Le commedie
 

 

    Sin da bambino mi e' sempre piaciuto ascoltare i vecchi. Quei simpatici vecchietti del mio paese che, nelle giornata primaverili o autunnali, quando il freddo non e' più o non e' ancora pungente, si sedevano sul sedile di pietra in piazza, con la pipa in bocca ed il bastone appoggiato fra le gambe a raccontare storie del passato. Erano quasi sempre storielle amene: burle, scherzi architettati agli amici, storie di tresche, di fatica, di emigrazione raccontate con sottile ironia e bonomia.
     Quei racconti mi sono rimasti impressi nella mente accentuando in me l'orgoglio delle mie origini contadine e facendomi apprezzare i  valori di quella cultura. E a quelle storie mi sono ispirato spesso quando ho cominciato a scrivere commedie in vernacolo e a rappresentarle nel teatro del Centro sociale di Caccuri con una compagnia di amici.
     Le commedie fin ora rappresentate sono tre, mentre una quarta e' in preparazione. Tutte le commedie sono state allestite e messe in scena grazie alla collaborazione dell'associazione culturale Zeus  e del suo presidente Peppino Sganga.

  La prima si intitola: " 'N'ominu curaggiusu" (Un uomo coraggioso) ed e'  la storia di uno spaccone che grida ai quattro venti il suo coraggio, vantandosi di non aver paura di nulla, racconta delle sue imprese mirabolanti, ma e' colpito da infarto per lo scherzo di alcuni ragazzini.  La trama e' un pretesto per rappresentare uno spaccato della vita nei paesi della Calabria all'inizio del secolo. Intorno al protagonista ruota, infatti, una fitta schiera di personaggi: i banditori che fanno di tutto per sbarcare il lunario, gli artigiani poveri che si arrabattano facendo diversi mestieri, il prete furbastro ed avaro che sfrutta la superstizione per arricchirsi, il veterinario che si diverte a mettere zizzania tra la povera gente in lotta per la sopravvivenza, lo scemo del paese credulone e vittima degli scherzi pesanti dei buontemponi.

  
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N'ominu curaggisu"  Centro sociale Caccuri 23 dicembre 1998

Soggetto e regia di Giuseppe Marino, Sceneggiatura di Vittoria Larocca, musiche di Domenico SecretoScenografia di Gianni Porcelli

 

      La seconda commedia, che ha avuto un buon successo di pubblico, si intitola "Zu Giuvanni e la Morte".

E' la storia di un vecchio contadino, epicureo a sua insaputa, che sin dalla gioventù, riesce a gabbare ripetutamente la Morte,  che lo cerca per ghermirlo, attraverso una serie di beffe. A volte la distrae, a volte la ubriaca, a  volte la coinvolge in danze frenetiche fino a quando, sorpreso dalla Nera signora e non potendole più sfuggire, si incammina con lei sul viottolo che porta alle rive dell'Acheronte dove Caronte lo attende per traghettarlo. Ma prima di arrivarvi, lamentandosi per la prostata che lo tormenta e fingendo di dover fare un bisognino, riesce, ancora una volta, a sfuggire alla Morte e a ritornare al mondo per riprendere tranquillamente a gozzovigliare con gli amici.

E' una metafora sulla gioia di vivere che e' sempre più forte della morte.

  

"Zu Giovanni e la Morte" Centro Sociale Caccuri (Carnevale 2000) Soggetto di G. Marino - Sceneggiatura di G. Marino  -  Scenografia di Gianni Porcelli, Musiche originali di Domenico Secreto

 

La terza commedia ha per titolo "'A fine 'e ru munnu" (La fine del mondo). E' la storia di un contadino dell'inizo del secolo che decide di emigrare in America. Per farlo ha bisogno dei soldi per il viaggio e li chiede al signorotto del paese.  Don Nicola glieli presta, ma finisce per diventare l'amante della moglie. La relazione scatena le ire di Mariettina (Palummella), moglie di Arturo ed amante anch'essa del signorotto.  La rivalità assume toni drammatici, ma poi le due donne, avviate al vizio dal dissoluto libertino, finiranno per mettersi in proprio trovando "l' America" in Italia, mentre il povero Pasquale, l'emigrato, rimarrà povero anche in America. Don Nicola, piantato dalle amanti, impazzisce. E per tutti i personaggi finisce il mondo nel quale vivevano, tutto sommato, felici. Per Pasquale crolla il mondo delle illusioni, per don Nicola il mondo dorato (donne, potere, salute, ricchezza) nel quale era vissuto e per le donne il mondo degli stenti, ma anche della purezza e dell'onesta'

 

     "A fine e ru munnu" Centro sociale di Caccuri 12 agosto 2000 - Soggetto di G. Marino - Sceneggiatura di G. Marino  - Scenografia di Gianni Porcelli - Musiche di Luigi Antonio Quintieri

 

                                                                                               Caccuri 'e na vota

                                              


   
Caccuri 'e 'na vota   è la rappresentazione di una nottata e di una giornata nella Caccuri del secolo scorso. Le vicende si svolgono nella primavera del 1946, un periodo difficile della storia italiana e caccurese, in un paese che subiva ancora le conseguenze di una spaventosa guerra appena conclusa e che si sommavano alla miseria, al degrado, al dramma dell'emigrazione  che, già dall'inizio del secolo, aveva decimato la popolazione caccurese e diviso le famiglie. In una situazione così difficile, la povera gente era costretta ad arrangiarsi ricorrendo a diversi espedienti. 
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   Oltre alle commedie in vernacolo ho scritto per gli alunni della mia scuola anche altre opere, una commedia dal titolo "Uno strano factotum", un apologo sulle pari opportunità dal titolo " La condizione femminile nel tempo" che e' stata rappresentata al teatro Apollo di Crotone vincendo il primo premio del concorso bandito dalla Commissione provinciale per le Pari opportunità per l'anno 1999 ed  un' opera a sfondo religioso ispirata ai vangeli apocrifi dal titolo "Nascita ed infanzia di Gesù" rappresentata al Centro sociale di Caccuri il 22 dicembre del 1999 per la regia di Giovannina Miliè.

