PRIMO CAPITOLO: QUALCOSA STA
CAMBIANDO.
Una goccia. Tante gocce. La pioggia scendeva di traverso. La
finestra si stava completamente bagnando. Un'altra giornata grigia. Sospirò
ancora, distendendosi sul letto, poi chiuse gli occhi.
Ancora una volta aveva litigato con suo padre. Di nuovo un sospiro. Accese la radio che stava sul comodino e cominciò a battere il
ritmo di una canzone con le dita dietro alla testa. Eppure
pensava di aver convinto suo padre che il calcio era la cosa più importante del
mondo. Già, il calcio. Però sembrava che non gli fosse andata giù questa
decisione e così approfittavano di ogni minima
sciocchezza per litigare.
La canzone finì. Ne cominciò subito un'altra. Odiosa. Davvero
odiosa per i suoi gusti. Allungò un braccio verso il comodino e tirò una manata
alla radiosveglia che cadde quasi per terra, rimanendo attaccata al muro
penzolando dalla presa di corrente.
- Maledizione! - fece con rabbia. Si alzò di scatto e con
violenza diede un calcio all'oggetto, rompendolo definitivamente. Voleva continuare a tirare calci a qualcosa, voleva
sfogarsi. Si sentiva stanco e frustrato.
- Ed, scendi! C'è il pranzo! - gli
gridò la madre dal piano di sotto.
“Non ho proprio fame. Non voglio rivedere papà. Voglio solo
andarmene via.”
Prese la giacca leggera e scese veloce le scale.
- Ed... dove... dove vai? - gli chiese
la madre stupita, incontrandolo al pianterreno.
- Fuori. - rispose lui con noncuranza, afferrando un ombrello
dal portaombrelli, infilandosi le scarpe e uscendo sbattendo la porta. - Ci
vediamo. - aggiunse.
Una volta fuori aprì l'ombrello e si strinse nella giacca,
cominciando a camminare per la strada. Diciassette anni. Ed
era già stanco di tutto. L'estate lo annoiava. Soprattutto
quando pioveva. Non poteva allenarsi con il Toho,
poteva giocare raramente a calcio, visto che suo padre
lo guardava male ogni volta che prendeva in mano un pallone e poi perché la sua
squadra era in vacanza. Mark lavorava duramente anche
d'estate, per la sua famiglia. Danny se ne stava in
vacanza chissà dove... Lui aveva scelto di non partire
quell'anno. Non ne aveva
voglia. Forse avrebbe fatto qualche giorno al mare con gli altri, ma ancora non
lo sapeva. Ora stava camminando, tutto qui. Arrivò a
guardare distrattamente le vetrine, rigate dalle gocce di pioggia.
“Dato che ho fatto a pezzi la radiosveglia, mi sa che mi
conviene cercarne una nuova.”
Il ragazzo entrò nel negozio più vicino.
- Accidenti!! - esclamò.
- Avanti, vedrai che presto smetterà di piovere! D'estate è
sempre così. - l'amica cercò di tranquillizzarla.
- Speriamo. - sospirò la ragazza dai capelli biondi
appoggiandosi al muro.
Le due rimasero a guardare la pioggia scendere dietro la vetrina
del negozio, e chiacchierarono un po'.
- Ehi, guarda un po'! Quel tipo frequenta la nostra scuola. -
sussurrò la ragazza con i capelli ricci, indicando con gli occhi un ragazzo.
- Dici?... Ahm... - l'altra lo guardò. Che strano, l'aveva sicuramente già visto... ma dove? Aveva
uno sguardo così triste...
- Ehi, ma quello è Warner! - disse poi
l'amica, riconoscendolo.
La ragazza distolse lo sguardo da lui e i suoi occhi si posarono
sull'espressione sognante dell'altra.
- Warner?...
- ripeté.
- Esatto! Il portiere del Toho! - le
rispose cercando di trattenere l'emozione e mantenere il tono di voce basso.
