Intermezzo 4: D’accordo, questo è un capitolo un po’ più corto (compensa con il sesto). Lo confesso, avrei voluto scirvere sette capitoli, come il numero di maglia di Akira, ma proprio non ce la faccio, quindi ho deciso che andrò avanti finchè non avrò buttatto giù tutto quello che devo per fare una storia che almeno a me sembri decente. Vi lascio con il settimo capitolo ed un altro ringraziamento grande grande per la fedeltà dei miei temerari lettori (se almeno ne ho). Divertitevi!
P.S.: Il titolo riguarda solo la prima parte del capitolo. Abbiate pazienza: non sapevo davvero cosa metterci…
Capitolo VII – Per Hanamichi
Che giornata davvero! Ne erano capitate di tutti i colori. Prima, la mattina, una telefonata di suo padre, che annunciava il proprio imminente arrivo con la fidanzata, poi Asuka che non voleva rivelare nulla sul proprio rapporto con Maki. "Tanto non capiresti, non voglio creare scandali!". Ma che diavolo poteva significare, poi? Per continuare in bellezza ci s’era messo Mito, mesto e silenzioso come un pesce morto, praticamente irriconoscibile. E quando finalmente, sbucati sul piazzale, lui stava per rivelare la natura del proprio stato d’animo, una confusione enorme a distoglierli dal discorso, e Rukawa con sua sorella fra le braccia e la bocca incollata sulla sua, nel bel mezzo del piazzale! Poi un lungo inseguimento di un’Haruko sconvolta, che si scopirva un’ottima candidata per rappresentare il Giappone nella corsa dei cento metri, alle prossime Olimpiadi! Ma alla fine l’aveva raggiunta. ‘Papà arriva domani sera, posso restare tranquillo!’. Prese il bollitore e versò il limpido liquido fumante nelle due tazze, dove i due infusori aspettavano di compiere il proprio compito. Aveva sentito che il the di gelsomino era davvero ottimo per distendere i nervi. E intanto le immagini della giornata appena trascorsa gli si ripresentavano di continuo, insistentemente davanti agli occhi. Il bacio, Haruko… "Haruko, aspetta!", "Oh, Hanamichi!". E si era buttata fra le sue braccia, bagnandogli la divisa delle proprie lacrime. Lui aveva atteso che si sfogasse, e poi l’aveva dolcemente presa per mano e si era messo a camminare silenzioso, accompagnandola con delicatezza. "Hanamichi, hai gli allenamenti…", "Oggi non mi va proprio. Perché dovrei rinunciare a passeggiare con una bella ragazza come te per rinchiudermi in una gabbia di scimmioni?". Con grande stupore di sé stesso, l’aveva detto con una tranquillità d’animo impressionante, sincero e disteso. In fondo rassomigliava un complimento di consolazione. Bel camuffamento, dal momento che non lo era. Non sapeva ancora ora se gioire per l’accaduto o essere triste per il dolore di Haruko. Certamente avrebbe dato qualsiasi cosa per risollevarla. Lanciò un’occhiata all’orologio. Le sei e mezza, e lei non era ancora rientrata. Che fosse a spasso con quella stupida volpe? ‘Mpf, mi sa che mi tocca abituarmi a chiamarlo Rukawa!’. Intanto con le tazze fumanti era passato in salotto e ne aveva poggiata una sul tavolino davanti al divano, tenendo l’altra in mano e privandola di tanto infuso quanto ne stava in un sorso accennato.
Sakuragi: "Bevi, e cerca di distenderti ora! Un idiota insensibile non merita davvero le tue lacrime!"
Haruko: "Ah, Hanamichi! Hai ragione davvero! Mi chiedo solo come ho potuto essere così stupida da stargli dietro tutto questo tempo! E pensare che il cuore mi fa ancora male!"
