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CAMOGLI, LA SUA TONNARA E LA PESCA DIMENTICATA NEL
GOLFO PARADISO
CAMOGLI, perché è qui
che si svolge la nostra storia, o meglio la storia della sua Tonnara, una delle
ultime cinque rimaste in tutta Italia, un monumento alla tradizione della pesca,
antico come il tempo.
Charles
Dickens, durante una sua visita a Camogli nel 1845, definì così la nostra città
:"Vista dalla strada che rimane in alto Camogli sembra un minuscolo
modello sulla riva dell'acqua leggermente increspata e scintillante al sole.
E' la miniatura perfetta di una città marinara primitiva, la più
salata, la più ruvida, la più piratica cittadina che sia mai esistita"
Una città così non poteva che vivere proiettata sul mare e sul mare si
proiettò in tanti modi diversi praticando anche questo mestiere così antico e
misterioso : la pesca. Questo è un duro lavoro che i pescatori di Camogli
portano avanti da sempre con determinazione e coraggio perché con la pesca non
ci si arricchisce, ma l'uomo che sta in barca, da solo, a tu per tu con il mare
sarà anche ruvido e silenzioso, ma
è sicuramente ricco dentro. Parleremo
anche di tipi di pesca diversi dalla Tonnara,
che si praticavano un tempo, tradizioni
ormai perse, come purtroppo forse un giorno si perderà la Tonnara.
LA
TONNARA
Cos’è
una tonnara ? E’ un
insieme di reti disposte in mare con uno schema fisso, uguale da secoli e per
tutte le tonnare che, come dice il nome, viene usato per la cattura dei tonni.
Questo sistema di pesca era già praticato dai Fenici poi dai Greci e
dagli Arabi che lo utilizzarono nell’antichità e lo diffusero largamente.
Gli Arabi fecero i primi esperimenti di tonnara in Sicilia intorno
all’anno 1000, mentre gli Spagnoli, che avevano imparato questo sistema di
pesca durante la dominazione Araba nel loro paese,
iniziarono a calare le tonnare lungo tutta la costa occidentale della
Sardegna dopo averne preso possesso nel 1478.
Ormai
nel Mediterraneo ne sono rimaste pochissime :
due in Sicilia, quelle di Favignana e di Bonagia, due in Sardegna, quella
di Carloforte (o Isola Piana), nell’Isola di San Pietro, e quella di
Portoscuso, sulla costa sud occidentale dell'Isola e una a Camogli, che ormai è
la sola rimasta in Liguria e nel
Nord Tirreno. Recentemente
era stato fatto un tentativo di calare di nuovo, dopo anni di inattività, la
Tonnara Saline a Stintino e la tonnara di Calasetta, entrambe in Sardegna,
ma senza successo.
L’unica
cosa che differenzia queste tonnare sono le dimensioni ; quelle siciliane e
sarde sono di grandi dimensioni
e con molte stanze, da sei a otto, in
cui il tonno sosta, prima che vengano aperte le varie porte che avviano il pesce
verso la camera della morte, dove avviene la "mattanza",
mentre quella di Camogli, che viene definita anche “tonnarella”, è
più piccola, ha solo due stanze, e la rete viene "levata" tre volte
al giorno e non viene effettuata la "mattanza".
La “tonnara” vera e propria è intesa esclusivamente per la pesca del
tonno (pesca che comincia a Maggio e dura circa quarantacinque giorni) e che
cattura il cosiddetto “tonno di corsa”, quello, cioè, che arriva nei nostri
mari in primavera dal Nord dell’Oceano Atlantico attraverso lo Stretto di
Gibilterra per riprodursi lungo le coste del Mediterraneo in acque più calde e
meno profonde. Questa pesca termina
solitamente con la crudele e sanguinaria “mattanza”, parola di chiara
origine spagnola, (“matar” significa uccidere) quando le reti della
“camera della morte” vengono sollevate ed i tonni, arpionati uno per uno,
vengono issati sulle barche in un tripudio di sangue, canti antichi e grida
d’incitamento. Qualcuno paragona
questo crudele sistema di pesca alla “Corrida” anche se in realtà non è
così. La pesca del tonno una volta apportava grandi vantaggi economici non solo ai
proprietari delle Tonnare, ma anche a tutte le persone che, in un modo o
nell’altro, vi lavoravano intorno e spesso, in certi piccoli centri, era
l’unico mezzo di sostentamento della comunità.
La “tonnarella”, come viene definita quella di Camogli, può
catturare qualunque tipo di pesce di passaggio, oltre ai tonni, rimane in mare
da Aprile a Settembre e, come è già stato detto,
“leva” le reti tre volte al giorno.
La camera della morte, l’ultima stanza della tonnara, viene sollevata a
braccia, dopo un’accurata ispezione da parte del Rais, e il suo contenuto
caricato sulla barca, chiamata "asino", che lo porterà poi in porto.
Anche qui, alle volte, se i pesci sono di grosse dimensioni vengono
arpionati, ma questo non ha niente a che vedere con la mattanza vera e propria.
Un'altra caratteristica della nostra tonnara, che la differenzia dalle
altre tonnare, è questa : l'
operazione di sollevamento della rete viene
fatta nel più assoluto silenzio, rotto solo dalle istruzioni che si passano i
tonnarotti; niente canti, grida d'incitamento e tutto quel turbolento sbattere
d'acqua e sangue che caratterizza le tonnare di altre regioni,
solo qualche colorito intercalare quando qualcosa non va per il verso
giusto.
Da
anni, tantissimi anni, la rete della tonnara di Camogli viene tesa sempre nello
stesso posto, a circa 400 metri da Punta Chiappa, quasi sotto la millenaria
Chiesa si S. Nicolò. La rete è ancorata a terra ad uno scoglio che la fantasia
popolare dice si chiami “pedale” o “pesale”, in realtà “pedale” è
il nome della rete che viene legata ad un anonimo scoglio, senza particolari
nomi romantici in una piccolissima insenatura del Monte di Portofino che si
chiama “Sca’ di Rocco”. Da
questo scoglio parte la rete d’arresto, appunto “il pedale”, fatta di
filetto di cocco, che va verso il
largo e il cui scopo e quello di
chiudere il passaggio ai pesci e
guidarli verso una prima “camera grande” o “di raccolta”,
anch’essa di cocco. Da qui
i pesci entrano nella “lea”, detta anche “camera della morte” che ha una
prima parte in cocco e il terminale in nylon con maglie sempre più strette ed
è senza via d’uscita. Il
“pedale” è lungo 340 metri, la porta d’entrata nel recinto che è
antistante alla “camera della morte” è larga 25 metri.
A destra si trova un recinto rettangolare lungo 80 metri e, a sinistra
davanti al “sacco”, c’è un’anticamera di 30 metri che conduce alla
“camera della morte”, che misura 100 metri.
La rete viene ormeggiata sul fondo ed è profonda dai 10 ai 45 metri e
per ancorarla al fondale vengono usati almeno 20 ancorotti a tre o quattro punte
unitamente a delle grosse pietre del peso di circa 20 Kg. ciascuna.
Per mantenere le reti perimetrali perfettamente verticali vengono
impiegati in superficie dei galleggianti di plastica (che una volta erano di
sughero) chiamati “natelli”,
posti a distanze regolari. Il
tutto, visto dall’alto, risulta in un disegno armonioso, col pedale che va
diritto dalla costa verso il largo, segnato dai puntini bianchi
dei “natelli”, e si aggancia a metà della grande rete, anch’essa
disegnata di puntini bianchi. E’
una grande libellula adagiata sul mare che sembra pronta a spiccare il volo.
Un’immagine
del tutto diversa si ha guardando le rete sott’acqua. Fa impressione vedere quell’ammasso di corde che si perde
nel buio del profondo; costeggiandolo sembra un antico palazzo medioevale,
abbandonato, silenzioso, un insieme di stanze e corridoi, porte che si aprono e
si chiudono. Se si guarda bene,
sembra di vedere i fantasmi di coloro che lo hanno abitato, ma sono solo i
raggi del sole che penetrano dalla superficie e danzano con il mare.