- Eciù!...
Accipicchia! Non ditemi che mi sono preso il
raffreddore! - .
Il ragazzo si voltò alla ricerca di una radiosveglia che andasse
bene per il suo portafogli, ma non sembrava vedere nulla di interessante,
finché non incontrò gli occhi di quella ragazza con i capelli ricci che lo
fissava sognante. La bionda le tirò una gomitata non appena si accorse che
anche lui le stava guardando.
- Eh... mi... mi sta guardando... - le
disse l'amica arrossendo e coprendosi il viso con le mani. L'altra scosse la
testa con aria annoiata. Il portiere ancora non ci aveva capito molto e
continuava a fissarle con uno sguardo interrogativo.
- Guarda un po'! Ha smesso di piovere! Io vado a prendermi un
bel gelato! - esclamò la bionda uscendo dal negozio. Una volta fuori respirò a
pieni polmoni l'aria pulita e assaporò il lieve profumo della pioggia appena
caduta.
- Accidenti! Avevo davanti un bel panorama! Perché sei uscita?! - la raggiunse l'altra.
- E tu perché non sei rimasta dentro, se proprio tenevi a quel
panorama?! - replicò scherzando.
- Beh... non... - .
- Ecco, lo sapevo. Non puoi muovere un passo senza di me, dì la verità, eh Marica? -
continuò a prenderla in giro.
L'altra fece una smorfia arrabbiata. Mentre
l'amica cominciava a camminare lungo la strada con le mani dietro la nuca e la
borsetta che penzolava lungo la schiena.
- Ehi!! Non è vero! - .
- E allora perché mi segui? -
ridacchiò.
- Smettila Eve!!
- .
La bionda scoppiò in una risata divertita, mentre guardava
l'amica pregarla di smettere di prenderla in giro.
Ed era rimasto nel negozio, e dalla
vetrina le guardava andare via. Che strane tipe!
- D'accordo, allora ci sentiamo! - .
- Contaci! Ciao-ciao! - .
La ragazza guardò l'amica correre via, poi si
diresse verso il campo. Passò attraverso al cancello e appoggiò la
leggera giacca in jeans e la borsetta sulla panchina che di solito occupava
l'allenatore. Si stiracchiò sospirando ancora una volta e si sedette su quella
stessa panchina con le gambe aperte, chinandosi e tenendo gli avambracci
appoggiati poco sopra le ginocchia. Si guardò intorno. L'erba del prato
luccicava al sole, la pioggia andava e veniva in quel periodo, ma lei odiava
gli ombrelli, per questo per quanto forte potesse
piovere non ne aveva mai uno con sé. Andava sempre a finire
che si riparava sotto qualche tettoia spiovente o in qualche bar. Come quel
giorno: lei e la sua amica avevano deciso di uscire, però poi aveva cominciato
a piovere ed erano state costrette ad entrare in quel negozio, dove avevano
visto quel tipo: Warner. Warner?... Per Eve fu come un lampo,
ecco dove l'aveva già sentito! Ed Warner
era il portiere della squadra in cui giocava Lenders!
Warner e Lenders. Erano considerati i giocatori più bravi della città, la loro
squadra era quella dell’istituto superiore Toho.
Ecco dove aveva già sentito questo nome! Il Toho era
la squadra di calcio della scuola che avrebbe dovuto cominciare a frequentare
dopo l'estate.
"E così ho visto in faccia un gran
campione... beh, dall'espressione addormentata non mi pareva proprio un
fuoriclasse! Chissà se avrò l'occasione di vedere anche Lenders
prima che inizi la scuola?... E magari scoprire che la
sua faccia è molto meno assonnata di quella di quello strano tipo."
