UNIVERSITA' DI UDINE
Nel 1998 l’Università di Udine compiva i suoi primi vent’anni di vita: tale evento è stato commemorato con l’edizione di un ponderoso volume dal titolo “L’Università del Friuli - Vent’anni“, in cui si ripercorre, attraverso le molteplici attività svolte nel corso degli anni, la storia dell’Ateneo friulano dal tempo ancora precedente la sua istituzione fino ai giorni nostri. Nel libro si possono trovare preziose informazioni su questo importante centro di alta formazione e ricerca scientifica fortemente voluto dalla gente e in grado di soddisfare le esigenze di crescita culturale e produttiva del Friuli, una regione in piena espansione e ben lungi dall’avere esaurite le proprie notevoli potenzialità. La necessità di dare al Friuli una sua Università per conservare, valorizzare e trasmettere alle generazioni future le prerogative e l’identità di questa terra si fa sentire, impellente più che mai, agli inizi degli anni ’60 quando la comunità prende finalmente coscienza della propria realtà e delle proprie considerevoli risorse umane e imprenditoriali.
Questa consapevolezza maturò lentamente anche
nella coscienza delle classi dirigenti più avvedute come esigenza di ridurre la
dipendenza culturale dai centri di ricerca esterni all’area friulana. Per
secoli, infatti, i titoli accademici dei giovani friulani erano stati acquisiti
in centri universitari come Padova e Bologna da un lato e Graz, Innsbruck e
Vienna dall’altro e infine, ma in tempi molto più recenti, Trieste.
L’Università di Udine nasce non già per un disegno politico imposto da esigenze strutturali e organizzative o per le necessità di espansione e di collocamento dei propri allievi di qualche influente scuola accademica ma, come abbiamo detto, su una spinta proveniente dal basso che si è andata sviluppando e consolidando attraverso imponenti manifestazioni studentesche e un minuzioso lavoro di informazione e di sensibilizzazione delle forze politiche locali e della gente comune. Questa imponente e vasta richiesta, che non è improprio ritenere quasi presa di coscienza da parte della società civile, giunse alla promulgazione di una legge di iniziativa popolare sostenuta da 125 mila firme (un numero ben maggiore degli abitanti di Udine) raccolte dal Comitato per l’Università friulana presieduto dal compianto professore Tarcisio Petracco. Tale pressione popolare portava, nel 1968, all’istituzione del Consorzio universitario per la gestione della Facoltà di Lingue e letterature straniere decentrata dall’Università di Trieste e, successivamente, del biennio di Ingegneria a cui seguì l’attuazione di una normativa prevista dalla legge sulla ricostruzione del Friuli terremotato. Con la legge n° 546 del 1977 veniva istituita formalmente l’Università degli Studi di Udine e il successivo decreto del Presidente della Repubblica, il n° 102 del 1978, delineava l’assetto della nuova Università articolato in cinque facoltà con otto corsi di laurea. Nel mese di novembre del 1978 veniva finalmente pronunziata la lezione introduttiva da parte di un professore della nuova Università alla presenza di numerosi studenti regolarmente iscritti. 1. LA STORIA DELLE UNIVERSITA’
L’Università, come la conosciamo noi,
rappresenta l’istituzione di maggior rilievo che la civiltà europea abbia
saputo esprimere nel corso dei secoli per concorrere allo sviluppo organico del
sapere e per garantire un’adeguata preparazione alle sue classi dirigenti.