Sopra
le reti una volta erano ancorate due barche, strane a vedersi, grigie,
disalberate, senza sovrastrutture, sembravano quasi gli avanzi di un
naufragio, invece giocavano un ruolo molto importante nell’impianto della
tonnara. La prima, più grande, era
ormeggiata all’ingresso della “camera della morte” e anticamente veniva
chiamata “rancio” perché vi si trovava l’alloggio dell’equipaggio di
turno e la cucina, mentre in seguito ha preso il nome di “poltrona” e veniva
usata da tonnarotti per la “leva” del sacco.
L’altra barca, che era mobile e un po’ più piccola, è sempre stata
chiamata “asino”, era ancorata al sacco e ed era quella che sopportava il
carico del pescato dopo la leva. Ma questo è il passato, oggi qualcosa è cambiato.
La “poltrona” si trova sempre là, grande, grigia, ancorata al sacco
e immobile, mentre l’”asino” viene portato avanti e indietro tre volte al
giorno da Camogli verso la tonnara dai sei tonnarotti di turno, portando a
rimorchio una barca più piccola, la "vedetta", e viene ancorato
all’altra estremità del sacco. Usando
la piccola barca il Rais o il "capoguardia" come si chiama oggi,
si muove agevolmente tra le due barche e, usando un visore col fondo di
vetro, detto “specchio”, può controllare che la “camera della morte”
sia piena e pronta per la levata. Ad
un suo cenno dalla “poltrona” cominciano a sollevare la grande rete per
mezzo di sei cavi, avvicinandosi lentamente, metro per metro, all’”asino”,
finchè tra le due barche rimane solo un grande sacco pieno di pesci guizzanti
che vengono poi caricati sull’”asino” che torna a
Camogli con il pescato. Questo
avviene tre volte al giorno con orari che variano secondo i mesi, ma la prima
levata è all’”albetta”, e viene effettuata appena il primo chiarore si
intravede a Est, e questo richiede ai
tonnarotti una levataccia, spesso intorno alle due di notte.
Era usanza, al ritorno da questa "leva" preparare a bordo
dell'asino una zuppa di pesce utilizzando il pescato meno pregiato posto in due
grossi piatti, con le tradizionali gallette sul fondo, e messi uno a prua e uno
a poppa, dove i pescatori allegramente pescavano con le mani, annaffiando il
tutto con del generoso vino bianco. Questa
"leva" viene abbandonata nel corso della stagione con il ritardare del
levarsi del sole. La
partenza per la seconda leva avviene intorno alle 6,30 del mattino
all'inizio della stagione e intorno alle 7,30 verso la fine della stagione e la
rete viene tirate tra le nove e le dieci. Ma queste due partenze possono essere
seguite da poche persone, qualche nottambulo o qualche mattiniero, mentre la
terza viene effettuata nel pomeriggio.
E' bello sentire l'asino con il suo motore scoppiettante che arriva dal
porto e quando appare da dietro il campanile della Chiesa si può rimettere
l'orologio : sono le 16,30. E'
uno spettacolo soprattutto nei pomeriggi estivi dei giorni di festa, quando il
Golfo è affollato da barche di tutti i tipi e tutte le dimensioni e l'asino
trotterella sbuffando in mezzo a tutta questa gente, impassibile, con la sua
vedetta a rimorchio ed i suoi tonnarotti seduti sui banchi.
Purtroppo sembra che lo scoppiettio di quel motore, forse di notte, abbia
disturbato il sonno di qualcuno, perché questa estate è stata sostituita la
marmitta e ora la barca arriva e parte in silenzio.
Un altro pezzo di storia che se ne va.
Ma chi sono i
tonnarotti ? Sono
uomini e ragazzi che in parte vengono assunti stagionalmente e che in parte lo
hanno scelto come mestiere, anche tramandandolo di padre in figlio, e che devono
essere dotati di una buona dose di spirito di sacrificio, di entusiasmo e anche
di una grande passione per il mare per sopportare i disagi di un lavoro che li
obbliga a levatacce ad ore impossibili ed a fatiche non indifferenti. La tonnara
non conosce soste, la barca deve partire tre volte al giorno, con qualsiasi
tempo. Negli anni '20 del 1900 a Camogli esisteva una corporazione chiamata
"Lupi di Mare"; vestivano con maglia e berretto blu e stazionavano a
turno sul moletto sotto la Chiesa, chiamato "Il Giorgio", pronti ad
intervenire in caso di pericolo in mare per i pescatori e se il mare era brutto
e la tonnara correva dei rischi non solo loro, ma anche la popolazione correva a
portare soccorso per salvare le reti ed il pescato. I marinai sono attualmente
dodici che lavorano su due turni di una settimana ciascuno, da sabato a sabato,
diretti dal “Rais” , parola di chiara origine araba, che nel dialetto
Camogliese, in tempi antichi, diventa
"Raixe, ma che viene in seguito abbandonata, perché qui, a differenza
dalle altre tonnare Siciliane e Sarde, non viene usata, e quello che in altri
impianti è il Rais, qui diventa "Il Capoguardia" perché è questo
che gli uomini di Camogli vanno a fare sulla Tonnara "La Guardia".
Comunque la si chiami, questa è una figura molto importante, è colui
che sovraintende alla messa in opera della tonnara, colui che decide quando è
il momento della levata; utilizzando
lo specchio e la sua esperienza sa quando tutti i pesci sono nella camera della
morte e quando questa deve essere sollevata.
Spesso un Rais rimane alla tonnara per molti anni, come Lorenzo Gelosi,
detto Cen, una leggenda vivente, ormai novantenne, che è rimasto al suo posto
per 40 anni e che, sebbene a riposo
dal 1979, e nonostante l’età, durante l'inverno partecipa alla lavorazione delle reti e sovrintende alla calata delle
reti della tonnara portando il contributo della sua lunga esperienza, o
l’attuale "capoguardia" Giovanni
Revello, anche lui in tonnara da 40 anni e, per il momento, fermamente deciso a
restarci. Il vecchio Cen è
famoso per il suo amore per i gatti ed è facile incontrarlo in giro per
Camogli, lo si vede camminare
un po’ curvo e col passo
dondolante di chi è abituato a stare in barca e allontanarsi racchiuso nel
silenzio ovattato della sua sordità, oppure seduto al suo posto abituale in un
caffè del porto, con la testa posata sul petto, addormentato, ma pronto a
svegliarsi appena gli uomini tornano a terra per chiedere come è andata la
pesca. Anche i tonnarotti a Camogli perdono questa
denominazione così cara ad altre tonnare.
Vengono chiamati così solo su articoli di giornale o riviste, ma in
realtà a Camogli questi uomini sono solo <<O pescôu da Tõnnãea>>
(Il pescatore della Tonnara).
Un
discorso a parte merita la rete della tonnara.
Mentre i pescatori di Camogli le calavano in mare e le toglievano ogni
anno, la storia passava su di loro. Sono
passati grandi uomini, pittori scrittori, sono passate rivoluzioni, guerre e
tutti gli uomini e le donne di Camogli che hanno lavorato intorno a quelle reti,
che passavano l’inverno a ripararle e ad intrecciarne di nuove.
E sì, perché anticamente le reti erano fatte con la “lisca”,
un’erba lunga e flessibile che nasce sul Monte di Portofino e che qualcuno
andava a raccogliere, faceva seccare, macerare e poi intrecciava per farne reti
e corde. Ora non più, le
reti, meno l’ultima parte della “camera della morte” che è di nylon, sono
in filetto di cocco (Ajengo superiore) che arriva ogni anno
a Camogli in balle ruvide e giallastre importate dall'India.
Questo materiale viene ancora lavorato interamente a mano dalla Famiglia
Revello, i fratelli Giovanni e Antonio e dal figlio di quest’ultimo, Giuseppe.
