Né perciò la cura di attendere alla “coltivazione” de’ terreni avvilì gli animi di quegli antichi e venerandi Romani, i quali a tutte le altre città, e a tutte le nazioni lasciarono così rari esempi d’ogni virtù, e in tutti i tempi mantennero questo lodevole istituto con tanta religiosità, che qualora voleano lodare un uomo dabbene, lo chiamavano un “Buon Agricoltore”, come ci attesta Marco Catone (10) : <<Virum bonum cum laudabant, ita laudabant bonum agricolam, bonumque colonum: amplissime laudari existimabatur, qui ita laudabatur>>.

 

6 – Cessata l’autorità dei Re, e ristabilita nel popolo, non per questo cessò la forma, anticamente data al Governo. Anzi divenuto il popolo più copioso, tutto il Lazio fu posto in coltura in modo tale, che, secondo Columella, fù creduto, che gli Dei ne fossero stati maestri :<< In hoc Latio>>,

dice egli (11) <<Saturnia terra, ubi Dii cultus agrorum progeniem suam docuerunt>>, onde finsero, che sotto Saturno Re del Lazio fiorisse il secolo d’oro per la felicità e per l’abbondanza di tutto.

Egli è da notarsi, che in questo tempo la miglior parte del popolo di Roma abitava nelle “Campagne”, diviso in XXXI Tribù, chiamate perciò “Rustiche”, le quali diventarono il carattere onorevole della cittadinanza più scelta a differenza delle “Urbane”, che erano sole quattro, riputandosi i Romani a disonore l’entrarvi, quasichè in queste si ascrivessero i soli dediti all’ozio, i più vili, e i nati di stirpe servile :<<Viri magni, nostri majores>>, scrisse Varrone, (12) <<non sine causa præbonebant Rusticos Romanos Urbanis. Ut ruri enim qui vivet in villa, ignaviores, quam qui in agro versantur in aliquo opere faciundo; sic qui in opido sederent, quam qui rura colerent, desidofiores putabant.Itaque annum ita diviserunt, ut nonis modo diebus urbanas res usurparent, reliquis septem ut rura colerent: quod dum servaverunt institutum utrunque sunt consequuti, ut cultura agros fæcondissimos baberent, ipsi valetudine firmiores essent>>. Fra queste Tribù la più infelice per la sterilità de’ campi, fu la Pupina, posta di la dal Tevere nel Lazio, al parere di Livio (13) e ad ogni modo, secondo che riferisce Valerio Massimo (14), <<illi etiam divites, qui ab aratro accersebantur, ut Consules fierent,voluptatis causa sterile atque æstuosissimo Pupiniæ solum versabant>>.

Tanto è lontano dal vero, che la “ Campagna di Roma “ , e il Lazio fosse allora riputato insalubre, e che non fossero abitati, e arati ancora i campi fertili a grassi, se per insino gli arsi, e gli sterili aveano gente, che gli coltivava: il che seguiva anche ne’ tempi di Cicerone, come egli afferma nell’Orazione sopra la legge Agraria  :(15) <<Quod salum tam exile maerum est, quod aratro perstringi non possit, aut quod est tam asperum saxetam, in quo agricolarum cultus non elaberet?>>

 

 

(10)  De Re Rustica in princip.

(11)  De Re rustica in præsat

(12)  Lib. 2 de re pecuaria in præsat. Plin. Lib.18 cap.3 Hist. Natural.

(13)  Lib.26 cap. 9 Columella de re rustic. Lib.1 cap.4

(14)  Lib.4 cap.4

(15)  De lege agrar. Contra Rullum orat. 16