Capitolo IX

Una ragazza confusa

"Io ti garantisco che ci saranno complicazioni...". La tv parlava, riempiendo di suoni la stanza altrementi silenziosa. Il ragazzo prese il telecomando e fermò l’immagine. Gli veniva da ridere. Se Asuka continuava a scappare così, finiva pure lei come quella sposa mai sposata. ‘Mah, meglio scappare da un fidanzamento che dall’altare, comunque!’. E intanto continuava a chiedersi da cosa mai scappasse di continuo. Probabilmente c’era qualcosa che non gli aveva ancora detto. E voleva scoprirlo a tutti i costi. Non poteva più lasciarla fuggire. Continuava a pensarci. Ma era una buona idea, in fondo, quella di non rivelarsi per non turbare l’amicizia? Non ne era affatto sicuro. Anzi, cominciava a convincersi del contrario. Dopo tutto ciò che era successo non poteva davvero rinunciare a lei così. ‘E se poi scappa anche da me cosa faccio? Finora mi ha cercato, ma in fondo solo come amico... Sigh! Che crisi!’. E dire che lui veniva definito un tipo molto "easy". E infatti di solito era così. S’infatuava di una ragazza in media una volta alla settimana, quando ne notava una nuova. Ma poi, arrivata la prossima, la prima si dimenticava. E alla fine non combinava nulla lo stesso, ma in fondo era sempre stato felice così. Insomma, mai storie serie e spezzamenti di cuore. Lui prendeva sempre tutto alla leggera, nella vita. In fondo era molto romantico, ma era convinto che l’amore vero si trova una volta su un milione, quindi tanto valeva rassegnarsi e seguirlo sui teleschermi, trovandosi poi una compagna di vita che potesse essere accettabile, fisicamente e caratterialmente. Naturalmente lui da quella fase era ancora lontano, perchè era giovane e doveva godersi la vita. Ma ora che cosa diavolo stava succedendo? Da quando aveva visto quei due occhi verdi le sue teorie erano andate completamente a farsi benedire! E non riusciva più a pensare di stare senza. Quella dolcissima tortura era una vera droga. Sentire il proprio battito aumentare ogni volta che incorociava i suoi occhi, la scusa di quella briciola per poterle acarezzare la guancia, il consolarla da qualsiasi cosa andasse storta, stringendola fra le braccia. E poi il pensare a lei di continuo, in classe, sotto la doccia, prima di addormentarsi... A volte le veniva pure in mante mentre giocava a basket! Quando pescava ormai la vedeva automaticamente riflessa nel mare. Insomma, era davvero un caso grave. Ormai era così cotto che a volte guardava pure la pallavolo in tv. E adorava anche il biliardo, perchè lei gli aveva insegnato come vi si giocasse. ‘Akira, che combini? Non fai che sospirare!’. E Hiroaki continuava a prenderlo in giro per sdrammatizzare.

Sig.a Sendoh: "Akira, stai bene, caro? Che fai davanti a quel fermo-immagine?"

Sendoh: "Ah, mamma! No, stavo solo pensando... Senti, me ne vado a letto, è tardi..."

Sig.a Sendoh: "D’accordo. Io aspetto tuo padre, che non è ancora rientrato..."

Sendoh: "Mamma?"

Sig.a Sendoh: "Cosa c’è, tesoro?"

Sendoh: "... Niente, lascia perdere... Buonanotte!"

Sig.a Sendoh: "Buonanotte, tesoro! Dormi bene!"

Non c’era proprio nulla da fare: continuava a trattarlo come un bimbo. Del resto per lui andava bene così. In fondo preferiva fingere che fosse tutto a posto. Purtroppo sapeva benissimo che i suoi genitori stavano attraversando un periodo di crisi, cercando di nasconderglielo in tutti i modi, per non farlo preoccupare. Ad ogni modo lui fino ad allora aveva confidato nel fatto che tutto si sarebbe risolto bene, ed era andato avanti come sempre. Non voleva pensarci neppure ora: aveva altri problemi. Era così concentrato che ben presto si trovò a letto senza neppure realizzare di aver compiuto i soliti rituali serali. Si era ritrovato nel suo pigiama di seta blu, comodamente sdraiato sotto le coperte. E continuava a pensare. Non poteva dichiararsi ora, che lei era in crisi per colpa di Rukawa. E se a lei questo fosse servito per uscire dalla crisi? Che razza di rompicapo! Quando finalmente si addormentò la soluzione era ancora avvolta in un alone di mistero.

