IN
POCHI E ANCHE VECCHI 1.
L’INCREMENTO DEMOGRAFICO RALLENTA Per
la prima volta nella storia dell'umanità si assiste, in numerose regioni del
mondo, ad un deciso e consistente rallentamento dell’incremento demografico:
nello stesso tempo e in conseguenza di ciò, il numero dei giovani
percentualmente è in calo, mentre è in aumento quello dei vecchi. Dobbiamo
preoccuparci? Vediamo. Con la fine del millennio, la popolazione mondiale avrà
raggiunto e superato i sei miliardi di abitanti, un numero che gli esperti
giudicano eccessivo perché si continui a vivere ancora a lungo agli attuali
standard di comodità e benessere. Inoltre, anche se vi sono segni evidenti,
soprattutto nei paesi industrializzati, del calo dell'incremento demografico, la
popolazione mondiale, nel suo complesso, continua a crescere e lo fa ad un ritmo
tale che prevede il suo raddoppio ogni 50 anni circa. A questa velocità, per
intenderci, fra un secolo, contemporaneamente su questa Terra, vivranno 25
miliardi di persone e fra 350 anni si sfioreranno i 1.000 miliardi. Una
tendenza, tuttavia, non è un destino ed è evidente che le cose non potranno
andare come prospettato. In realtà, la popolazione mondiale ha già
abbondantemente superato il limite di sopportabilità del pianeta (anche se ciò
non si nota nei paesi altamente industrializzati) e deve diminuire al più
presto se non si vuole perdere quanto di buono è stato costruito finora e se si
vuole rimediare, almeno in parte, ai danni prodotti sull’ambiente. La
disponibilità di alimenti, di acqua e di energia è già oggi insufficiente in
molte parti del pianeta, mentre l'inquinamento e il degrado dell'ambiente hanno
ormai raggiunto un tasso di pericolosità allarmante. E'
necessario quindi attivarsi con intelligenza ed equilibrio per disciplinare la
crescita della popolazione fino ad invertirne la marcia, perché se non si
agisce subito in modo graduale e consapevole l'incremento demografico si
arresterà ugualmente, ma lo farà nel peggiore dei modi. Non sembra infatti
essere molto lontano il giorno in cui l'umanità in preda al panico, nel
tentativo maldestro di salvare il salvabile, cercherà di sfruttare al massimo
la tecnologia di cui dispone con la conseguenza di appestare l'ambiente in modo
definitivo. Le epidemie allora si diffonderanno con sempre maggiore frequenza e
non ci sarà modo di controllarle, mentre la scarsità di cibo e di energia
spingerà le nazioni a combattersi fra loro per accaparrarsi quel poco di buono
che la Terra sarà ancora in grado di offrire. Si verrà a creare una situazione
di forte tensione sociale e di insicurezza che porterà alla barbarie, con la
prospettiva concreta dell'estinzione della nostra specie.
2. ABBASSARE IL
TASSO DI NATALITA’ Non
possiamo aspettare che le cose migliorino da sole e quindi deve essere l’uomo
ad indicare la strada da percorrere. Ora, come è facile capire, per arrestare
l'incremento demografico non vi sono che due vie: alzare il tasso di mortalità
o abbassare quello di natalità. La
prima soluzione, ovviamente, è impraticabile. Quali sistemi si dovrebbero
escogitare per aumentare il numero dei morti? Si dovrebbero diffondere
pestilenze in alcune parti del pianeta? Si dovrebbero scatenare guerre
fratricide fra le popolazioni più povere e più deboli fino ad arrivare
all'olocausto? O si dovrebbero, in modo più subdolo, mettere in difficoltà i
vecchi dimezzando loro la pensione e raddoppiando il ticket sui medicinali? In
quest'ultimo caso si otterrebbe il duplice vantaggio dell'abbassamento
demografico e della riduzione delle spese sociali. E' ovvio che la civiltà non
sopravvivrebbe ad una politica mondiale di assassinio selettivo. Non
rimane allora che ridurre il tasso di natalità e per farlo, si possono adottare
vari metodi, alcuni basati sulla costrizione, altri sulla consapevolezza. Si
potrebbe, ad esempio, come sta facendo la Cina, agire sulla pressione fiscale in
modo da dissuadere le giovani coppie ad avere troppi figli. E’ difficile, per
noi occidentali, accettare ciò che sta avvenendo in quel Paese dove il Governo
promette incentivi economici a chi mette al mondo un solo figlio, mentre
minaccia pesanti sanzioni e tasse molto elevate a chi ne mette al mondo più di
uno. Certo è che il sistema finora ha funzionato anche se ha creato disparità
e prodotto tensioni sociali preoccupanti perché i contadini più ricchi possono
pagare le multe e mettere al mondo quanti figli vogliono, mentre i poveri, non
potendo generare più di un figlio, vogliono almeno che quell’unico sia
maschio e per ottenere lo scopo spesso arrivano a compiere l’infanticidio
delle neonate. Si tratta certamente di metodi odiosi, ma in pochi anni la Cina
ha visto passare la fertilità media da cinque figli per coppia a soli 2,1.
