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It is what it is
di Eleonora

Continua il POW di Hanamichi. Nel prossimo capitolo penso che adotterò un POW esterno … Questa ff la dedico al mio amico Paolo che ovviamente non dovrà mai mettere gli occhi su questo scritto…^___^

Al solito commenti positivi o negativi al mio indirizzo elemistery@libero.it

Enjoy!!!

 02 - NEAR AND FAR

Casa di Rukawa.
Dieci minuti dopo la fine delle lezioni.

Sono davanti a casa sua. L’indirizzo me l’ha detto Ayako…. Era segnato della domanda d’iscrizione al club dell’anno scorso.

Sono qui davanti e nemmeno so il perché… semplicemente non ho smesso un momento di pensare alla partenza di Rukawa invece di farmi una salutare dormitina sul banco e appena è suonata la campanella mi sono fiondato qui. Niente di strano, insomma, vero? E’ incredibile che riesca a fare del sarcasmo perfino con me stesso! Solo un genio come me ci riuscirebbe.

Guardo la porta ed è una semplice porta di un anonimo colore marrone. Non che immaginassi che Rukawa vivesse in una tana per volpi, ma narcisista com’è credevo si sarebbe presentata un po’ più, come dire….appariscente!

Non c’è nemmeno il nome sul campanello…. Speriamo sia il numero civico giusto….non vorrei trovarmi davanti una vecchietta rompiscatole in vena di prediche !!!! Insomma si sbriga ad aprire quello scemo? Forse non ha sentito!

Schiaccio il campanello con forza fino a che il bottone sembra essere rientrato nel muro. Rimango lì attaccato almeno per un minuto di seguito: mi avrà sentito di sicuro, adesso.

Sento dei rumori all’interno. Passi giù da una scalinata. Un borbottio familiare. Rukawa! Chissà, magari l’ho pure svegliato…

Ad un tratto mi travolge un timore infondato di affrontarlo.

Un motivo però c’è. Più i passi si avvicinano e più temo di vedere la sua faccia. Temo che mi dica che non sono fatti miei….che….devo uscire dalla sua vita.

Qualcosa si agita dentro di me e non riesco a dargli un nome.

Paura, ecco cos’è. Vedo la sua ombra oscurare la luce che sottile filtra da sotto la porta. Scappo. La maniglia comincia ad abbassarsi e corro via, con il cuore in gola che batte troppo veloce. Troppo veloce per sperare di fermarlo.

Troppo veloce per sperare di fermarmi, almeno finché non sarò abbastanza lontano.  Mi accompagna il rumore dell’aria che il mio corpo sposta nella sua folle corsa. Sembra sussurri qualcosa al mio orecchio.

Mi fermo ansante davanti a casa mia. Mi sento mancare il fiato e annaspo alla ricerca di un po’ d’aria. Respiro a fondo e mi piego con le mani sulle ginocchia ad osservare l’asfalto grigio.

Grigio che si annebbia lentamente e di nuovo quella sensazione di sparire tra le lacrime. I miei occhi brucianti e arrossati. Minuscole macchioline scure che si allargano sotto il mio viso a scurire quel grigio così uniforme. Piango  e non so perché. O forse piango perché so perché.

 

Sto seduto su una panchina come un burattino a cui sono stati tagliati i fili, un giocattolo abbandonato da un bimbo capriccioso.

La consapevolezza mi pesa addosso. Mi sento soffocare da quello che mi succede. STUPIDO STUPIDO STUPIDO!!!! Come ho fatto a non capirlo prima… sarebbe bastato capirlo un solo, maledettissimo attimo prima e mi sarei presentato davanti a quella porta sapendo cosa dire e sapendo chi ero.

Invece l’illuminazione è arrivata nel momento meno opportuno. Nel momento peggiore ho capito perché ieri è stata una giornata così strana, perché ieri pensavo a lui in quei termini. Lui è davvero il mio nemico, perché lui è il mio cuore. Ho odiato il mi cuore e ho odiato lui, perché nel mio cuore c’è solo lui.

Ho disprezzato lui disprezzando il mio cuore. HO ODIATO LUI ODIANDO ME…

Stupido…. Ripeterlo all’infinito forse mi toglierà un po’ di questa pena.

Lui parte domani.

Forse non tornerà.

“Addio”

Le sue ultime parole sono state il suo ultimo saluto.

Come potrò vivere sapendo che le ultime parole del mio primo amore sono state un addio? Che confusione! Il mal di testa mi martella nelle tempie.

