La riforma dello stato


L'economia trascurata

Glossario

Atlante

Cronologia

Il progetto di Diocleziano


284 - 305


In questa pagina

 

I quattro signori del mondo

La divisione amministrativa

La riforma fiscale

Il rigido controllo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La divisione amministrativa della "tetrarchia" (284-305)

 

Fra il regno di Gallieno e quello di Diocleziano, gli "imperatori illirici" (268-284) fermarono l'avanzata dei goti e degli altri popoli germanici. Aureliano (270-275) riportò sotto giurisdizione romana le secessioniste Gallia, Spagna e Siria, e fece produrre nuove monete d'argento e di migliore qualità. Però sia la riscossione delle tasse, sia i pagamenti dello stato - entrambi destinati ai soldati - avvenivano soprattutto in oro e in beni materiali. L'economia monetaria era al livello più basso mai visto. 

Il denaro, a metà del III secolo, era così svalutato che tutti volevano liberarsene e i cittadini erano contenti di pagare le tasse con queste monete prive di valore. Sotto Gallieno (260-268) l'impero, attaccato da eserciti stranieri su tutti i fronti, si era sfaldato e le province avevano cercato di governarsi in modo autonomo. Il denarius prodotto nella Gallia secessionista era di qualità migliore rispetto a quello ufficiale. Ma la moneta d'argento non aveva più alcun valore reale e gli esattori dell'impero, che rifornivano direttamente l'esercito, non accettavano più i conii delle zecche. Tutte le imposte furono riscosse in natura, lasciando circolare ulteriormente le vecchie monete d'argento e quelle nuove con una leggera patina chiara che si ossidava in pochi mesi. Alla fine, le monete che una volta erano d'argento non vennero più emesse. 

Confronta

L'economia trascurata

Diocleziano voleva riportare in auge la moneta d'argento. Tale politica monetaria era intesa a ribadire la fiducia dello stato nei confronti del popolo. Infatti era tradizione delle classi medie, come artigiani e commercianti, di utilizzare una moneta di valore medio. L'argento permetteva un mercato florido e vivace a livello locale. Ma l'inflazione del terzo secolo aveva prodotto una situazione insanabile. Il valore di mercato dell'argento era drasticamente crollato e le nuove monete coniate da Diocleziano, sebbene di fattura migliori delle precedenti, si rivelarono del tutto inutili.

La riforma del sistema fiscale, che fu basata su beni naturali, ottenne invece successo. Diocleziano tolse ai soldati l'autorità della riscossione, che era stata loro affidata da Severo (193-211). Le truppe erano diventate l'incubo dei contribuenti e il nuovo sovrano le sostituì con dei funzionari amministrativi. Non si trattò solo di un cambio esteriore: fu potenziato l'apparato burocratico di tutto l'impero, furono stabilite nuove suddivisioni amministrative, furono calcolati attentamente i fabbisogni dello stato e confrontati con le risorse che si avevano a disposizione. Le richieste erano esose - dovute a uno stato di assedio permanente - ma almeno divennero chiare, ed indirizzate anche verso i grandi proprietari terrieri. Grazie anche alla sicurezza militare lo stato tornò ad essere efficiente e stabile. Così gli imperatori continuarono la costruzione di numerose opere pubbliche. 


I quattro signori del mondo

Appena conquistato il potere, nel 284, Diocleziano elesse un vice-imperatore (caesar) che in due anni divenne co-imperatore (augustus): si trattava di Massimiano, un ufficiale che Diocleziano conosceva bene e riteneva adatto al ruolo proprio per la sua decisione e combattività. Infatti gli spettò il governo dell'occidente, dove le Gallie e la Britannia avevano dimostrato grandi mire secessioniste. L'impero era vasto ed etnicamente eterogeneo, le comunicazioni difficili, le ribellioni locali abbastanza comuni. Lo stato aveva bisogno di un governo forte.