Sakuragi: "Haruko… Forse… Forse è stata mia sorella a saltargli adosso, lui non se l’aspettava e…"
Haruko: "No, ho visto la scena dall’inizio. Sono usciti a braccetto, poi lui si è fermato, l’ha guardata e l’ha presa fra le braccia. Francamente sembrava tua sorella quella colta alla sprovvista. E poi, sii sincero, conoscendola, credi che farebbe mai una cosa del genere?"
Sakuragi: "No…"
Haruko: "Vedi? Appunto!"
Cadde un attimo di silenzio. Lui non sapeva davvero che fare. Le si sedette accanto, e le poggiò una mano sulla spalla, per confortarla. Lei sospirò, rivolse lo sguardo a terra e riprese a parlare lentamente.
Haruko: "Hanamichi, c’è una cosa più importante che devo sapere da te. Vedi, è tutto il giorno che ci penso…"
Sakuragi: "Dimmi, cosa vuoi sapere?"
Haruko: "Si tratta di una frase pronunciata da Asuka. L’altra sera, quando eravamo al parco, e poi sono arrivati tutti quanti… Ecco, non mi hai ancora detto perché mi hai invitata fuori, e vorrei sapere se c’entra qualcosa il suo commentino, quando ha detto "e scommetto che questa qui è la tipa che tanto ti piace", indicandomi."
Il rossino si zittì. Si mise anche lui a fissare il pavimento, agitato, spaventato da quella che ormai temeva sarebbe stata la risposta di Haruko in proposito. Gli si bloccò la gola, e non riuscì a pronunciare nemmeno un gemito striminzito. Haruko, atteso qualche minuto, bevette dell’altro the, facendone scendere il livello a metà tazza. Poi riprese di nuovo.
Haruko: "Sai, ammetto che ti ho evitato un po’ in questi giorni. Avevo paura di ricevere una conferma e di ferirti, rifiutandoti…"
Sakuragi: "…Non… non preoccuparti per me… sono felice che tu sia… sincera…"
Teneva il viso parallelo al pavimento, mentre un dolore bollente saliva dal suo stomaco al suo cuore. Aveva parlato con voce interrotta da profondi sospiri, e ora faceva di tutto per trattenere le lacrime. Non voleva piangere davanti a lei. Non voleva che lei avesse anche la preoccupazione di averlo ferito, fra le altre cose. Cercò di pensare a qualcosa che lo rallegrasse, ma non ci riusciva davvero.
Sakuragi: "Ti va se accendo la tv…?"
Haruko: "Hanamichi, guardami."
Non riuscì a disobbedirle. Alzò lentamente la testa e vide i propri occhi, lucidi e arrossati, rispecchiarsi in quelli di lei. Tratteneva il respiro per non singhiozzare.
Haruko (a bassa voce): "Hanamichi, mi dispiace, sono davvero una stupida!"
Sakuragi: "No, Haruko, non dire così! Lo stupido sono io! Non riesco ancora a capire cosa non va in me! Non riesco a credere di essere fisicamente tanto spiacevole. Ma allora cos’ho? È il mio carattere?"
Haruko: "No, Hanamichi, la sciocca sono io. Tu non hai davvero niente che non va, credimi!"
Sakuragi: "E come posso crederti? Sei la cinquantunesima che mi scarica. Lo sapevo già, è per questo che con te non ho mai avuto il coraggio… Delle altre non m’importava poi tanto, ma tu eri davvero… speciale…"
Haruko: "Hanamichi, io…"
La cinquantunesima? Non poteva crederci! In fondo Hanamichi era un po’ impulsivo, ma per il resto non le pareva che avesse qualcosa che non andasse. Si sentiva morire, nel farlo soffrire così. Non capiva nemmeno lei perché la cosa la facesse stare tanto male. Lui intanto non riusciva davvero più a trattenersi. Rapide lacrime si susseguivano sulle sue gote, rigandolgi il volto. Null’altro. Non un singhiozzo, non un sospiro. Solo caldissime lacrime. Le parlò ancora, con voce fluida ma intrisa di una tristezza che pareva incommensurabile.
