ARTICOLI PUBBLICATI SU "" il 16 Aprile 2002
LE
TONNARE IN ITALIA
Di Annamaria
"Lilla" Mariotti
In
Italia ed in tutto il bacino del
Mediterraneo, anticamente, esistevano molte tonnare. In Sicilia, tra il XVIII ed
il XIX Secolo, ne operavano ottanta, distribuite lungo tutto il perimetro
dell'isola, ma già nell'anno Mille gli Arabi vi avevano impiantato tonnare.
In Sardegna, dopo l'avvento degli Spagnoli nel XVI Secolo ne erano in
funzione 24, tutte sul versante Ovest dell'Isola ed in Liguria, nel XVII Secolo,
erano attive tre importanti tonnare, oltre ad altre minori.
Secoli sono passati e ai giorni nostri in Italia ne troviamo in opera
solo cinque : due in Sicilia, tre
in Sardegna (di cui una calata quest'anno in via sperimentale) ed una in
Liguria. Anticamente la pesca del
tonno (Thunnus thynnus) era molto importante perché non esistevano i
moderni metodi di conservazione del pesce e l'uso della "tonnina",
carne di tonno sotto sale, era
molto diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo e veniva anche esportata,
soprattutto in Inghilterra, dato che fino alla metà del 1500 lo stoccafisso ed
il baccalà non erano conosciuti in Italia e non era quindi possibile in altro
modo, soprattutto per i meno abbienti, aderire ai precetti religiosi che
imponevano di mangiare pesce al venerdì e durante la quaresima.
Anche se si hanno notizie di tonno conservato sott'olio fin dall'antichità,
questo metodo non era molto diffuso e fu solo nel 1868 che venne applicata
l'invenzione del francese Nicolas Appert e dell'inglese Bryan Donkin che
consentiva la conservazione del tonno in scatole di latta chiuse ermeticamente e
successivamente sterilizzate, consentendo così una diffusione a largo raggio di
questo alimento. Ormai la tonnara in generale, come attività commerciale, non
è più considerata molto remunerativa, soprattutto perché si pescano pochi
tonni. L'industria conserviera al giorno d'oggi lavora utilizzando i grandi
pescherecci oceanici che operano sopratutto al di fuori del Mediterraneo,
pescando il tonno con tonnare volanti prima che possa entrare dallo Stretto di
Gibilterra e compiere il suo viaggio d'amore verso acque più calde dove
la femmina depone le uova. Solo
due tonnare oggi rappresentano una realtà imprenditoriale ancora attiva : sono
le tonnare di Bonagia, in Sicilia vicino a Trapani, e le tonnare di Isola Piana/Carloforte
e Portoscuso in Sardegna. Le altre ancora in
funzione sono : la tonnara di Favignana, l'ex regina delle tonnare, la cui
concessione ai privati risale al 1272, ormai
considerata più che altro una curiosità turistica, e la tonnara, o tonnarella,
di Camogli, che cattura soprattutto tonnidi e altre qualità di pesce.
Quella sperimentale è stata calata quest'anno a Calasetta, sulla costa
Sud Occidentale della Sardegna e non si può ancora sapere se avrà un futuro.
Un tentativo di calare nuovamente, dopo anni di ferma, la Tonnara Saline
di Stintino, in Sardegna, negli
anni '70 non ha avuto buon esito ed il progetto è stato abbandonato in poco
tempo. Le tonnare si
distinguono in "Tonnare di posta" , dove i tonni vengono
trattenuti nella varie "camere" e solo in certi periodi
avviati, con un sistema di apertura e chiusura di porte, alla camera della
morte per la mattanza, e "Tonnare
di monta e leva" , dove la rete viene "levata" più
volte al giorno per catturarne il contenuto.
Alla prima categoria appartengono
le tonnare Siciliane e Sarde, mentre quella di Camogli appartiene alla seconda categoria.
La tonnara di Bonagia è forse la più grande attualmente in attività,
consiste di otto camere ed ha una particolarità unica nel suo genere, viene
calata a 5.186 metri dalla costa e il "pedale"
(il lungo tratto di rete che va ad ancorare le reti alla costa) è
lungo 5.000 metri. Nella scorsa stagione sono stati catturati 1.610 tonni
per un peso di 88.249 Kg. La
tonnara di Carloforte è costituita da sei camere, ha un'estensione totale di
1.550 metri, il "pedale"
è lungo 1.050 metri mentre il resto della rete ha uno sviluppo totale di
500 metri. Da indagini fatte
risulta che nella scorsa stagione ha catturato circa 4.000 tonni, ma questa
notizia non è confortata da dati ufficiali.
