-“SEI STATO TU BAKA KITSUNE????”
Non è una domanda. E’ una certezza. Tanto che nemmeno finisco di chiedermelo che già gli sono addosso.
Ora gliela faccio passare io la voglia di primeggiare. Gli darò un motivo per avere una tale espressione da cadavere. Pugni. Pugni sul suo viso. Pugni sul mio viso. Ma non fanno male. Nel mio cuore sento soltanto rabbia cieca e senza motivo. Mi verrebbe voglia di strapparmi il cuore e sezionarlo come quella rana nel laboratorio di scienze. Fuori era solo una rana, pelle rugosa e verde, eppure dentro era qualcosa di diverso. Forse anch’io sono così. Vorrei capire cosa c’è dietro. Perché ora sento i pugni che do a lui come se li stessi dando a me stesso mentre i suoi sembra non mi sfiorino nemmeno.
Basta.
Sono stufo di picchiarlo.
Mi alzo.
Ayako si calma ma mi tira una ventagliata in testa come al solito.
Nemmeno ci bado.
Sanguino da un labbro e non m’importa.
Piccole goccioline di sangue segnano il mio passaggio.
Si seccano velocemente sul parquet.
Oggi le matricole dovranno darsi da fare con quegli stracci.
Sorrido e sento la ferita tirare e contrarsi. Eppure non sento il dolore.
C’è una lunga scia di gocce rosse tra me e Rukawa.
Un sentiero di sangue.
Voci.
Ayako, è inutile che urli che vuoi che vada in infermeria, tanto non me li sento nemmeno questi lividi.
E’ inutile che voi mi guardiate come se il mio comportamento non avesse senso, mormorandomi alla spalle ciò che non sapete come dirmi in faccia.
Stupide galline, è inutile che mi insultiate perché ho rovinato il musetto perfetto del vostro idolo.
Non vi sto ascoltando! Avete capito?
Al genio non importa delle vostre urla.
Mi giro e riprendo a giocare.
Non credere di aver vinto volpastro.
E’ solo che oggi mi manca la voglia.
E’ solo che oggi devo capire cosa c’è dietro.
Guardare oltre la facciata.
Sezionare il mio cuore.
Il mio cuore. Nulla di più inviolato.
Nulla che conosca di meno.
Volubile e capriccioso. Tormenta la mia vita.
50 rifiuti e mai una volta che abbia sofferto davvero.
Mai una volta che abbia amato davvero.
Nascere senza sarebbe stato meglio.
Ne sa qualcosa la kitsune…
Per lui probabilmente è solo qualcosa di cui contare i battiti per capire se è migliorato in resistenza.
Io ci credo al mio cuore. Troppo direi.
L’unica parte di me che non posso considerare degna del genio che sono.
Sconosciuto che non voglio conoscere.
Nemico che non voglio incontrare.
A cui non posso fare del male senza fare del male a me stesso.
Come Rukawa.
Oh kami! Sto impazzendo!Da dove viene questo pensiero? Da dove cavolo è uscito? Partorito dalla mia mente no di sicuro!
Non posso pensare di aver fatto un simile paragone! Ecco dove vanno a parare questi miei stupidi discorsi psicologici! Sto diventando scemo, non c’è altra spiegazione…
Movimento meccanico del polso, la palla che viene spinta e ritorna.
Ormai questo palleggiare sta diventando noioso… i soliti fondamentali! Ecco, sono quelli che mi fanno rimbambire!!!!
Me ne esco con una delle mie solite battute.
Ora finalmente ho smesso di pensare.
E’ tardi, sono tutti nello spogliatoio o magari già lungo la strada di casa.
Almeno credo. Io me ne sto qui fissando quel cerchio di metallo con attaccata una retina.
Quel cerchio che devo centrare. Ad ogni costo e con ogni mezzo.
Quel cerchio che devo difendere. Fino alla fine, per sempre.
Chiudo gli occhi e concepisco con la fantasia la voce di un commentatore. Le urla di un pubblico di fantasmi. Lo scintillio dei colori nella mia mente.