Essa è un istituto di istruzione superiore suddiviso in più facoltà che
prevede il conseguimento di vari diplomi di laurea e di specializzazione. Il
termine deriva dall’espressione latina “Universitas societas magistrorum
discipulorumque” il cui significato è quello di corporazione generale di
maestri e allievi, organizzati per trarre dallo studio mutuo vantaggio e per
garantire ad esso un riconoscimento legale. Le prime Università nacquero in Europa nel periodo medioevale, fra l’undicesimo e il dodicesimo secolo, sulla scia delle Scuole episcopali o vescovili così chiamate perché ubicate nei pressi dell’abitazione del vescovo e sotto la sua vigilanza. Queste scuole avevano il compito di istruire il clero in modo che fosse in grado di leggere e interpretare la Bibbia nei suoi vari aspetti e significati storici, allegorici e morali. Per raggiungere questo obiettivo si riteneva fosse necessario lo studio della grammatica, dell’aritmetica, del computo del tempo, della retorica, della dialettica e della filosofia in funzione della teologia. Le prime Università possedevano un loro statuto e gli insegnamenti prevedevano quattro indirizzi di studio: arti, teologia, diritto e medicina. Caratteristica principale di questi primi Istituti era la loro internazionalità (donde il nome assegnato all’istituzione), la presenza cioè di studenti e docenti provenienti da aree diverse e anche molto lontane fra loro. La molteplicità culturale dei giovani, che dovevano convivere in uno spazio ristretto, generava la necessità di una specifica struttura interna all’Istituto cui erano concessi ampi margini di autonomia. Non esistevano barriere linguistiche in quanto le lezioni erano tenute in latino, lingua universale delle persone di cultura. All’inizio del XII secolo, Parigi si era proposta per lo studio della teologia e della filosofia e la sua Università, che però ricevette il riconoscimento ufficiale solamente dopo il 1200, divenne modello per analoghe istituzioni sorte successivamente nell’Europa centrosettentrionale come ad esempio le Università tedesche di Vienna e Praga e quelle inglesi di Oxford e Cambridge. In Italia, Salerno era il centro per lo studio della medicina e Bologna per il diritto. La scuola medica salernitana esisteva già prima dell’anno Mille, ma venne costituita in Università solo nel 1238 quando era ormai in decadenza anche per la vicinanza dell’Università di Napoli fondata nel 1224 da Federico II, mentre il primo atto legale, che sanciva la nascita dell’Università di Bologna, porta la data del 1158 e quella istituzione rappresentò in assoluto il primo centro universitario della storia dell’umanità. Fu quindi con il secolo XIII che inizia la grande epoca caratterizzata dalla fondazione delle Università. Nei vari momenti storici e nelle diverse aree geografiche, le Università adottarono assetti e finalità diverse assolvendo, con accentuazioni differenziate, il ruolo di formazione culturale di alto livello per le nuove classi dirigenti, per la preparazione di competenze professionali altamente specialistiche, e naturalmente per l’allargamento delle frontiere del sapere attraverso la ricerca scientifica. Un altro aspetto distintivo delle diverse istituzioni universitarie riguardava l’ordinamento interno che oscillava tra la massima autonomia e flessibilità, come era alle origini, e la piena dipendenza dallo Stato. Il centralismo si affermò soprattutto durante il periodo napoleonico e fece delle Università organismi statali dipendenti dal Ministero dell’Istruzione. A questa formula burocratica e accentratrice si oppose quella competitiva del mondo anglosassone che considerò gli Atenei delle istituzioni private dove gli studenti erano chiamati a pagare tasse d’iscrizione anche molto elevate in cambio però di un servizio altamente qualificato. Sembra che in Italia le Università siano nate da corporazioni di studenti che si riunivano dandosi uno statuto in forza del quale provvedevano ad assoldare i docenti ritenuti più idonei ad insegnare una determinata disciplina e che il rettore, ossia il capo della corporazione, venisse nominato dagli studenti stessi. Lo status giuridico di queste prime Università era riconosciuto dalle autorità civili ed ecclesiastiche e quando, superate le prove previste dal corso di studi, i giovani volevano continuare nell’approfondimento delle conoscenze, ricevevano un attestato che li autorizzava a rimanere nella corporazione come insegnanti. La stessa cosa avveniva per gli artigiani che entravano in una corporazione come garzoni e poi, se acquisivano capacità particolari, continuavano a lavorare all’interno dell’istituzione col grado di maestro e con il diritto di aprire una bottega tutta propria. Oggi le Università dell’Europa continentale sono generalmente delle istituzioni pubbliche largamente finanziate dallo Stato le quali garantiscono pari opportunità di accesso agli studenti meritevoli, compresi quelli con redditi familiari modesti. Esse si qualificano normalmente per il loro carattere interdisciplinare idoneo a promuovere l’incontro fra esperienze di studio e di ricerca favorendo in questo modo un'ampia formazione culturale del futuro laureato. Inoltre, in virtù di una stretta compenetrazione fra didattica e ricerca, il docente universitario è anche un ricercatore che trasmette in aula non solo le conoscenze codificate, ma anche e soprattutto le innovazioni frutto del lavoro svolto nei laboratori. L’Università italiana si trova attualmente in una fase di profonda trasformazione soprattutto per quanto riguarda i suoi legami con lo Stato. Da organismo periferico del Ministero dell’Istruzione e, dal 1989, del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica, l’istituzione si sta trasformando gradualmente in ente pubblico dotato di personalità giuridica con autonomia didattica e amministrativa. Questo sta comportando profonde modifiche nei programmi d’insegnamento, nella denominazione dei corsi di laurea e nel reclutamento del personale docente.