I pensieri della ragazza furono interrotti dalla vista di un
pallone che rotolava sul selciato ancora bagnato, a bordo campo. Eve si alzò e lo recuperò coi
piedi lo ricondusse sull'erba. Si passò una mano sui pantaloni bianchi e si
sistemò le spalline della canottiera corta. Palleggiando arrivò fino alla
porta, poi tornò indietro e scattò in avanti, caricando il destro e calciando
una cannonata. Il pallone passò oltre lo scheletro della porta senza rete e si
fermò solo quando raggiunse la ringhiera degli spalti
bassi, conficcandosi tra due sbarre di metallo. La ragazza sogghignò
soddisfatta, poi alzò la testa e scorse qualcuno che camminava al di là del cancello così si affrettò a correre alla
panchina per prendere le sue cose.
Gli passò accanto, velocemente come se stesse fuggendo da
qualcosa. Ed si voltò e stranito la chiamò:
- ...Ehi!! Fermati un momento! - .
La ragazza si infilò in fretta la
giacca, una volta ferma si voltò verso Ed con sguardo interrogativo.
- Tu... sei la ragazza di prima, vero? - .
- Scusala. - si limitò a dire Eve.
- Scusarla? Chi? - le domandò il ragazzo cambiando espressione.
- La mia amica. La ragazza con cui stavo
quando ci hai viste nel negozio. Credo si sia presa una gran cotta per
te! - .
Il ragazzo arrossì e farfugliò:
- Una... una cotta per me...? - .
- Ehi, non hai visto con che sguardo ti fissava? Credo l'abbia
notato anche un cieco! - .
- Ma... veramente io non... - .
- Penso che tu sia uno di quei classici ragazzi che non si
accorgono minimamente delle migliaia di ragazze che vi muoiono dietro. Oppure fai finta di niente? - continuò a sorridere.
- Non credo che queste ragazze siano così tante! - Ed alzò un sopracciglio, pensando.
- Hai poca stima in te stesso, portiere! - replicò lei mettendosi
le mani sui fianchi. - Beh, ora devo proprio andare, mi sa che ricomincia a
piovere! Ti saluto! - .
Eve mosse in fretta le
gambe e corse via, proprio quando le prime gocce cominciarono a cadere
lei non c'era già più, era sparita dietro l'angolo. Non gli aveva lasciato
nemmeno il tempo di salutarla! Ed era rimasto in piedi
vicino al cancello, ma si affrettò ad entrare nel campo e a sedersi sulle
gradinate coperte. Anche se aveva l'ombrello non aveva
nessunissima voglia di tornare a casa. Davvero nessuna.
Si prese il viso tra le mani e sospirò. Quel campo... quanti allenamenti aveva sostenuto lì con i suoi compagni! Quante volte si era
messo alla prova duramente per migliorare! E quanta fatica aveva fatto per
diventare quello che era!... Notò un pallone. Un
pallone fermo tra due sbarre di ferro del parapetto. Si alzò e lo prese tra le
mani.
"Ma... accidenti è
incastrato!" pensò tirando la sfera verso di sé. Fece molta fatica per
riuscire a toglierlo di lì. Forzò la palla un’ultima volta e se la ritrovò tra
le mani. Era diventato quasi un ovale!
“Giochetti stupidi di qualche ragazzino!”
Ed si risedette stancamente sulle
gradinate e lasciò cadere le braccia sullo schienale della panchetta, aprendo
le gambe e piegando la testa all’indietro. Non ce la faceva più. Veramente più!
Ne aveva abbastanza di annoiarsi a morte, finché non
si addormentava! Quella sera sarebbe uscito. Sarebbe uscito e basta! Non sapeva dove. Bastava star fuori
da quella casa il maggior tempo possibile! Non aveva alcuna voglia di
chiamare o trovarsi con qualche amico. Solo. Voleva rimanere solo. Era
assolutamente un periodo nero. Pensava fosse uno di quei momenti d’insofferenza
che passano gli adolescenti. Ma Ed sopportava da
troppo quella situazione. Da quando aveva dodici anni.