Massimiano domò la rivolta dei contadini di origine celtica (i bacaudes), che era tornata in forze dopo la sconfitta contro Aureliano (270-275). Il pericolo separatista però rimaneva attivo in Britannia, dove un ufficiale dell'esercito dominava la Manica e le zone circostanti, alleato con tribù franche della foce del Reno. Questo ufficiale, Carauso, continuò ad esercitare la sua autorità sull'intera regione per altri dieci anni, grazie all'appoggio dei mercanti gallici e britannici.

All'altro capo del mondo, in Egitto, c'era una situazione analoga. Allora Diocleziano nominò due nuovi vice-imperatori (cesari), uno per l'occidente e uno per l'oriente. In questo modo si creò il governo dei quattro, la cosidetta tetrarchia, che risolse militarmente quelli che, dal punto di vista dello stato, erano problemi di ordine pubblico. Diocleziano sistemò la situazione ai confine dell'Egitto e nel 298 il vice-imperatore d'oriente, Galerio, riconquistò l'Armenia e la Mesopotamia, perse sotto Valeriano (253-260). L'impero aveva finalmente ritrovato la sua antica forza militare, grazie alla solida politica degli imperatori danubiani. Con la tetrarchia si iniziò la riforma interna della struttura sociale.

Armenia e Mesopotamia rimaranno romane per 100 anni, finché non saranno definitivamente riconquistate dai persiani.

La divisione amministrativa

Diocleziano separò nettamente i poteri civili da quelli militari, in modo di rendere difficile ai generali di ribellarsi al governo centrale. In modo cioè da evitare quello che era avvenuto nel III secolo e che l'imperatore aveva visto con i propri occhi. Naturalmente sperava che i vice-imperatori e i loro sottoposti prefetti del pretorio si accontentassero di quel che avevano già, cosa che si dimostrerà sbagliata. Ma la suddivisione fra compiti militari e civili e la divisione delle province rimarrà la base del tardo impero. 

Già i Severi (193-235) evitarono di nominare i senatori come governatori di provincia (proconsoli). Nel corso del III secolo le province rimasero nelle mani dei cavalieri (legati augusti propraetore), il cui ordine di casta, in cui si entrava per nascita, fu trasformato in un ordine di "toga", in cui si entrava per meriti. Diocleziano raddoppiò il numero delle province, ponendo mano a riforme dei confini mai viste prima. Ai nuovi governatori, chiamati praeses cioè presidenti, affidò tutti i compiti di amministrazione e quelli giudiziari, ma pochissimi militari (rifornimenti e paghe). 

Le nuove province - circa cento - furono raggruppate in nuovissime divisioni amministrative, le diocesi, governate da un vicarius (vice-imperatore o vice-prefetto). Ma il sistema non era totalmente gerarchico. I governatori di provincia potevano saltare l'intermediazione dei vicari e rivolgersi direttamente ai prefetti, i vicari potevano saltare i prefetti e rivolgersi ai sovrani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le diocesi (284-305)

 

 


La riforma fiscale. Una recluta e un pezzo di terra

Nel III secolo l'aspetto militare della società era diventato preponderante. Dopo quasi duecento anni di pax romana le guerre tornarono ad imperversare. Le incursioni nemiche erano aumentate di numero: gli eserciti stranieri progredivano in quantità e in qualità. Un alto numero di soldati romani partiva per il fronte, senza mai più ritornare. L'esigenza primaria dello stato imperiale divenne quella di trovare i soldi per finanziare l'esercito. Nel II secolo, una volta terminate le conquiste, le casse dello stato erano rimaste pericolosamente a secco: così le tasse, come i diritti giuridici, furono gradualmente incrementate su tutta la popolazione. L'introito fiscale aumentò, ma ciò non fu sufficiente. 

Quando la guerra divenne difensiva, il bilancio finì per essere perennemente in negativo. Per di più le incursioni germaniche, le carestie e le epidemie falcidiavano la popolazione. I poveri e le terre incolte aumentavano. Così mentre le tasse aumentavano, le entrate fiscali diminuivano; soldi e grano per le elargizioni pubbliche scarseggiavano. La tensione sociale divenne altissima e, fra l'altro, produsse un'impennata nella conversione a religioni fideistiche.