Io con il pallone in mano. Una distanza che conosco a memoria che mi separa dalla meta. L’ultima azione di una immaginaria partita ferma in parità.
Comincio a correre. L’ultimo canestro della giornata. L’ultimo della mia partita irreale.
Ecco l’avversario che tenta di stopparmi: solo un frutto della mia invenzione...
Sto correndo con scioltezza come se mai avessi fatto altro.
Salto e credo di volare.
Salto. Ecco che allunga un braccio nel tentativo di bloccarmi.
Ovviamente non ci riuscirà mai e poi mai in questo sogno in cui comando io.
Ecco la palla che centra il canestro
Cosa? E’ caduta a terra? Mi giro a destra e lo vedo. Vedo il mio avversario, e non è certamente frutto della mia immaginazione. Il volto ha ancora i segni dei miei colpi. Mi ha stoppato.
“ Che vuoi volpino?” sibilo al suo indirizzo.
Nemmeno mi risponde quello stupido.
Si china e raccoglie la palla.
“Un one on one contro di te”
Ha parlato. Credo di stare per gridare al miracolo. Non tanto per il fatto che si è espresso con parole e non con i soliti grugniti, quanto per cosa mi ha detto.
“Hai capito finalmente che valgo più di te, vero?”
“No, voglio solo capire se ne vale la pena.” Ora oltre che volpesco mi pare pure sibillino.
“Vale la pena cosa?”
“….”
Ecco lo sapevo, il momento magico è trascorso e la statua di sale è tornata ad essere tale. Pazienza, lo umilierò meglio se tace.
Comincia a palleggiare.
“Il primo che arriva a venti vince”
Oh! Il supremo dio della pallacanestro ha deciso di parlare a me comune mortale per ben tre, e dico tre volte, in soli cinque minuti!!!!
Ma non mi esprimo a parole, ho troppa voglia di confrontarmi con lui per sprecare tempo in chiacchiere.
Mi metto in posizione, gambe divaricate e braccia aperte. Cerco di bilanciare bene il peso nell’eventualità che cerchi il contatto, perché cadere vorrebbe dire fargli segnare il primo canestro.
E’ strana la sua espressione concentrata. Si vede che lui queste cose le prende davvero sul serio…
Inizia la danza del suo corpo.
Sembra un cobra sinuoso. E io sono la mangusta.
Vinceranno i miei denti o il suo veleno?
Vincerà la mia potenza o la sua tecnica?
Kami sama mi sono distratto e lui è già sotto canestro….
Tira e neanche provo a fermarlo, se non un movimento del tutto inutile con la mano verso il suo corpo.
I primi due punti sono suoi. Forse è il caso che mi impegni e la smetta di pensare…
[…]
E’ finita. Una sfida dal risultato umiliante.
Sono seduto in terra e guardo le gocce di sudore che scivolano lungo il mio braccio. E’ la prova tangibile che questo è accaduto davvero.
Sono stato sconfitto.
Di otto punti e mi sono pure impegnato al massimo.
Duro da ammettere. Dura da accettare.
L’avversario del mio sogno ha stoppato la palla in volo. Eppure ero convinto di essere io a decidere.
Questi attimi mi scivolano tra le dita umide di sudore.
Ho la vista annebbiata ma spero non siano lacrime. Perché io non piango.
Mi alzo. Serro i pugni fino a che le unghie mi penetrano nella carne.
Piccolo pungente dolore, scuotimi ti prego.
Non posso lasciarmi andare alla deriva come un pezzo di legno.
Fingo di asciugarmi la faccia con la maglietta ma è solo per impedirgli di vedere le mie lacrime.
Non se n’è ancora andato…
“sei così felice di avermi umiliato che non vuoi andartene ?!” gli strepito contro, con una voce che definire normale sarebbe un’utopia.
“Umiliarti?”
