resti di vegetali portati dai fiumi. Queste condizioni ambientali così diverse dettero origine a calcari molto impuri la cui dissoluzione porterà alla formazione della caratteristica terra rossa che rappresenta per l’appunto il residuo insolubile delle impurezze presenti nella roccia.

    Verso la metà dell’Era Cenozoica, quindi circa trenta milioni di anni fa, le spinte tangenziali della Orogenesi Alpino-Himalayana fecero sentire i loro effetti anche in questa zona marginale della geosinclinale in cui si era formata la scogliera e in cui gli strati calcarei cominciarono a corrugarsi formando una grande piega convessa verso l’alto, cioè quello che, con linguaggio geologico, viene chiamato un’anticlinale. Come prima conseguenza di questo movimento di emersione, si assistette al franamento della parte incoerente sovrastante che scivolò lungo i fianchi della “gobba” andando a costituire la tipica formazione rocciosa del “flysch”. Liberati i calcari sottostanti dalla copertura, ebbero inizio l’azione erosiva e il conseguente livellamento del culmine dell’anticlinale. Si venne così a formare una tipica superficie di spianamento, vale a dire un altopiano molto ampio, che successivamente fu smembrato dall’erosione di antichi fiumi e dalle ingressioni marine, cioè quello che oggi rappresenta l’altopiano carsico sul quale l’azione erosiva (fisica) e corrosiva (chimica) delle acque piovane è tuttora in atto.   

fine

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