2. LA NASCITA DELL’UNIVERSITA’ DI
UDINE
Tutte le volte che un popolo o una comunità
perviene ad un adeguato livello di consapevolezza dei propri valori e del
proprio destino sente l’esigenza di accrescere e consolidare la propria
identità culturale attraverso l’istituzione di una scuola di studi superiori.
Così avveniva in passato e così avvenne una trentina di anni fa quando gli
abitanti di queste terre presero coscienza della specificità del ruolo che il
Friuli aveva svolto nei secoli passati quale mediatore fra le correnti
culturali del mediterraneo e quelle provenienti dalle aree del Nord d'Europa. Il
desiderio di conservare, valorizzare e trasmettere alle generazioni future le
proprie tradizioni e la propria storia spiegano i motivi per i quali la gente
friulana ha chiesto a gran voce un proprio centro autonomo di istruzione
superiore. L’Università degli Studi di Udine venne quindi istituita formalmente, all’indomani del terremoto del 1976, con l’obiettivo dichiarato di fungere da strumento di rinascita e di sviluppo dell’intero territorio friulano. La legge istitutiva, all’articolo 26, delineava con precisione i motivi e le finalità della nuova istituzione: “L’università di Udine – vi si leggeva – si pone l’obiettivo di contribuire al progresso civile, sociale e alla rinascita economica del Friuli e di divenire organico strumento di sviluppo e di rinnovamento dei filoni originali della cultura, della lingua, delle tradizioni e della storia del Friuli”. Il disegno di una Università del Friuli non rappresenta tuttavia una realtà recente o una aspirazione del tutto occasionale, ma ha le radici molto lontane nel tempo e si sviluppa attraverso i secoli lungo un percorso tuttavia di non facile ricostruzione. La prima volta in cui si sente parlare di Università in Friuli fu agli inizi del Trecento quando il patriarca Ottobono, in una seduta del Parlamento tenuta a Gemona, dichiarò la sua intenzione di istituire una Università degli Studi a Cividale. Seguirono degli atti concreti da parte del comune di quella città come lo stanziamento di fondi finalizzati al progetto e l’assunzione di alcuni docenti, ma non è chiaro, per mancanza di documentazione, se l’iniziativa prendesse effettivamente avvio. E’ certo invece che il proposito di istituire un centro di studi superiori nel Patriarcato fu ben presente ai successori di Ottobono. A Praga, il 1° agosto 1353, Carlo IV re dei Romani e re di Boemia firmava un privilegio in favore del patriarca aquileiese Nicolò di Lussemburgo, suo fratello, per concedere l’istituzione di uno Studium generale di arti, diritto romano e canonico a Cividale. Il documento esiste ma vi sono dubbi sulla sua autenticità, avvalorati dal fatto che non si trova traccia nei documenti ufficiali riguardo allo Studium di Cividale. Non sarebbe quella di Cividale l’unica scuola universitaria del medioevo a non prendere l’avvio nonostante la concessione imperiale o pontificia. Molto probabilmente alcune attività di insegnamento cominciarono il loro cammino e si protrassero per un certo periodo di tempo, ma si spensero definitivamente dopo l’annessione del Friuli alla Repubblica veneta la quale aveva tutto l’interesse a chiudere le scuole concorrenti nelle città del territorio per potenziare l’Ateneo padovano. Da quel momento, e siamo nel 1420, non si sentirà più parlare di Università del Friuli e per secoli gli studenti di queste terre saranno costretti ad andare a studiare soprattutto a Padova, dove si formerà una consistente comunità friulana, mentre gli studenti del Friuli goriziano sceglieranno di prendere la via di Graz e di Vienna. Con l’annessione del Friuli al Regno d’Italia, nel 1866, Quintino Sella fece sperare gli Udinesi nella istituzione di una Università nella loro città. Parallelamente a Gorizia, che rappresentava l’unico centro di qualche importanza per la popolazione friulana e slovena del litorale austriaco, venne promessa l’istituzione di una sede universitaria al fine di consentire agli studenti dei territori adriatici dell’Austria l’indipendenza culturale da Graz e Vienna. Non si fece nulla né a Udine né a Gorizia e la nascita, nel 