Sakuragi: "Non voglio fartelo pesare, ma voglio che tu sappia… Sei la prima ragazza di cui mi sia mai innamorato. Cinquanta ragazze che mi avessero accettato, tutte insieme, non sarebbero valse un tuo sorriso, Haruko!"
Le lacrime continuavano a torturargli il viso. Ma gli procuravano anche una sorta di leggerissimo impercettibile sollievo, per cui non se le asciugava, ma le lasciava correre liberamente, quasi a ringraziarle. Gli occhi avevano cominciato a bruciare più intensamente, e ora qualche sommesso e raro singhiozzo si faceva sentire nella sala, rompendo a tratti quel silenzio di piombo. Ad Haruko era mancato il cuore di parlare ancora. Sentiva solo un’incomprensibile e lancinante fitta dentro di sé. Finalmente si decise ad ascoltarla, dopo qualche interminabile minuto muto trascorso davanti ad un Hanamichi che lasciava uscire lentamente e silenziosamente il proprio dolore, come un ghiacciaio, che nel corso dei secoli scioglie con avarizia le proprie acque, tormentato dall’implacabile sole. Era rimasta a guardare il disegno sul divano sotto di sè, sollevando di tanto in tanto gli occhi verso il suo povero amico, che tanto si era dato da fare per consolare lei. Ma lei non sapeva assolutamente che cosa fare, per rendergli quel prezioso favore. Poi fu attraversata da un brivido fulmineo, e tutto diventò chiaro. Sollevò il braccio e portò le poprie dita a scostare le lacrime dal viso di Hanamichi, che ormai si stava arrossando a causa di quella sorgente acqua salata.
Haruko: "Hanamichi, sono davvero stupida! Ci ho messo tutti questi mesi a capire i miei sentimenti! Al diavolo quella stupida volpe!"
Sakuragi: "…?"
Haruko: "Hanamichi…"
Qualche lacrima sgorgava ancora, ma la maggior parte di esse era stata arrestata da quel nuovo stato d’animo. Confusione, certamente. La speranza non aveva più ragione d’esistere, ormai, nel suo cuore. Ma ben presto si accorse di quanto ciò fosse sbagliato: Haruko lo fissò un momento, asciugandogli tutte le lacrime con la cravatta sciolta dalla propria divisa, poi afferrò il suo viso fra le mani, e andò ad appoggiare le proprie labbra su quelle di lui. Stupore, certamente questo, lo pietrificò per un momento. Poi, racapezzandosi, portò dolcemente le proprie mani dietro alla sua schiena, afferrandola, deciso a non lasciar sfuggire quel momento meraviglioso. Il suo cuore aveva finalmente ripreso il proprio battito, mentre la lingua della ragazza cercava quasi affannosamente la sua. Poi si staccarono un momento. Ora era lei a piangere, lacrime di rimorso e spavento.
Haruko: "Hanamichi, cosa penserai ora di me? Prima ti rifiuto, poi…"
Sakuragi: "Haruko, sono qui per esaudire i tuoi desideri. Anche solo per consolarti per pochi istanti, se poi non mi vorrai…"
Haruko: "No, no! Cosa dici? Sono stata così stupida, a non volerti fino ad ora! Adesso che ho aperto gli occhi non ripeterò una seconda volta il mio errore!"
Sakuragi: "Haruko…"
Haruko: "Hanamichi, i tuoi capelli hanno dei riflessi dorati, lo sai?"
Gli aveva detto con uno sguardo dolcissimo, sorridendo. Lui aveva risposto al sorriso, baciandola di nuovo, mentre l’adagiava mollemente sul divano, portandosi con delicatezza sopra di lei.
Sendoh: "Ah! Ah! Davvero gli hai detto così? Mmh… Lo sai da quanto tempo non mangiavo un hamburger? Non li adoro, sembrano fatti di gomma."
Asuka: "Sì, lo so, ma non mi andava davvero di cenare in un ristorante!"
Sendoh: "Ma perché no, scusa? Ti ho invitata io!"
