MOTIVAZIONI E RAGIONI DELLASSOCIAZIONISMO NAZIONALE E REGIONALE DEI LAVORATORI EMIGRANTI
Forme dellAssociazionismo nel Veneto e fuori
di Loris Andrioli
LE RADICI SOCIALI DELLEMIGRAZIONE
Lo sviluppo della rivoluzione industriale e la trasformazione capitalistica delleconomia, a partire dalla seconda metà dellOttocento, provocano in tutta Europa movimenti migratori di massa.
Nelle campagne povere del vecchio continente leccedenza della popolazione cerca e trova sbocco occupazionale nelle aree carenti di manodopera agricola e operaia del mondo sviluppato o in via di rapido sviluppo. LEmigrazione italiana conserva tra le sue mete principali alcuni Paesi europei confinanti o più vicini quali la Francia e la Germania. Qui, per motivi di economicità del viaggio, si portano soprattutto i numerosi emigranti temporanei del Nord Italia (Liguri, Piemontesi,Lombardi, Veneti e Friulani).
In cento anni escono dai confini nazionali 27 milioni di persone, grosso modo lammontare della popolazione italiana allepoca dellunificazione, nel 1861. Il primato quantitativo tocca costantemente allesodo cosiddetto europeo, ma vi sono momenti specie tra la fine dellOttocento e la grande guerra, in cui si fanno molto consistenti le correnti dirette nelle Americhe. Di qui nasceranno molte comunità etniche, negli USA, in Brasile, in Argentina, ecc., destinate a costituire, ancora oggi, la parte più consistente della presenza italiana nel mondo.
IL MESTIERE DELLEMIGRANTE
Nellarco di oltre centanni,(inizia nel 1860 e a partire dal 1875 sarà vero e proprio esodo)- quasi ogni genere di lavoro o di attività è stato sperimentato dagli emigranti italiani. Questi, in generale contadini negli anni della grande fuga dalle campagne di tutta Europa di fine ottocento, cominciarono gradatamente a sfruttare allestero una serie di competenze professionali acquisite o magari appena sbozzate in patria.
Sinonimo agli inizi di generica manovalanza e di forza lavoro non qualificata, nelle Americhe e in molti paesi europei i lavoratori italiani si cimentarono via via con una varietà di mestieri la cui pratica aveva le sue origini o nella multiforme attività contadina o nelle attività artigianali urbane o, anche in più antiche specializzazioni lavorative su basi locali e regionali ( gli scalpellini e gli operi tessili di Schio, i terrazzai e i mosaicisti friulani fornaciai e minatori Bellunesi).
Molte di queste specializzazioni erano funzionali, non meno delle attività poco o nulla qualificate, alle esigenze delleconomia dei paesi dimmigrazione; (o si dispersero) nei cantieri edili e a ridosso delle nuove linee ferroviarie, lungo le strade che collegavano i nuovi territori, nelle cave e miniere, nelle grandi e piccole officine e naturalmente nelle campagne del nuovo continente.
I MOVIMENTI MIGRATORI: QUANTITÀ E REGIONI
LEmigrazione italiana si sviluppa a partire da aree provinciali o regionali con un andamento che ne segnala i caratteri diffusi, ma che segue scansioni e ritmi ben definiti. In origine ai flussi Liguri e Piemontesi si sovrappongono durante gli anni di esordio dellesodo di massa (le decadi 1870 e 1880),quelli in genere settentrionali dei Lombardi, Trentini,Veneti,Friulani (fra i quali è molto consistente anche lemigrazione a carattere temporaneo), anche qui londata delle partenze diviene prevalentemente transoceanica,indirizzata verso lAmerica Meridionale.
Questo continente, e in particolare gli Stati Uniti, diventa ben presto, dopo il 1896, la meta delle correnti migratorie meridionali che si fanno straripanti nel periodo giolittiano, per riprendere subito dopo la prima guerra, sino alla prima chiusura mondiale degli sbocchi migratori. Tra le due guerre le correnti migratorie continuano a vedere ai vertici al Nord, regioni come il Piemonte,la Lombardia e il Veneto e al Sud la Campania, la Calabria e la Sicilia.