1924, dell’Università a Trieste taciterà per un lungo periodo le richieste di un'Università in Friuli. Agli inizi degli anni ’60, come abbiamo visto, sull’onda di un forte sviluppo economico dovuto soprattutto ad una piccola imprenditorialità operosa e intraprendente, si afferma la consapevolezza delle specificità culturali e linguistiche del Friuli e, unitamente a un movimento politico autonomista, cresce anche l’esigenza di creare un centro autonomo di elaborazione culturale, scientifica e professionale. La mancata istituzione di una Facoltà di Medicina presso l’Ospedale di Udine, ritenuto uno fra i migliori in Italia alla metà degli anni Sessanta, innescò una serie di manifestazioni studentesche che costrinsero l’Università di Trieste a istituire, nel 1968, la facoltà di Lingue e successivamente, nel 1972, a decentrare il biennio della facoltà di Ingegneria in Udine. Il resto è storia dei nostri giorni. L’Università degli Studi di Udine nasce con un profilo di forte specializzazione imposta sia dalla volontà di realizzare elementi di novità, sia dall’esigenza di evitare, per quanto possibile, iniziative già presenti nell’altra Università della Regione. Sono stati così attivati corsi del tutto nuovi come Conservazione dei beni culturali, o presenti in Università lontane come Ingegneria civile per la difesa del suolo e la pianificazione territoriale, Scienze delle preparazioni alimentari e Scienze della produzione animale, oltre naturalmente ad indirizzi più classici alcuni dei quali però assenti nell’altra Università regionale. Fin dagli inizi l’Ateneo friulano si era prefisso tre obiettivi qualificanti. Il primo era quello di fornire ai giovani una preparazione altamente qualificata in modo da metterli in condizione di affrontare i difficili percorsi lavorativi all’interno di un contesto socio-economico che di giorno in giorno diventa più complesso e in rapida trasformazione. Il secondo era quello di puntare sull’avanzamento di tutte le frontiere della conoscenza attraverso una ricerca di qualità. Il terzo, il più originale e ambizioso, era quello di impegnarsi al servizio del territorio. Si trattava di organizzare le proprie strutture e i propri programmi in funzione del sistema sociale, culturale ed economico del Friuli e dell’intera Regione, quindi creare un’Università non tanto e non solo come istituzione territoriale, ma organismo che mette le sue potenzialità al servizio del territorio. In definitiva l’Università di Udine nasce con l’obiettivo primario e qualificante di mescolare sapientemente tradizione e innovazione, ricerca e didattica, fantasia per porre nuovi problemi ed energia per cercare di risolverli. Nell’anno accademico 2000-2001, presso l’Università di Udine, che attualmente conta oltre 15.000 studenti, erano operanti 10 facoltà con 19 corsi di laurea e 18 corsi di diploma universitari organizzati in 28 dipartimenti. Fino alla vigilia della riforma, un corso di laurea e alcuni corsi di diploma triennali erano dislocati fuori della provincia di Udine. A Gorizia, ad esempio, oltre al corso di laurea in Relazioni pubbliche, vi era il diploma per Traduttori e Interpreti, quello di Operatore dei beni culturali e quello di recente istituzione di Viticoltura ed enologia con sede a Cormòns. Nell’area del Collio goriziano, dove esiste una tradizione vinicola millenaria, vi era la necessità di creare un Centro per la ricerca in viticoltura ed enologia che favorisse anche gli scambi internazionali di studenti, docenti e ricercatori oltre a sperimentazioni a supporto della didattica e l’Università di Udine ha provveduto a colmare questa carenza. Alcuni corsi erano dislocati a Pordenone, Tecnologie alimentari a Thiene (Vi) e un corso di diploma di Infermiere a Mestre (Ve). Nell’ultimo anno l’offerta didattica si è arricchita di tre nuove lauree (Tecnologie Web e multimediali, Scienze e tecnologie per l’ambiente e la natura, Igiene e sanità animale) e altrettante nuove lauree specialistiche (Fisica computazionale, Interpretazione e Traduzione specialistica e multimediale) per le quali, al fine di contenere la spesa, era stato previsto un numero di iscritti limitato.