Esistevano numerosi problemi da risolvere. L'antico sistema fiscale aveva del tutto ceduto. Nei primi tre secoli dopo Cristo i governi romani avevano praticamente lasciato intatti i sistemi fiscali precedenti alla conquista, delegando le mansioni della riscossione a ricche società locali, i famosi publicani In questo modo avevano risparmiato sulla gestione della cosa pubblica, lasciando però inalterate le differenze "nazionali" nonché privilegi e soprusi secolari. Ad esempio l'Italia intera non pagava alcuna imposta.

Un po' alla volta le società private dei publicani furono sostituiti con amministratori statali, finché una burocrazia centralizzata e ramificata venne abbozzata all'inizio del terzo secolo, sotto i Severi (193-235). Ma la conseguenza fu che alle vecchie tasse se ne aggiunsero di nuove e che la burocrazia stessa gravò come una spesa in più sul bilancio finale. La situazione fiscale finì dunque per essere totalmente anarchica, regolamentata da vecchi e nuovi principi, tutti mal applicati.

La tassa sulle proprietà agricole, l'annona militaris, che prese piede sotto i Severi (193-235), divenne l'incubo dei proprietari terrieri, grandi o piccoli che fossero, durante il cinquantennio successivo. Fra guerre e continui assassini di stato si produsse una fase di anarchia militare (235-286), e spesso la riscossione avveniva in maniera del tutto arbitraria, seguendo le necessità del momento. Se i soldati avevano bisogno di qualcosa, arrivavano con facilità al deliberato saccheggio. Fra l'altro le proprietà colpite erano sempre le stesse, perché le comunicazioni erano interrotte, e l'esercito in emergenza tendeva a "riscuotere" sui terreni disposti lungo le grandi arterie di collegamento.


I cambiamenti che precedettero la riforma

 

Militarizzazione

Svalutazione della moneta e depressione economica

Impoverimento, schiavitù e servitù

 

Sotto Diocleziano (286-305) fu presa una decisione che tagliava la testa al toro. Dato che la moneta aveva perso di valore, tutto il fabbisogno dell'esercito - che probabilmente ricopriva più della metà della spesa totale - venne calcolato dai funzionari imperiali dell'annona in beni naturali. Allo stesso modo furono calcolati gli altri fabbisogni statali. Però bisognava introdurre un sistema di calcolo delle risorse da tassare. Per risolvere la situazione tramite un sistema di riscossione che fosse il più pratico possibile Diocleziano promosse un censimento dettagliato, come mai si era fatto prima, di tutta la popolazione e di tutte le terre disponibili, abolendo antiche esenzioni e privilegi. L'Italia del nord entrò a far parte del sistema fiscale e le vecchie tasse in denaro furono abolite. Le due tasse principali - sulla terra e sulla persona - che prima erano separate e, in fondo, destinate a due tipi di contribuenti differenti (le prime ai proprietari, le seconde ai contadini), vennero unificate. 

 

Diocleziano cercò di rendere più equa la tassa fondiaria, venendo anche incontro alle esigenze dei contribuenti, che chiedevano, almeno, di versare solo quello che avevano a disposizione sul proprio terreno. Diocleziano e i suoi ministri - per la prima volta nella storia - calcolarono esattamente cosa avrebbe avuto bisogno l'esercito per l'anno successivo, istituirono un'unità di misura apposita per le tasse e la suddivisero fra i vari distretti e le singole proprietà. Estendendo lo stesso concetto a tutte le altre spese dello stato, Diocleziano mise in opera un vero e proprio bilancio economico annuale, nel quale si confrontavano le uscite, rappresentate dai bisogni dello stato - con le entrate, rappresentate dalle imposte. Almeno metà di questo bilancio non era espresso in termini monetari, ma solo sul bisogno concreto di beni di prima necessità e addetti al lavoro. L'unità fiscale di misurazione della quantità di terra, lo jugum, venne parificata ad un'unità lavorativa, il caput. Lo jugum e il caput servivano per catalogare le risorse che l'impero aveva a disposizione. Ogni anno, secondo il bilancio, veniva reso noto a quanto ammontasse la tassa da pagare, che veniva distribuita, a seconda delle risorse censite (jugeri e capita), fra le diocesi e le province. 