In punta di piedi scivolò lungo il corridoio. Arrivò alla stanza del fratello, che certamente si stava sognando la sua "Harukina". Si fermò un momento dubbiosa. Era il caso di entrare? Eppure voleva parlare con lui. Non riusciva a dormire, e c’erano così tante cose che voleva dirgli! Finì con il prendere un profondo sospiro, abassare la maniglia e scostare un poco la porta. Poi si accorse che la luce nella stanza era accesa.

Asuka: "Hana...?

Sakuragi: "Entra..."

Era sdraiato nel letto. La coperta gli arrivava fino a mezzo pettorale. Teneva le mani incrociate sotto la testa.

Sakuragi: "A te piace?"

L’aveva anticipata. La ragazza lo fissò un attimo, finchè lui non girò lo sguardo a lei. Scosse la testa. Non le piaceva afatto!

Asuka: "Pensavo assomigliasse un poco alla mamma, invece..."

Sakuragi: "È bisbetica! L’ho odiata dopo due minuti che è entrata dalla porta di casa! Ma l’hai vista? Cos’è, la regina del pollaio? E quando ci ha squadrati? Sembrava che dicesse "dunque sono i figli che hai avuto da quella!"."

Asuka: "Sì, anche a me ha fatto questa impressione. Ma non sarà anche che noi non vogliamo acettare un’altra al posto della mamma?"

Sakuragi: "Ma figurati! A me di quell’idiota non frega più nulla! Per me può sposarsi anche una battona! Basta che non la porti in questa casa! Non dovrebbe dormire nel letto della mamma! Guarda, ho una voglia di andare a prenderla e buttarla giù dalla finestra, che non ti dico!"

Asuka: "Calmati, che poi Haruko deve venire a portarti le arance!... L’hai chiamata?"

Sakuragi: "No, non volevo romperle le scatole. E poi è andata alla festa di compleanno della sua amica. Ero invitato anch’io, e facevo pure meglio ad andare!"

Asuka: "E mi avresti abbandonata così?"

Il ragazzo le sorrise ancora amareggiato. Intanto lei si era seduta sul letto accanto al suo fianco.

Sakuragi: "E dove sei stata tutto il giorno? Mi sono preoccupato! Dopo quella scena..."

Asuka: "Non dirmelo: sto cercando di non pensarci! Ecco... Sono andata a fare un giro e poi sono tornata per l’esperimento. Quando ho finito sono uscita e me ne sono andata in campagna con Nobunaga e Shinichi... Uups, Kyota e Maki..."

Sakuragi: "Ancora quei due?! E stanno sempre insieme, eh? Uuuhm, comincia a venirmi un dubbio..."

Asuka: "Se pensi a quello che credo, beh, hai ragione. Mi avevano chiesto di non dirlo a nessuno... Ah, Hanamichi, sapessi che storia!"

Sakuragi (alzandosi a sedere): "E allora perchè non me la racconti?"

La rossina sorrise con un velo di scosolatezza negli occhi, poi gli si buttò fra le braccia e raccontò tutte le faccende che riguardavano Maki, da Londra alla campagna.

*Flashback*

Maki: "Allora, ragazzi, non è un posto da favola?"

Asuka: "Shinichi è... è bellissimo!"

Kyota: "Davvero, Shin! È bello come te!"

Il ragazzo arrossì e gli sorrise dolcemente. Asuka si sentì terribilmente imbarazzata. Girò lo sguardo alla ricerca di un diversivo qualsiasi. Si avvicinò allo specchio d’acqua che rendeva quel luogo così magico, creando stupendi giochi di luce. Erano soli, loro tre e quel paradiso. Quanto avrebbe voluto trovarsi lì con qualcun altro. Era un luogo così romantico! E sapeva anche chi avrebbe desiderato come compagno. Invece era lì con il ragazzo che aveva voluto in passato, e che per nulla al mondo avrebbe mai potuto essere suo. "A me le ragazze non dicono nulla, scusa... Sono solo amiche!". Certamente una frase più che sufficiente per eliminare ogni speranza. Soprattutto nel momento in cui lei si girò e vide i due piccioncini avvinghiati in un bacio passionale. Le faceva un certo effetto vederli, doveva ammetterlo. A dispetto di tutte le tolleranze di questo pianeta. Certo, astratto e concreto sono due cose ben distinte. E con il concreto lei si stava scontrando frontalmente. Pareva davvero scomparsa dal loro mondo. Così decise che la cosa migliore era ignorarli. Si sedette sul bordo del laghetto. L’erba era fresca. Appoggiò la testa sulle ginocchia piegate vicino al petto e inizò a sognare, aspettando che gli altri due si ricordassero di lei.

