Briganti caccuresi


    Nel corso dei primi decenni del XIX secolo vissero ed operarono a Caccuri molti feroci briganti, alcuni originari di paesi del Cosentino o di altre zone della Calabria, altri nati e vissuti nel nostro paese da famiglie del luogo. Le loro gesta  sono pubblicati nel mio saggio  Cronache di poveri briganti - Il brigantaggio nel XIX secolo a Caccuri e dintorni, ed. Pubblisfera, S. Giovanni in Fiore 2003 da tempo esaurito. Per questo motivo, credendo di fare cosa gradita ai tanti amici che ancora mi chiedono una copia del libro, ho deciso di riportare su queste pagine le biografie dei più noti.

Salvatore Secreto, alias Titta

   Salvatore Secreto, alias Titta fu senza dubbio il più feroce e determinato brigante caccurese. Nacque a Caccuri il 4 luglio del 1824 da Saverio e da Domenica Mele.
   Ancora giovanissimo cominciò a lavorare come pastore accordato con alcuni proprietari della zona, ma ben presto si diede alla macchia seguendo i briganti Andrea Intrieri e Luigi Angotti, due fuorilegge originari di San Pietro in Guarano che si erano stabiliti a Caccuri. Le autorità del tempo lo definirono "di indole perversa e spietata e dedito alle peggiori nefandezze."
    Nel 1846, assieme agli altri componenti della banda, si rese protagonista di numerosi sequestri di persona , grassazioni, ruberie, minacce e ricatti vari nei territori di Umbriatico, Cirò e Pallagorio. L'anno successivo , sempre con la stessa banda, continuò ad assalire, minacciare,  depredare e ricattare diversi proprietari della zona di Crotone, Caccuri e Santa Severina.
   La notte del 17 aprile 1847, nel corso di una delle solite scorrerie, fu ucciso in un conflitto a fuoco tra la sua banda e un gruppo di foresi che i briganti avevano assalito in un pagliaio in contrada Budetto nel territorio di Santa Severina. Pochi giorni dopo, il 28 aprile, i resti della banda furono intercettati in località Laconi dell'agro di Caccuri dalla guardia urbana dello stesso paese e dalla gendarmeria nazionale. Anche in questa occasione ci fu un lungo conflitto a fuoco nel corso del quale rimasero feriti la guardia caccurese Vincenzo Cosenza e il gendarme Bartolomeo Bucchianico. Il capo della banda, Luigi Angotti fu ferito ad una coscia da una fucilata, catturato e arrestato assieme a Saverio Secreto, padre di Titta.
  L'elenco delle criminali imprese del Secreto è davvero lungo. La sua attività criminale durò a lungo anche grazie alla complicità di alcune donne del luogo tra le quali la sua compagna, una certa Angela Maria Militerno che fu per questo anche processata.

Rosario Iesu, alias Panazzu

   Rosario Iesu detto Panazzu nacque a Caccuri nel 1809 da Pietro, parente di Francesco, un giovane gendarme caccurese che era diventato brigante e aggregatosi alle orde di Parafante per sfuggire alla condanna che gli sarebbe stata senza'altro inflitta per aver ucciso un compaesano per legittima difesa, condanna che subì successivamente pur essendosi costituito alle autorità su consiglio del suo capitano per cui fu fucilato,
   Panazzu, invece, iniziò la sua carriera di fuorilegge nel 1836 con l'accoltellamento, nel corso di una rissa, di Michele Aiello, reato per il quale fu condannato a 6 anni di relegazione. Datosi alla macchia, fu inserito in alcune liste di fuorbando e attivamente ricercato dalla guardia urbana e dalla gendarmeria reale. Dopo aver commesso numerosi reati fu catturato nel 1842 dalla guardia urbana di Cerenzia e dai guardiano del barone Barracco. Il suo nome è legato a duna piccola valle che si trova tra Furnia e Gallea, forse probabile rifugio del brigante.

 

Andrea Lacaria

Andrea Lacaria, grassatore e razziatore, nacque a Caccuri il 9 maggio del 1829 da Saverio e da Teresa Oliverio. Assieme a Vincenzo Miliè seguì il brigante Filippo Pellegrino alla macchia. Venne catturato assieme al suo capo il 20 luglio del 1848 a Ombraleone dalla Guardia urbana di Caccuri al comando di Luigi De Franco e Vincenzo Ambrosio. Prima di arrendersi ferì con una coltellata alla coscia il capo sezione Bruno Lamanna e poi tentò la fuga, ma venne acciuffato e sopraffatto dalle guardie. Al processo, celebratosi poco tempo dopo, emerse che aveva più volte razziato bestiame e rubato oggetti di valore sostenendo che questa era la volontà del governo e gli ordini del generale Nunziante. Uno dei proprietari maggiormente presi di mira dal Lacaria era il barone Barracco al quale sottrasse numerosi ovini e maiali che poi macellava.