Con leccezione vistosa del Veneto , ancora in testa alle graduatorie di espatrio, il flusso migratorio ritorna ad essere in larga prevalenza meridionale dallultimo dopoguerra fino agli anni sessanta.
LEMIGRAZIONE DEGLI ITALIANI E DEI VENETI IN CIFRE
(fino al 1876 non vi sono statistiche)
Periodo | ITALIA | VENETO | ||
1861 - 1940 | 25.000.000 | - - -n. r.- - - | ||
1876 - 1915 | 15.000.000 | 1.822.793 | ||
1915 - 1942 | 4.700.000 | 497.579 | ||
1945 - 1974 | 7.300.000 | 611.438* |
(* fino al 1961)
Fonte: MINISTERO DEGLI ESTERI
Fra il 1861 e il 1974 le regioni a maggiore emigrazione, risultano essere state
Veneto | Campania | Sicilia | Lombardia | Friuli | Calabria |
3.300.000 | 2.700.000 | 2.500.00 | 2.300.000 | 2.000.000 | 1.900.000 |
Fonte: MINISTERO DEGLI ESTERI
EMIGRAZIONE - LA RETE DI SOLIDARIETÀ E LIDENTITÀ ETNICA
Ogni migrazione, recando con se inevitabilmente disagio, difficoltà e dolore,mette anche in atto i necessari contrappesi di difesa, di protezione, che nella maggior parte dei casi non si traducono soltanto in espedienti per la sopravvivenza, ma piuttosto in vere e proprie esperienze di solidarietà. Sono ora forme di aggregazione basate alla appartenenza etnica (nazionale-regionale-provinciale o anche cittadina),religiosa, di classe e ceto, professionale o sindacale. O in altre specifiche situazioni, legate a comportamenti che si ripetono a certe scadenze e/o in certi momenti, nelle famiglie, nei villaggi,nei luoghi di lavoro; sono ora interventi che da parcellizzati e dispersi, si coordinano e si istituzionalizzano. Talvolta si tratta di comportamenti che, pur contribuendo ad attutire il disagio, conducono allisolamento, alla separazione, alla creazione di mondi a parte.
Non è casuale la nascita nelle grandi città delle Little Italies nellAmerica dellinizio del secolo, o la formazione della colonia Piemontese nel quartiere Belle de mai a Marsiglia, o quella Ligure del camminito a Buenos Aires nello stesso periodo. La tendenza prevalente spinge a ricreare allinterno delle città straniere angoli o quartieri etnici che in qualche modo ricordino le caratteristiche di quotidianità del luogo dorigine e dove spesso riproducono o rispecchiano anche la composizione regionale e paesana dei principali flussi migratori. UnAltra ragione non secondaria per gli emigranti italiani di promuovere momenti e forme di aggregazione sono state, le necessità di misurarsi, inermi e indifesi, con tutte le forme dellintolleranza xenofoba e razzista.
Le più importanti presenze nei diversi continenti, a tutela dei valori, della identità culturale ed etnica degli emigranti italiani, perlomeno fino al secondo dopoguerra, sono stati gli ordini religiosi. Tra di essi si distinsero gli Scalabriniani e i Salesiani per le peculiarità di essersi preoccupati non solo della formazione religiosa, ma anche alla promozione sociale e politica in termini di identità etnica e nazionale (cioè di italianità, anche nei periodi storici connessi allunità dItalia dove una parte del clero parteggiava per lAustria).
Seppure in dimensione minore, furono attivi soprattutto nelle grandi realtà urbane, gruppi di intellettuali-Liberali-Anarchici, attraverso società umanitarie e di mutuo soccorso e attraverso giornali e pubblicazioni, a difesa dellitalianità e delle loro condizioni sociali. Nei primi decenni del Novecento, anche lo stato si impegna seppure in maniera insufficente a sostegno di iniziative di costituzione di biblioteche e di scuole con insegnamento della lingua italiana.