*Fine Flashback*

Asuka: "E così alla fine si sono risvegliati del loro sogno e mi hanno rivolto la parola. Il resto del pomeriggio è andato bene..."

Sakuragi: "Certo che tu te li cerchi con il lanternino! E si può sapere com’è questa storia con Rukawa, poi?"

E anche qui la ragazza cominciò a narrare, fino ad arrivare all’ultima scena, quella di qualche ora prima.

Sakuragi: "Va bene, ma perchè sei scappata così? In fondo è lui quello che ha fatto più figure..."

Asuka: "Tutti quegli occhi puntati su di me mi spaventavano. Sembrava che aspettassero tutti qualcosa..."

Sakuragi: "Asu, sinceramente: io con quel tipo vado poco d’accordo, ma se per te conta imparerò a farlo..."

Asuka: "Che caro sei, Hana! Ma non preoccuparti, non ce ne sarà bisogno. Ormai la frittata è fatta. Ora è meglio cercare di dimenticare. Prima o poi vedrai che se ne scorderà. Con lui non funzionerebbe mai. Ormai ho deciso! Resterà un no..."

Sakuragi: "D’accordo. Speriamo solo che non inizi a giocare male: nel punto in cui siamo adesso abbiamo bisogno che lui sia in forma..."

Asuka: "Ah, vedi? Però lo ammetti che gioca bene!"

Sakuragi: "E che devo farci? Ora che Harukina è mia non ho nemmeno più il motivo per odiarlo!"

Asuka: "Mi spieghi cos’è successo esattamente con Haruko, poi? A entrare in casa mi sembrava di entrare in un cinema a luci rosse!"

Sakuragi: "Hai ragione, scusa. Ero così preso che non ho più pensato a null’altro..."

Asuka: "Non scusarti con me... Piuttosto mi racconti? Non la parte sessuale, mi raccomando! Preferisco che mi parli solo di quella sentimentale!"

Sakuragi: "Per me sono inscindibili. Ma non proccuparti: ho capito quello che intedi dire..."

Era ancora in dormiveglia. In qualche modo il suo cervello era sveglio, ma gli occhi non volevano saperne di aprirsi. Era come se fosse sospeso fra il mondo dei sogni e l’incubo della realtà. Poi sentì dei passi provenire dal corridoio. La porta si aprì e i tonfi smorzati si fecero più vicini. Una voce femminile e materna lo chiamò con dolcezza. Lui si rigirò, e finalmente, dopo qualche attimo, riuscì a sollevare le palpebre. La donna lo guardava teneramente. Gli disse che era come vederlo tornare bambino. Gli era mancato così tanto. Passò una mano sui suoi capelli corvini, mentre lui si tirava a sedere ancora stancamente. Sbadigliò. La signora Hayama non era mai cambiata, in tutti quegli anni. Continuava a prendersi cura di chiunque le capitasse fra le braccia. Lui era stato uno di quelli. La sua madre carnale era morta di parto, il padre non si sapeva chi fosse. Altri parenti era praticamente impossibile rintracciarli, soprattutto perchè la donna che l’aveva concepito non era certo una dai costumi tradizionali. Non ne sapeva molto. Solo la voce che facesse la ballerina in un night. Ma non gl’importava nulla. Era cresciuto in quell’orfanotrofio fino all’età di otto anni, quando una famiglia che viveva a Tokyo l’aveva adottatto. Così dalla campagna si era trasferito in città. Stava bene con la sua nuova famiglia. Gente normale, ordinaria, che non poteva avere figli per varie complicazioni. Sembrava incredibile, ma aveva ereditato adirittura il carattere chiuso del padre adottivo. Poi, quando lui aveva poco più di undici anni, si trasferirono nella provincia di Kanagawa.

