Mezzi di trasporto nel XX secolo a Caccuri e dintorni


In questa pagina vogliamo ricordare quelli che erano i principali mezzi trasporto e di locomozione nelle nostre contrade prima che Moto Ape, camion, trattori e fuoristrada soppiantassero quadrupedi, traini e calessi a trazione animale.

'U Ciucciu (L'asino)

                
L'asino

   L'asino era "il mezzo di trasporto" più diffuso tra i contadini calabresi del XX secolo ed anche il più amato. 'U ciucciu, com'era chiamato in dialetto calabrese, era quasi un componente della famiglia ed anche tra i più importanti, quello che, comunque, era considerato il più produttivo. Animale intelligente (molto più intelligente del cane, nonostante il suo nome sia diventato sinonimo di ignorante), paziente, affettuoso ed instancabile, veniva adibito ad ogni sorta di trasporto per le impervie stradine delle nostre contrade là dove nessun altro mezzo sarebbe mai potuto arrivare. E cosi sul groppone del povero somaro si caricava la legna per scaldarci raccolta a Serra del Bosco, Campodimanno, Eido o qualche altro bosco del territorio caccurese, ortaggi,  materiali da costruzione. Qualche volta l'animale veniva perfino aggiogato all'aratro per dissodare piccoli appezzamenti di terreno. Ovviamente,  le poche volte che non c'era qualcosa da trasportare il povero somarello doveva sobbarcarsi la fatica di portare in groppa ilo proprio padrone.

                      
           
Salvatore Fazio in groppa al suo asinello                  Asinello carico di grano
 
          
           
               
           Muli con fiscini

 

 
   Molti sono gli aneddoti tramandatici dai nostri nonni che dimostrano che, molto spesso, l'asino si rivelava molto più intelligente del padrone. Si narra poi che quando l'asino si ammalava o, peggio ancora, moriva, in casa piombava la disperazione perché veniva a mancare l'apporto insostituibile di questo generoso animale che, molto spesso, costituiva la vera ricchezza della famiglia.

Un racconto sull'asino
Latte d'asina

 Ecco come l'asino viene celebrato in quella che è, forse, la più celebre canzone calabrese.

Ciangitilu ciangitilu
ch’è mortu u ciucciu miu
cussì ha vulutu Ddiu
e chi ‘nciavimu a ffà

 Cu ragghiu chi faciva
pariva nu tenori
ciucciu bellu di stu cori
comu ti pozzu amà

Quandu ragghiava faciva
ia ia ia
ciucciu bellu di stu cori
comu ti pozzu amà

Avia nu sceccareddhu
ch’era na cosa fina
si la facia ragghiandu
da sira a la matina

Nu iornu immu a spassu
‘nci misi a brigghia d’oru
e ammenzu a ddhi signori
si misi poi a ragghià

Quandu m’è morta moglima
non ‘ndeppi dispiaciri
senza suspiri e lacrimi
le ietti a sutterrari

Mò chi m’è mortu u ciucciu
ciangiu cu gran duluru
ciucciu bellu di stu cori
comu ti pozzu amà

Quandu ragghiava faciva
ia ia ia
ciucciu bellu di stu cori
comu ti pozzu amà

                                               Il mulo

                            

    Il mulo, altro mezzo di trasporto molto diffuso fino a quarant'anni fa nel nostro paese, é un incrocio tra un asino ed una cavalla ed ha il pregio di essere più robusto dell'asino e più resistente sia del padre, che della madre. Il mulo era in grado di trasportare carichi più pesanti e molto più adatto dell'asino e del cavallo per l'aratura.

                                                      

Per essere adibiti ai diversi tipi di trasporti l'asino e il mulo venivano bardati con finimenti diversi, così come diversi erano i contenitori che venivano legati al basto. I più comuni  erano:

I fiscini, dal latino "fiscus", due grossi cesti di vimini a forma di grossolano parallelepipedo che avevano nella parte superiore un foro rettangolare per il passaggio dei "carricaturi", ovvero le corde con le quali venivano assicurati al basto . I fiscini servivano per trasportare ortaggi e frutta ( patate, fagioi, pomodori, mele, fixhi d'india etc.) 