         

               La condizione femminile nel tempo - Crotone - Teatro Apollo - Maggio 1999
               Soggetto  di Giuseppe Marino  Regia di Giovannina Milie'

 

                                                                            Altre opere

                                La Passione di Cristo

                         

Scrissi questa versione della Passione di Cristo nei primi mesi del 2005 per essere rappresentata nella suggestiva cornice di largo Portapiccola, una sorta di "piazza tetro" che forniva una stupenda scenografia naturale col la collaborazione dell'associazione culturale Arco del Murorotto. La rappresentazione, in questa meravigliosa ambientazione, andò in scena il pomeriggio del 26 marzo del 2005, diretta da me stesso ed interpretata da attori dilettanti reclutati in paese e riscosse un notevole successo tanto che l'anno successivo fu rappresentata, a cura del Gruppo Parrocchiale di Belvedere Spinello, nel teatro all'aperto del Santuario della Madonna della Scala per la regia di Salvatore Bellio e dai ragazzi della Scuola Elementare Mario Filippo SPerlì di Caccuri diretti dall'autore, insegnante in quella stessa scuola. 

            I Giudei

Nel 1984, nel 1989 e nel 1994 ho partecipato nelle vesti di sceneggiatore ed interprete alla   manifestazione di teatro popolare dal titolo "I Giudei", una grandiosa rappresentazione della Passione e morte di Cristo che si mette in scena ogni 5 - 6 anni a Caccuri e che impegna circa 200 persone tra protagonisti e comparse. L'opera, in versi settecenteschi, richiama a Caccuri migliaia di persone da tutta la Calabria.

  Per l'edizione del 1984 e successive, dirette da Salvatore Basile, ho scritto appositamente i versi della Cena che non erano compresi nel testo originale e in quelle successive ho creato altri personaggi per rendere più completa la seduta del Sinedrio, sempre cercando di adeguare i versi, quanto più possibile, alla lingua originaria.

  
 "I Giudei" Anno 1984 - Giuseppe Marino nelle vesti di Nicodemo

La cena

  Colonna sonora di L.A. Quintieri

Sulla scena una lunga tavola imbandita. Undici persone sono sedute.  Sulla sinistra dello spettatore Cristo ,  in ginocchio, sta lavando i piedi ad un apostolo.  Finita la lavanda fa cenno a Pietro di avvicinarsi.

Pietro: Parmi, Signore mio, cosa non degna, che il Celeste Maestro dell’umil servo suo terga le membra.

Cristo: Tempo non e’, mio buon Simone Pietro, che tu comprenda quanto or qui s’appressa. Sappi soltanto che  se il Figlio             dell’uomo non si fa servo, con sacra lavanda del suo fratello dell’Eterno figlio, questi, che mai da me non fia diviso, non entrerà giammai nel paradiso.

 Pietro si avvicina e si lascia lavare i piedi. Dopo averglieli asciugati Cristo siede al tavolo e riprende..

Cristo: Giunto e' il momento che comprender e’ d’uopo ciò che si fece. Se il  Figlio dell’uomo terse le membra dei                        diletti  figli,  certo e' opportuno che i discepol miei  l’un l’altro si lavino a mia guisa; sol chi del suo frate servo diventa degno e’ del   Padre mio!

 

Le parole di Cristo sono seguite da qualche attimo di silenzio. Poi riprende il vocio dei commensali. All’improvviso cala uno strano silenzio . La tensione diventa palpabile e i discepoli si voltano a guardare Cristo.

 

Cristo: La limpida acqua che le membra terse puri vi fece e degni del Padre mio. Sol un tra voi pur e’ fallace ed il Signore tradirà con un bacio.

 

Giovanni: Maestro, chi e’?

 

 

Cristo:                             Cristo: Chi con lui mangia della stessa mensa a vendere il Maestro ormai già pensa.

 

I discepoli                     si guardano tra loro increduli. Cristo spezza il pane e lo porge a Giuda.

 

Giuda: Son forse io, Signore?

 

Cristo:  Tu l’hai detto, ma quel che devi far, fallo al più presto.

 

Giuda si alza ed esce.

 

Cristo:                             Cristo:   Da lungo tempo desiderai con voi sedere a questo desco. Or già s’appressa l’antica profezia de’ padri nostri. Ne’ mangero’ con voi di questo pane, se non nel regno del Celeste Padre. (Spezza il pane e lo porge a un discepolo).  Questo  del Figlio dell’Eterno e’ il corpo per voi sacrificato; ciascun di questo pane si satolli, cibo immortale,  mistica vivanda che l’uomo al Dio del ciel fa somigliante. ( Prende una coppa di vino e la porge allo stesso  discepolo)  Questo della vite e’ il dolce succo; bevete tutti del Maestro il sangue versato in remissione dei peccati. Chi del calice mio disseterassi degno e’ del regno dell’Eterno Padre.

 

Il calice passa di mano, Poi, in silenzio, tutti si alzano e si abbracciano tra di loro lentamente.