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Rousseau

Jean-Jacques
ROUSSEAU

(1712-1778)

 

 

Rousseau nacque a Ginevra, da famiglia piccolo borghese. Perse la madre al momento del parto e studiò da autodidatta durante una giovinezza scapestrata ed errabonda.

Fu esponente di spicco dell'illuminismo, considerato sia come ispiratore della Rivoluzione francese, sia come teorico del ritorno ad una innocenza primitiva, fu senz'altro il fondatore della pedagogia moderna (l'Emilio) e per certi versi precursore del romanticismo (dove teorizza la voce del cuore, del sentimento, come guida che porta sempre al bene senza possibilità di errore).

Nel 1742 si trasferisce a Parigi e lavora come copista di testi musicali, qui incontra Diderot e D'Alambert per i quali cura le sezioni enciclopediche dedicate alla musica. La sua incapacità a mantenere stabili rapporti di amicizia lo costringe a rompere con gli illuministi. Nel 1762 si rifugia in Inghilterra perché sospettato di ostilità al regime.

In Inghilterra trova ospitalità da
Hume ma ben presto rompe il rapporto con il filosofo inglese e torna a Parigi dove muore in miseria e solitudine, dedicandosi alle sue memorie.

Opere principali: Discorso sulle scienze e sulle arti (1750); Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza fra gli uomini (1755); Il contratto sociale (1762); Emilio o dell'educazione (1762); Confessioni (1770).

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Sommario

1. Il buon selvaggio

2. Il problema dell'educazione

3. Il contratto sociale

4. La volontà generale

5. Riflessioni sulla democrazia

6. L'origine del linguaggio

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1. Il buon selvaggio

L'idea centrale della filosofia di Rousseau è che ogni uomo nasce buono e giusto, e se diventa ingiusto la causa è da ricercare nella società che ne corrompe l'originario stato di purezza. Questo stato originario di purezza è il cosiddetto "stato di natura", ovvero quella condizione propria dell'uomo selvaggio che vive assecondando le sole leggi naturali. Questi concetti vanno a definire la teoria del "buon selvaggio", ovvero la teoria che la condizione migliore di vita sia propria solamente dell'uomo pre-civile.

L'uomo naturale trova in modo innato il giusto equilibrio con il mondo in cui vive, non desidera nulla che non possa avere, guarda il mondo con un'ingenuità benevola che lo porta necessariamente ad agire secondo principi giusti. Tutta la struttura morale delle società civili è quindi, per Rousseau, imposizione arbitraria e artificiale di un codice di comportamento che va a sovrapporsi, cancellandolo, ad uno stato di correttezza morale innata. Il buon selvaggio agisce infatti secondo il proprio istinto, un istinto che si armonizza naturalmente e necessariamente con la realtà che vive (è in questa armonia che si trova rappresentata la giustezza della sue azioni), mentre la società favorirebbe il pensiero razionale che porta al freddo calcolo e al cinismo tipico delle civiltà moderne.


2. Il problema dell'educazione

Se la civiltà corrompe irrimediabilmente l'equilibrio naturale ottimale, su quali principi deve fondarsi un sistema educativo rispettoso dello stato di natura?

Il problema della giusta educazione dell'uomo è il problema di come impedire alle strutture sociali di corrompere e vanificare l'innato approccio alla natura propria del buon selvaggio. La pressione della società compare, in un individuo, fin dai primi anni della sua infanzia, e questa pressione non può che formarne in modo erroneo la mente.

L'educazione di un individuo si divide in tre momenti: la natura educa i sensi, l'insegnamento la mente e l'esperienza i comportamenti. L'educazione deve trovare un giusto equilibrio tra questi diversi momenti educativi.

La corretta educazione deve quindi procedere nella direzione di intervenire in minima parte sul naturale sviluppo dell'individuo, l'educazione deve essere passiva, non invasiva, non deve in sostanza intervenire sul naturale sviluppo dell'individuo, innatamente portato a trovare da sé il giusto approccio ai problemi e il giusto equilibrio fra i momenti educativi. L'educatore deve evitare all'alunno le cattive influenze morali della società, deve incoraggiarne l'innata curiosità e predisporlo ad una crescita spontanea, non mediata da fattori esterni degeneranti.

Il problema dell'educazione in Rousseau è trattato nell'Emilio, un libro in cui si immagina un ragazzo (Emilio, appunto), allontanato dalla società ed educato in una villa in campagna da un educatore che non impone all'allievo alcuna visione pre-concetta indotta dalla società, ma cerca di far emergere l'istintiva e naturale curiosità del ragazzo verso gli accadimenti naturali.


3. Il contratto sociale

Se la società corrompe una originaria purezza dell'uomo, essa limita la sua libertà e lo riduce in catene. Come liberare l'uomo dalle sue catene senza ritornare ad una vita guidata dall'istinto primitivo, cosa ormai impraticabile?