'E casciotte, contenitori di legno a forma di parallelepipedo con la parte inferiore mobile ruotante su due cerniere che ne consentivano l'apertura per scaricare i materiali trasportati senza caricare la cavalcatura. Erano utilizzate soprattutto per il trasporto della sabbia, della ghiaia o della calce spenta (idrossido di calcio)  prodotto nei dintorni del paese;

I ganci, attrezzi di legno ricurvi (simili a due "gammelli" rovesciati) che si legavano al basto ed erano utilizzati per il trasporto delle pietre squadrate (cantunere) prodotte nelle cave dei Praci che venivano utilizzate per la costruzione delle case del paese fino alla metà degli anni  '60 dello scorso secolo. 

Utri (otri), recipienti di pelle di capra utilizzati per il trasporto dell'oilo

Varrili (barili) recipienti oblunghi di legno a doghe della capacità di 25 litri usati per trasportare l'acqua o il vino. Venivano assicurati al basto per mezzo delle funi (carricaturi). Un asino ne portava di solito quattro per volta. 

Rituni (gabbioni) reti costruite con corda di canapa utilizzate per il trasporto del fieno. 


                     Il basto

                                                                                  'U cavallu (il cavallo) 

Il cavallo, così come nelle altre parti d'Italia, era un quadrupoede nobile, adibito, solitamente, come mezzo di locomozione per le persone più facoltose. Solo di rado veniva utilizzato anche per il trasporto di materiali o derrate ed ancor più raramente veniva aggiogato all'aratro.

                                        
     Antonio Pasculli a cavallo nei presi del convento        Il cavaliere Raffaele Ambrosio sul suo cavallo

                                                                                              'U trainu

                                
Trainu

     'U traìnu   fu un caratteristico  mezzo di trasporto  usato, anche  a Caccuri, fino alla seconda metà degli anni '40 e rappresentava l'alternativa ai pochi camion che circolavano nei nostri paesi  e che, comunque, venivano utilizzati  soprattutto per il trasporto di materiali per l'edilizia. Il "traìno", viceversa, era adibito a quello delle derrate alimentari, del foraggio, degli animali vivi etc. Questo particolare carretto veniva trainato solitamente da muli o cavalli e, molto più raramente, da buoi.
     Fino agli inizi degli anni '50 uno di questi traini,  " 'U trainu 'e Cannellinu" riforniva le bottegucce del paese  di generi alimentari ed altre mercanzie. Il carrettiere, il crotonese Giovanni Cannellino, si partiva dalla città pitagorica e, dopo una giornata di viaggio, sostava a Santa Severina per poi ripartire alla volta di Caccuri che raggiungeva al secondo giorno di viaggio. Alle dipendenze del carrettiere crotonese c'era  anche il nostro compaesano Vincenzo Parrotta. Una volta giunte in paese, le merci venivano consegnate ai negozianti del tempo dai signori Cesare Salerno e Ciorra.
      I negozi del periodo pre bellico erano quello di "Marru Carmine" (mastro Carmine Chiodo),  in piazza Umberto che oltre ai  generi alimentari vendeva anche tessuti (pannama), Marcellino, nel Vincolato, nei locali che poi ospiteranno la Piccola Casa dei Poveri  e zia Luisa Marino in Lupinacci, piazza Umberto,  che fungeva anche da osteria.  
                              
Mastro Carmine Chiodo



'U camiu (Il camion)

   I primi camion fecero la loro comparsa a Caccuri nei primi decenni del secolo scorso, ma erano pochi e, comunque, scarsamente utilizzabili per la carenza di strade che si protrarrà fino alla metà degli anni '60. Uno dei primi era di proprietà del signor Modesto Cimino (Murestino) ed era guidato da Enrico Loria. A quell'epoca erano ancora molto rudimentali ed avevano le gomme piene, senza camera d'aria.
  Negli anni '50 a Caccuri circolavano soprattutto un 682 di proprietà del signor Antonio Sellaro, parcheggiato sempre a lato della casa del padre, Giuseppe, a Canalaci e un Ford Taunus del signor Amedeo Pizzuti, assai curioso perché la parte anteriore, nella quale era alloggiato il motore, aveva quasi la stessa lunghezza del cassone.


