Lo zaino appoggiato
sullasfalto, agitava la mano verso una finestra
sopra di lei.
Forse riconobbe subito la
macchina: quando accostai si avvicinò per aprire la
portiera.
"Ciao"
"Ciao".
Ma non ci fu nulla sul suo
viso a trasmettere emozione, anche solo semplice piacere
di vedermi e così rimisi subito in moto, mentre lei
guardava malinconica la finestra dietro la quale, credo,
Misaki stava osservando la sua partenza.
Quante volte quella scena
si era ripetuta senza che io ne fossi minimamente
cosciente?
"Mm senti
io pensavo di prendere la provinciale fino a Kyoto e poi
seguire le indicazioni per Otsu sono più o meno
cinquecento chilometri dovremmo arrivare per le tre
del pomeriggio ".
Non che mi importasse
davvero rendere Takako partecipe dellitinerario, ma
non tolleravo il suo silenzio di cagnolino triste.
"Per me va
bene ", mi rispose, assolutamente
disinteressata alle mie parole.
Iniziai a chiedermi se non
fosse stato un errore: partire con lei, impicciarmi della
sua vita cosa me ne importava, in fondo?
Sì, lo so: sono bravissimo
a mentire a me stesso.
Io volevo essere lì, su
quellauto, insieme a lei, volevo conoscere la sua
vita ed entrarci, se possibile, volevo lei, anche. Ma
quella sua espressione ferita, quel suo silenzio
incurante mi facevano rimanere in bilico tra la gioia
soddisfatta per avere ottenuto, e quanto facilmente, ciò
che desideravo, e una fastidiosa inquietudine.
Non mi pentii nemmeno un
secondo della mia scelta, ma in quel momento il ricordo
delle aspettative che nutrivo su quel viaggio cozzava
violento con la realtà: semplicemente uno spostamento
geografico, che fossimo insieme sembrava non avere nessun
valore per lei.
"Posso mettere una
cassetta?", mi chiese indicando lautoradio
silenziosa, inerte.
"Se non è una
schifezza romantica ", un genio.
Alle volte mi stupisco da
solo della mia mancanza di sensibilità.
"No. I Nirvana.
Vanno bene?"
"Quale?"
"Nevermind"
"Ok è
carino "
"Carino?!",
sembrava essersi riscossa dal torpore dei suoi pensieri.
"Dai, dai
mettila su che la strada è lunga."
Senza parole, con solo una
nenia ritmata a riempire il vuoto dellabitacolo, i
pochi metri già percorsi sembravano infiniti e ancor
più interminabili erano quelli che sarebbero venuti.
"Posso fumare?"
Si limitava ancora solo a
queste domande scontate e, fondamentalmente, inutili.
Non mi imbarazzo
facilmente, ma in quei minuti mi sentivo soltanto a
disagio, inadeguato e stupido.
"Fa quello che
vuoi", probabilmente, pur contro il mio volere, il
tono fu quasi seccato.
Involontario, ma fece
smuovere qualcosa dentro di lei, credo. O forse fu
soltanto casualità. Già più ripercorro questa
storia nella mia mente, più mi convinco che davvero ogni
cosa in noi fu casualità.
"Sei
arrabbiato?", mi chiese voltandosi a fissarmi: fino
a quel momento aveva tenuto lo sguardo fermo sulle sue
ginocchia.
"Sei tu quella che ha
qualcosa", la aggredii.
No. Non che ci fosse rabbia
nelle mie parole, ma avevo evitato di rispondere girando
su di lei la responsabilità.
"Mm mi sa che
hai ragione scusami".
Sarebbe finita lì, credo,
se non avessi insistito perché si spiegasse.
"Che cosa cè?
Sembri triste non volevi andartene?".
O magari ti sei pentita
di avere accettato la mia proposta
Ma anche questa frase
finì, con molte altre, nella scatola stupida dei non
detti.
"Ma no no
sono un po agitata è pur sempre una prima e
poi "
"E poi?"
"Ma scusa, non ti
sembra assurda la situazione?".
Noi uomini siamo un
po come bambini, alle volte. Probabilmente capiamo
sempre, o quasi, perfettamente quello che stanno cercando
di dirci, eppure continuiamo a domandare fino a che non
ci viene data una spiegazione elementare e lineare.