Invece l’India, che è ancora molto lontana da questi risultati, nel 2030 con
un miliardo e mezzo di abitanti avrà superato la Cina. Oggi quel Paese, dagli
osservatori internazionali, è considerato il simbolo dell’insuccesso delle
politiche demografiche. In
alternativa ci sarebbero i sistemi basati sulla persuasione, i cui effetti però
sono molto lenti. Per secoli l’uomo si è sforzato di persuadere le donne che
la maternità rappresentava la totale realizzazione della loro personalità e
che il compito più nobile che la società ha affidato loro è stato quello di
procreare ed allevare i figli. Ebbene, questo concetto oggi non è più attuale
ed è opportuno che cambi e che cambi in fretta e in modo radicale. Le
donne non sono al mondo per fare figli anche se per lungo tempo si sono
sacrificate quasi esclusivamente in questo ruolo. Fare tanti figli poteva andare
bene (e in effetti andò bene) in un mondo spopolato, con una durata media della
vita molto bassa e con una mortalità infantile enorme, ma ora le cose sono
cambiate: il mondo è pieno di gente che mediamente vive a lungo e la mortalità
infantile, almeno nei paesi più industrializzati, è stata praticamente
sconfitta. Sono lontani i tempi in cui alla limitazione delle nascite provvedeva
il buon Dio con le malattie infantili e le morti per parto. In quei tempi
perfino un terzo dei bambini moriva prima del compimento del primo anno d’età
e anche la maternità era molto rischiosa e provocava molti decessi fra le
stesse partorienti. Oggi
mettere al mondo tanti figli non ha più senso, ed anzi, farlo deliberatamente,
equivale a commettere un atto sconsiderato e dannoso nei confronti dell’intera
comunità. Di questo si devono convincere le donne e nello stesso tempo devono
prendere coscienza della enorme responsabilità, nei confronti della società
civile, che grava sulle loro spalle. In
ogni tempo le donne hanno sempre ricoperto un ruolo determinante nella dinamica
demografica; attualmente una donna che vive in un paese altamente
industrializzato e che gode di un discreto livello di benessere è più
preoccupata per la sorte dei figli che ha, ai quali vorrebbe assicurare una vita
ricca di opportunità e priva di rischi, piuttosto che di metterne al mondo
degli altri. Al contrario, una donna che vive in un paese povero del terzo o del
quarto mondo con un alto tasso di mortalità infantile, tende ad avere molti
figli perché inconsapevolmente percepisce che molti di loro non supereranno i
primi anni di vita. Con
l’esigenza di un razionale controllo delle nascite deve mutare anche il nostro
atteggiamento nei confronti del sesso. La sessualità è sempre stata
considerata funzionale alla procreazione e l'atto sessuale, per qualsiasi altro
fine fosse stato praticato, era ritenuto sconveniente, peccaminoso e contro
natura. Ciò non è vero; e non può essere vero. Questo
convincimento è falso perché l’uomo, dal punto di vista del comportamento
sessuale, è un caso unico nel regno animale. Negli animali (e nelle piante) la
riproduzione è un fatto naturale e spontaneo finalizzato alla sopravvivenza
della specie. Nelle femmine di gran parte dei mammiferi, ad esempio, esiste
l’estro, cioè un breve periodo di tempo in cui il desiderio sessuale si fa
irresistibile e incontrollabile e in cui gli animali sono, per così dire,
costretti ad accoppiarsi perché è la natura stessa che glielo impone. L'uomo
invece non ha periodi limitati di fecondità: egli è fecondo sempre (entro una
certa età), e quindi lo stimolo sessuale non è determinato solo dal ciclo
riproduttivo, ma anche e soprattutto da fattori di tipo culturale e ambientale.