La tonnara di Favignana ha catturato circa 600 tonni, ma di scarso peso,
e la tonnara di Calasetta non più di 100.
La tonnarella di Camogli è molto più piccola delle sue sorelle
maggiori, il "pedale" è lungo 340 metri,
ha un'estensione totale di circa 210 metri,
pesa in totale 1.200 chili e nella scorsa stagione non ha catturato alcun
tonno. E' auspicabile che un sistema di pesca così
antico e così affascinante non
debba essere abbandonato, sarebbe come cancellare un pezzo di storia che
riguarda tutti perché il tonno è stato, fin dall'antichità,
un alimento ricercato e necessario per il sostentamento di intere
popolazione che vivevano vicino al mare e che facevano della pesca del tonno una
ragione di vita.
LA
MATTANZA A CARLOFORTE
Di Annamaria
"Lilla" Mariotti
Carloforte, l'unica
città e sinonimo dell'Isola di San Pietro, e la sua Tonnara.
Qui, da secoli, anno
dopo
anno, tra Maggio e Giugno, per 45
giorni, viene calata la Tonnara e, periodicamente, i tonnarotti effettuano la
"mattanza". Questa
parola è di chiara origine spagnola perché furono gli Spagnoli, a partire dal
XVI Secolo, che diedero grande impulso allo sfruttamento dei branchi di tonno
che transitavano numerosi lungo le coste Sarde,
"matar" significa uccidere e la mattanza è la fase finale
della pesca con la Tonnara.
Questa operazione viene effettuata a giudizio insindacabile del Rais che
controlla personalmente la collocazione dei tonni all'interno della rete, anche
con l'aiuto di sommozzatori. La
tonnara Carlofortina è composta da sei camere, divise da una serie di porte
fatte di maglia di cocco che vengono aperte e chiuse al passaggio del tonno,
finché questo raggiunge la "camera della morte" da dove non ha via
d'uscita. Al momento
opportuno le barche, chiamate "vascelli", partono in processione dal loro ormeggio e si dispongono in quadrato
intorno alla camera della morte, il Rais al centro in una barca più piccola da
dove impartisce i suoi ordini, e iniziano a tirare il sacco a forza di braccia,
finché i tonni affiorano, dopodiché li issano a bordo uncinandoli uno per uno.
Sembra
una cosa crudele e forse lo è, ma in quel momento i pescatori stanno compiendo
gesti secolari, accompagnati da canti antichi e grida di esortazione, perché la
pesca del tonno è benessere per tutti.
Se si pescano tanti tonni l'inverno sarà buono, ci sarà legna per
scaldarsi e buon pane fresco da mangiare e anche, perché no, del buon vino da
bere. Poi, finita la pesca, c'è ancora tanto lavoro per
tutti : le reti da riparare o da rifare, il pesce da salare e da inscatolare, le
uova delle femmine da lavorare per ricavarne la squisita "bottarga"
e tutto questo tiene occupata una buona parte della popolazione per tutto il
resto dell'anno. Ma tutto
questo è il passato, ora le cose sono un po' cambiate, eccetto la mattanza, che
viene sempre, regolarmente effettuata, anche se i tonni adesso non andranno più
ad arricchire in qualche modo la popolazione, ma piuttosto serviranno in buona
parte a preparare il gustoso "sushi" in un lontano paese con
gli occhi a mandorla.
Ma la mattanza è
anche un momento di aggregazione religiosa per gli uomini che la effettuano.
All'alba del giorno destinato all'atto finale i tonnarotti, in piedi
nelle loro barche e a capo scoperto, guidati dal Rais recitano una serie di
preghiere, quasi a voler chiedere perdono per quell'atto crudele che stanno per
compiere. Iniziano con un'
"Ave Maria" indirizzata alla Madonna ed un Credo dedicato allo Spirito
Santo, poi un "Pater Nostro" con queste invocazioni :
S. Antoniu, Cu ne
desbarasse u camin e cu n'asciste in te nostre operasuin
San Giorgiu, cu ne
libere dai pesci cattii
San Gaitan, cu ne
mande da Pruvvidensa
A questa
invocazione i tonnarotti rispondevano "o nu che u l'ha i pigoèggi".