                                                             Rocco Perri

  Più che un brigante vero e proprio, Rocco Perri fu un ribelle che aveva in odio le autorità, soprattutto quelle piemontesi. Partecipò, assieme ad altri caccuresi, alla rivolta del 7 luglio del 1861 e, forse, anche all'agguato del 16 dello stesso mese che costò la vita a quattro guardie doganali. Il 4 agosto dello stesso anno, approfittando dell'amnistia concessa dal generale Della Chiesa, sì presentò al sindaco di Caccuri ed evitò altri guai, ma tre anni dopo, nell'aprile del 1864, armato di accetta, fu uno dei protagonisti della rivolta del sale a Basalicò che si concluse con un morto e un ferito grave tra i rivoltosi. Per quest'ultimo reato fu arrestato insieme ad altri sette e processato.

                                                        Salvatore Manfreda

   Salvatore Manfreda, forese nato nel 1833, si unì ad una pericolosa banda della quale facevano parte briganti di Strangoli, Casabona e Rocca di Neto. La banda si macchiò di numerosi delitti e commise molti misfatti che portarono alla condanna di quasi tutti i componenti a pene detentive molto dure, compresi i lavori forzati a vita. Il processo, in Corte d'assise, ebbe inizio il 5 aprile del 1866. Il brigante caccurese fu accusato di "congiurare contro la forma di governo e suscita­re la guerra civile tra i regnicoli inducendoli ad armarsi per portare la devastazione e la strage contro una classe di persone, di depredazione di beni dello Stato commes­si in banda armata organizzata, sotto il comando di de­terminati capi in Strongoli, Casabona, Rocca di Neto e Belvedere Spinello, di distruzione degli archivi munici­pali di Strongoli e di Belvedere Spinello, di saccheggi e furti vari, di ribellione, riunione armata e oltraggio con­tro la forza pubblica." '" Una sfilza di reati che, se provati, avrebbero comportato una condanna a lunghi anni di lavori forzati. Al processo, però, venne riconosciuto col­pevole del solo saccheggio, perpetrato in Rocca di Neto l'il e 12 luglio del 1862, in danno di un certo Pasquale Marrajeni al quale il Manfreda, assieme ad un altro ma­nigoldo, sottrasse beni e danaro per un valore di oltre 100 lire. Gli vennero, però, riconosciute le circostanze attenuanti e se la cavò con soli cinque anni di carcere.

Prima di chiudere ritengo giusto riportare anche la biografia del celebre Zirricu, un brigante sangiovannese che, però, visse a lungo a Caccuri,  nella zona di Caccuri compì numerose scorrerie e a Eido, agro di Caccuri, finì la sua carriera criminale. 

Giovanni Cosco, alias Zirricu

 

Giovanni Cosco, alias Zirricu, fu un feroce brigante. Assieme alla sua banda,  infestò il territorio caccurese nel periodo compreso tra il 1860 e il 1868, anno della sua morte. Nato a San Giovanni in Fiore nel 1830 da Pasquale, un onesto contadino, si stabilì a Cerenzia dopo il matrimonio con Isabella Grande. Datosi alla macchia, divenne un celebre grassatore che si accompagnava ad altri scellerati tra i quali Giuseppe Gallo, detto Chillino. I due risultano coimputati, nel 1866, in un processo per grassazione. Zirricu e Chillino si resero,  protagonisti di un’aggressione ai danni di quattro mulattieri di Aprigliano, Bruno Miglio, Carmine Ciacco, Pasquale Lepera e Stefano Crivaro in contrada Bordò la sera del 14 maggio 1866. I mulattieri, che provenivano da Papanice con i muli carichi di formaggio, ricotte e lana, stavano facendo rientro al loro paese.  I due masnadieri, appartenenti alla banda di Antonio Gallo, alias Serra di San Giovanni in Fiore, armati di fucile, riuscirono a sorprenderli e li spogliarono di ogni cosa. Il bottino razziato consisteva in 43 forme di formaggi e 20 ricotte del valore complessivo di 320 lire e di un carico di lana del valore di 200 lire. Uno dei malfattori, (presumibilmente il Cosco), dall’età apparente di 35 anni, vestiva calzoni corti e giacca, lunghi calzettoni di lana  bianca e scarpe “all’italiana”.