Respirò l’odore d’erba bagnata e chiuse gli occhi pensando. Forse non avrebbe
dovuto trattare in quel modo sua madre. Lei non aveva colpa di niente. Non si
era mai opposta ai suoi progetti, ai suoi sogni e
l’aveva sempre aiutato. Accidenti! Non riusciva a combinare nulla di buono!... Non era nemmeno riuscito a trovare una dannata
radiosveglia nuova! E poi ci si erano messe quelle due
strane tipe... la ragazza bionda e l’altra con i capelli ricci. Un momento...
la ragazza che aveva appena incontrato l’aveva chiamato “portiere”, ma come
faceva a saperlo, visto che non la conosceva per niente?...
Oh, già... di sicuro o lo sapeva già o gliel’aveva detto l’altra.
“Ora che ci penso... non so nemmeno i loro nomi...”
La biondina l’aveva manovrato per bene... perché poi l’aveva
fermata?... non se ne capacitò, forse voleva solo un
chiarimento sulla scena di prima. Infondo non era una
star di Hollywood. Si ricordò quelle parole... “...di ragazze
che vi corrono dietro ce ne sono tante!” ... “Lo sai o fai finta di niente?” ...
“Hai poca fiducia in te stesso, portiere!”... Aveva ragione. Aveva
maledettamente ragione! Non si fidava di sé stesso,
aveva sempre contato sugli altri. Sulla palestra di suo padre, sugli amici, su sua madre... ma ora basta! Quanti anni aveva? Ancora dodici?! No, era molto più grande, ed era ora che cominciasse a
contare su sé stesso!
Ed si alzò e scese le ultime grandinate
di corsa, scendendo sul campo con il pallone tra le mani. Si fermò di scatto e
lasciò cadere la sfera, colpendola con violenza. La palla attraversò il campo e
si fermò solo quando sbatté contro il muro dietro agli
spalti opposti, rimbalzando e poi rotolando in discesa fermandosi con un sonoro
splash sull’erba bagnata. Ed respirò a fondo. Una
folata di vento caldo mosse i suoi lunghi capelli scuri. Prese
l’ombrello, lo riaprì e si diresse verso casa.
Accidenti non aveva nemmeno mangiato!
- Pronto?... Sì. Ed?...
mi dispiace, stasera è uscito... oh, sì di’ pure a me... due giorni?... Ma
certo... glielo dirò. Ciao... ah, e auguri! - .
La donna riappese la cornetta sospirando. Era preoccupata. No, non tanto per il fatto che Ed anche quella sera fosse fuori
casa, più che altro perché aveva cominciato a comportarsi male nei suoi
confronti e nei confronti del padre. Sperava con tutto il cuore che fosse solo una fase della crescita, i problemi dei ragazzi
sono più o meno comuni a tutti. Si portò una mano al petto e fissò per terra.
“Spero ti passi presto, figlio mio.”
Il soffitto era buio come il cielo d’inverno. Quella notte non
c’era la luna. Dovevano essere su per giù le tre... ma come poteva saperlo,
visto che la sveglia era in frantumi?... Ed si alzò e
raggiunse la finestra. Appoggiato con i gomiti sul davanzale sgomberò la mente
da ogni pensiero. Non voleva pensare a nulla. Ma le
immagini riaffioravano vive davanti ai suoi occhi. Aveva riso e fatto casino
con gente che probabilmente non avrebbe più rivisto nemmeno lontanamente. Ma si era divertito. Era bello passare il tempo facendo
confusione e ridendo. In questo modo dimenticava i brutti pensieri!...
però quella notte era solo. Solo a guardare il cielo nero senza luna...
e quando rimaneva solo non poteva far altro che pensare. Perché suo padre non
aveva accettato l’idea che essere un calciatore fosse
più importante che diventare un karateka per lui?!...
Eppure pareva contento di vederlo giocare e vincere fino a qualche tempo prima!