Asuka: "Non è questo! Insomma, non capisci, asso del Ryonan? Sono le cameriere!"
Sendoh: "Le… camerire?"
Asuka: "Sì, esattamente! Quelle brutte bisbetiche che non fanno altro che ammiccare e sorridere come oche quando intercettano un tuo sorriso, che magari nemmeno rivolgi a loro!"
Sendoh (maliziosamente): "Ma che hai? Sei gelosa…?"
Asuka: "Sì, ecco! Stasera sei il mio cavaliere! Capito?!"
Sendoh: "D’accordo, d’accordo! Come vostra maestà desidera!"
Asuka: "Hi! Hi! Non prendermi in giro…!"
Sendoh: "E chi ti prende in giro? Io a te farei pure da tappetino!"
Asuka: "Ma dai, Aki! Piantala! Guarda che oggi sono in umore da "guai ai soggetti maschi che ci provano"!"
Sendoh: "Mmh… Cavolo, vorrei tanto essere donna, allora!"
Asuka: "Ma la finisci?"
Sendoh: "Va bene, ho finito. Ma adesso andiamocene, non vorrei incontrare Hiro… Sai, gira spesso da queste parti…"
Asuka: "Ah! Perché no? Avete qualche problema?"
Sendoh: "Noooooo, nessun problema! È solo che lui… ecco…" [e dillo! Se ti vede con la tipa che ti piace rischi che gli parta una gaffe e ti combini casini!]
La ragazza annuì, non senza sospetti in merito al comportamento dall’amico dagli occhi blu. Ad ogni modo prese lo zaino e lo seguì fuori dal fast-food. Si ritorvarono in strada, a camminare nell’oscurità notturna rischiarata da copiosi lampioni e una timida luna, che avanzava tra le nuvole.
Sendoh: "Il vento finalmente è cessato…"
Asuka: "Già. Ora si vede la luna. Guarda com’è bella!"
Sendoh: "Davvero! Bisogna dire che la sua luce fioca non rende giustizia ai tuoi capelli d’oro, ma compensa tinteggiandoti la pelle d’argento…"
Asuka: "Akira! Ma come siamo romantici… E non offri il braccio a questa bella fanciulla?"
Lui sorrise con dolcezza. Forse, visto l’accaduto, continuava a prenderlo solamente come un amico. Ma perché rovinare quella magica atmosfera, incantata dall’ancella del sole, con futili parole che nemmeno potevano più perdersi in un vento ormai cessato? Le porse il braccio, e continuarono in un silenzio quasi assordante, tanti erano i sentimenti che lo colmavano. Primo fra tutti un’armoniosa pace, che sembrava metterli in contatto con quelle timide stelle offuscate. Asuka alzò gli occhi al meraviglioso firmamento. Le nuovole, diradatesi, si spargevano in rare chiazze curiose. Le luci della città si rispecchiavano su di esse, dando vita ad un particolare gioco di colori pallidamente luminosi.
Asuka: "Lo sai che se guardi lassù vedi il passato?"
Sendoh: "Già… Ciò che in quei luoghi tanto remoti è accaduto milleni fa…"
Asuka: "È così. A volte il passato rimane fin troppo vivido nelle nostre menti. Altre, invece, ce ne dimentichiamo come nulla fosse…"
Sendoh: "Una cosa è certa: i momenti magici che ho vissuto finora con te li imprimo accanto a quelle stelle!"
Asuka: "Akira, sei così dolce! Sei un amico meraviglioso!"
Ahi, la parola "amico" gli si era posta come un macigno sullo stomaco. Ma non aveva importanza, perché in quel momento stava tanto bene! Cercò la mano di lei e gliela prese. In silenzio, sereni, arrivarono fino a casa Sakuragi.
Asuka: "Ho passato un pomeriggio stupendo, e una serata ancora migliore! Sono già le dieci, diavolo! Abbiamo camminato così a lungo?"
Sendoh: "Sì… Ma abbiamo anche mangiato tardi…"
Asuka: "Akira, grazie mille, per tutto quanto!"