Circa due mesi dopo, precisamente la notte del 22 luglio 1866, la banda, della quale facevano parte anche Giovanni Oliverio, alias Cicogna, Antonio Oliverio, alias Cicigna e i fratelli Cucinarello, sequestrò, in contrada San Lorenzo, il possidente Ignazio Brisinda di Casino (Castelsilano). Il Brisinda, che tornava a Casino  da Pallagorio,  venne affrontato da un malfattore armato di pistola. Probabilmente ebbe un gesto di reazione che innervosì il malvivente che gli esplose contro un colpo di pistola senza colpirlo. A questo punto intervennero i complici che lo sequestrarono , lo portarono a San Giovanni in Fiore e lo  rinchiusero in un casolare di campagna di proprietà di un certo Francesco De Simone. Nella stesa notte lo trasferirono in un altro casolare vicino di proprietà di Biagio Fergiano e Domenico Ferrise dove lo legarono.  Poi decisero di trasferirlo, nella stessa notte,  in Sila , ma giunti in località Colla, approfittando di un attimo di distrazione dei briganti, il sequestrato riuscì a fuggire. Allora i fuorilegge gli esplosero contro numerosi colpi di fucile, ma non riuscirono a colpirlo.  La mattina del 23 la Guardia nazionale di Casino effettuò una perquisizione e, in uno dei casolari, rinvenne una carabina. Poco tempo dopo l’intera banda venne catturata e il giorno 11 febbraio del 1867 i detenuti, interrogati dal giudice istruttore, negarono ogni addebito.  Il 20 dello stesso mese, lo stesso giudice formalizzò i capi di imputazione  nei confronti dei sospettati accusandoli anche di grassazione in danno di Giuseppe Mauro e Giuseppe Fabiano, cittadini di Casino, avvenuta il 17 agosto del 1866.

Negli anni successivi la banda venne sgominata. Giovanni Cosco, alias Zirricu e Antonio Gallo, alias Serra, il capobanda, mentre erano in attesa di essere trasferiti nelle carceri di Cosenza, il 28 febbraio del 1868 evasero dalla camera di sicurezza di Soneria Mannelli.  Il Gallo fu riacciuffato il 12 aprile dalla Guardia Nazionale. Mentre lo traducevano a San Giovanni in Fiore, tento di scappare, ma lo freddarono con una scarica di fucilate nella schiena. Zirricu continuò la sua carriera di brigante ancora per qualche mese, il 10 ottobre del 1868, a Eydo, fu ucciso in un conflitto a fuoco con la guardia nazionale.

Tra le tante altre scellerate imprese attribuite a questo malfattore si racconta di una persecuzione spietata, quanto ingiustificata, nei confronti di una povera donna di Caccuri, Angela Pepe, abitante nel rione Portapiccola, accusata dal brigante di maltrattare la figlioletta della quale, il malfattore, si ergeva, non si sa perché, a difensore (forse perché la riteneva il frutto di una sua precedente violenza ai danni della donna). Fu proprio la povera Angela, esasperata dalla prepotenza del brigante, a predirgli la triste che avrebbe fatto di lì a poco.

A Zirricu, la tradizione popolare attribuisce un episodio davvero raccapricciante che, però, farebbe pensare più ad una leggenda che a un fatto realmente accaduto. Pare che una volta lui e la sua banda venissero intercettati dalla Guardia urbana di Caccuri a  San Biagio, nei pressi della ”chiesiula”. Nel corso dell’inevitabile scontro a fuoco, nel tentativo di sottrarsi alla cattura, uno dei masnadieri, mentre correva, cadde e si ruppe una gamba. Il malvivente si mise allora ad urlare invocando l’aiuto dei compagni. Ad un tratto Zirricu sbucò dalla boscaglia e, veloce come il fulmine, con un’enorme scure, gli troncò di netto la testa, la infilò in un sacco e si dileguò con la stessa rapidità con la quale era apparso. Tutto ciò, evidentemente, per impedire l’arresto del brigante ferito, una eventuale sua delazione, ma anche l’identificazione da morto e le possibili vendette nei confronti della famiglia da parte di qualche vittima delle imprese scellerate della banda.