Ad un tratto mi sembra di venire sommerso dall’alta marea. L’ombra lambisce la mia anima così dolcemente, cullandomi così piano, che non vedo il motivo di oppormi. Lo sento …. Sto scivolando nel sonno…

E’ un po’ come morire….un piacevole non esistere e ora davvero non ho voglia di rimanere cosciente.

 

Crollato. Il mondo mi è crollato addosso. Mi sono svegliato su una squallida panchina, infreddolito e con un dolore alla schiena tanto forte che ho creduto di impazzire. Anzi, mi correggo, io sono già impazzito! E non so ancora se sono un pazzo perché l’ho capito o perché non l’ho capito prima. Questo ragionamento sembra complicato anche a me… non riuscirei nemmeno a spiegarlo a Yohei, figurarsi al diretto interessato!!! E poi cosa potrei dirgli? Qualcosa tipo: sai Rukawa, io non ti odio! Anzi anche se ti picchiavo, ti insultavo e dichiaravo al mondo di volerti morto in realtà io ti am…. NO! Non riesco a dirlo nemmeno fra me e me cosa provo per quello scemo, figurarsi dirlo a lui… Mi disprezzerebbe fino alla fine dei suoi giorni!In fin dei conti non voglio il suo disprezzo.

Strane sensazioni.

La rugiada si è posata anche su di me e la maglietta mi si è appiccicata addosso tutta bagnata. E’ quasi l’alba. Potrei dire che è l’alba dell’ultimo giorno della mai vita, perché proprio oggi il mio cuore volerà lontanissimo da me e io non lo rivedrò più. Il sole comincia a rischiarare le cime degli alberi e vorrei che questo giorno non iniziasse. Vorrei che quest’ attimo si congelasse e si ripetesse all’infinito. Forse l’infinito basterà per dimenticarlo. Oppure troverò il coraggio di dirglielo. Ma c’è troppo poco tempo e troppe domande  a cui devo dare risposta.

Devo aver dormito a lungo eppure mi pare di non avere nemmeno chiuso gli occhi. Però sono lucido di una lucidità che non avrei mai pensato di trovare in me stesso. Tutti i miei pensieri sono sempre così confusi che questo monologo mi pare di leggerlo e non di crearlo io stesso.

Sento il mio cuore battere e se mi concentro capisco che è da qui che giunge tutto quell’ordine, è qui che conservo tutto il mio mondo. I tasselli si sono riuniti a formare un nome: Kaede Rukawa e ora tutta la mia esistenza non sembra servire ad altro che al raggiungimento del fine ultimo che poi è il suo amore. Quante volte ho osservato i sogni degli altri senza interesse? Adesso però capisco che il mio sogno è l’unica cosa che mi potrà rendere veramente felice. Sarà difficile ma ci riuscirò. E per prima cosa trasformerò quell’addio in un arrivederci.

D'altronde, sono o non sono un genio?

 

Aeroporto della prefettura Kanagawa.

2’50 pm.

E’ tardissimo!!! E ancora una volta è colpa di quella stupida vespa che Yohei non si convince mai a far riparare!!!! Come può qualcosa, dico qualsiasi cosa, su cui si siede quel grassone di Takamiha a durare intatta per più di un paio di giorni? E poi, questo aeroporto, proprio così lontano lo dovevano costruire?

E quello stupido taxista non poteva schiacciare su quel dannato acceleratore?

Poi, tra l’altro, ha avuto perfino il coraggio di protestare per il fatto che non gli ho pagato la corsa! Ipocrita… stava per farmi perdere la mia ultima occasione di rivederlo!!!

Questo posto è enorme. Cartelli con i nomi delle destinazioni e gli orari dei voli campeggiano ovunque segnalando gli eventuali ritardi. Cerco velocemente una indicazione che mi faccia capire dov’è l’imbarco per i voli internazionali.

Una signora con un carrello pieno di valigie mi finisce quasi addosso e sono costretto a scansarmi… Si scusa per non avermi visto e io ne approfitto:

“mi scusi, sa mica dove posso trovare i voli per gli Stati Uniti?”

Mi scruta pensierosa….deve pensare che sono un teppista! Mi risponde con un cenno del volto che mi fa notare un enorme cartello con la scritta ‘VOLI INTERNAZIONALI ’ . Come cavolo ho fatto a non vederlo prima?

Mi avvio quasi correndo tra la folla. Davanti a uno dei cancelli lo vedo.

E’ una visione che mi lascia senza fiato. Se ne sta lì placidamente appoggiato a una colonna con il walkman degli orecchi e gli occhi socchiusi. Le labbra leggermente dischiuse e i capelli che gli ricadono in ciocche scomposte sulla fronte. Sono morto e questo è di certo il paradiso: ho appena visto un angelo.