Sendoh: "Che farai ora con Rukawa, se posso?"
Asuka: "Gli parlerò con calma e vedrò di chiarire le cose…"
Sendoh: "D’accordo. Se ti fa qualcosa dimmelo, che gli spacco il muso!"
Asuka: "Ah! Ah! Grazie, spero non diventi necessario!"
Sendoh: "Va bene. Fammi un favore, però: dagli questo."
Asuka: "Provvederò! Buonanotte, Akira!"
Si alzò sulle punte dei piedi e fece atterrare le proprie labbra sulla sua guancia. Poi gli sorrise ancora ed entrò in casa. Le luci in salotto erano accese.
Akira, nel frattempo, sospirò. Rimase a guardarla finchè la porta non si richiuse dietro le sue spalle. Con un sorriso tranquillo e sereno si girò con calma, e tornò a casa anche lui.
Alzò la testa e guardò l’orologio. Erano solamente le sei. Certamente non era ancora il caso di alzarsi. Puntellando la tempia con il palmo della mano, il gomito poggiato al cuscino, si era accomodato sul fianco e osservava il lento e regolare movimento delle coperte davanti a sé. Si alzavano e abbassavano, armoniosamente, seguendo i movimenti di un diaframma dormiente. Era davvero dolce! La coperta ne copriva il petto fino a metà. Gli occhi chiusi talvolta tradivano il movimento delle pupille, che seguivano i suoi sogni. ‘Ti amo!’, pensò il ragazzo, con un sorriso di beatitudine sulle labbra. ‘Potrei guardarti ore, mentre dormi! Sei la bellezza e la prefezione fatta umana!’. Con una mano ne carezzò il viso, scostandogli dolcemente una ciocca di capelli che ricadeva sulla sua fronte. Intanto i primi raggi di sole offuscavano lucifero e si insediavano timidi ma radiosi fra le tende. Il vento era cessato, e la giornata si preannunciava fantastica. Si alzò ed andò a schiudere le finestre, lasciandone aperto quello spiraglio sufficiente a far respirare loro la fresca aria mattutina. Con essa entrarono anche i cinguettii degli allegri uccellini, che si erano di già destati. Tornò sotto le coperte e fece scivolare dolcemente la mano sul petto del suo angelo addormentato. Questi emise un gemito ed aprì lentamente gli occhi. Gli si presentò il compagno che, nella diffusa luce mattutina, gli sorrideva con una tenerezza incredibile, acarezzandogli il viso. Sembrava che i suoi occhi gli dicessero quanto l’amasse. Avrebbe potuto fissarlo per ore. Però resistette ben poco, e ben presto si alzò ed andò a raggiungere le sue labbra con le proprie. Non avevano scambiato una sola parola, ma tra loro c’era un armonia così perfetta che sapevano benissimo di non averne bisogno. Ora il ragazzo destato per primo si era fatto più timido, lasciandosi cullare dai dolci baci che riceveva sul collo e sul petto. Si lasciò completamente andare fra le braccia del suo amore, quasi a dirgli "prendimi, sono tuo". La risposta non si fece attendere, e i baci si fecero più insistenti e passionali, mentre percorrevano tutto il tronco del giovane verso il basso, per raggiungere avidi la loro meta. Conquistato il traguardo, diventarono ben più che semplici baci, coinvolgendo il loro destinatario in un vortice di passione. Questi si era infatti lasciato ricadere sui cuscini. Stringeva gli occhi e teneva la bocca schiusa, senza preoccuparsi dei gemiti di piacere che la sua gola emanava. Si era totalmente abbandonato. Una ciocca dei suoi capelli scuri era andata ad insediarsi in mezzo ai suoi occhi, mentre le altre ricadevano selvaggiamente sulle candide stoffe piumate. Portò una mano sulla testa del compagno, acarezzandone dolcemente la nuca. Questi rispose con uno sguardo assassino, per poi portarsi completamente sopra di lui e raggiungere di nuovo le sue labbra. Adorava giocare il ruolo dominante, e soprattutto impazziva nel sentire il piacere del suo amato. La casa era vuota, c’erano solo loro due, ed un passerotto che timidamente era andato a posarsi sul loro davanazale. Poi il ragazzo dai capelli castani si distaccò un momento e comiciò a far navigare una mano sul comodino, come se cercasse qualcosa.