"Quale?"
"Dai, sii serio.
Questa. Di me e te che andiamo a Otsu e
insomma io sarò anche un po particolare, ho
un modo strampalato di rapportarmi agli altri, ma
fare questo viaggio con te mi dà una strana
sensazione "
"A me fa
piacere ".
Avrei potuto dire
moltissime cose più articolate e più sentimentali, ma
non me ne venne in mente nessuna. Vuoto totale. Ero così
concentrato sulle parole di lei da non avere tempo di
formulare le mie.
Durante quel viaggio avrei
percepito fino in fondo e definitivamente, labisso
invalicabile e meraviglioso che separa uomini e donne.
"Anche a me!
esclamò lei, con un tono acceso, quasi si
scusasse- E forse è proprio questo Ken?".
Mi piaceva quel modo di
chiedere la mia attenzione: mi chiamava piano e abbassava
un po lo sguardo, senza parlare fino al momento in
cui non le davo, in qualche modo, il permesso di
proseguire.
Mi voltai verso di lei per
un attimo, il minimo indispensabile concessomi dalla
guida.
"Noi non siamo
amici ma nemmeno ", tentennava, quasi la
intimorissero le sue stesse parole.
"Ma nemmeno stiamo
insieme?", le chiesi, a modo mio, provocatorio.
"Ecco. Magari io avrei
cercato un eufemismo ".
Si mise a ridere: non aveva
una risata sfacciata, né pigolante. Abbastanza
cristallina, ma come sussurrata. Rise un istante, poi
tornò seria, improvvisa, incoerente.
"Cosa cè che
non va?", le chiesi.
Onestamente per me la cosa
era perfettamente lineare: contro tutti i miei propositi,
avevo dovuto accettare la nascita irruente, improvvisa e
inaspettata, dei miei sentimenti verso di lei; ora io
avevo semplicemente seguito il flusso dei miei desideri.
Non volevo partisse o meglio non volevo partisse
senza di me.
Piuttosto ovvio.
"Voi ragazzi vi fate
molte domande in meno -sospirò, forse invidiando,
per un momento, ciò che mi rendeva diverso da lei-
Comunque! Sono contenta di essere qui davvero
pensavo fosse molto più doloroso "
"Che cosa?"
"Beh conoscerti.
Conoscere un ragazzo senza che sia amico "
"Sì, però così non
sono un tuo amico e non sono nemmeno il tuo ragazzo
facendo due più due non sono niente!".
Mi sforzai di far passare
quella frase come una battuta, ma non lo era. Non lo era
assolutamente. Non ero stanco o annoiato dalla situazione
effettivamente surreale in cui ci trovavamo io e Takako,
ma nemmeno mi era così facile sopportarla.
Se la mia scelta fosse
stata tra lesserle amico e non essere nulla, bene.
Io sceglievo il nulla. Perché io ero disgraziatamente
innamorato di lei e non mi importava dellaffetto
amicale che poteva darmi.
No. Decisamente non sarei
stato un buon amico, né obiettivo, né disinteressato.
Takako si fermò un
po a pensare, forse anche per lei quelle parole
apparentemente casuali, giocose, avevano avuto un senso
molto più profondo.
"Beh -iniziò,
un po incerta, come si muovesse in un luogo
sconosciuto- esistono anche degli equilibri unici, non
classificabili "
"Sono un equilibrio
non classificabile?"
"Sei no, siamo,
un passaggio ".
Va bene. Per quanto
elementari possano sembrarvi i miei ragionamenti, in quel
momento io sentii male. Semplice e acuto.
Per me un passaggio è, ed
era, se possibile, ancor di più nel passato, qualcosa di
assolutamente insignificante. Un accidente fastidioso
dellesistenza umana.
"Un
passaggio ", ripetei fissando la strada.
Non avrei voluto
arrabbiarmi con lei: per qualche motivo, dalla prima
volta in cui lo avevo fatto, quando le avevo gridato di
non permettersi mai più di rivolgersi a me in quel modo
scortese, avevo deciso di non farlo più. Di sopportare
le sue intemperanze in silenzio.
Non ci riuscii.
Il dolore offeso si
tramutò in rabbia e esplose.