L’uomo può compiere l'atto sessuale in qualsiasi periodo dell'anno e in
qualsiasi momento della giornata e quest'atto, inoltre, non prevede
necessariamente la nascita di un figlio, a differenza di quanto avviene negli
animali per i quali, ad ogni periodo degli accoppiamenti, segue,
infallibilmente, la nascita della prole. L'atto
sessuale, nell'uomo, deve avere quindi un altro fine oltre a quello, ovvio,
della procreazione. Quale sarebbe questo fine? Poiché si tratta di un'azione
piacevole e desiderabile non è escluso che possa essere servita, agli albori
della sua storia, per tenere unita la coppia al fine di facilitare l'allevamento
dei figli, con chiaro vantaggio evolutivo. Oggi invece, indipendentemente dal
fatto biologico, la sessualità deve essere interpretata in modo più ampio e
cioè come un atto interpersonale e sociale, un modo intimo e intenso di
comunicare fra due individui di sesso opposto e non come un'azione unicamente e
necessariamente rivolta alla procreazione. Naturalmente,
una vita senza figli, e senza avere modo di indirizzarla verso altri interessi,
rappresenterebbe, per la donna, una vita vuota, quasi inutile, e non sarebbe
molto agevole convincerla che passare il tempo senza fare niente è una delle
massime aspirazioni della specie umana. Con che cosa si potrebbe quindi riempire
la vita di una donna che rinunciasse ai figli? Naturalmente con il lavoro e lo
studio. La donna di oggi deve poter accedere a tutte le professioni, senza
limiti di funzioni e di carriera, esattamente come avviene per l'uomo. Solo
raggiungendo la parità di diritti con l'altro sesso la donna potrebbe
rinunciare ai figli. Questo non vuole dire che non ci sarebbero più bambini,
vuol dire semplicemente che i bambini sarebbero pochi e quindi più preziosi: un
bene da tutelare e proteggere con la massima cura e da trattare con la più
tenera e amorevole attenzione educativa.
3. IL PROBLEMA
DEI VECCHI E
veniamo al problema dei vecchi. In un mondo in cui il rallentamento demografico
è determinato da un ridotto tasso di natalità, mentre la durata media della
vita continua a crescere, è fatale che il numero dei giovani sia destinato a
diminuire e quello dei vecchi ad aumentare. E anche se con gli inizi del nuovo
secolo il numero degli anziani dovesse diminuire, insieme al resto della
popolazione, in percentuale i vecchi continuerebbero ad essere preponderanti sui
giovani. Questo discorso, tuttavia, vale solo in termini relativi; in assoluto
invece mai il mondo è stato così giovane come è oggi. Attualmente, sul
pianeta, vi è un miliardo di persone di età compresa fra i 15 e i 24 anni, e
mai si era verificata in passato una cosa del genere. Per dire il vero purtroppo
si tratta soprattutto di giovani che vivono in Paesi sottosviluppati e quindi
con scarsa o nulla scolarizzazione e con conoscenze professionali piuttosto
approssimative. L’esigenza
di un mutamento della composizione della popolazione non è una questione di
scelta: è il prezzo della sopravvivenza, è lo scotto che dobbiamo pagare se
vogliamo continuare a disporre di alimenti, energia e altri beni di consumo come
attualmente avviene e se vogliamo aiutare le popolazioni più povere della Terra
a migliorare il loro tenore di vita. Solo una migliore qualità della vita, fra
l'altro, abbasserebbe il tasso di natalità (e di mortalità infantile), ancora
elevatissimo, nelle zone più depresse del nostro pianeta. Il
mondo di domani, soprattutto dei paesi industrializzati, è destinato quindi a
diventare un mondo di vecchi, così come quello di ieri è stato un mondo di
giovani. Come dovrà essere organizzato? Sarà migliore o peggiore di quello
attuale? Sicuramente
sarà diverso. Fino a tempi molto recenti il modello di società era costruito a
misura di giovane anche perché il mondo, in lenta e graduale trasformazione,
era popolato, come abbiamo visto, prevalentemente da giovani. La durata media
della vita era bassissima e le persone che, logorate da un lavoro faticoso e
debilitante, superate anche le malattie e le frequenti epidemie, riuscivano a
raggiungere un’età avanzata, erano veramente poche. Per le donne invecchiare
era ancora più difficile che per gli uomini giacché, in aggiunta a tutti i
mali che affliggevano l'umanità, vi erano anche i pericoli connessi con la
gravidanza e il parto. Per farsi un’idea del fenomeno si rifletta sul fatto
che all’inizio di questo secolo le persone con oltre 65 anni d’età erano
poco più dell’uno per cento della popolazione mondiale, mentre attualmente
sono quasi il sette per cento e nel 2050, si calcola, sarà il 20%. Tuttavia