 

I contribuenti, che erano tutti proprietari terrieri, al posto dei soldi dovevano fornire direttamente un determinato numero di reclute, di cavalli e di alimenti per l'esercito e per le altre esigenze dello stato, come i lavori pubblici. La riscossione monetaria non fu del tutto abolita. C'era anche un metodo per cambiare la tassazione da "naturale" a "monetaria", l'aderazione. La contropartita era solo per i più ricchi, essendo calcolata in monete d'oro. Lo stato divenne un controllore efficiente dell'economica e grazie a un sistema fiscale esoso ma efficiente poté costruire opere difensive e opere pubbliche. La moneta d'argento non era del tutto obsoleta: veniva ancora utilizzata negli scambi commerciali quotidiani e nelle dogane.


Il rigido controllo

Il sistema fiscale introdotto da Diocleziano era esoso, ma almeno era verificabile da tutti, dato che si basava su criteri pratici e oggettivi. Inoltre finì l'epoca delle requisizioni forzate e imprevedibili. Ora i cittadini non venivano più rapinati dai soldati che avrebbero dovuto difenderli. Ciò fu ottenuto affidando l'autorità fiscale a funzionari civili, i vicari. Il sistema fu palese e pubblicizzato, in modo che i poveri sapessero che anche i ricchi pagavano le tasse e che fra gli operatori non era ammessa alcuna corruzione, pena addirittura la senternza capitale.

Ai soldati fu tolto il diritto di riscuotere le tasse. Il compito spiccio, sotto la supervisione dei vicari, fu affidato ai consigli cittadini, rappresentanti dell'élite urbana. Ma le classi agiate delle cittadine di provincia erano andate in rovina durante il III secolo e, chi poteva, cercava di sfuggire ai suoi doveri. Infatti sarebbero state le sue proprietà a fungere da fondo di garanzia: chi non riusciva a raccogliere la quantità di imposte che lo stato aveva stabilito, doveva mettercene di tasca propria. Diocleziano era consapevole di questa situazione e, dato che la prestazione dei consiglieri cittadini - i curiales -, non era retribuita, lo stato cercava di accontentarsi e permetteva un certo margine di inadempienza.

Il sistema non era basato su criteri di equità, ma solo di praticità. A Diocleziano non serviva l'appoggio dei senatori e neanche quello dei latifondisti in genere. Da cinquant'anni tutti gli imperatori avevano conquistato il potere con dei "golpe", erano come dei dittatori militari in senso moderno. Dicoleziano era un uomo di media cultura, e non aveva legami né con famiglie aristocratiche, né con i pochi capitalisti (commercianti) di allora. Le industrie erano solo quelle delle armi e venivano facilmente controllate dai soldati stessi. L'economia aveva un ruolo secondario rispetto alla politica militare. Con tasse semplici e ben delineate e un controllo efficiente, le casse dello stato furono riempite abbondantemente, in modo legale e controllato. Nei primi due secoli la cura della città e del territorio era stata a carico di quelle élite cittadine che adesso erano decadute.  Nel III secolo i lavori pubblici furono interrotti. Nel IV secolo lo stato, diventato più forte, potè abbellirsi nuovamente con palazzi e monumenti grandiosi. Il sistema era efficiente e forse Diocleziano non aveva bisogno di ricorrere a false accuse per alienare le proprietà che più gli piacevano, come sostenevano i senatori. Daltronde è evidente che la corruzione non potè scomparire, giacché è immanente a  qualsiasi sistema economico.