"Ma che cazzo vuol
dire? Smetti di prendermi in giro io io sono
davvero stufo di vederti sempre quella faccia da Buddha
sofferente! Credi che io sia qui con te per essere di
passaggio?".
Lauto rimbombò delle
mie parole gridate con un rancore che nemmeno io ero
riuscito a contenere.
Per un tempo che non so
quantificare, Takako rimase in silenzio a fissarmi. Non
potevo guardarla, dovevo pur continuare a guidare, a
tenere la strada come punto fermo di pensieri e azioni.
Eppure sentivo il suo sguardo impastato su di me,
immobile, stupito. No, forse non stupito, forse
spaventato.
E quel silenzio ferito
sembrò alimentare il mio spirito già feroce, rabbioso.
"Almeno fingi! Oppure
sii onesta: dimmelo che non te ne frega niente, che ti
torno utile perché puoi partecipare a quel fottuto
torneo! Ma come fai? Sembri di marmo! Cè qualcosa
su tutta la terra che ti scuote? A parte la morte di tuo
padre, naturalmente, ma quello è dolore ma
ma tu non sei mai felice?".
Non volevo, non cercavo una
reazione da parte sua. Forse volevo solo poter dire
quello che pensavo, smettere di avere paura di ciò che
provavo, di ferirla. Forse avrei continuato a gridare e
alla fine sarei arrivato a dire la verità, senza mezze
misure, sputata in faccia come se fosse una cosa
tremenda.
Non cercavo una reazione,
perché non credevo che quel guscio colmo di nevrosi e
rancore potesse averne una.
Ripensai
allincostanza con cui aveva allontanato la mia mano
da sé a Hokkaido: subito dopo mi era sembrata pentita.
Non per avermi aggredito, ma per avere avuto
quellimpulso istintivo di rabbia.
Non cercavo nulla, in
fondo.
E, come è giusto, mi
stupì per lennesima volta. Completamente.
"Vaffanculo! Ma chi
cazzo pensi di essere per potermi parlare così? Io non
ti ho chiesto proprio niente, sei tu che ti sei
preoccupato per me e a me è andato bene, ma è una
conseguenza! Si può sapere cosa vuoi? Vuoi portarmi a
letto? Mi dispiace. È impossibile".
Gridò con una forza che
non era possibile rendere compatibile con la sua forma
esile, apparentemente debolissima.
Gridò vomitando una rabbia
puntuale, una rabbia che non era lì perché cumulo di
anni, ma che era nata ed esplosa in quellesatto
momento.
Gridò e mi colpì il tono
e la verità delle sue parole: ripetevano scandite che
lei era viva. Viva. Anche se era difficile dirlo.
Ma la rabbia è una carogna
infida, che sembra controllabile, ma presto si dimostra
incontenibile. Una cascata furiosa e illogica.
"Se volessi portarti a
letto non mi farei questo sbattimento! Per farsi una
ragazza bastano cinque minuti, due parole cretine, di
quelle che vi fanno intenerire, e via sei una
deficiente! Non capisci proprio niente".
Non avrebbe avuto nessun
senso cercare parole gentili, perché non ne avrei
trovate. Così dicevo le cose esattamente come si
formavano nella testa, confuse o crudeli o massacranti.
Non me ne importava niente
e solo più tardi, placata lira, avrei capito che a
non fermare le mie frasi era la percezione lucidissima,
per quanto totalmente inafferrabile, che finalmente
Takako stava dimostrando di essere umana, pulsante e
incontenibile. Il fatto che avesse smesso, improvvisa, di
calibrare ogni gesto, ogni parola, di contenere e
soffocarsi, era la sola cosa che aveva valore.
"Invece sei tu che non
capisci niente! E poi che cosa sono questi discorsi
sulla facilità di farsi una donna? Credi che siamo tutte
stupide come le puttanelle che probabilmente sei abituato
a portarti nel letto? Che poi fa davvero schifo il
pensiero ".
Era quello che pensava di
me?
Dalla cattiveria aspra
delle sue parole avrei potuto convincermene, ma io ci
sentii anche la paura. Che fosse realmente così.
Magari solo una stupida
illusione.
Per la prima volta nella
mia mente si riflesse limmagine di lei con un uomo.