gli anziani anche per il loro numero limitato non rappresentavano, in passato,
un problema per la società, anzi al contrario di oggi, essi erano molto
considerati per la loro esperienza e perché depositari delle conoscenze più
recondite, tutte cose che potevano tornare utili in una civiltà povera di
documenti scritti e ricca di analfabeti. E a questi vecchi, in effetti, ci si
rivolgeva con fiducia e rispetto; spesso anche per chiedere consigli sul modo di
governare la comunità. Come
andranno le cose in futuro? Innanzitutto vi è da dire che il sessantenne che va
oggi in pensione normalmente è un anziano sano di corpo e di mente il quale ha
fondate speranze di vivere almeno altri vent’anni, mentre cento anni fa il
pensionato sessantenne era un vecchio decrepito senza eccessive speranze di vita
ulteriore. Fra cento anni, presumibilmente, i sessantenni che andranno in
pensione saranno degli adulti di aspetto giovanile con davanti a loro forse
altri quarant’anni di vita. La
vecchiaia non si computa quindi dal momento della nascita, ma da quello della
morte. In media, infatti, si è inabili negli ultimi due o tre anni di vita; ciò
significa che quando si moriva intorno ai cinquant’anni di età si diventava
vecchi a quarantasette anni, ora che si muore intorno agli ottanta anni si
diventa vecchi a settantasette. Con l’allungarsi della vita media si sono
allungate la giovinezza e la maturità delle persone mentre la durata della
vecchiaia è rimasta la stessa, forse addirittura è diminuita. I veri vecchi
quindi non sono aumentati rispetto al passato ma sono rimasti proporzionali al
numero delle persone che nascono, perché ogni bambino è destinato a vivere,
nella condizione di vecchio, non più di due o tre anni della sua vita. In
futuro le cose sono destinate a migliorare anche perché è prevedibile che
rispetto ad una società di giovani una società di adulti possa vantare una
migliore qualità della vita in quanto apprezza maggiormente la pace e la
convivenza fra i popoli, cura meglio il proprio corpo e la propria mente
evitando gli eccessi nel mangiare e nel bere e rinunciando all’uso di alcune
sostanze dannose come il tabacco e le droghe. La persona adulta inoltre legge di
più dei giovani e si dimostra maggiormente interessata ai problemi ambientali e
sociali. L’organizzazione
sociale si è fatta cogliere di sorpresa dal fenomeno tutto positivo della
longevità trasformando un progresso in tragedia per milioni di persone gettate
nella solitudine e nell’inerzia in attesa di una morte che tarda sempre più a
venire. Prendiamo, ad esempio, il problema dell'istruzione. Anche questa è
sempre stata intesa a favore dei giovani per aprire loro la strada che conduce
al mondo del lavoro e per fornire le conoscenze indispensabili per inserirsi,
senza troppe difficoltà, nella struttura organizzativa della società del loro
tempo. Una
volta terminati gli studi i giovani non sentivano più parlare di scuola, né
volevano sentirne parlare. L'istruzione veniva considerata qualche cosa di
acquisito una volta per sempre, un episodio della formazione dell'uomo la cui
validità sarebbe stata sufficiente per tutta al vita e non più bisognosa di
aggiustamenti o aggiornamenti. Questo convincimento, frutto evidentemente di una
scuola strutturata male, si è rivelato deleterio sia per i giovani che per gli
adulti. I
ragazzi ancora oggi, nonostante i miglioramenti e gli ammodernamenti che non
hanno tuttavia modificato l’organizzazione di base dell’istruzione,
considerano la scuola un'attività inutilmente faticosa che impone
l’apprendimento di cose superflue e di nozioni che servono unicamente a
rendere lo studio pesante e odioso. Sanno che terminato l’impegno scolastico
non dovranno più tornare in quello che per loro è stato più che un luogo di
cultura un ambiente di tortura. Per molti studenti il vero obiettivo non è
quello di imparare, ma di uscire al più presto dalla “prigione”. Gli
adulti associano la scuola alla loro età giovanile, cioè ad un'epoca passata e
ad un’esperienza dalla quale bene o male sono usciti per sempre. E così come
sanno che gli anni della giovinezza non tornano, allo stesso modo pensano che
sia riduttivo della loro dignità di adulti fare cose che facevano da ragazzi,
come leggere un libro, cercare di risolvere un problema o abbracciare un'idea
nuova. Sono così profondamente convinti della giustezza delle loro idee che non
le cambierebbero per nessuna ragione al mondo. Ne consegue un conservatorismo
ottuso e insopportabile, pregiudizialmente contrario a qualsiasi innovazione.