EMIGRAZIONE E MOVIMENTO OPERAIO
LEmigrazione allestero creò serie difficoltà al nascente movimento operaio e socialista sia in Italia che fuori dItalia. Il principio dellinternazionalismo proletario, infatti entrò presto in contrasto con la dura realtà della guerra fra poveri e con le contraddizioni provocate da un sistema che spesso costringeva gli emigrati a vestire i panni dei crumiri (rompiscioperi).I socialisti e gli anarchici cercarono di sanare tali contraddizioni e di dar vita a organismi di auto difesa di tipo etnico (La costituzione a fine Ottocento delle Colonie Libere Italiane in Svizzera, delle Amichal franco-italiane in Francia, le società di mutuo soccorso, negli USA e in Brasile.Essi si sforzarono a tenere fede allestero alle idealità, aderendo agli scioperi, a manifestazioni e dando vita a organismi mutualistici e sindacali di ispirazione classista, in collegamento con i centri di elaborazione centrali e periferici della SOCIETAUMANITARIA e che ricevette poi un forte incremento fra le due guerre per impulso degli antifascisti costretti allesilio dalle persecuzioni del regime fascista.
LEMIGRAZIONE EUROPEA DAGLI ANNI CINQUANTA.
LUltima fase di emigrazione dallItalia, quella verso i paesi più sviluppati del Centro e Nord Europa, fu preparata da una graduale ripresa di vecchie abitudini migratorie interrotte dalla guerra appena conclusa.
Fu però solo allindomani del 1948 che, in forza di accordi bilaterali stipulati dal governo italiano con paesi come la Svizzera, il Belgio e la Francia, ebbe luogo lavvio di un primo consistente ciclo di emigrazione operaia che imboccò la via dei bacini minerari della Francia e del Belgio, dove moltissimi italiani trovarono impiego come minatori, andando incontro anche agli incerti e ai lutti di un mestiere per definizione pesante e pericoloso.
Negli anni immediatamente successivi, con la nascita del MEC e con lascesa economica della Germania Occidentale,rinata dalle ceneri della guerra, si verificò un ennesimo nuovo orientamento dei flussi di uscita dal nostro Paese, che si indirizzava verso le regioni del miracolo economico tedesco.
Ancora una volta ne divennero protagonisti uomini e donne di estrazione per lo più rurale, ma destinati a trasformarsi in forza lavoro industriale soprattutto nelle grandi fabbriche tedesche e svizzere, (e consentì lespansione industriale della Svizzera con gli ex operai delle Reggiane, della Galileo,degli arsenali militari e dei cantieri navali).
E i treni degli emigranti italiani per lEuropa e le loro valige di fibra e di cartone divennero lemblema di un fenomeno che pareva non dovesse finire mai e che sembrava connaturato alla fisiologia economica contemporanea.La vastità dellesodo dal Veneto che accompagna le trasformazioni socioeconomiche in atto, (negli anni cinquanta la società veneta è ancora di tipo semicontadino, il 43,1% degli addetti in agricoltura e lindustria con un sviluppo ancora limitato al 32,7%, tanto da riuscire solo in parte ad assorbirne lespulsione dalle campagne a cui si accompagna lincoraggiamento alla emigrazione di quote rilevanti della popolazione (circa 1,5% della popolazione per oltre un decennio). Quindi il Veneto, dal dopoguerra al 1961, contribuisce con la quota di gran lunga più alta di emigrazione fra tutte le regioni italiane; ben 611.438 persone, la seconda è la Campania con 495.591 emigrati, seguono la Sicilia, la Calabria e la Puglia con circa 400.000 emigrati.
In Europa, per tutti gli anni cinquanta, il lavoro nelle miniere continuò ad essere la condizione di impiego obbligatorio almeno cinque anni in miniera prima di poter essere impiegati in altri settori (questa la regola in Francia e Belgio), con esiti a volte altamente drammatici. Particolarmente tragica fu la sciagura del 1956 a Marcinelle (Belgio) dove morirono 136 italiani, dei quali 12 del trevigiano, su 262 minatori rimasti vittime. La tragedia purtroppo non rimase isolata come le mai sopite discriminazioni ai quali erono sottoposti i nostri emigrati, dettero limpulso allorganizzazione di forme e strumenti di tutela da parte delle organizzazioni sindacali e dei movimenti politici laici e cattolici. Si inizia a stipulare accordi e impegni con i sindacati dei paesi ospitanti per la tutela e la non discriminazione dei lavoratori italiani. Questo si concretizza in una prima fase con listituzione di sezioni sindacali italiane allinterno dei sindacati locali, alla presenza degli enti di tutela sindacale italiani, i patronati sindacali fino a farne uno dei temi di impegno nelle affiliazioni internazionali come la CES (Confederazione Europea dei Sindacati).