Faccio un passo riscuotendomi dalla mia struggente contemplazione e mi avvicino, con lentezza, per non rompere quel momento di fragile cristallo.

Devo parlare: mi obbligo ad aprire la bocca e compiere quei semplici gesti che mi permettono di parlare. Mi pare di dover comandare ogni singola cellula del mio essere. “Kitsune!”

Lo chiamo ma quello che esce dalle mie labbra è poco più che un sussurro.

Non si muove. Forse non mi vuole vedere. Sto già per andarmene sconsolato quando mi ricordo delle cuffie. Mi piazzo davanti a lui e gli batto su una spalla con la punta dell’indice. Alza il volto e mi fissa.

Mi pare di sciogliermi sotto quello sguardo che di dolce però non ha nulla.

Ho paura di ciò che gli dirò. Paura di ciò che risponderà.

Si toglie le cuffie con la mano e  ritorna a fissarmi mentre le infila in malo modo in una tasca, tanto che un filo continua  a penzolare dal bordo.

“Dohao ”

“Baka kitsune” lo so di essere scemo ad insultarlo ma mi viene naturale!

“…” non aggiunge niente. E’ naturale, sono io che sono venuto per lui e non il contrario.

“Allora te ne vai?” non è una domanda, è una praticamente una constatazione.

“Già” mi risponde lentamente, quasi non abbia fretta, come se non mancassero (un’ occhiata veloce all’orologio) tre minuti alla sua partenza. Kuso, solo tre minuti per spiegargli tutto e non basterebbero nemmeno tre ore!

Devo sbrigarmi.

“Perché non hai detto niente a nessuno?”

“….”

Silenzio. Non risponde. Lo vorrei prendere a calci, qui davanti a tutti, mi farei arrestare, solo per sentirgli pronunciare qualche sillaba!!!

“Non ti frega mai niente di quello che possono pensare gli altri!!!Di quello che provano gli altri!!!” c’è tristezza e frustrazione, adesso, nella mia voce. C’è dolore e consapevolezza. Ma anche amore. Come può non capirlo?

“ E tu cosa pensi?”

Già, buona domanda! Se adesso ti dicessi la verità lasceresti questo posto odiandomi, provando ribrezzo nei miei confronti e non lo potrei sopportare. Non voglio sentir pronunciare un altro addio… MAI.

Ti fisso negli occhi.

“Penso che il mio avversario se ne stia andando senza concedermi la rivincita!”

Risposta degna del solito Hanamichi, quello esaltato e pure un po’ stupido.

Ti risparmio qualche battutina vanagloriosa solo perché tu non pensi che sono venuto qui solo per questo… mi calpesterei da solo.

Mi guardi.

Ti guardo.

Eppure non è la solita elettricità quella che corre tra noi, quella dettata dalla voglia di primeggiare…. Per me è diverso, almeno. E per te?

Una voce metallica sta facendo un annuncio gracchiante da un’ altoparlante sopra le nostre teste:

“ I SIGNORI PASSEGGERI DEL VOLO  DELL’ AMERICAN AIRLINES KANAGAWA -TOKYO- LOS ANGELES, SONO PREGATI DI PRESENTARSI ALL’IMBARCO. “

Ripete due volte questo monotono annuncio sia in giapponese che in inglese.

Rukawa prende in mano il suo bagaglio e armeggia con la cuffia che sbucava dalla tasca.

“Spero che per quando tornerò sarai migliorato, perché non accetterò una vittoria facile la prossima volta che ci sfideremo”.

Devo avere uno sguardo imbambolato perché la mia mente non riesce a connettere. Mentre si gira e si avvia con in mano il passaporto le sue parole mi rigirano in testa impazzite. Trovo appena la forza di rimanere in piedi.

Ad un tratto gli grido dietro

“ Ci vediamo kitsune!”

Lui non risponde ma alza la mano in un cenno di saluto reggendo il biglietto fra due dita. Non si è neppure girato a guardare indietro, ma penso che ora sia l’uomo più felice del mondo: sta andando a realizzare il suo sogno!

Lo guardo ancora un attimo prima che scompaia tra la folla e i bagagli di gente sconosciuta. Per alcuni secondi la sua immagine mi rimane stampata in mente…

Ora posso proprio ammetterlo con me stesso: anche se non gli ho detto niente, in realtà sono così felice che sto per mettermi a saltare… Il mio cuore pare stia facendo le capriole. Questo ormai non è più un addio: è un arrivederci.

Ed è paradossale che proprio mentre lui ne sta andando così lontano per la prima volta lo senta così vicino.

 

03

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