3. LA RIFORMA UNIVERSITARIA Alla data del 5 novembre 2001, termine di chiusura delle iscrizioni, l’Ateneo udinese ha raggiunto e superato il traguardo delle 3500 nuove iscrizioni al primo anno. Questo risultato porta l’Università friulana, per la prima volta nella sua storia, ad essere il primo Ateneo della regione per numero di immatricolazioni. Il risultato appare ancora più sorprendente se si considera la sensibile riduzione del numero di giovani in età universitaria in tutto il Paese, ma soprattutto nel Nord-Est, e il moltiplicarsi di numerose iniziative universitarie sparse sul territorio del vicino Veneto, che incidono sullo stesso bacino d’utenza da cui attinge anche l’Università di Udine. L’anno accademico che si è appena aperto sarà caratterizzato e ricordato per la piena realizzazione dell’autonomia universitaria. Con l’anno accademico 2000/2001, come abbiamo detto, è entrata in vigore la riforma degli ordinamenti didattici, una vera e propria rivoluzione all’interno del mondo universitario che concede agli atenei la più ampia autonomia nel disciplinare i propri corsi di studio. Il provvedimento si era reso necessario per armonizzare il sistema universitario italiano con quello europeo e ai 70 atenei della Repubblica erano stati concessi 18 mesi di tempo per riorganizzare i vecchi percorsi di studio. Fulcro della riforma è una diversa strutturazione dei corsi: la laurea si ottiene infatti dopo solo tre anni di studio e non più dopo i quattro o i cinque precedenti. I nuovi corsi di laurea si prefiggono l’obiettivo di assicurare allo studente una preparazione di base a carattere generale, ma soprattutto di fornirgli specifiche conoscenze professionali necessarie per affrontare un mondo del lavoro in costante e rapida trasformazione. Alla conclusione dei tre anni si potranno eventualmente seguire corsi di laurea specialistici più ambiziosi di durata biennale che forniscano al neolaureato una formazione di livello avanzato per l’esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici. La nuova formula è stata battezzata “3 più 2”. Tutti i corsi di diploma universitario e quelli di laurea quadriennali e quinquennali presenti al momento della riforma nelle Università italiane saranno quindi gradualmente sostituiti dai nuovi corsi di laurea triennali, più due eventuali di specializzazione, riservati a chi volesse approfondire meglio le conoscenze. Dopo la laurea sono previsti altri corsi di approfondimento come il Diploma di specializzazione e il Dottorato di ricerca. Il primo si propone l’obiettivo di fornire conoscenze e abilità per funzioni richieste da particolari attività professionali e si consegue dopo l’acquisizione di una laurea, anche se solo di primo livello. La sua durata è definita dai rispettivi ordinamenti interni all’Università. Il Dottorato di ricerca si prefigge invece il fine di fornire conoscenze di metodi e contenuti diretti all’esercizio di attività di ricerca scientifica pura e applicata; si consegue, in questo caso, dopo l’acquisizione della laurea specialistica e ha durata non inferiore a tre anni. Oltre ai diplomi di specializzazione e ai dottorati di ricerca sono previsti i Master universitari che sono corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione ed avranno durata annuale. Saranno costituiti per ciascuna facoltà e si potranno conseguire o dopo la laurea di tre anni (Master di I livello) o dopo la laurea specialistica (Master di II livello). La riforma ha investito tutte le facoltà che non erano già organizzate su ordinamenti didattici riconosciuti a livello europeo come ad esempio Medicina e Chirurgia il cui ordinamento è già uniformato alla normativa europea. Il vantaggio di corsi di laurea brevi non è da poco, basti pensare ad esempio che oggi l’85% dei laureati in giurisprudenza non fa né l’avvocato, né il magistrato, né il notaio, ma trova altri impieghi