Ogni anno, durante l’inverno, arrivano
nel loro magazzino le grosse balle da 150 Kg. ciascuna ed i tre uomini
lavorano quel materiale trasformandolo nella rete che poi ai primi di
Aprile sarà calata in mare. La
rete finita pesa 1.200 Kg. Questa
operazione deve essere rifatta ogni anno perché durante il periodo in cui
rimane in mare alla rete di cocco attecchiscono molluschi e alghe che da un lato
sono un invito per i pesci che vengono attirati da un’esca appetitosa, ma
dall’altro ne impediscono il recupero per cui, alla fine della stagione, le
reti vengono tagliate ed abbandonate in mare dove, essendo una fibra naturale,
diventano pastura per i pesci.
A
San Fruttuoso, piccolo borgo e sede di una millenaria abbazia
raggiungibile da Camogli solo in barca o a piedi attraverso un ripido sentiero
che parte dal Monte di Portofino, vengono lavorati ogni inverno, a mano e
secondo canoni antichi, i lunghi cavi che serviranno sia per legare tra loro le
varie parti della rete, che per sollevare il sacco durante la “leva”.
Anche questi cavi sono ora fatti di filetto di cocco.
IL
TONNO
Il tonno rosso (Thunnus thynnus, Linneo 1758), il "bluefin" in inglese, è un grande pesce pelagico, che può anche superare i 400 Kg. E’ un pesce migratore, di mare aperto, molto veloce, può nuotare ad una velocità di 70 Km. orari, vive in gruppi numerosi ed è un vorace predatore. E’ noto anche per riuscire, mediante l’attività dei muscoli, a mantenere una temperatura corporea interna anche di 10°C più alta rispetto alla pelle, grazie ad un sistema di vasi sanguigni altamente sofisticato. Fin dall’antichità le carni del tonno sono sempre state molto apprezzate per i loro requisiti organolettici e per il loro potere nutritivo e fino dall'antichità ne venivano esaltate le virtù terapeutiche. Si sa che la pesca del tonno era praticata fino dai tempi antichi, lo dimostrano i graffiti nella grotta del Genovese a Levanzo, una delle isole Egadi, e antichi vasi greci e romani che riproducono chiaramente questo pesce. Come scrive Silvio Torre nel suo libro "Le Magie del Tonno" già nel IV secolo A.C. . Archestrato da Gela, poeta e gastronomo, parla dell'uso del tonno nella cucina dell'epoca. Il "garum", una specie di condimento fatto con le interiora del tonno, era molto conosciuto ed apprezzato dai Romani. Insomma, per circa 12.000 anni il tonno ha rappresentato la maggiore fonte di economia ed una risorsa naturale per tutte le popolazioni che si affacciavano sul bacino del Mediterraneo. Per un lungo periodo di tempo il tonno rosso è stato una fonte di cibo e di lavoro, e quindi di proventi, per i pescatori, i costruttori di barche e per tutti quelli che lavoravano la carne del tonno. Ancora ai tempi nostri questa specie viene pescata ed è di notevole importanza per l'industria della pesca e per quella conserviera, nonché per l'esportazione massiccia verso i paesi del Sol Levante.
Il
suo habitat naturale si trova nelle
fredde acque del Nord Atlantico, ma ogni anno all’avvicinarsi delle primavera
inizia un lungo viaggio che lo porta verso Sud, attraverso lo Stretto di
Gibilterra, per riprodursi nelle calde acque del Mediterraneo. E’ mosso a questo da un istinto impresso nel
suo codice genetico che, da tempo immemorabile, lo spinge a compiere ogni anno
lo stesso percorso, immutabile. Somiglia
in questo ai salmoni, che risalgono le correnti dei fiumi per riprodursi e
morire, o alle anguille, che dai
fiumi arrivano fino al Mar dei Sargassi, anch’esse per riprodursi e morire,
ma questa somiglianza è solo parziale, perché il tonno tornerà al suo
Oceano una volta finita la stagione degli amori.
Per questo il tonno viene chiamato “Tonno di andata” o “di corsa”
nel suo viaggio verso i mari caldi, quando non è ancora stremato dal lungo
percorso, le sue carni sono saporite e la femmina porta le uova, che vengono
lavorate, sopratutto in Sardegna, per ricavarne la prelibata “bottarga”.
Il tonno “di ritorno” quello che nuota verso lo Stretto di Gibilterra
e l’Atlantico in autunno è ormai stanco per i lunghi trasferimenti, la sua
carne è sfibrata e non più molto ricercata ed è per questo che viene
raramente pescato in questa fase del suo viaggio.
La
dislocazione delle tonnare deriva dall’osservazione di questa abitudine del
tonno che, come già detto, entra dallo Stretto di Gibilterra in primavera
sfruttando le correnti di superficie per riprodursi in mari più caldi e meno
profondi e che farà lo stesso cammino in senso inverso in autunno, sfruttando
in questo caso le correnti di profondità.
Il suo nuotare lo porta in vista della costa, che segue guardandola con
il suo occhio sinistro, come se ci vedesse da un lato solo,
senza mai abbandonarla, seguendo rigorosamente
un percorso Est/Ovest. Nella
sua corsa non vede gli ostacoli posti di fronte a lui per cui è facile
sbarrargli il passo con una rete posta trasversalmente al suo cammino, perché
il tonno, appena la incontra, viene ingannato e, credendola parte della costa,
la segue, entrando così nella camera grande della tonnara, la percorre tutta
fino a ritornare al suo ingresso ma, non trovando un percorso alla sua sinistra,
non può che entrare nella camera della morte, da dove non ha via d’uscita e
dove il suo destino è segnato. Nelle
tonnare che praticano la mattanza, ormai solo in Sicilia ed in Sardegna, la
camera della morte, quando è piena, viene sollevata fino alla superficie e i
pesci vengono arpionati uno per uno e tirati a bordo delle barche tra canti
antichi e grida d’incitamento, mentre nelle tonnare di “monta e leva”,
come quella di Camogli, il sacco viene sollevato tre volte al giorno, di prima
mattina, in pomeriggio e verso sera, ed
il pescato viene caricato sulla barca detta ”asino” senza la crudele
cerimonia della mattanza. Il
Capoguardia, sulla piccola barca a remi, osserva il fondo con lo specchio e gli
uomini sulla "poltrona" si tengono pronti, mani alle cime, a sollevare
la grande rete ad un suo cenno. Ormai
i tonni sono sempre più rari lungo le nostre coste si dice per l’inquinamento
delle acque, ma anche per il fatto che esistono flotte di grossi pescherecci
oceanici di varie nazionalità che aspettano il tonno al varco prima che lasci
l’Atlantico e che, quando
avvistano i banchi di pesce, a volte anche con l’ausilio di elicotteri, calano
in mare delle grosse “camere della morte” mobili che catturano questo nobile
navigatore dei mari in gran quantità, impedendogli di percorre la sua rotta sul
percorso Est/Ovest e interrompendo così il suo ciclo vitale. Questo tipo di
pesca lo si vede spesso reclamizzato anche negli spot pubblicitari, dove le
industrie conserviere, le multinazionali del cibo in scatola, vantano la qualità
del loro tonno, che arriva direttamente dalla purezza dell’Oceano Atlantico o
dalle calde acque dell’Oceano Pacifico, mostrando le grandi reti colme di
pesce. Il
tonno così pescato viene in un primo tempo lavorato direttamente a bordo per
essere poi avviato alle industrie per l’inscatolamento oppure arriva fresco
sulle tavole dei Giapponesi, grandi estimatori del tonno crudo. Una cosa molto
triste che capita con questo tipo di pesca è che alle volte, insieme ai tonni,
vengono catturati anche dei delfini. Nelle tonnare fisse ci sono ora i
sommozzatori che, attenti a questo problema, nella loro giornaliera ispezione
alle reti se trovano questi dei delfini li liberano e li restituiscono al mare
aperto. Anche nelle tonnare
volanti pongono molta attenzione ad evitare che questo succeda e certe
industrie conserviere americane scrivono chiaramente sulle loro scatolette che
all'interno non si trova assolutamente carne di delfino.