Kyota: "Sono da poco passate le sei…"
Maki: "Mmh, allora c’è tempo…"
Kyota: "Sì, c’è tempo…"
Si scambiarono uno sguardo intensissimo, per poi tornare ad unire i loro visi in un bacio passionale. Il capitano del Kainan fece dolcemente scivolare le mani sui fianchi del suo lui, mentre l’altro lo liberava dei suoi boxer, l’unico indumento che ancora si trovava in quel letto.
Maki (a bassa voce): "Ma allora provochi sul serio! Peggio per te!"
E con un sorriso l’aveva fatto girare sulla pancia, poggiando il proprio peso su quello del compagno, il quale si era rilassato con la guancia adagiata sul cuscino. Il primo aveva cominciato a massaggiargli dolcemente le spalle, poi si era chinato a mordicchiargli le orecchie, cingendolo completamente con le proprie braccia.
Maki (sussurrando): "Sei mio, bello!"
E l’aveva preso, liberando tutta la propria passione.
Un altro giorno di scuola, e la partita con il Toyotama era ormai imminente. Quale sarebbe stato l’esito? ‘Speriamo di vincere! Dobbiamo vincere il campionato nazionale!’. Si recò verso l’edificio principale, pensando un po’ preoccupato alla sorella, che il giorno precedente aveva telefonato a casa, dicendo che si sarebbe fermata a dormire da un’amica. ‘Un’amica che la consolava per via di Rukawa, forse? Mmmh…’. Si fermò un momento. Il protagonista dei suoi ultimi pensieri stava varcando il cancello, bicicletta alla mano. Il giorno precedente era stato silenzioso come al solito, in allenamento. In compenso era sparito quell’idiota di Hanamichi, che negli ultimi tempi non si era più assentato. ‘Che cretino, proprio un bel momento per saltare gli allenamenti!’. Intanto sentiva una marea di voci intorno a sé, tutte improntate a commentini a proposito del miglior rookie della prefettura.
Akagi: "Ciao, Rukawa, come va?"
Rukawa (scorbutico): "Che cosa vuoi?"
Akagi: "Volevo solo sapere…"
Rukawa: "No! Non lo è, va bene?!"
Akagi: "Ehm, scusa, a che cosa ti riferisci? Io volevo chiederti se sapessi che fine ha fatto Sakuragi…"
Rukawa: "Se parli di lui, è laggiù con tua sorella, che sorride come uno scemo, se parli di lei, non ne ho la più pallida idea! Io vorrei solo sapere che fine ha fatto il mio portafoglio!"
Asuka (alle loro spalle): "È qui, Kaede! Aspetta solo di riabbracciare il suo compagno!"
Rukawa: "…"
Akagi: "Io forse faccio meglio a…"
Asuka: "No, scusa, tu non sei Takenori Akagi, il fratello di Haruko? Vorrei scambiare un paio di parole con te, è per questo che sono venuta qui!"
Akagi (guardando Rukawa perplesso): "Ehm, va bene…"
I due si allontanarono sotto gli occhi del numero undici dello Shohoku, che faticava a capire il comportamento della ragazza. Possibile che lo ignorasse così? Si aspettava una scenata, o un bacio sulla guancia. Qualcosa, insomma. Ma niente. Era scivolata via come se lui non esistesse. Alzò le spalle, e portò la propria bicicletta all’abituale parcheggio. Si sentiva un poco a disagio. Forse aveva fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare. Aveva l’impressione che Asuka ce l’avesse a morte con lui. Ripensava al bacio che le aveva dato. Era stato così intenso che gli si era rizzato tutto quanto, perfino i peli delle ascelle! Solo che le cose non stavano prendendo una bella piega ora.