nel settore pubblico o privato. Con il nuovo corso di studi un giovane che intendesse seguire gli studi giuridici, ma non avesse alcuna intenzione di fare l’avvocato, il magistrato o il notaio sceglierà la laurea triennale: meno esami, programmi meno onerosi rispetto al passato e la possibilità di entrare nel mondo del lavoro a 22-23 anni invece che ai 25–27 attuali. Chi invece ha per obiettivo l’attività forense sceglierà la laurea specialistica e continuerà a studiare dopo il conseguimento della laurea di primo livello per altri due anni. L’accorciamento dei tempi necessari alla laurea dovrebbe servire anche a superare gli atavici difetti del sistema universitario italiano fra cui quello di ridurre la cosiddetta dispersione scolastica, ossia l’abbandono degli studi universitari dopo i primi fallimenti e anche a ridurre i ritardi, che di norma si aggirano sui due o tre anni, nel conseguimento della laurea stessa. Vi sono molti dubbi sull’efficacia di questa formula, tuttavia è evidente che è sempre meglio concludere rapidamente il ciclo di studi con una laurea di primo livello che fornisce una preparazione professionale più modesta, ma adeguata per un rapido ingresso nell’attività lavorativa, piuttosto che precipitare in delusioni gravi come quelle delle attuali interruzioni traumatiche e frustranti degli studi. 4. LA RIFORMA NELL’ATENEO UDINESE L’Ateneo friulano non si è lasciato sorprendere dal cambiamento, facilitato in questo dalla sua agile struttura di centro studi giovane (anche relativamente all’età del corpo docente e del personale amministrativo), reattivo e quindi pronto a tradurre le teorie in fatti. Esso si era preparato per tempo e prima dell’entrata in vigore della riforma aveva già predisposto le linee guida del nuovo ordinamento interno che è entrato in vigore con il mese di ottobre del 2000 ed è stato fra i primi atenei in Italia ad avviare concretamente la riforma. L’adeguamento di tutti i corsi di laurea esistenti alla nuova normativa dei “tre anni più due” e la trasformazione dei diplomi in corsi di laurea a tutti gli effetti ha comportato una riorganizzazione degli insegnamenti nel loro numero e nei loro contenuti al fine di garantire il conseguimento di un titolo di studio che conservi gli elevati livelli qualitativi propri di un corso universitario, ma che nello stesso tempo fornisca conoscenze di tipo professionale immediatamente spendibili sul mercato del lavoro. Con l’anno accademico 2000-2001 è stato anche abolito il numero chiuso, con l’eccezione dell’area sanitaria, ma i diplomati che vorranno iscriversi alle altre facoltà dovranno dimostrare che la loro preparazione di base è adeguata al corso di studi prescelto. Per accedere ai singoli corsi di laurea gli studenti dovranno infatti vantare dei requisiti specifici, la cui verifica sarà a carico dell’Ateneo con le forme e le modalità che esso riterrà più idonee. Queste potranno essere: il superamento di un esame di ammissione, la frequenza obbligatoria di corsi specifici o semplicemente l’accettazione delle garanzie offerte dalla scuola da cui lo studente proviene. Non si tratta in realtà di una discriminazione nei riguardi degli studenti, come qualcuno ha insinuato, ma un modo per non creare illusioni. Attualmente su cento studenti che provengono dagli istituti tecnici e che si iscrivono alle facoltà umanistiche solo sei in sette anni di studio si laureano, gli altri sono destinati al fallimento. Comunque, coloro che non riuscissero a superare la prova di accesso potranno iscriversi lo stesso, ma saranno obbligati a recuperare il debito formativo entro il primo anno attraverso una serie di attività integrative, al termine del quale è prevista una verifica. Se quest’ultima risultasse negativa, lo studente dovrebbe cambiare indirizzo di studi o rinunciare alla laurea. Cambia anche la didattica: nascono le cosiddette “classi” che