A nessuno piacerebbe mangiare questo simpatico mammifero marino. Tutto
questo sta portando a drammatiche conseguenze per la sopravvivenza dei tonni e
inoltre ha grandemente indebolito le industrie locali per la conservazione del
tonno che una volta veniva lavorato sul posto, appena pescato, in grandi
stabilimenti, molti dei quali ormai non sono altro che delle rovine, grandi
cattedrali scoperchiate che innalzano verso il cielo
muri e ciminiere annerite.
Una volta il tonno era apportatore di benessere per le popolazioni
costiere che vivevano della sua pesca, ma tutto questo ormai non è altro che un
ricordo. Anche a Camogli, nei
tempi antichi, il tonno veniva lavorato, probabilmente su basi artigianali.
In un vecchio quartiere di Camogli, “u Risseu” (tradotto “Rissuolo”)
che si trova sul lungomare dove Via Garibaldi si restringe nel vicoletto
che va verso il Rio Gentile (oggi indicato da una targa sul muro di un
caseggiato) c’è un portone, il N° 72, un antico magazzino
chiamato “a frixaia”, nome che può evocare un locale in cui si
friggeva qualcosa, ma era anche il posto in cui il tonno
veniva cotto e poi messo sotto sale in barili, ricavandone la "tonnina",
che non era solo venduta localmente, ma che prendeva anche la via verso il
Piemonte e la Lombardia e, qualcuno dice, l’Inghilterra.
Questo prodotto anticamente era basilare, quello della salagione era
l'unico modo conosciuto per conservare il pesce dato che fino alla metà del
1500 lo stoccafisso ed il baccalà non erano conosciuti in Italia e non era
quindi possibile in altro modo, soprattutto per i meno abbienti, aderire ai
precetti religiosi che imponevano di mangiare pesce al venerdì e durante la
quaresima. Anche se si hanno
notizie di tonno conservato sott'olio in orci di terracotta fin dall'antichità,
questo metodo non era molto diffuso e fu solo nel 1868 che venne applicata
l'invenzione del francese Nicolas Appert e dell'inglese Bryan Donkin che
consentiva la conservazione del tonno in scatole di latta chiuse ermeticamente e
successivamente sterilizzate, consentendo così una diffusione a largo raggio di
questo alimento.
LA TONNARA NEI TEMPI ANTICHI - LA STORIA
Questo
capitolo potrebbe sembrare lungo e noioso con le sue date e le sue citazioni, ma
in realtà è molto utile per comprendere come la tonnara non sia solo un
attrezzo da pesca, ma un pezzo di storia della nostra città che si è snodata
attraverso i secoli.
Come
è già stato detto la pesca con la tonnara ha origini antichissime.
La praticavano già i Fenici, i Romani e i Greci poi, in seguito, gli
Arabi che dalle coste africane la introdussero in Sicilia ed in Sardegna, dove
fin dal Medio Evo questo tipo di pesca fu appannaggio dei Pisani al Nord e dei
Genovesi al Sud. Le tonnare ebbero vicende diverse, divenendo anche soggetto
di concessioni e di appannaggi feudali.
A partire dal 1587 il Re Filippo II di Spagna favorì la calata delle
tonnare lungo le coste della Sardegna, ma fu ben presto chiaro che queste
attiravano più le incursioni barbaresche che i tonni. E’ solo a partire dal
1600 che si hanno notizie certe sulle tonnare Sarde e nella metà del
1800 tutta la costa occidentale della Sardegna era un susseguirsi di tonnare, da
Nord a Sud. Oggi in Sardegna ne
rimangono due: quella di Carloforte e quella di Portoscuso.
In Sicilia, tra il VIII° ed il XX° secolo erano in funzione circa ottanta
tonnare, ridotte oggi a due, quella di Bonagia e quella di Favignana.
Tentativi di rimettere in funzione antiche Tonnare in Sicilia, quella
dell'isola di Formica, e in Sardegna, quelle di Stintino e Calasetta, sono state
abbandonate dopo poco tempo perché poco remunerative.
Le
prime notizie della tonnara di Camogli risalgono al 1603, ma probabilmente è
anche più antica. Nel 1300 era già
in funzione una tonnara tra Santa Margherita e Portofino, come risulta dai
Registri delle Condennationes Conservatorum. In questi documenti viene riportato
che nel Gennaio del 1383 Giuliano
Clavarino, di Portofino, è stato multato a Genova per avere venduto quattro
tonni alla scaletta della Darsena e che nel Settembre del 1385 Pietro Marchese,
sempre di Portofino, fu scoperto mentre vendeva la testa di un tonno e che
nell’ Ottobre dello stesso anno un altro Portofinese, Giovanni Prato, fu
multato per avere occultato un tonno, tutti contravvenendo alle leggi
dell’epoca. Nel 1388
nell’inventario del Portofinese Oberto Graziano, barbiere, figura un barile di
tonnina sott’olio. Alla
fine del 1500 era in funzione a Monterosso, nelle Cinque Terre, una importante
tonnara che, tra il 1636 ed il 1667 veniva considerata seconda in ordine di
importanza nella Riviera di Levante, dopo quella di Camogli e prima di quella di
Santa Margherita. La tonnara
si trovava proprio davanti alla spiaggia di Monterosso, ma non fu più possibile
riattivarla dopo il 1852. Della
tonnara di Santa Margherita si sa che era già in funzione nel 1600 perchè nel
1617 il Senato assegnò la stessa a un certo Benedetto Costa contro un pagamento
annuo di Lit. 1.000 e che
l’impianto si estendeva fino a Sestri Levante.
Nel 1618 quattordici marinai di Camogli fecero società con Benedetto
Costa per gestire insieme la tonnara, dividendosi
i “caratti”, ossia porzioni di essa. I
Camogliesi si obbligavano a fornire i quattordici uomini per fare la guardia
alla pesca, mentre il Costa impiegava quattro uomini, con la clausola che il
primo tonno che fosse entrato nella tonnara sarebbe stato offerto al Santuario
della Madonna di Nozarego, a Santa Margherita, per sciogliere un voto fatto
dallo stesso Benedetto Costa. Dall'"Inventario
dell'Archivio Comunale di Rapallo" risulta che nel 1629 fu concesso ai
pescatori di San Michele di Pagana di calare una tonnara in quella località a
patto che ci fosse una distanza di due miglia da quella di Santa Margherita e
che i Paganesi pagassero un decimo degli utili alle autorità.
Il Ferretto, in un suo articolo sulle Tonnare del Levante Ligure,
racconta che era usanza, per la Tonnara di Santa Margherita, inviare dei tonni
anche al Santuario di Montallegro di Rapallo.
Nel
1860 la tonnara di Santa Margherita fu affittata con un canone di Lit. 600, nel
1869 fu data in concessione per un solo anno, ma era ormai diventata
poco remunerativa e, secondo quanto scrive l’Intendenza di Finanza di
Genova l’8 Febbraio 1884, non fu più possibile affittarla dopo il 1875 “malgrado
le pratiche fatte e gli incanti tenuti in base ad annue Lire 200, in luogo del
canone primitivo di lire 600, a cagione del deperimento della pesca verificatosi
dal 1850 in poi”.
Torniamo al 1603, anno in cui un
solenne Decreto del Magistrato dei Censori stabiliva che “delli tonni che si
fossero presi alla tonnara di Camogli se ne dovessero dare agli abitanti di
Camogli e di Recco per loro uso dieci di un rubo, venticinque di due, sei sino a
cento rubi “ Il “rubo” è una
misura antica che corrisponde a circa 8 Kg. e che, tra i pescatori di Camogli,
viene usata ancora ai giorni nostri.
L’uso di distribuire i tonni fu rinnovato con altri Decreti nel 1634,
1671, 1707 e 1709. Si sa
anche di una diatriba del 1712 tra Camogli e Recco.