 Zirricu, come tutti i capi banda dell’epoca, aveva un debole per le belle donne. Una volta, un marito tradito, sorprese gli amanti in località Valle del Papa, ma, non avendo il coraggio di affrontare il taglia gole a viso aperto per paura della sua reazione, si limitò a sottrargli di soppiatto i vestiti lasciandolo completamente nudo e credendo, in tal modo, di metterlo in serie difficoltà. E, in effetti, il bandito ebbe non poche difficoltà a recuperare qualcosa da mettersi addosso, ma alla fine ci riuscì con l’aiuto di un pastore. La cosa lo turbò a tal punto che da allora aggiunse alle sue mansioni di capo banda, anche quelle di procurare e distribuire personalmente ai suoi compagni i capi di abbigliamento. L’episodio fu raccontato da Angelo Raffaele Secreto (Velociu) in una farsa.
   Quello che invece la tradizione popolare non racconta è che il feroce Zirricu era, ironia del destino, vittima egli stesso dell’infedeltà della moglie Isabella Grande che lo tradiva con una guardia doganale. Forse perché troppo preso dalle sue imprese brigantesche, ma più probabilmente perché in carcere per qualche mese, il povero Zirricu fu, evidentemente costretto a trascurare la sua giovane moglie che cercò di consolarsi dell’assenza del briccone accettando la corte del doganiere Pietro Iannotti.
    In un giorno del mese di giugno del 1868 che le autorità  non riuscirono a precisare, la banda che un tempo  era capeggiata da Antonio Gallo, alias Serra e che ora, dopo la morte del Gallo avvenuta nel mese di aprile aveva scelto come suo capo Zirricu, bloccò, nelle vicinanze di Altilia, le guardie doganali Paolo Rocchi, Antonio Aielllo e Pietro Orlandi. Dodici briganti, armati fino ai denti, chiesero agli sbigottiti gendarmi dove si trovava il loro collega Pietro Iannotti e, saputo che era stato trasferito nella provincia di Cosenza, si sentirono rispondere che era una fortuna perché così si evitavano due omicidi, quello dello stesso Ianotti e quello della moglie di Giovanni Cosco, Isabella Grande, che aveva una relazione con lui.

Il 10 ottobre del 1868, alle ore 21, il Cosco venne ucciso, nel bosco di Eydo . Secondo la tradizione popolare, in contrasto con la versione dei carabinieri, Zirricu fu ucciso, dal macellaio caccurese Tommaso Secreto, detto Pintisciolle. Il Secreto, un omone corpulento e massiccio, era nato a Caccuri il 30 marzo del 1838 da Giuseppe Secreto e da Costanza Gigliotti. A portare la notizia in comune furono il calzolaio Pasquale Fazio e il figlio Domenico. Il giustiziere di Zirricu aveva sposato una donna di nome Filomena Barolo  dalla quale ebbe una figlia, Matilde, moglie del calzolaio Filippo Prete e madre di Serafina e Tommaso Prete (Fabi) scomparsi qualche anno fa.  Secondo la tradizione il Secreto, compare e amico di Zirricu, riuscì a sorprenderlo e a legarlo. Gli recise poi, il capo con esasperante lentezza e, alle grida di dolore e di raccapriccio del brigante pare esclamasse con sadica ferocia: “Compari mio, cumu si’ sisitu!”, “Compare mio come sei refrattario al dolore!”. Compiuta l’operazione, il macellaio infilzò la testa mossa a una pertica e la portò trionfalmente a Caccuri ove venne esposta in piazza Umberto a monito degli altri grassatori.

Il Secreto, poi, pare abbia organizzato una sorta di “trionfo”  per le vie del paese. Al suono dei tamburi suonati dai fratelli Olivito e tra frizzi e lazzi delle guardie urbane, il macabro trofeo fece il giro del centro abitato. La cosa provocò, oltre alla gioia della popolazione che si era liberata per sempre di un feroce criminale, anche tanto orrore. Una donna incinta, moglie di un certo Crivaro, alla vista dell’orrido spettacolo svenne e abortì. La cosa provocò l’odio del marito nei confronti del Secreto, ritenuto il responsabile della perdita del figlio. 

 

Tratto da G. Marino,  Cronache di poveri briganti - Il brigantaggio nel XIX secolo a Caccuri e dintorni, ed. Pubblisfera, S. Giovanni in Fiore 2003

 
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