I cambiamenti che precedettero la riforma di Diocleziano

 

La militarizzazione

Dalle città aristocratiche all'imperium organizzato

Impoverimento, schiavitù e servitù

Non si conoscono prove dirette che anche prima della cirsi del terzo secolo fosse l'esercito ad occuparsi della riscossione e trasporto delle tasse.

Un'altra riforma "dirigistica" del governante dalmata fu quella di istituzionalizzare la corporatività del lavoro. Già Aureliano (270-275), per rinnovare le distribuzioni gratuite di grano, aveva posto i battellieri del Nilo e del Tevere sotto il controllo diretto dello stato. Lo stato chiedeva efficienza e "tasse", ossia una parte del prodotto o la disponibilità degli uomini stessi a diventare reculte dell'esercito. Per evitare che abbandonassero il lavoro, sotto Diocleziano anche operai e artigiani furono quindi inquadrati in corporazioni ereditarie. Circa la metà dei militari sceglieva già da tempo la professione per via ereditaria. 

 

Le associazioni fra cittadini esistevano già, ma ora divennero obbligatorie ed ereditarie. Tutti persero una parte della loro libertà. Eppure questa perdita non veniva concepita come una sottrazione alle possibilità dell'individuo. Infatti la decisione arrivava dopo un secolo di crisi economica molto grave. Anzi, dal punto di vista della popolazione avere una professione garantita poteva essere giudicata come una possibilità in più, una concessione che il governo faceva alla popolazione, che altrimenti sarebbe andata in rovina. Non era certo possibile mantenere tutti a spese dello stato, che come sappiamo aveva gravi carenze in finanza ed economia. 

 

L'atteggiamento dell'imperatore era risoluto e razionale. Diocleziano fece numerosi tentativi durante il ventennio di regno per cercare la miglior soluzione possibile. Se un provvedimento non funzionava, veniva revocato e sostituito. L'impero aveva bisogno di difesa, di soldi, di soldati. Il lavoro mancava, la società si stava sfaldando: affinché andasse avanti, doveva essere controllata rigidamente. 

Diocleziano cercò continuamente e con i più svariati mezzi di controllare l'economia, che ai suoi occhi inesperti, sembrava impazzita. L'editto sui prezzi del 301 fu uno dei tanti metodi. Con esso si regolamentavano tutti i tipi di prezzi e di imposte che potevano essere applicati. La reazione del popolo fu però negativa: immediatamente alcuni prodotti furono ritirati dal mercato ufficiale e ricomparvero al mercato nero a prezzo più alto e fuori dal giro delle imposte. Per evitare questo fenomeno e rendere sistematica la riscossione delle tasse, fu revocato l'editto e aumentato il potere degli esattori fiscali, vennero intensificati i controlli, fu implementato l'apparato amministrativo e burocratico. Gli esattori divennero responsabili di una quantità di imposte predeterminata, per ottenere la quale potevano ricorrere ad ogni tipo di sopruso o violenza. Non erano militari, ma agivano in modo militaresco.

I contadini si ribellarono: in Egitto, Gallia e Spagna scoppiarono numerose rivolte contro i grandi proprietari terrieri, i cittadini ricchi e gli esattori dello stato. Il dirigismo di Diocleziano fece da collante per la società, ma ingrandì anche le crepe del potere: sempre più spesso contadini, operai, artigiani ed esattori stessi che non riuscivano a svolgere il proprio compito, sconfortati dagli insuccessi e angosciati dal futuro, scelsero l'espediente di affidare la propria persona ai potenti latifondisti di campagna. In linea di continuità con ciò che stava avvenendo negli ultimi cinquant'anni si formarono sempre più forti possessores, che acquisivano potere materiale ed economico, a dispetto dell'autorità statale, prefigurando la situazione sociale tipica del medioevo.


Confronta 

 

Diocleziano e la riforma dello stato (284-312)

 

Il cambio di rotta: Costantino, l'impero cristiano, l'oriente (312-360)

 

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