Il 20 Settembre di quell’anno il Capitano di Recco svela degli
inconvenienti causati dall’allora Amministratore della Tonnara, Gio Bono
Olivari,a causa della sua imperizia. Pare
che non avesse rispettato la ripartizione dei tonni come indicato nel Decreto
del 1603 che era ancora in vigore. Questo
dimostra come Camogli e Recco a quell’epoca fossero molto vicine se dovevano
dividersi il pescato. In altre
notizie d’archivio del 1612 su legge “….. anno 1612.
Si introdusse l’appalto della tonnara di Camogli, con che dovesse
l’appaltatore provvedere di pesci il Comune e non potesse salariare in marinai
ed inservienti che persone della parrocchia ….”
Qui si ribadisce, a distanza di anni,
l'interesse delle autorità per la comunità; con questo decreto viene
assicurato il cibo alla popolazione, probabilmente a quella meno abbiente,
e il lavoro ai suoi uomini.
La devozione della
cittadinanza fece sì che i proventi della tonnara venissero
utilizzati anche a favore della Chiesa. Il Sacerdote Stefano Costa,
autore della “Storia del Santuario del Boschetto” racconta che nel 1629 si stavano terminando i lavori per la
costruzione del Santuario della Madonna del Boschetto a Camogli,
eretto sopra una preesistente cappella che ricordava l’apparizione
della Madonna ad Angela Schiaffino, una pastorella, avvenuta in quella località
il 2 Luglio 1518. Questi lavori erano iniziati nel 1612 e stavano andando avanti
con difficoltà, ma in quell’anno, il 1629, la fabbrica del tempio si trovava
in particolari grandi difficoltà finanziarie, i creditori non davano tregua, e
si disperava di portare a compimento il lavoro.
Proprio in quell’anno scadevano i tre anni in cui il Senato aveva
accordato che i proventi della tonnara servissero per i lavori nel porto, così
l’allora Sindaco, Francesco Crovari, in data 18 Luglio, si rivolse ancora al
Senato chiedendo che parte dei proventi della tonnara potessero essere
utilizzati per far proseguire i lavori. Nel
1631 il Santuario fu inaugurato e per devozione,
negli anni a venire, i marinai, i pescatori e gli abitanti di Camogli
cominciarono a portare al Santuario i loro ex-voto, quadri che venivano
appositamente commissionati per rappresentare uno scampato pericolo
in mare ed in terra e che sono ora riuniti nel Chiostro del Santuario e
formano una delle più belle collezioni di ex-voto della Liguria.
Al
Museo Marinaro di trova la
riproduzione di una antica stampa di Camogli, risalente al 1624, che mostra il
progetto per i lavori di prolungamento
del molo che erano stati finanziati dalla tonnara.
Da tutte queste notizie risulta quindi che la tonnara di Camogli è stata
in passato una fonte di benessere per tutta la cittadinanza ed ora è l’unica
e la più antica ancora esistente in Liguria.
Da
questi anni fino al 1801 non si trovano più documenti che parlino della
tonnara. In quell’anno,
esattamente il 28 Agosto, il Commissario del Governo scrive alla Municipalità
del Cantone di Camogli quanto segue : “Cittadini,
dal vostro messaggio sono venuto a cognizione che padroni di tartanoni e
bilancelle osano perturbare il libero esercizio della tonnara.
Il vostro usciere ha ordine di citarli al mio Burrò (francesismo comune
all’epoca, siamo in peno periodo Napoleonico) e voglio sperare che più non
succederà un simile inconveniente. Salute
e Fratellanza…… firmato Grondona” Questo perché la zona di mare in cui veniva calata la rete
della tonnara, e quella circostante, dovevano intendersi di esclusiva proprietà
dei gestori della stessa. Da
un verbale di seduta tenuto nello stesso mese ed anno risulta la nomina di una
Commissione formata da due persone per chiedere al Governo, a nome della
Municipalità di Camogli : “…….li seguenti mezzi per sopperire alle
spese cantonali e comunali …….. assegnazione di una porzione di utili di
questa tonnara…..” Si
trova anche una lettera del 1808 con la quale :
“Le Prefect du Departement de Genes, membre de la Legion d’Honneur,
comunica a Monsieur le Maire de Camogli …….”
Circa il diritto del Comune di Camogli di percepire una data quantità di
tonno dalla pesca della tonnara ed autorizza il Maire a far citare l’agente
della medesima “…...nanti il giudice competente per quel tanto che ha
omesso di consegnare ……” Un altro documento del 1817 comunica : “……
l’obbligo dell’appaltatore di consegnare dei tonni gratis al Municipio
…… “ Ancora una volta,
a distanza di duecento anni, ritroviamo l’impegno da parte della Municipalità
di sopperire ai bisogni della popolazione meno abbiente.
Anticamente,
inoltre, il tonno veniva lavorato a Camogli, probabilmente su basi artigianali.
In un vecchio quartiere di Camogli, <<u Risseu>,> che si
trova sul lungomare dove la Via Garibaldi si restringe nel vicoletto che va
verso il Rio Gentile ed il levante, c’è un portone, il N° 72.
Questo è una specie di magazzino che in passato era chiamato <<a
frixaia>>, nome che può evocare un locale in cui si friggeva qualcosa, ma
viene anche ricordato come il posto in cui il tonno veniva cotto e poi messo sotto sale in barili che non erano solo venduti
localamente, ma che prendevano
anche la via verso il Piemonte e la
Lombardia e, qualcuno dice, anche l'Inghilterra. Dopo il 1817 la tonnara ebbe un lungo periodo oscuro, ma si sa che il 4 Marzo del 1875 nell'Ufficio del Registro di Recco, su istanza del Consiglio Comunale di Camogli, fu rilasciato, da parte del Demanio dello Stato, un Atto di Concessione per l'esercizio della pesca nelle acque della tonnara di Camogli per la durata di sei anni. Il 3 Ottobre del 1877, in un non meglio precisato "Ufficio Comunale" di Camogli fu aperta "un'asta per mezzo di candela vergine, per l'appalto a tutto il 1880 dell'esercizio della pesca nelle acque della tonnara così detta di Camogli, al prezzo annuo di lire trecento, pagabili di semestre in semestre anticipato" . Quest'asta fu tenuta dal Regio Delegato Straordinario Schiaffino Cav. Simone e il sistema "ad estinzione" di candela vergine funzionava così : si accendevano delle candele una dietro l'altra, se la terza si estingueva senza che fossero state fatte offerta, l'asta veniva dichiarata deserta, se venivano fatte delle offerte, si aggiudicava l'appalto l'ultimo offerente che, dopo la terza candela, avesse lasciato estinguere una candela vergine senza che fossero state fatte altre offerte. In quell'occasione i partecipanti erano due : Cav. Fortunato Bertolotto e Filippo Massa e l'asta era stata aperta con trecento lire. Fu il Cav. Fortunato Bertolotto ad aggiudicarsela con l'offerta di trecentodieci lire.
La
Tonnara non fu messa in mare per due anni e fu ripristinata nel 1883.
Negli anni tra il 1890 ed il 1893 fu data in concessione a Pasquale
Viacava e Biagio Viacava che impiegavano 19 marinai, passò poi dal 1894 al 1896
a Giuseppe ed Edmondo Gnecco in società con Giacomo Muriando e in quell’epoca
i marinai diventarono 20. Questo nonostante che nel 1884 la tonnara di Camogli,
in quell’epoca data in concessione ad Andrea Cichero, non fosse considerata
una tonnare remunerativa e interessante, dato che
effettuava la pesca anche con bestinara, mugginara, tramaglio ed altri
attrezzi e che quindi che non si faceva vera pesca di tonno anche se la vicina
Genova era allora il centro del commercio di questo pesce.
Come
è già stato detto la Tonnara anticamente era gestita da privati e purtroppo
non si sa esattamente in che data è cessata questa gestione.
Si sa di una Cooperativa fondata nel 1910 e chiamata “Cooperativa S.S.
Prospero e Caterina” che durò fino al 1923.