Questo è anche il motivo della sfiducia che spesso i giovani nutrono nei
confronti delle persone anziane che considerano arretrate e noiose. Però, nello
stesso momento in cui i giovani accettano questo stereotipo, vi si adeguano a
mano a mano che invecchiano e così si innesca un circolo vizioso. Naturalmente
vi sono alcune apprezzabili eccezioni rappresentate da quelle poche persone che
vogliono rimanere aggiornate e al passo coi tempi; esse però il loro
aggiornamento lo ottengono attraverso un'attività personale sacrificando parte
del loro tempo libero. Non esiste ancora una scuola per tutte le età, una
scuola che possa essere frequentata da chi lo desidera e quando lo desidera. Le
attuali scuole per adulti (le cosiddette Università della terza età) sono un
tentativo lodevole, ma in un certo senso ipocrita, di trattare umanamente le
persone anziane e dare ancora un senso alla loro vita. Nella
società contemporanea, che potremmo definire di transizione, chi è in possesso
di un'istruzione specializzata in breve tempo si vede tagliato fuori dal mondo
del lavoro e costretto ad un aggiornamento frettoloso e precario per non perdere
il salario. Ma anche gli altri, con il passare del tempo, incontrano difficoltà
sempre maggiori ad adattarsi alle nuove esigenze di una società in rapida e
continua evoluzione e i loro antiquati modi di pensare e di agire fanno
sorridere i giovani, i quali si convincono che, nella vecchiaia, debba esserci
qualche cosa di intrinsecamente stupido. Per
l'uomo pensare, ragionare, creare, dovrebbe essere invece una cosa spontanea,
quasi un piacere, un po’ come per il cavallo correre, per il piccione volare o
per il delfino nuotare. Nessun altro animale ha infatti un cervello tanto
sviluppato (rispetto al resto del corpo) quanto l’uomo e pertanto per l'uomo
l'uso del cervello dovrebbe essere un'attività del tutto naturale. E in effetti
i bambini quando ancora sono molto piccoli dimostrano una grande curiosità e un
desiderio incontenibile di conoscere il mondo che li circonda. Questo desiderio
poi si accresce ancor più quando imparano a parlare e cominciano a porre
domande su tutto ciò che frulla nella loro mente. Come mai, quando vanno a
scuola, generalmente i bambini non dimostrano più tutta la curiosità e la
vivacità intellettiva che avevano in precedenza? Ci
deve essere nell'istruzione scolastica qualche cosa che non funziona;
l'insegnamento evidentemente non è interessante (almeno non sempre), non
stimola la fantasia dei bambini, anzi molto spesso la inibisce. Nel momento in
cui lo scolaro si accorge che le risposte alle sue domande sono banali e poco
convincenti smette di fare domande. Come porre rimedio? 4.
CAMBIARE LA SCUOLA Una
riforma della scuola profonda e veramente innovativa sarebbe quella di riuscire
a trasformare il dovere di studiare in un piacere. Come fare? Un sistema
potrebbe essere quello di sostituire l'insegnante con il computer. Sembra una
provocazione ma si sa che i ragazzi si avvicinano volentieri al computer e in
genere a tutte le macchine. Le critiche alla proposta tuttavia sono forti e
vengono soprattutto dal mondo degli insegnanti: «Le macchine – essi dicono
– sono fredde, insensibili, incapaci di comprendere le esigenze dei giovani».