Intanto la rossa ed Akagi sembravano piuttosto impegnati nei loro ragionamenti.
Akagi: "Che cosa???!!! Io lo ammazzo! Giuro che lo ammazzo, stavolta!"
Asuka: "Takenori, calmati, cerchiamo di ragionare…"
Akagi: "Ma sei davvero sicura di quello che hai visto?"
Asuka: "Beh, sai, non è che mi sia fermata a fargli la radiografia! È stato imbarazzante! Sono scivolata via in fretta, non si sono nemmeno accorti di me… Appunto, per essere sicura che fosse lei ho preferito chiederti se fosse a casa, ieri sera. Sai, stamattina mi sono alzata molto presto, in salotto non c’era più nessuno, e io sono uscita e ho camminato per un’ora prima di arrivare qui. Dovevo pensare…"
Akagi: "La mia sorellina… Io lo spezzo! Come ha osato metterle le mani adosso!!"
Asuka: "Su, su, ora calmati! Tua sorella ha una testa per ragionare da sola, mi pare!"
Akagi: "Si è solo aprofittato della sua confusione per colpa di Rukawa!"
Asuka: "Ehi, no, un momento! Mio fratello non si è mai aprofittato di nessuno, chiaro?! E poi quello che è successo con Rukawa è anche colpa mia…"
Akagi: "Ecco, me la spieghi? Cioè, io non capisco più nulla!"
Asuka: "Non lo so, a Kaede è preso un raptus di pazzia e mi ha baciata! Non c’è mai stato nulla fra noi, davvero! Ad ogni modo Hana è molto meglio di lui per Haruko, fidati! Non la farà soffrire…"
Akagi: "Sarà… Ma non lo sopporto! Ma insomma, ti rendi conto? Saltarle adosso così!"
Asuka: "Beh, in fondo non sappiamo chi di loro ha cominciato, no?"
Akagi: "Ma fammi il favore…!"
Asuka: "Eh no, non si possono mica prendere le cose così! Guarda che Hana non è poi tanto intraprendente!"
Akagi: "E tu che ne sai, hai mai fatto certe cose con lui?"
Asuka: "Non dire scemenze! E poi in fondo non è mica detto che l’abbiano fatto. In fondo lui aveva ancora i boxer adosso, e lei portava ancora la camicetta… Era slacciata, va bene, però…"
Akagi: "Aaah, basta, non dirmi altro! Adesso è ora di andare a lezione, e io sarà meglio che mi avvii, prima di incrociare tuo fratello e farlo diventare un budino!"
Asuka: "E va bene, andiamocene in calsse. Ma guai a te se mi fai passare per una spia! Se ci provi ti faccio diventare un budino io! In fondo sono solo la solita ingenua che combina pasticci…"
I due si zittirono, si guardarono un momento, annuirono entrambi e si separarono.
Stranamente l’atmosfera sembrava più tranquilla del previsto. Ma forse era anche perché il vento era cessato. Infatti in calsse non si fece attendere la compilation di sguardini, risolini e frecciatine. Ad un certo punto, durante la pausa, Asuka, stizzita, si alzò in piedi, andò alla lavagna e scrisse acaratteri mastodontici "Rukawa non è il mio ragazzo!! Firmato: Asuka Sakuragi". E in quel momento s’indovini chi entrò? Il solito professore di fisica…
Prof.: "Signorina Sakuragi…!"
Asuka: "Ah, buongiorno! Vede, volevo solo chiarire le cose, perché la fisica non entra in testa a me, ma questo sembra non entrare in testa a nessuno!"
Prof.: " Beh, sa, vedendo la scena di ieri è un po’ faticoso crederlo…"
Asuka: " Appunto per questo lo scrivo!"
Il pover’uomo rimase ammutolito ad osservare la ragazza che tornava al proprio posto, poi prese un profondo respiro e si preparò ad iniziare la lezione.
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