Ogni tanto tornava lì, in quella che era stata la sua prima casa. I bambini lo conoscevano bene, e lo accoglievano sempre di buon grado. Sembravano le sole creature in grado di leggergli il cuore.

Hayama: "Allora, Kaede, che cosa ti è successo?"

Rukawa: "Che cosa intende?"

Hayama: "Andiamo, ancora credi che non ti conosca? So benissimo che quando arrivi così all’improvviso, con quella faccia, significa che hai qualcosa che non va!"

Il ragazzo sorrise. Quella donna lo conosceva davvero, ed era anche l’unica persona adulta che lo capisse fino in fondo. ‘Forse perchè sono un bambino, e lei con i bambini ci si trova tanto bene! Infatti anche i piccoli mi capiscono. Ormai, tra bambini...’. Sbuffò un po’ sconsolato e rivolse lo sguardo alla donna, che gli sorrideva con dolcezza materna. La signora Rukawa non era mai stata una vera madre per lui. Aveva quasi fatto una crisi silenziosa quando l’avevano portato via dall’orfanotrofio. In fondo quella era l’unica madre che conoscesse. Ricordava ancora quel giorno. Stava origliando dalla porta semiaperta. La coppia era da poco sposata, purtroppo consapevole che non avrebbe potuto avere figli. Volevano pertanto aprofittarne per saltare tutte le "noie" che portava un neonato. Chiesero di un bambino maschio, che fosse tranquillo e almeno un poco somigliante al giovane uomo che sarebbe diventato suo padre. La signora Hayama aveva parlato tanto bene di lui, convincendo i due ad adottarlo prima ancora di vederlo. Tanto che il bimbo si convinse che lei non lo voleva più con sè. E si era lasciato portare via, con un sentimento di abbandono totale nel cuore. Poi quelle parole... "Proprio perchè ti volevo bene ho desiderato che andassi. Stavi per entrare in un età in cui ti serviva una figura maschile accanto. E poi ho sempre paura che chi cresce qui non si possa costruire un futuro...". Le voleva troppo bene per condannarla ancora. Aveva deciso di comprendere senza tentennamenti.

Si alzò ancora seminudo. I boxer erano sempre stati i suoi unici compagni di letto. Andò alla finestra che dava sul cortile e guardò nella nebbiosa aria mattutina. Il canestro diroccato appeso al muro era ancora lì. Quanta passione gli aveva svelato quel piccolo anello di ferro arruginito!

Rukawa: "Ora sto molto meglio..."

Hayama: "Non ti avevo mai visto tanto giù, Kaede!"

Rukawa: "Una ragazza... È innamorata di un altro e ha ancora più paura di me ad ammettere i proprio sentimenti..."

Hayama: "Come al solito riesci a leggere nel cuore delle persone al primo sguardo, vero?"

Rukawa: "Già... E me ne sono pure innamorato, di quel cuore! Ma c’è tanta paura in quella ragazza. Sembra voler scappare dalla vita. E riversa tutto in una bruciante passione per la pallavolo. È una vera campionessa. Ma deve averne viste di cotte e di crude!"

Hayama: "Proprio tu parli! Sempre il solito...!"

Rukawa: "Voglio che sia felice!... Ho deciso che l’aiuterò! Un giorno vedrò un sorriso vero sulle sue labbra! Non attendo altro!"

Hayama: "Kaede, se solo la gente riuscisse a capire come sei... Fa’ ciò che ritieni giusto: di solito non sbagli mai..."

Rukawa: "Sì, farò ciò che ritengo giusto... E un giorno andrò in America!"

Camminò lungo tutto il piazzale quasi con il fiato sospeso. Si sentiva tutti gli occhi puntati adosso. Ma non gl’importava più. Ogni volta che incontrava la signora Hayama ne tornava rinforzato, tranquillo e convinto che le sue scelte fossero giuste. ‘Guardate la futura stella del basket mondiale, e lustratevi gli occhi!’. Aveva di nuovo assunto il proprio portamento fiero e quell’aria menefreghista che lo rendeva tanto affascinante e faceva battere il cuore a una gran parte delle allieve di quel liceo. Soprattutto ora, dopo la scena vista meno di ventiquattro ore prima, in cui lui si era dimostrato tanto passionale e triste, quasi un cucciolo da consolare. E infatti non mancarono le solite scene dal pollaio intorno a quello che pareva l’unico gallo presente. Mani tremanti di timidezza gli tendevano lettere anonime, probabilmente con quel qualcosa di diverso a causa di quanto era capitato il giorno precedente. Accanto a queste sguardi fuggiaschi su visi arrossati, sorrisini maliziosi e carichi d’ammirazione, voci dolci e balbettanti. Finì per stizzirsi. Ad un certo punto si fermò nel mezzo del corridoio (nel frattempo era penetrato nell’edificio) e si guardò attorno. Fece un’espressione assolutamente gelida e mandò apertamente tutte le astanti a quel paese. Poi si girò e proseguì in un clima improvvisamente silenzioso.