tagliano trasversalmente le materie affini tra diverse facoltà dando in questo modo allo studente la possibilità di un percorso di studi flessibile e più vicino alle sue esigenze. Sono state individuate dal Ministero 42 classi che accorperanno e riuniranno materie comuni ora dislocate in diverse facoltà. All’interno di ciascuna classe ogni ateneo potrà attivare uno o più corsi di laurea che condivideranno gli obiettivi formativi qualificanti, ma si differenzieranno fra loro per la denominazione, per gli obiettivi formativi specifici e soprattutto per la scelta dettagliata delle attività di carattere tecnico che saranno richieste agli studenti per conseguire la singola laurea. A questo proposito è importante segnalare che, nell’Ateneo friulano, la definizione del profilo professionale coinvolgerà anche i rappresentanti delle diverse categorie produttive. Un altro aspetto fondamentale della riforma riguarda i cosiddetti crediti formativi. Essi forniranno un criterio per la stima delle attività di apprendimento cui è soggetto lo studente fra lezioni frontali, esercitazioni, tirocini e studio individuale. Il sistema dei crediti formativi serve come misura del carico di lavoro dello studente per cui la lunghezza di un corso di studi non sarà più espressa in anni, ma sarà data dal numero dei crediti accademici accumulati. Ad ogni credito corrispondono infatti circa 25 ore di lavoro, comprensive dello studio individuale e di altre opzioni formative individuali. La quantità media di lavoro di apprendimento svolto in un anno dallo studente impegnato a tempo pieno negli studi universitari è convenzionalmente fissata in 60 crediti. I crediti vengono acquisiti con il superamento degli esami e per laurearsi servono 180 crediti che possono essere raggiunti anche prima dello scadere del terzo anno di studi. I crediti necessari per la laurea sono comprensivi della conoscenza di una lingua dell’Unione Europea (segnatamente l’inglese) oltre all’italiano. L’Ateneo udinese ha posto altre condizioni al conseguimento della laurea. Sono previste infatti prove di conoscenza di informatica e il possesso di capacità comunicative e di comprensione delle modalità di funzionamento di organizzazioni simili a quelle che lo studente troverà all’interno dei circuiti aziendali entro i quali si verrà a trovare una volta completato il percorso universitario. Tutte queste attitudini e un certo “gusto del rischio” sono coltivate da insegnamenti specifici. Il laureato presso l’Ateneo friulano vanterà quindi conoscenze linguistiche, informatiche, comunicazionali ed imprenditoriali che gli faciliteranno l’ingresso nel mondo del lavoro. Un altro aspetto fondamentale della riforma riguarda la possibilità concessa alle singole Università di costituire corsi di laurea e insegnamenti specifici corrispondenti alle vocazioni e alle richieste del mercato del lavoro del territorio cui le Università stesse si rivolgono. Di questa possibilità, l’Università di Udine cercherà di trarre il meglio offrendo servizi didattici organizzati quanto più possibile su misura dello studente e del mercato del lavoro con cui essa si raccorda. E’ previsto ad esempio l’insegnamento del friulano, in seguito al riconoscimento dello status di lingua di questo idioma. L’entrata in vigore della riforma didattica non ha comportato alcun disagio agli oltre 12 mila studenti presenti in quel momento nell’Ateneo friulano, anzi ai fuori corso portò dei vantaggi. Chi era già iscritto all’Università ha avuto una doppia opportunità: completare i propri studi sulla base dell’ordinamento didattico antecedente alla riforma oppure chiedere il passaggio al nuovo ordinamento. Agli studenti fuori corso è stata offerta l’opportunità di concludere rapidamente il ciclo di studi con la laurea triennale facendosi semplicemente riconoscere gli esami già sostenuti e quindi discutendo la tesi. fine |