Di questa Cooperative era amministratore il Cap. Elia Cichero, aveva 20
Soci, tutti pescatori, che avevano pagato Lit. 10 ciascuno per essere ammessi a
farne parte e che in più tirarono fuori di tasca loro i soldi necessari per
costituirne il capitale sociale. Un’altra
Cooperative venne costituita in gran pompa nel 1937.
Esattamente il 7 Febbraio di quell’anno, nell’Aula Magna del
Municipio, alla presenza di tutte le Autorità e dei pescatori Camogliesi veniva
costituita la “Soc. An. Cooperativa Tonnarella di Camogli”.
Promotore di questa iniziativa era stato l’allora Podestà di Camogli
Giuseppe Bozzo, da sempre grande amico dei pescatori. Di questo si trova traccia in una scarna annotazione
dell’allora Bibliotecario : “1937
….. fu ripresa in primavera l’antica pesca della Tonnara di Camogli, sospesa
già da diversi anni….” Quella
cerimonia ebbe un seguito in mare. In occasione della prima calata della nuova
Tonnara le autorità civili e religiose locali si radunarono in barca intorno
all'impianto per celebrare anche con un rito religioso l'inizio di un'attività
che era vista come apportatrice di benessere alla comunità. Dai dati statistici
di fine anno risultò che la Tonnara, dal 10 Aprile al 29 Ottobre di
quell’anno, aveva pescato ben 50.500 Kg. di pesce tra cui, oltre a quello che
viene definito un buon quantitativo di tonni, anche delfini, pescicani, squali
martello, squali elefante, un balenottero e ben 6.635 Kg. di pesci luna (Ostanguricus
mola), palamiti e altre varietà. .
Non esistono più le registrazioni contabili dell'epoca, ma un articolo sul
quotidiano IL POPOLO D'ITALIA del 12 Aprile 1938, firmato da Dario Umberto
Razeto, riporta che l’importo del salario corrisposto ai Soci lavoratori alla
fine della stagione fu di 105.000
lire, cifra che oggi sembra poco veritiera.
Qualunque sia stata la cifra guadagnata da ciascun pescatore, è certo
che quell'anno fu molto proficuo per tutti.
L’anno dopo, nel 1938, la Tonnara venne messa in mare in ritardo a
causa del ritardato arrivo del cordame di canapa che quell’anno non fu
consegnato in tempo per preparare le reti necessarie alla tonnara. Passiamo al 1943;
nell’autunno di quell’anno, in due giorni, incapparono nelle reti
della tonnara 64 tonni, per un peso complessivo di 1.050 Kg. .
Dal 1943 al 1945 la
tonnara non fu messa in mare a causa del totale divieto di navigazione nelle
acque del golfo imposto dallo stato di guerra, ma riprese la sua attività
al termine del conflitto e funzionò ininterrottamente fino al 1979
quando i Soci, divenuti ormai anziani, decisero di chiudere l'impianto e di
sciogliere la Società. Così la
Tonnara rimase ancora ferma per due anni finché, nel 1982, è stata rilevata
dalla Cooperativa Pescatori di Camogli che la gestisce ancora oggi. L’impianto di Camogli, nel tempo,
è stato definito di volta in volta <<Tonnara>> e
<<Tonnarella>>. In
realtà una Tonnara tradizionale, sul tipo di quella di Carloforte,
è intesa esclusivamente per la pesca del tonno, attività che comincia a
Maggio e dura circa 45 giorni, e in questo tipo di impianto il tonno viene
periodicamente catturato praticando la crudele e sanguinosa
<<mattanza>>. La <<Tonnarella>> di Camogli, invece, rimane in mare da Aprile a Settembre, cattura
sopratutto tonnidi, lecce e qualunque pesce di passaggio, e la rete viene
sollevata (levata) tre volte al giorno, senza effettuare la mattanza. Quindi quella di Camogli è in realtà e senza ombra di
dubbio una <<Tonnarella>> e solo occasionalmente cattura
dei tonni. Comunque queste differenze non hanno molta
importanza a Camogli. La grande estensione di reti vicino a Punta Chiappa che
accompagna le sue lunghe estati viene da sempre chiamata “LA TONNARA”
IL FOLKLORE
La
Tonnara è legata in modo indissolubile alla vita di Camogli. Qui il primo accenno di primavera non erano solo gli alberi
in fiore e l’arrivo delle rondini, ma anche le grosse reti di filetto di cocco
stese sul muraglione del molo in tutta la sua lunghezza, in attesa di essere
rifinite, cucite insieme e calate in mare.
La calata in mare della Tonnara segnava l’inizio dell’estate più
dell’arrivo del sol leone, come, alla fine di Settembre, la processione
dell’”asino” e della “poltrona” che venivano riportate in porto alla
fine della stagione di pesca, segnavano anche la fine dell’estate.
C’era
poi un altro avvenimento : ad un certo punto delle voci sussurrate
attraversavano Camogli, come un tam-tam silenzioso che andava di casa in casa, e
tutti correvano alla calata del porto, dove si trova la mancina,
a vedere il “mostro” rimasto impigliato nelle reti della tonnara e
che veniva appeso lì, alla vista di tutti.
Una volta era un grosso squalo Lamia di 1.400 Kg.,
un’altra un balenottero, o un pesce martello oppure un pesce diavolo,
spaventoso, e persino una manta di
350 Kg. Una volta rimase
impigliata nelle reti un’enorme tartaruga di 480 Kg., vecchia di 500 anni e
nel Settembre del 1970 furono catturati due rarissimi esemplari di marlin
bianco. Il 2 Giugno 1974
venne catturato un pesce enorme, coloratissimo e tanto raro che nessuno lo
riconobbe, così una foto del pesce prese la strada della Costa Azzurra e venne
sottoposta all’attenzione di Jacques Cousteau che lo identificò come
appartenente alla famiglia dei pesci luna (Lampris luna), ma di una
specie rara, che vive sia negli Oceani Atlantico e Pacifico che nel
Mediterraneo, ma difficile da
catturare perché vive in alto mare
ed a grandi profondità. Questo in
particolare era un pesce imperatore o Lampris regius (Bonnaterre).
Come sia arrivato a passare
vicino a Punta Chiappa rimarrà sempre un mistero.
Dopo
che la folla si era radunata arrivavano i due fotografi di Camogli, Ciotti e
Ferraris, per immortalare
l’avvenimento ed il giorno dopo le foto apparivano sui giornali, così tutti
andavano in edicola e poi cercavano di riconoscersi in quei volti alzati e
incuriositi, assaporando anche un momento di notorietà.
Le foto venivano anche esposte nelle vetrine dei fotografi, con grande
curiosità di tutti. Questo
si è verificato con una certa frequenza
tra gli anni ’40 e ‘70, e alcuni di questi esemplari sono ora esposti al
Museo di Storia Naturale di Genova. Si
sa che ci sono state delle catture particolari anche prima degli anni ’40, ma
dopo gli anni ’70 certo grossi pesci devono aver cambiato rotta perché la
Tonnara non ne ha più pescati. Forse
questo è dovuto anche al ridotto traffico marittimo di grosso tonnellaggio
diretto a Genova, perché si diceva che quei grossi pesci seguissero la scia
delle navi. Più di una volta nel
Golfo Paradiso, in anni passati, erano stati avvistati anche dei capodogli. Tra l’altro questi grossi mammiferi costituivano un grosso
pericolo per la tonnara perché se lasciavano la loro rotta ed entravano nelle
reti, le distruggevano.
C’è
poi un altro fenomeno legato in qualche modo alla stagione della Tonnara.
Durante le calme primaverili si vedono improvvisamente sulla superficie
del mare delle macchie scure, sembra di veder ribollire l’acqua e si dice che
siano banchi di acciughe che salgono a galla per sfuggire ai tonni che nuotano
sotto di loro, perché questi pesciolini costituiscono il loro pasto preferito.
Sarà verità o sarà leggenda ?