Contemporaneamente si da vita attraverso le associazioni nazionali degli emigranti che in qualche misura subentrano alle società umanitarie dei periodi precedenti, allimpegno delle forze politiche laiche e cattoliche che attraverso questi momenti associativi ne caratterizzano limpegno verso lemigrazione,fino alla scesa in campo delle associazioni regionali e provinciali che precedono e accompagnano lassunzione dimpegno dei nuovi soggetti istituzionali rappresentati dalle regioni.
Tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta si costituiscono le associazioni regionali che nel Veneto assumano la caratteristica prevalente e la dimensione a carattere Provinciale, anche in previsione delle regioni come istituzioni, in grado di sostenere con provvedimenti amministrativi, liniziativa associativa. Le prime a sorgere, anche per il forte legame delle comunità che avevano i maschi prevalentemente allestero e che ancora vivi erono i legami dei primi esodi di fine Ottocento e fra le due guerre, sono state lEnte Vicentini nel Mondo, in cui i soci sono gli stessi comuni, la Provincia e la Camera di Commercio vicentina fruendo anche dellimpegno culturale dellAccademia Olimpica. Nello stesso anno il 1966, viene costituita lassociazione emigranti bellunesi con lapporto dei comuni e della provincia di Belluno, segue lassociazione Trevisani nel mondo, anchessa col sostegno degli enti locali e della Diocesi. In tempi più recenti,lassociazione dei Padovani, Veronesi e la recentissima dei Veneziani per iniziativa delle Camere di Commercio, o quella dei Rodigini, sorta per collegare le popolazioni colpite dallalluvione e reinsediatisi in Piemonte e Lombardia. LIVRAL (Istituto Veneto per i Rapporti con lAmerica Latina) di emanazione delle sette Provincie venete, istituito a seguito degli incontri nellambito del centenario della emigrazione veneta in Brasile svoltisi nel 1977, e sciolto nel 1995. LANEA, sorta da una decina di anni,è una associazione a carattere nazionale di ex emigrati in Australia, con un forte radicamento in Veneto da dove opera. LULEV (Unione Lavoratori Emigrati Veneti), la caratteristica che la contraddistingue anche dalle altre associazioni a carattere regionale o provinciale, è la sua nascita allestero (Baden-Svizzera nel 1973) promossa da emigrati veneti già impegnati nelle associazioni nazionali allestero.
Gli scopi e limpegno "
I Collegamenti realizzati in Veneto sono stati con le organizzazioni sindacali e politiche laiche e della sinistra: Con la CGIL-UIL-Lega della Cooperative e allestero in collaborazione dei diversi sindacati, in Svizzera, Germania, Francia, Belgio, Inghilterra, ma anche in Australia, Brasile, Argentina, Uruguay e Canada.I collegamenti furono molto preziosi per la tutela degli emigranti italiani per impedire che fossero discriminati, quando nei primi anni settanta, tutta Europa fu investita da grandi ristrutturazioni produttive assieme alla crisi del settore minerario e siderurgico. Vennero chiuse le miniere di carbone, quelle di ferro e le acciaierie dellEst della Francia, della Ruur, alla Cokeril di Liegi, della città siderurgica rimase solo qualche reparto e, ricominciarono le pressioni per allontanare dai luoghi di lavoro per primi gli emigranti. Se questo in larga misura non è avvenuto, oltre che per la riconosciuta qualità di buoni lavoratori dei nostri emigrati, fu anche merito della rete di solidarietà che era stata realizzata nel mondo del lavoro e con le organizzazioni sindacali e sociali dei diversi paesi.