Arrivò fino davanti alla propria classe. Lei era lì. L’attendeva, appoggiata allo stipite della porta, con un’espressione terribilmente seria. Lo fissava. Si fermò proprio davanti a lei. Il suo cuore esitò un momento. Malgrado tutte quelle decisioni, il vedersela davanti ancora lo turbava. Tuttavia si mostrò impassibile. Annuì leggermente e ricambiò il suo sguardo così penetrante. Per un momento si sentì tremare le ginocchia. Cercò di non farci troppo caso e deglutì. Il suo viso non aveva tradito alcuna espressione. Insomma, fuori pareva tornato quello di sempre, mentre dentro pian piano la tempesta si placava.

Rukawa: "Asuka..."

Asuka: "Kaede…"

Ci fu un momento di silenzio. Si guardarono ancora. Lei non riusciva più a parlare. Gli occhi del ragazzo erano forti e decisi, ma qualcosa nel loro fondo tradiva una sorta di paura. Paura di sentire ciò che già sapevano. Aveva deciso di dirgli ciò che pensava, ma non ci riusciva. Non voleva nemmeno pensare di farlo soffrire ancora di più. Anche lei sapeva cosa si provasse ad essere rifiutati. L’atmofsera si era ghiacciata. L’aria era così pesante che pareva possibile fenderla con una lama. Persino il professore di fisica [sì, sempre lui, il grande Max!], che doveva dirigersi attraverso quella stessa porta, si era fermato. Non era abbastanza vicino da sentirli, ma aveva comunque esitato. Ormai di quella coppia si parlava persino nel concilio dei docenti. Più come un prolema, in quanto pareva distraessero tutti gli altri allievi [ma chi sono, la luna e il sole?!]. Ancora nessuno parlava. Alla fine lui si decise a rompere il ghiaccio.

Rukawa: "È ora di finire questa storia..."

Asuka: "Kaede, io..."

Rukawa: "Tu sei la persona più attraente che abbia mai conosciuto. Al contempo mi sembri anche la più confusa! Io non sono fatto per te, e tu non mi vuoi nemmeno. Se mi volessi, forse... La cosa mi fa morire dentro, ma tirarla avanti sarebbe una presa in giro!"

Asuka: "Kaede, mi dispiace..."

Rukawa: "Zitta, fammi finire! Tu sei solo innamorata di un altro. E credo che lui sarebbe anche la persona migliore per te!"

Asuka: "Io cosa? Kaede, ma che dici? Io non sono innamorata! Non è per questo..."

Rukawa: "L’ho detto, io, che sei confusa! Ma non preoccupartene: te ne renderai conto da sola prima o poi. Se hai bisogno di me per qualcosa, ricordati che puoi contarci. E non preoccuparti di nulla: anche lui ti vuole [ma chi, scusa?]. Per quel che riguarda me, sto benissimo. Ieri avevo un sacco di pensieri, e mi sono sfogato con te. Scusa..."

Pronunciando le ultime frasi le aveva dato le spalle. Ora era entrato in classe, senza aggiungere altro e senza neppure guardarla. Quando voleva mentire ci riusciva benissimo. Non aveva avuto alcun pensiero, se non lei. Inoltre non aveva nessuna voglia di lasciarla andare così. Per questo non l’aveva guardata: non ci sarebbe riuscito. Ma la reputava la cosa migliore. Il tempo avrebbe rimarginato ogni ferita. Ora ciò che gl’importava era renderla felice. E questo gli era parso il modo migliore.