Non è dato saperlo per certo, ma come tutte le cose collegate al mare ha
un suo fascino ed è bello lasciar correre la fantasia.
Un
altro avvenimento di alcuni anni fa e che richiamò l'attenzione di tutta la
comunità riguardò l'asino, la barca che porta il pescato. La storia di questa barca è anche legata
all'inizio della tradizione del falò decorato, il tradizionale falò che si
accende la sera del secondo sabato di Maggio, vigilia della festa di San
Fortunato, patrono dei Pescatori e che iniziò proprio con il vecchio
"Asino". L'asino
di cui si parla era stato costruito a Mola di Bari nel 1922 ed era costato, a
quell'epoca, milleseicento lire. Dopo
aver servito per un po' di anni alla tonnara, nel 1936 andò a finire a Santa
Margherita dove la barca fu motorizzata e destinata alla pesca con i palamiti. Nel 1940 subì un'altra trasformazione, divenne
addirittura un peschereccio e questa volta venne impiegata per la pesca a
strascico, che praticava ancora nel 1946.
Ma la sua avventura non era finita, proprio nell'Agosto del 1946 durante
una terribile libecciata il nuovo Asino della tonnara naufragò
miseramente e l'interesse dei tonnarotti camogliesi si rivolse a
quel vecchio scafo che anni prima avevano ceduto ai pescatori di
Santa Margherita e così, da buoni camogliesi con
un occhio alla possibilità di fare un buon affare, lo ricomprarono.
La vecchia barca, perdute le
sue sovrastrutture ed il suo status di
peschereccio, tornò a lavorare a Punta Chiappa e a caricarsi del pescato della
tonnara, riprendendo il vecchio
nome di "Asino" o "Aze", come si dice in dialetto.
Passarono gli anni, mani e mani di vernice ogni anno la rimettevano a
nuovo e la barca andava avanti e indietro con il suo carico di uomini e di pesci
finché un brutto giorno venne deciso che per lei era finita, l'unica soluzione
era riempirla di sassi ed affondarla. Tutto
questo succedeva alla vigilia della festa di San Fortunato del 1968
ed i ragazzi già da tempo stavano accatastando sulla spiaggia legna di
tutti i tipi per il tradizionale falò che si accende al sabato sera, dopo la
processione e i fuochi. Ma
quell'anno nacque una disputa, sembra che per qualche motivo il falò non si
dovesse fare e allora intervenne un
altro personaggio storico della nostra città, Ido Battistone, ideatore del
"DRAGUN" e delle sue future imprese,
che fece il diavolo a quattro insieme ai ragazzi e non solo ottenne che
il falò si facesse, ma ottenne anche da Cen, allora Rais della Tonnara, il
vecchio "Asino" per rendere il falò più imponente. Ma l'avventura non era finita. La barca fu issata sulla catasta, fu ridipinta,
le fu messo l'albero, una vela, le luci di posizione, fu insomma
addobbata e rivestita come se fosse pronta per un varo,
quando improvvisamente, come sa succedere qui nel nostro Golfo, si alzò
una terribile libecciata che minacciò seriamente il falò e allora avvenne il
miracolo: tutta la popolazione si mobilitò per riempire sacchi di sabbia e
pietre accatastandole alla base del falò per contendere al mare
quello che ormai riteneva suo di diritto.
Calmatasi la libecciata, la mattina dopo uno strano spettacolo si presentò
ai primi che accorsero sulla spiaggia : tutto intorno alla catasta di legna si era
formato un solco, il mare era stato fermato dai sacchi di pietre e sabbia e
l'asino troneggiava sulla catasta di legna come l'arca di Noé in cima
all'Ararat. Allora fu chiamato il
fotografo Ciotti, quello che aveva il negozio sulla Piazza della Chiesa, e tutti
coloro che avevano partecipato all'impresa del giorno prima si fecero
immortalare ai piedi dell'Asino che troneggiava salvo in cima alla catasta.
Quella sera la festa ebbe luogo e si diede fuoco al falò.
L'"asino" se ne andò scoppiettando tra le fiamme, in uno
sfolgorio di scintille, rendendo felici tutti quelli che assistevano, così la
sua fine non fu affatto ingloriosa anzi,
sembrava una di quelle navi Vikinghe che venivano date alle fiamme per
onorare qualche eroe scomparso. Così
da quell'anno i ragazzi addetti al falò non si limitarono più ad accatastare
legname, ma con il materiale che recuperavano iniziarono a costruire delle
strutture, una volta era l'Abbazia di San Fruttuoso, un'altra volta una fontana
o un veliero secondo quello che la fantasia suggeriva.
Così, in qualche modo, la tradizione dei falò decorati che si accendono
la sera del secondo sabato di Maggio in onore
del Patrono dei Pescatori, è anche legato alla tonnara.
LA
RELIGIOSITA’
L’uomo
di mare è molto devoto, da sempre, questo si sa, e non c’è città marinara
che non abbia il suo santuario o il suo santo protettore a cui marinai e
pescatori si rivolgevano prima di partire per le loro avventure. A Camogli c’è il Santuario della Madonna del Boschetto la
cui costruzione era iniziata nel 1612 e terminata nel 1631 anche con l’apporto
finanziario della Tonnara di Camogli. Nei
tempi antichi era usanza, per gli uomini di mare, recarsi in questo Santuario
prima di ogni partenza e così facevano anche i pescatori di acciughe che ogni
anno partivano per quella che veniva chiamata “la crociera dei cento giorni”
e al ritorno portavano al Santuario degli ex-voto d’argento che
rappresentavano dei pesciolini, sia per ringraziare per una buona stagione di
pesca che per qualche scampato pericolo.
I
pescatori di Camogli avevano eletto a loro patrono e protettore
anche un Santo Martire, San Fortunato, un legionario Romano che aveva
subito il martirio e che, dopo essere stato portato a Camogli via mare l'8
Settembre 1714, era stato collocato nell'altare
di San Pietro, l'Apostolo Pescatore, nella Basilica di Santa Maria Assunta.
Ed era proprio la sera della festa di questo patrono,
nella seconda domenica di Maggio che
questi pescatori imbarcavano sui loro leudi barili vuoti, sacchi di sale
e, spesso, anche i loro figli adolescenti e si recavano all’isola di
Gorgona, dove, per tre mesi, pescavano e salavano acciughe che poi andavano a
vendere a Livorno ai commercianti inglesi.
L’utile ricavato da questa vendita veniva diviso in parti diverse per
l’equipaggio ed una parte era sempre riservata alla chiesa. Anche per la tonnara si effettuava una cerimonia religiosa per invocare una buona stagione di pesca, e questa non aveva luogo in chiesa, ma all'aperto, in mare, poco prima della messa in opera della tonnara. Esiste nella Parrocchia di Santa Maria Assunta di Camogli un libricino manoscritto, utracentenario, ormai nascosto in qualche anfratto della chiesa, perché non se ne hanno più notizie da molti anni, il cui titolo è “Benedictio Piscationis” e che veniva usato negli anni passati dal Parroco per effettuare il rituale della benedizione della tonnara. Non si sa da chi sia stato scritto questo libricino, ma si sa per certo che ricevette l'imprimatur dall'allora Arcivescovo di Genova Mons. Edoardo Pulciano.
Questo
non era solo un momento di religiosità e di aggregazione, ma aveva anche un
risvolto sociale, perché alla cerimonia seguiva sempre un pranzo in un
ristorante di Punta Chiappa che vedeva riuniti tutti i pescatori e alcuni tra
gli abitanti di Camogli, insieme a
tutte le autorità cittadine.
Anche questa, come tante altre tradizioni, si è persa nel tempo. E' rimasta l'usanza di riunirsi per un pranzo a Punta Chiappa dopo che l'impianto della tonnara è stato calato, questo sì, come un premio alla fatica, ma la benedizione delle reti ormai non viene più effettuata da molto, molto tempo.