Il procedere dellintegrazione nei Paesi di adozione, pone ovviamente anche problemi dal punto di vista del rapporto con le proprie radici. I giovani soprattutto le seconde generazioni, perdono luso della lingua originaria dei padri (il dialetto in uso nelle famiglie è spesso di ostacolo anche nelle conversazioni fra coetanei di altre regioni italiane), e si differenziano culturalmente. Ma generalmente, questi processi che sono insiti nella natura stessa dei processi migratori, non si accompagnano a una perdita di interesse per la terra di origine. (Come dimostra lindagine condotta dalla Fondazione Corazzin tra il 1991/92, in preparazione della terza conferenza regionale dellemigrazione veneta, che in ampi stralci qui riportiamo).
In un certo senso è lassociazionismo stesso il testimone più evidente del permanere di questo interesse. Fa una certa impressione sapere che gli iscritti alle associazioni dei veneti nel mondo sono stimabili attorno alle centomila unità. Ben 173 associazioni residenti allestero hanno risposto al questionario, tra laltro molto complesso, utilizzato per lindagine e che raccolgono ben 62.956 soci.Si tratta di associazioni reali, pur con gli alti e bassi che caratterizza tutto limpegno di volontariato,considerato che quasi tutte realizzano delle attività visibili: organizzano almeno una assemblea annuale, dispongono di un direttivo, 2/3 di questi si riuniscono con cadenza mensile e il 60% dispone di una sede (anche se spesso in comune con altri).
Le associazioni sono il luogo privilegiato in cui la continuità del rapporto con la terra di origine può essere mantenuta e il rapporto si rende visibile. Esse svolgono attività ricreative e culturali, mantengono le relazioni con la regione dorigine e con le espressioni istituzionali della madrepatria allestero. Laddove, come in America Latina, lofferta di corsi di lingua italiana promossi dai COMITES o dagli istituti italiani di cultura, è insufficiente, svolgono un ruolo essenziale nellorganizzazione di attività corsuali.
Se questa, a grandi linee, la realtà dellemigrazione veneta e dellassociazionismo, si comprende allora quali siano le domande che da essa affluiscono al Veneto. In generale, non sono domande di una emigrazione povera, che ha bisogno soprattutto di sostegno economico, ne quello di reinserimento dovuto a generali rientri forzati. Le domande fondamentali sono in primo luogo quelle di tipo culturale ed è quella che porta alla richiesta della conservazione della lingua, della conoscenza delle tradizioni della cultura veneta, italiana e del turismo culturale. La seconda componente, più avvertibile tra le giovani generazioni, assume anche il terreno professionale e delle attività economiche. Il Veneto viene visto allora, non solo come il luogo della memoria, ma anche per quello che oggi rappresenta, in quanto realtà economicamente sviluppata, moderna, dotata di strutture formative qualificate, in cui si utilizzano tecnologie e produzioni che è importante conoscere, per utilizzare nel Paese di adozione.
LEmigrazione pensa di avere ancora qualcosa da dare in questo campo, al sistema Veneto. Chiede cioè di essere concepita anche come risorsa delleconomia veneta, capace di svolgere un ruolo positivo nel fare incontrare e dare motivazioni a queste esigenze.Sia che si tratti della dimensione culturale, sia che si tratti di quella professionale è evidente che tali domande assegnano un ruolo strategico al fattore informazione, ed è proprio su questo terreno che si riscontrano le carenze maggiori.
Tutto lascia intendere che queste domande siano indirizzate alla regione da cui si è partiti più che alla nazione, ciò assegna alle istituzioni rappresentative che operano in Veneto, e alla Regione in particolare, una responsabilità evidente, che va però ben al di là di esse coinvolgendo anche i soggetti della società civile.
Atto costitutivo dellassociazione
Organismi dellassociazione ULEV
CONFERENZA DEI VENETI DEUROPA Berlino - 7/9 Giugno '02
U.L.E.V. - UNIONE LAVORATORI EMIGRATI VENETI -
Sede sociale: via Peschiera, 5 - 30174 MESTRE - VENEZIA
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