Questo era un riferimento ironico a qualche personaggio locale, ma
soprattutto aveva un valore scaramantico.
Le invocazioni
terminavano con : San Pe', cu ne mande na bugna pesca
e con altri due Pater Nostro per i defunti e per i Santi Protettori.
Finita la preghiera il Rais pronunciava il rituale "In nome de
Diu, molla!!", il segnale per l'apertura delle porte che lasciavano
entrare il tonno nella camera della morte. Solo alla fine di tutte queste
operazioni il Rais dava con voce possente ai suoi tonnarotti il comando tanto
atteso : "Leva!". A
questo segnale i tonnarotti si scatenavano e, in
un tripudio di urla, canti e grida di incitamento, iniziavano a sollevare
la grande rete a forza di braccia finché, in un ribollire di schiuma, pinne e
code che sbattevano, si concludeva l'eterna lotta tra l'uomo e la sua preda.
L'ULTIMA
TONNARA - La Pesca a Camogli
di
Annamaria "Lilla" Mariotti
Le prime notizie della tonnara
di Camogli si hanno nel 1603, ma probabilmente è anche più antica. In quell’anno un solenne
Decreto del
Magistrato dei Censori stabiliva che "delli tonni che si fossero presi alla
tonnara di Camogli sene dovesse dare agli abitanti diCamogli e di Recco per loro
uso dieci di un rubo, venticinque di due, sei sino a cento rubi". Il rubo
o rubbo è una misura antica che corrisponde a circa 8 Kg e che, tra i pescatori di Camogli, viene usata
ancora ai giorni nostri. Questo uso fu rinnovato nel 1634, 1671,1707 e 1709.
Nel 1618 quattordici marinai di Camogli fecero società con un certo BenedettoCosta, proprietario di tonnara a
Santa Margherita, per gestirla insieme dividendosi i "caratti",ossia porzioni di essa. I camogliesi
si obbligavano a fornire quattordici uomini per far la guardia alla pesca,mentre il Costa impiegava
quattro uomini, con la clausola che il primo tonno che fosse entrato nella tonnara sarebbe
stato offerto al Santuario della Madonna di Nozarego, a SantaMargherita, per sciogliere un voto
fatto da lui stesso. Un altro Santuario trasse beneficio dalla pesca della tonnara; intorno al1630 i proventi
della pesca servirono in parte per la costruzione del Santuario della Madonna del
Boschetto a Camogli. Anche il prolungamento del molo avvenuto sei anni prima fu finanziato con
i proventi della tonnara, che in passato è stata una fonte di benessere per tutta la cittadinanza
e che ora è l’unica e la più antica ancora esistente in Liguria. La tonnara è legata in modo indissolubile
alla vita del paese. Il primo accenno di primavera a Camogli non è dato solo dagli alberi in
fiore e dalle rondini, ma anche dalle grosse reti di filetto di cocco, attaccate al muraglione del
molo in tutta la sua lunghezza, inattesa di essere calate in mare. La disposizione della tonnara
segue l’osservazione delle abitudini del tonno, che non entra nel golfo Paradiso da Punta Chiappa,ma da Ponente, dalla parte di
Genova, tenendosi sempre in vista della costa dal lato sinistro, come se ci vedesse da un occhio solo, e
nella sua corsa non vede gli ostacoli posti di fronte a lui per cui è facile sbarrargli il passo con una
rete posta trasversalmente al suo cammino. Il tonno, appena la incontra, viene ingannato e, credendola
sempre parte della costa,la segue, entrando così nella camera grande della tonnara, la
percorre tutta fino a ritornare al suo ingresso ma, non trovando un percorso alla sua sinistra, non può
che entrare nelle varie camere fino ad arrivare alla camera della morte, da dove non ha via d’uscita.Nelle tonnare di "monta e leva",come quella di Camogli, il sacco
viene sollevato tre volte al giorno,di prima mattina, nel pomeriggio e verso sera. Da tempo immemorabile
questa rete viene tesa sempre nello stesso posto, a circa 400 m. da Punta Chiappa, in direzione
di Camogli.Viene legata a terra ad uno scoglio chiamato "Pedale" in una piccolissima
insenatura del Monte di Portofino che si chiama "Scaí diRocco" e da esso parte la rete