Il problema è trovare una forma sociale che garantisca allo stesso tempo la sicurezza collettiva e la libertà individuale. Rousseau diffida delle idee democratiche, ovvero non pensa che il problema si possa risolvere solamente decidendo quali libertà individuali debbano essere limitate o meno.

L'unico modo per creare una società assolutamente armonica è la limitazione totale delle libertà individuali in favore di un contratto sociale condiviso da tutti gli uomini. Quello che Rousseau propone non è uno stato assoluto e autoritario, il cittadino non è sottoposto ad alcuna autorità, ogni uomo deve cambiare però la sua coscienza, mutare profondamente nel suo essere, superando l'egoismo proprio degli individui e dimenticando la proprietà privata espressione della volontà egocentrica, adeguandosi a scelte non più personali ma collettive, in nome della volontà generale.


4. La volontà generale

La volontà generale non è la semplice addizione di tutte le volontà particolari, la volontà generale è invece ciò che è giusto per il bene in sé, una decisione guidata dal solo spirito collettivistico senza alcun egoismo e particolarismo a favore di un gruppo o di un certo interesse personale. La volontà generale è indivisibile, è esercitata collettivamente nel senso che costituisce un atto sovrano di tutta la comunità, una decisione che non sia guidata da questa volontà generale costituirebbe tutt'al più un decreto imposto.

La volontà generale non coincide necessariamente con l'opinione pubblica, spesso le decisione prese dal popolo nascondono comunque un certo interesse di parte e non l'interesse di tutti, com'è vero che la demagogia di un "capopolo" può ingannare e condurre a idee sbagliate.

La volontà generale deve essere un cambiamento di atteggiamento condiviso da tutta la comunità e da ogni singolo individuo: solo se tutti gli uomini si impongono di escludere il proprio egocentrismo in favore di un sentimento collettivo universale la società umana avrà modo di redimersi e fondarsi su più giusti valori.


5. Riflessioni sulla democrazia

Alla luce dei concetti esposti nei due capitoli precedenti, si può vedere come la visione politica di Rousseau abbia avuto una considerevole influenza sugli accadimenti politici a lui successivi.

La tesi per cui la giusta forma di governo deve fondarsi sulla rinuncia dell'individualità dei cittadini in favore della volontà generale dello Stato e della società, è alla base di numerose forme dittatoriali quali, ad esempio, il Terrore di Robespierre, ma è anche alla radice di altri totalitarismi più moderni. Senz'altro non era nelle intenzioni di Rousseau giustificare tali forme di governo, tutto parte però da una critica al sistema democratico implicita nella sua visione politica.

La volontà generale è una dura critica alla democrazia e alla possibilità che possa realmente rappresentare le istanze della collettività. Per Rousseau lo stato democratico non può rappresentare il bene comune perché si riduce solamente a un dominio della maggioranza su una minoranza, la quale resterà necessariamente inascoltata. Inoltre, nella forma di stato democratico, il bene comune viene stabilito in forza di una mera somma algebrica dei singoli egoismi individuali, che non potranno mai diventare bene comune, ma solo interesse individuale imposto alla collettività (tale somma di egoismi non potrà mai diventare coscienza civile altruistica). La volontà generale non deve essere qualcosa di imposto ma deve essere quella coscienza delle istanze collettive che proviene dall'interiorizzazione di una corretta etica dell'altruismo.


6. L'origine del linguaggio

Alla luce della tesi espressa dalla teoria del "buon selvaggio", Rousseau tende a considerare vitale e autentico tutto ciò che proviene dall'istinto, tutto ciò che trae origine non dalla fredda razionalità e dal freddo calcolo (caratteristica delle società moderne), ma dalle emozioni e dalla passionalità che costituiscono l'atteggiamento primitivo dell'uomo.

Nel Saggio sulle origini delle lingue, Rousseau si domanda come sia nato il linguaggio. Per Rousseau, contrariamente all'opinione che vuole il linguaggio formarsi sullo stimolo dell'utilità sociale, il linguaggio è nato invece per esprimere innanzitutto le passioni e gli stati d'animo. "Le lingue hanno tratto origine dai bisogni morali, dalle passioni. Le passioni avvicinano gli uomini, che la necessità di cercar da vivere costringe a fuggirsi. Non la fame, non la sete, ma l'amore, l'odio, la pietà, la collera strapparono le prime voci." (Rousseau, Saggio sulle origini delle lingue).

Solo tempo dopo, con l'evolversi della civiltà, la lingua acquisì quelle caratteristiche tecniche proprie delle strutture grammaticali evolute che resero il linguaggio da poetico e vivo, un freddo strumento utilitaristico che interpretava necessariamente i bisogni della società evoluta e razionale.

Dunque, anche nell'esposizione della teoria della nascita nel linguaggio, viene ancora una volta espressa da Rousseau l'idea che il giusto e il vero non appartenga come caratteristica alla civiltà razionale, ma alle istanze del primitivismo più atavico, fonte originaria di una armonia naturale con la realtà.

 

 

Scheda di Synt - ultimo aggiornamento 31-10-2004

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