Perché – dicono i giovani – gli insegnanti non lo sono? Quanti insegnanti
freddi e insensibili ai bisogni dei ragazzi vi sono nelle nostre scuole? Se
questi insegnanti dovessero essere rimossi dai loro incarichi, probabilmente
molte scuole sarebbero costrette a chiudere. Con
il computer al posto degli insegnanti le cose invece procederebbero con maggiore
naturalezza e spontaneità. Tanto per cominciare non vi sarebbe da parte dei
giovani alcun problema di comprensione. Tutti sanno infatti con quanta
disinvoltura e facilità i ragazzi di qualsiasi età usino le macchine, mentre
come abbiamo detto non poche difficoltà, nei rapporti interpersonali, esistono
fra alunni ed insegnanti. La macchina inoltre sarebbe un insegnante paziente e
tollerante, disponibile a qualsiasi ora del giorno e della notte, programmata
appositamente per quel particolare studente e regolata sui suoi ritmi personali.
Né esisterebbe il pericolo, che qualcuno paventa, dell'isolamento e della
emarginazione del giovane. Il problema relativo ai contatti umani e alla
socializzazione fra ragazzi verrebbe risolto attraverso le esperienze di gruppo
da attuarsi nella pratica sportiva, nelle visite guidate ai musei e alla
osservazione dei fenomeni naturali, nel teatro, nei seminari e nei dibattiti
organizzati per mettere a confronto le esperienze acquisite. Lo
studente inoltre utilizzando l'insegnante macchina potrebbe scegliere i
programmi che più gli aggradano e gli argomenti che ritiene più interessanti.
A questo punto che male ci sarebbe se l'alunno decidesse, ad esempio, di
dedicare il suo tempo allo studio delle automobili che sono la sua passione?
Studiando le caratteristiche tecniche delle automobili prodotte e circolanti in
tutto il mondo, forse, in un secondo momento, sentirebbe la necessità di un
approfondimento e quindi la esigenza di leggere qualche rivista che tratta
l'argomento, migliorando, in questo modo, la lettura. (Agli Italiani, almeno a
quelli di sesso maschile, ha insegnato a leggere più la «Gazzetta dello sport»
che il Manzoni; ed è stata proprio la passione per il calcio, più che
l'istruzione obbligatoria, a ridurre, in tempi passati, il numero dei cosiddetti
“analfabeti di ritorno” nel nostro Paese.) Inoltre non è escluso che il
nostro studente interessato alle automobili, a forza di sentire parlare di
velocità e accelerazioni, di potenza e di numero di giri del motore, non
avverta il bisogno di conoscere in modo più preciso il significato di questi
termini e non decida quindi di passare allo studio della fisica. Ma
la cosa che più conta, dal nostro punto di vista, è che nessuno vorrà più
rinunciare al piacere di rimanere in contatto con il suo insegnante
personalizzato e aggiornato, al quale si è ormai affezionato come ad una
persona di casa e che è in grado di usare con piacere e grande disinvoltura.
L'uomo infatti non rinuncia con gli anni alle cose piacevoli della giovinezza,
come la bicicletta o il tennis (o, già che ci siamo, il sesso) anche se da
giovane, in queste attività, era più bravo. Perché allora dovrebbe rinunciare
a studiare e a pensare? Perché un uomo di sessant'anni, ad esempio, non
dovrebbe decidere di imparare una lingua straniera o di mettersi a studiare le
leggi e i principi che regolano il mondo della finanza e dell’economia, in
vista di una nuova occupazione? Con
una scuola impegnata ad impartire un'istruzione permanente all'interno di un
sistema completamente computerizzato e automatizzato, ci sarà la possibilità
di cambiare mestiere con facilità e senza che questo comporti traumi
irreparabili. I continui progressi della scienza e della tecnica, fra l'altro,
hanno messo a disposizione dell'uomo tutta una serie di macchine che sono in
grado di eseguire quei lavori tediosi e ripetitivi che mortificavano la sua
dignità e intelligenza. Trasferiti alle macchine anche molti lavori che
richiedono un notevole sforzo fisico, rimarrebbero solo lavori creativi e
altamente qualificati alla cui esecuzione le persone anziane non sarebbero meno
adatte di quelle giovani. Tuttavia giovani intelligenti e attivi, con idee
fresche e innovative, pronti a dare continuo impulso e stimolo alla comunità
non mancherebbero certamente, nemmeno in una società formata prevalentemente da
vecchi. Si
rifletta a questo proposito sul fatto che in un momento in cui il nostro Paese
sembra avviato a diventare il più vecchio del mondo, il numero dei disoccupati
dell’Italia del sud, già di per sé molto elevato, per il 30% è
rappresentato da giovani. Ciò nonostante si continua a considerare una vera
iattura il fatto che in Italia nascano pochi bambini. Il vero problema invece
non è quello di aggiungere altri giovani a quelli che già ci sono, ma semmai
di istruire i disoccupati in modo da dare loro una qualifica adeguata per un
pronto inserimento nel mondo del lavoro.