d’arresto, che da terra chiude il passaggio ai pesci e li guida verso una prima camera grande, continua
con un sacco con maglie che si restringono sempre di più per finire nella "camera della morte".La rete viene ormeggiata sul
fondo ed è profonda dai 10 ai 45 metri. Per ancorarla al fondale vengono usati 26
ancorotti, unitamente a grosse pietre del peso di circa 20 Kg. ciascuna. Sopra le reti
sono ancorate due barche: la prima, fissa e più grande, si chiama"poltrona", la seconda, più piccola
e mobile, si chiama "asino".L’"asino" viene portato avanti e
indietro tre volte al giorno da Camogli verso la Tonnara dai sei tonnarotti di turno, portando a
rimorchio una barca più piccola. Usando quest’ultima barca i tonnarotti si muovono agevolmente
tra le due barche e passano così sulla "poltrona" da dove cominciano a sollevare la "camera della
morte" per mezzo di sei cavi avvicinandosi lentamente, metro per metro, all’"asino" finché tra le due
barche rimane solo un grande sacco pieno di pesci guizzanti. lm
SERVITO IN TAVOLA
Quello che segue non è
opera mia, non so
chi lo ha scritto, sono articoli usciti lo stesso giorno sempre sul Secolo XIX, ma credo possa interessare a chiunque si desideri avere
informazioni su tonni e tonnare
I
tonnarotti di Alassio
e
i "bastassi"
C’è un’antica
tradizione di tonnarotti nella
Riviera Ligure di Ponente, nella zona di Alassio, Moglio, Laigueglia, Villanova e
Stellanello. Non erano pescatori ma specialisti nel taglio, nella salatura e nella
cottura dei tonni, tanto che portavano la loro opera in Spagna come in Portogallo o nelle coste nordafricane,durante la stagione della
pesca. Fino agli inizi del XIX secolo l’attività principale della popolazione
marinara di Alassio e Laigueglia era legata al tonno. Ma anche le valli interne della
Liguria erano interessate a questa pesca. Dalla Val Polcevera e dalla Valle Scrivia provenivano i cosiddetti
bastassi capaci di portare in spalla anche i tonni più pesanti.
Tonnarotti e bastassi,
oltre al compenso pattuito, a fine stagione ricevevano anche gli scarti della lavorazione che mettevano sottosale: dall’intestino del tonno, la
biella,
salato ed essiccato, al cuore, alla tunnina,
cioè i ritagli di carne di tonno cotti in acqua e .anche qualche pezzo del prezioso
e ormai introvabile musciamme.
.
La tradizione del tonno
Tra Medioevo e Rinascimento a Genova, centro tradizionalmente
interessato a questo commercio, i pesci conservati venivano venduti nelle botteghe dei formaggiai e
il tonno era trattato soltanto salato. Il tonno giunge a Genova dall’area portoghese e spagnola attraverso Cadice e
talvolta Marsiglia. Dalla Sicilia il tonno viene spedito
annualmente in centinaia di barili (nel 1537 ne arrivarono 2.732) che vanno ad aggiungersi a quelli che provengono
dalle tonnare portoghesi e spagnole e che dovevano alimentare un notevole commercio di
riesportazione. Il commercio dei "pesci salsi" di dimensioni rilevanti
presenta una caratteristica che non si riscontra negli altri settori: la massiccia presenza dell’aristocrazia mercantilee finanziaria cittadina: dai Centurione ai Di Negro, ai
Giustiniani, ai De Mari, agli Spinola e ai Doria, tutti
partecipanti al traffico internazionale di aringhe,
tonno, caviale, storione, mosciamme e bottarga. Negli atti del notaio Antonio Pastorino, relativi al 1506, troviamo i nobiles
Bartolomeo Negrone e Ansaldo Grimaldi, creditori di diversi formaggiai genovesi per alcune partite di tonnina
grassa e magra. Frequentatore assiduo delle tavole dei notabili mercatores, dei ricchi finanzieri, banchieri e
armatori, il medico veronese Bartolomeo Peschetti in "Del conservar la sanità e del vivere de’ Genovesi"
(1602) afferma che "tra i più nobili e saporiti pesci
viene reputato il tonno, massime giovane e mangiato l’Autunno: migliore di tutte le sue parti è il ventre o vogliamo dire
la pancia presso l’ombelico".
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