Cos’è, fai il finto tonto volpe? Certo che sei qui per questo, altrimenti non te ne staresti lì a fissarmi con quell’espressione…
“Volevo solo vedere a che punto eri.”
“E cosa ti frega a che punto sono?! Sbaglio o non ti è mai fegato niente di nessuno ? a cosa ti servirebbe, me lo spieghi???”
“A fare un paragone.”
“E con chi? Con il Re dei porcospini Sendo o con Calimero Minami?”
“Me ne vado.” Mi guarda con intensità e si gira come per dare concretezza a ciò che ha appena detto. Si vede benissimo che vuole evitare le mie domande.
Prende la borsa lasciata a fianco della porta
“non hai risposto stupidissima volpe!!!!!!”
“te lo dirò un’altra volta. Addio.”
Corre via e mi lascia impalato nel mezzo di una palestra illuminata dal neon.
Mi sento strano. Forse è la sconfitta. Forse è lo strano comportamento del volpastro. La sua inaspettata loquacità che però non ha saputo rispondere alle mie domande. E poi, un attimo!!! Quando mai ho visto Rukawa correre se non in campo???
E quando mai mi ha salutato ??
Mai. Risposta alle mie domande.
Unica possibile conferma ai miei sospetti: oggi è davvero una strana giornata…
Prefettura di Kanagawa, cortile del liceo Shohoku.
Il giorno dopo.
La pausa pranzo è la parte migliore della mattinata
Posso incontrare Yohei e quegli scatenati dei miei amici. Posso bighellonare per i corridoi o nel cortile.
Eppure ho l’ impressione ci sia qualcosa di strano.
Non so ancora cosa ma lo sento nell’aria.
Mi guardo attorno e improvvisamente vedo Haruko circondata dalle sue amiche. Mi avvicino incuriosito e mi accorgo che sta piangendo.
Yohei le chiede cos’abbia da lagnarsi come una fontana….cioè! Non in modo così esplicito è ovvio!
Si asciuga le guance con la manica della divisa.
Mi guarda con gli occhi luccicanti di lacrime trattenute. Ancora un singhiozzo….
“RuRukawa…”
Che c’è, le ha dato un due di picche?
Cos’ha da disperarsi tanto per così poco…
“Rukawa se ne va….sigh”
“COSAA?” Le parole mi sono uscite di bocca senza che me ne accorgessi…
“Beh, sarai felice….” Mi dice nell’orecchio Mito con una pacca sulla schiena.
“Dov’è che va?” Quello che ha appena detto il mio amico non mi tocca minimamente….Ora voglio solo sapere dove andrà quell’idiota per… Per fare cosa? Fermarlo è la prima parola che mi viene prepotente in mente.
Non mi riconosco eppure so che è vero…
“Negli Stati Uniti….Oggi Ryota ha ricevuto la lettera di dimissioni dal club.
Non aveva avvertito nessuno. Nemmeno lui o i suoi compagni di classe. Nessuno.” E si capisce benissimo che cosa vuoi dire Haruko con quel ‘nessuno’. Vuoi dire ‘nemmeno me…. ‘, giusto?
Ma ora non m’importa. Devo trovarlo. Non so ancora per dirgli cosa, ma ho l’assoluto bisogno di guardarlo in volto e capire se è la realtà.
“Dov’è adesso?”
“a casa. Oggi non è venuto a scuola. E parte alle tre del pomeriggio. Ha chiesto a Ryota di non farlo sapere in giro, non vuole nessuno all’aeroporto…”
di nuovo quel ‘nessuno’. Eppure ho sempre più l’impressione che riguardi anche me tutta questa storia.
Improvvisa la consapevolezza. Il ricordo..
‘Me ne vado ’
‘te lo dirò un’altra volta. Addio.’
Ieri, Rukawa me l’aveva detto. A modo suo, ma me l’aveva detto.
Ero l’unico a saperlo e non ne ero cosciente.
Ha giocato con me la sua ultima partita in questo paese.
Oggi gli devo parlare. Assolutamente.