LA
PESCA DIMENTICATA
LE
ACCIUGHE E LA GORGONA Contemporaneamente alla pesca della tonnara a Camogli si sviluppavano altri tipi di pesca, il più importante dei quali era la pesca delle acciughe praticata alla Gorgona e che veniva chiamata "la crociera dei cento giorni" perché durava tre mesi. Le cronache riportano che questo tipo di pesca si svolse tra il 1810 e il 1890, ma da un libro cassa custodito nell'archivio dell'Arciconfraternita dei SS. Prospero e Caterina di Camogli risulta che nel 1742 i pescatori di ritorno dalla campagna della Gorgona consegnarono all'Oratorio, oltre al decimo loro dovuto come istituzione religiosa, un ulteriore quantitativo di pesce, dalla cui vendita furono ricavate in totale Lire 300; altre fonti attestano che l'ultima campagna avvenne nel 1918, mentre dalla viva voce di un pescatore di 78 anni ho saputo che lui stesso ha preso parte all'ultima campagna di pesca alla Gorgona nel 1939, quando aveva 16 anni, con un equipaggio di 6 persone. Questa pesca annuale, veniva praticata con i leudi, grossi gozzi di 5 o 6 tonnellate di stazza, adatti per il piccolo cabotaggio ed armati con vela latina e remi. Almeno un terzo della popolazione maschile di Camogli vi prendeva parte e la partenza era fissata per Maggio, subito dopo la festa di San Fortunato, patrono dei Pescatori, che si teneva nella seconda domenica di quel mese. Gli equipaggi venivano scelti dai capibarca sulla calata del porto sotto l'edicola della Madonna del Buon Viaggio e non era raro che di essi facessero parte anche persone venute dalla campagna sovrastante Camogli e bambini di 8, 10 anni, poi i leudi venivano caricati con barili di legno vuoti e sale grosso, oltre a provviste non deperibili, come legumi, pesce o carne salata, l'immancabile galletta, insieme a fichi secchi e limoni della vallata per sopperire alla mancanza di cibo fresco. In tempi più recenti fa la sua apparizione a bordo anche un preziosissimo pacchetto con un "etto" di caffè, che veniva portato unicamente a scopo medicinale in caso di bisogno. Anche in questo caso nel corso degli anni le cose sono cambiate. Anticamente l'imbarco avveniva di notte, alla spicciolata, ombre scure si avvicinavano all'imbarcadero con un fagotto sotto il braccio, il necessario per affrontare quel lungo viaggio, e alle volte gli uomini erano accompagnati dalle loro donne che li seguivano per dare un ultimo saluto poi, remi in mare, le barche si allontanavano verso la Punta, che doppiavano, e poi di lì, se il vento era propizio, alzavano le vele e si dirigevano verso Lerici dove facevano la prima calata delle reti e la prima pescata e da dove poi proseguivano per la Gorgona. In tempi più recenti la partenza era diventata quasi una festa. La mattina della partenza una processione, preceduta dal parroco che portava la reliquia di San Prospero, lasciava la chiesa tra uno scampanio a festa e raggiungeva il porto dove, con la formula "San Prospero, proteggi gli uomini, le barche e le reti" benediceva la piccola flotta, dopodiché venivano alzate le vele e in un paio di giorni, con vento buono, i leudi arrivavano a destinazione, utilizzando anche i remi in caso di mancanza di vento. Le acciughe appena pescate venivano pulite a bordo e finivano subito nei barili sotto sale ed il pescato veniva poi portato a Livorno. In quel porto aspettavano i mercanti inglesi che controllavano la qualità del prodotto infilando nel barile un'asticella di legno e, dopo aver bene annusato e guardato, inviavano le acciughe in Inghilterra dove venivano utilizzate per la preparazione di un condimento molto amato dagli Inglesi. L'ultimo pescato prima del ritorno veniva portato a Camogli in parte per uso locale e in parte venduto per pagare le provviste e le attrezzature di bordo, mentre il ricavato della vendita del pesce a Livorno veniva diviso tra l'equipaggio durante il ritorno: un sesto veniva messo da parte per la Chiesa di Camogli, poi c'era una parte per la barca e le reti, una per il capitano e quella per l'equipaggio che veniva diviso in base ai compiti a bordo. Ai più piccoli restava la parte più esigua, ma molti di quei bambini uscivano da quella scuola con un'esperienza tale che avrebbe loro permesso in seguito di affrontare ben altri velieri e ben altri mari e di fare una brillante carriera. Alcuni di questi leudi erano spesso di proprietà di armatori camogliesi che vedevano in questa attività una ulteriore fonte di profitto e a metà del 1800 nel porto di Camogli se ne contavano circa 120. Nel 1939 la flotta era ridotta a poche decine di unità con propulsione a motore, ma le modalità di pesca erano le stesse di sempre : la rete calata al tramonto, il sale grosso macinato a mano, le acciughe pulite a bordo da un esperto marinaio, messe sotto sale rigorosamente dal capobarca e poi vendute a Livorno. Come unico diversivo a tutto quel mare a volte i pescatori scendevano a terra alla Gorgona, dove si trovava un penitenziario e certamente qualche volta si saranno chiesti se i prigionieri erano quelli dentro o quelli fuori delle mura.
La
parola "crociera" può
suggerire l'idea di un'avventurosa spedizione, in realtà si trattava di
sopportare improbe fatiche, l'equipaggio dormiva a bordo come poteva, mangiava
quando poteva e solo la domenica poteva gustare un pasto caldo. Gli uomini
scendevano a terra raramente, l'igiene personale era quello che era, le mani
erano piagate dal continuo salpare le funi delle reti e al ritorno a casa questo
uomini non si erano certo arricchiti.
La vita del pescatore è dura, ma la Camogli che viveva di pesca era ben
lontana dai fasti portati dall'epoca gloriosa della vela, era una piccola,
povera città e anche quel sacrificio contribuiva all'economia locale.
LA MUGGINARA Un altro tipo di pesca caratteristico di Camogli è quello con la "mugginara", anch'essa di origine antichissima. Si tratta di una lunga rete a sacco che veniva calata stagionalmente da Aprile a Settembre, ogni giorno, da un terrazzino costruito appositamente a picco sul mare, tra la zona in cui viene calata la tonnara e Punta Chiappa, uno sperone di roccia che si protende in mare alla base del Monte di Portofino e chiude ad est il Golfo Paradiso. Questa rete somiglia vagamente ad una piccola tonnara volante, deve essere calata in un punto in cui l'acqua sia molto profonda in modo che vada giù a picco e la sua imboccatura sia rivolta verso l'alto. Un uomo sta di guardia su questo terrazzino attento ad ogni movimento, mentre due uomini in basso, su due barche, aspettano il segnale per chiudere la rete. Come suggerisce il nome questa rete viene calata per catturare soprattutto i muggini che entrano nel golfo da est proprio in quella zona, ma naturalmente anche qualsiasi altro tipo di pesce. La rete, una volta recuperato il pescato dalle barche, viene tirata su e portata a terra per essere riutilizzata il giorno seguente. L'uomo di guardia alla rete doveva essere una persona speciale, capace di riconoscere, da quell'altezza, ogni minima variazione della superficie del mare, capire quando si trattava solo di un gioco di luci e quando invece arrivava il pesce e doveva essere pronto a dare voce ai pescatori in barca con il grido "LEVA" perché gli uomini recuperassero prontamente la rete. Ci sono state delle vedette leggendarie; uno di loro è stato Spadin di Punta Chiappa, che ormai se n'è andato da tanto tempo, così chiamato perché pescava i pesci spada ed è anche stato quello che ha aperto l'omonima trattoria sul suo scoglio. Un altro è stato Giacomo Bozzo, detto Già, ormai anziano, che divideva il suo tempo tra la guardia alla Tonnara e la vedetta alla mugginara. Purtroppo non c'è più nessuno che abbia la pazienza di passare ore accovacciato sul bordo del terrazzino ad aspettare che la rete si riempia, così, da diverse stagioni, la mugginara non viene più calata e anche questa, come tante altre tradizioni, si va perdendo. |