Lei l’aveva guardato per un attimo e se n’era andata. Malgrado tutto non era riuscito a convincerla pienamente. Insomma, ciò che aveva detto l’assolveva completamente, ma si sentiva ancora in colpa. Non l’amava, ma desiderava vederlo felice. Non sognava altro che un suo sorriso. Un sorriso... Adorava i sorrisi! Che Rukawa avesse ragione? Forse era innamorata sul serio. Forse era per questo che non riusciva a toglierselo dalla testa. Ma non ne era sicura. Continuava a venirle in mente Yohei. L’aveva desiderato come nessun’altro. Tanto che se ripensava a quella storia stava ancora male. Ma lui si era allontanato così tanto da allora. Anzi, era lei che l’aveva allontanato per la paura.

Entrò in classe e si sedette. Finalmente cominicava a riordinare le idee. Yohei era stato il suo primo grande amore. Del resto era rimasto puro pensiero. E quando era arrivato il momento di concretizzarlo, un muro enorme si era piazzato fra loro. Poi più nulla per tre anni. Ma nulla sul serio? Aveva ripensato così tanto a quella storia... Poi era arrivato Maki, con la sua aria spavalda e quel neo sotto l’occhio. Era riuscita a dimenticare tutto. A Londra non aspettava altro che incontrarlo. Ogni sera pansava a lui prima di dormire. E dopo che lui era partito non aveva fatto che sognarlo. Finchè non si decise a chiedergli un appuntamento. Un toccasana davvero per il ragazzo, nel bel mezzo di una crisi sentimentale. Era infatti convinto che Kyota avesse un altro. Ma poi, dopo quel litigio a "scenata di gelosia", i due avevano trovato il modo di riappacificarsi e dichiararsi. Proprio quella sera, nel parco, prima d’incontrare tutti gli altri e scoprire il cognome della ragazza. Poi cos’era successo? Rukawa, Sendoh, Mito e Mitsui. Il primo incontrato in uno scontro, il secondo in uno scippo, il terzo riapparso dal nulla dopo tanto tempo, il quarto visto alla partita Shohoku-Ryonan e rivisto agli allenamenti. Già, perchè andava sempre ad aspettare che finissero per tornare a casa con il fratello. E ogni volta quei sorrisi tanto sexy e intriganti la colpivano. Era un ragazzo dal fascino quasi tenebroso. E quella nebbia che avvolgeva il suo passato lo rendeva ancora più attraente. Con Rukawa ormai tutto era risolto. Era sicura di non volerlo, per quanto fosse bello. L’aspetto non era tutto. E con questo si scartava anche il bell’Hisashi, che neppure conosceva. Restavano Yohei e Akira. Il passato che tornava con una marea di ricordi e il presente che la travolgeva in una dolcezza senza pari. Yohei, Akira, Akira, Yohei... Continuava a pensarci. Chi di loro due? I suoi sentimenti si aggrovigliavano con maggiore assiduità quanto più cercasse di districarli. Teneva la testa fra le mani e fissava il banco, terribilmnte concentrata. Finchè sentì una gomitata. Si riscosse e si rese conto che quell’arpia che le insegnava inglese la stava guardando con una faccia da civetta incazzata.

Prof. d’Inglese: "Allora, la vuole leggere questa pagina o no?!"

La ragazza si rese conto che non aveva capito nulla. Si scusò e chiese l’insegante di ripetere la richiesta in maniera più dettagliata.

Prof. d’Inglese: "Immagino che lei abbia un sacco di pensieri interessanti per la testa! Ora per favore lasci stare quel fantoccio che gioca a basket e segua la lezione. Alternativamente lo raggiunga due alule più in là!"

Asuka diventò rossa. Era stata punta sul vivo, ma non aveva davvero argomenti per replicare. Così decise che sarebbe stato meglio optare per l’umiltà e seguire la lezione con più attenzione. ‘Ci penserò dopo...’

> Continua...

Intermezzo 6: Sì, ma ancora per poco, però! Questo era il penultimo capitolo. Il prossimo vedrà questa lunga epopea concludersi. Forse in una maniera un poco scontata, ma io la voglio così. E siccome io qui sono Dio (ha ha, evviva!) faccio quello che voglio! Del resto, se vorrete contestare, la mia e-mail ve l’ho già data, no? Bene, spero vi siate divertiti fin qui! Alla prossima, per il "gran finale"! Ciao a tutti (se almeno c’è qualcuno che legge ciò che scrivo, dal momento che di commenti ancora non ne ho ricevuti...)!

Capitolo 10

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