Antonio Sellaro (secondo da sinistra) davanti il suo camion

Più o meno nello stesso periodo circolava anche l'Alfa Romeo del signor Gesino Spatafora che si intravvede nella foto successiva.

    
Gesino Spatafora (primo da sinistra) ed il suo Alfa

 
Luigi Sellaro (a destra) e un suo amico con un vecchio autocarro nel 1950


Qualche anno dopo fu la volta di un 642 Fiat del signor Nicola Maffei e di un altro autocarro di proprietà del signor Antonio Pisano.

 

                                                                  Ape e calessino

                                 

   Verso la metà degli anni '50 fecero la loro comparsa a Caccuri i primi mezzi della Piaggio, le mitiche Api  con cassone  o furgonate e il calessino, probabilmente il primo mezzo di trasporto a tre ruote (fatta eccezione per qualche sidecar militare nel periodo bellico) comparso a Caccuri e di proprietà di don Mario Pasculli che lo utilizzava probabilmente per raggiungere la sua proprietà in località Pantane. Ricordo ancora  questa bellissima moto, quando oramai non era  più circolante, parcheggiato per anni nei pressi del convento nei pressi della casa del compianto Francesco Basile, sotto il balcone di Giuseppe Falbo, oggetto di giochi per i bambini del tempo che vi salivano sopra sognando di guidarla. Successivamente fecero la loro comparsa un'ape furgone di proprietà di Giuseppe Marasco (Peppe 'u  Mercante) che la utilizzava per il suo commercio di stoffe ed una a cassone di Vincenzo Falbo (Satanu) che a quel tempo aveva aperto un negozio di fruttivendolo in piazza, nel localino che in seguito ospitò la sartoria di mastro Giovanni Gallo. 
Anche l'Ape di Vincenzino rimase parcheggiata, per almeno due decenni, in viale del Re, dirimpetto alla sua casa paterna fino a costituire, quasi, parte integrante del paesaggio.
   Nella seconda metà degli anni '60 e nei successivi anni '70 e '80,  con la realizzazione di nuove strade interpoderali, l'Ape sostituì progressivamente i quadrupedi che scomparvero definitivamente, così come scomparve anche il mestiere di maniscalco. 

             
   Vincenzo Falbo                  Ape con cassone                                                   Ape furgone

 

                                                             'A fimmina (La donna)

                                                            

Dopo aver elencato sommariamente i mezzi di trasporto adoperati a Caccuri nel secolo scorso e, molti, anche nei secoli precedenti, è doveroso spendere qualche altra parola per rendere omaggio ed elogiare uno dei "mezzi di trasporto" più efficaci, più paziente e, per dirla con una brutta battuta, più economico. Si tratta della donna,delle nostre nonne, che, per dare un ulteriore contributo all'economia della famiglia, oltre le altre centinaia di contributi che fornivano quotidianamente con il loro duro e qualificato lavoro, a sera, al ritorno dai campi, si caricavano anch'esse come muli portando sulla testa grosse ceste cariche di ortaggi o pesanti fascine di sterpi. C'erano donne capaci di portare in testa " 'nu menzarulu"  (tra i 25 e i 30 chilogrammi) di patate o di castagne, di olive, di noci anche per cinque - sei chilometri. Per evitare escoriazioni frapponevano fra il cuoio capelluto ed il cesto un anello di stracci ( ' a curuna) ed effettuavano, ogni tanto, qualche sosta ( se spunìanu) ,, ma solo se,  assieme a loro, c'era qualcuno che potesse aiutarle a rimettersi il cesto in testa ( a s' 'a  'mpesàre) quando si arano riposate un po'. Oltre alle contadine quelle che trasportavano i pesi maggiori in testa erano le fornaie ( 'e tàvule 'e ru pane e le sàrcine), ovvero i contenitori col pane da infornare e le fascine di legna per ardere il forno.

 

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