6. CAMBIARE LA
SOCIETÀ In
una società organizzata e programmata a misura di vecchio, dovrà scomparire
anche il concetto di pensione obbligatoria. Questa fu istituita al fine di
creare, in modo artificioso, posti di lavoro per i giovani, ma un domani, quando
i giovani saranno pochi, non sarà più necessaria e gli anziani potranno
continuare a lavorare finché lo vorranno. Costituirà una piacevole sorpresa
scoprire che una società che vede protagonisti i vecchi, non sarà affatto una
società monotona e pigra. Anche
la medicina e la ricerca scientifica dovranno fare la loro parte. Finora la
medicina ha avuto successo solo nel rendere la vita dell'uomo più lunga,
sconfiggendo le malattie infettive e molte altre cause di morte prematura.
Tuttavia la vecchiaia in sé rimane inalterata: un vecchio è sempre un vecchio,
oggi come in passato. Se la scienza medica riuscisse a capire i meccanismi
chimici e fisici che stanno alla base dell'invecchiamento, forse sarebbe in
grado anche di rallentare o magari di arrestare il processo di deperimento
organico che determina la senescenza. Per ora dobbiamo accontentarci di alcuni
utili suggerimenti, riguardanti l'alimentazione, il riposo e l'attività fisica
e intellettiva che dovrebbero servire a mantenere il fisico efficiente a lungo.
Sembra che fare il lavoro che piace ed esserne ripagati, faccia vivere sani, con
mente lucida ed entusiasmo intatto, fino a tarda età. Esiste, infine, una questione molto seria e
fondamentale, determinata dalla riduzione del tasso di natalità e
dall'invecchiamento della popolazione, che investe il futuro della specie nel
suo complesso. Come tutti sanno, la storia evolutiva degli esseri viventi è la
storia delle lente modificazioni delle specie o della sostituzione di una forma
vivente con un'altra. La capacità degli animali e delle piante di adattarsi
attraverso la creazione di nuovi organismi alle mutate condizioni ambientali,
prende il nome di «successo biologico». Ebbene, una delle condizioni per
raggiungere il successo biologico è quella di avere vita breve e numerosa prole
al fine di accelerare le mutazioni casuali e, contemporaneamente, dar modo alla
natura, attraverso la selezione, di scegliere le forme più adatte. Attualmente,
nella specie Homo sapiens, sta
avvenendo tutto il contrario e cioè si assiste ad una vita molto lunga e a un
ricambio generazionale molto lento, cosa che potrebbe mettere a rischio il suo
futuro evolutivo. Ma l'uomo, come abbiamo già detto, non è come tutti gli
altri animali che devono seguire i dettami della natura, l'uomo è intelligente
e quindi potrebbe fare a meno delle mutazioni e della selezione naturale per
migliorare la specie. Egli attraverso l'ingegneria genetica sarà in grado, in
un futuro non molto lontano, di guidare la propria evoluzione e di progettare
cambiamenti mirati all'ottenimento di organismi più forti e resistenti anche a
quelle malattie che la medicina non è ancora riuscita a sconfiggere. Il futuro dell'umanità potrebbe essere radioso e ricco di soddisfazioni soprattutto per i vecchi, che avranno su di loro la responsabilità di organizzare la società. Peccato che quelli di oggi, spesso avviliti, non possano vedere il tempo del loro riscatto. fine |