Un uomo diverso da me.
"E se fossi tu a
volerci provare con me?", le chiesi smorzando un
poco il tono acceso che avevo tenuto fino a quel momento.
"Io?", chiese
come se avesse appena sentito dire la cosa più assurda
che fosse concepibile.
Non fossi stato così
arrabbiato, forse avrei sorriso di quel tono tanto
allibito.
"Sì, tu. O tu sei
naturalmente così perfetta da non avere nemmeno
interesse per noi poveri maschi decerebrati? Sì.
Decisamente sei di marmo".
Volse tutto il suo corpo
verso di me, un po mi infastidiva la possibilità
che lei aveva di fissarmi con costanza, mentre io potevo
solamente girarmi qualche attimo ogni tanto verso di lei.
Ripensandoci dopo, mi è
dispiaciuto non avere potuto vivere completamente le sue
espressioni, le vibrazioni delle sue ossa in quella
occasione.
"Scusa? mi
domandò, ma non aspettava risposta- A me gli uomini
piacciono magari non moltissimo, ma quanto è
naturale! E poi non credo siate stupidi o
superficiali non in generale, almeno".
Eppure per me Takako era un
concentrato amaro di odio e rifiuto verso gli uomini.
"E io non uso le
ragazze le donne, come dici tu "
"Cioè se stai con
qualcuna è perché sei innamorato?"
Non avevo la risposta
pronta per questo.
"Beh
innamorato -come potevo dirle che io non avevo mai
provato quel sentimento finché non la avevo
incontrata che poi non ero sicuro nemmeno che amare
fosse proprio quello - e tu? Sempre e solo per
amore?"
"No".
Fu una risposta così
lapidaria che la rabbia si placò improvvisamente dentro
di me. Pur essendo un iracondo per natura, non provai
più limpulso di provocarla.
"Non sempre?",
chiesi, piano, un sussurro in contrasto con gli strilli
di appena qualche minuto prima.
"Direi mai se
questo non portasse qualsiasi persona normale a
considerarmi nella migliore delle ipotesi una
stronza anche tu ", il suo tono, quasi
accompagnando il mio, si era sfumato, addolcito
malinconicamente.
"Non penso
questo non credo che lamore sia così comune."
"Ovvero?"
"Io non sono mai stato
innamorato e, se può tranquillizzarti, ho avuto
solamente due ragazze "
"Perché dovrebbe
tranquillizzarmi?"
Già, perché?
"Era per
dire "
Takako tolse la cassetta
della radio e lasciò il silenzio tra noi.
"Ken? di nuovo
quel modo tutto particolare di rivolgersi a me- Mi hai
fatto arrabbiare grazie"
"Tu non sei
normale!".
Una cosa che adoravo del
mio tempo con Takako era che non ero costretto a spiegare
ogni cosa. Probabilmente molto era dovuto semplicemente
al fatto che lei era una donna, ma non solo. Aveva
unattenzione più acuta e vivace di quella che
normalmente trovavo nelle ragazze e mi permetteva di non
dover spiegare ogni cosa.
"No, ero seria
io non mi arrabbio mai e accumulo soffocandomi con
le mie mani sono un po come Taro in questa
cosa "
"Perché come
lui?"
"Dai non ti
accorgi di quanto si sforzi di non essere mai
intemperante? È una fatica tremenda cercare sempre di
piacere a tutti io almeno non mi arrabbio mai per
altri motivi "
"Quali?"
"Beh più o meno
quelli per cui tu, invece, ti arrabbi subito", disse
e credo sorridesse.
La sua mano la sentii
subito, appoggiata incerta sulla mia, tesa sul cambio.
"Pensavo di non essere
più capace ".
Strinse le sue dita intorno
alle mie, con una forza dolce che mi diede un brivido
mescolato di emozione e desiderio.
Avessi potuto, non avrei
mai sciolto quel contatto. Non che mi sarei accontentato
in eterno di quello, ma per il momento era sufficiente.
Anzi, era tutto.
"Non si smette mai di
avere sentimenti ma in effetti anche io pensavo di
non saperli sentire "
"Già comunque
devo essere sincera pensavo praticamente tutte le
cose che ti ho detto "