Perché faceva così?!... La vita non era la sua! Ed voleva essere lasciato libero di poter scegliere! L’unica
cosa che non doveva togliergli era la libertà... se l’avesse
fatto sarebbe successo l’irreparabile.
“Spero passi presto tutto questo. Ne ho veramente abbastanza! Io
faccio quello che mi pare!”
Ecco. Di nuovo quella voglia di
prendere a calci qualcosa! Il ragazzo non si trattenne. Sfogarsi non poteva
fargli altro che bene, no? Velocemente si rivestì e scese le scale. Uscì di casa e attraversò il giardino, arrivando all’entrata
della palestra. Fece scorrere l’ingresso ed entrò richiudendo la porta dietro
di sé. Poi accese le deboli luci che si rifletterono sul viso determinato di Ed. Il giovane sospirò, chiuse
gli occhi e rimase immobile al centro della sala. Tutt’un tratto li riaprì con decisione e sferrò una
serie di pugni veloci all’aria, poi mosse le gambe e colpì con foga un nemico
invisibile.
Le dieci. Il sole filtrava caldo tra le pareti semiaperte della
palestra. Ed aprì lentamente gli occhi e si guardò
intorno, portandosi una mano agli occhi.
“Ma come ho fatto ad addormentarmi...?”
poi ricordò... si era talmente affaticato che non ce l’aveva fatta nemmeno a
reggersi in piedi, così si era adagiato contro al muro e si era lasciato andare
trasportato dalla stanchezza. Ma... quella coperta?...
Qualcuno era entrato in palestra lo aveva coperto con una trapunta leggera.
Sicuramente sua madre. Ed sorrise alzandosi in piedi e
stiracchiandosi. Fu come se si fosse tolto un peso. Quella mattina stava
veramente meglio! Avrebbe anche potuto sorridere a suo padre da quanto stava
bene! Raccolse la coperta e attraversò di nuovo il giardino, tornando in casa e
incrociando la madre che parlava al telefono.
- ...no... oh! Un attimo! Eccolo qui. Te lo
passo subito. - .
La donna fece cenno a Ed di fermarsi e
gli passò la cornetta. Il ragazzo la prese e poi mise una mano sul ricevitore
per evitare che chi chiamava sentisse ciò che stava per dire alla madre.
- Buongiorno mamma!... Scusami per
ieri, la pioggia mi mette di cattivo umore!... Grazie per la coperta!... ah!
Non ti preoccupare per la sveglia, ne prenderò una nuova io! - .
Poi rispose al telefono.
- Sì?... Mark!...
certo che sto bene, e tu?!... - .
La donna lo guardava esterrefatta, beh... era
tornato il ragazzo di sempre! Della radiosveglia se n’era già accorta ma... la coperta?... Sì, sapeva che quella notte il
figlio si era allenato fino al mattino ma non era andata a portagli nulla.
Credeva che un po’ di solitudine gli avrebbe fatto bene. Infatti,
era stato così. La madre sorrise pensando che solo una
persona avrebbe potuto portargli quel lenzuolo in cotone...
La donna scomparve su per le scale, lasciando che Ed continuasse a parlare al telefono.
- ...certo che ci sarò! Quel ragazzino non vive senza di noi! -
.
- ...perfetto e... ehi!! Molla la cornetta!!
Danny!! - .
Ci fu una breve pausa poi Ed poté
sentire la voce squillante del giovane amico.
- Pronto?... Ed?? - .
- Danny! Ridammi
la cornetta!! - gridò Mark.
- Avanti Mark...!!
- protestò l’altro.
- Sto parlando io!! - fece ancora il
capitano.
Ed allontanò il ricevitore dall’orecchio
per evitare che il suo timpano si smembrasse. Guardò il soffitto e sospirò.
Quei due erano una cosa impossibile... però quando avrebbe dato per vedere Mark litigare con Danny per
parlare al telefono. Sul suo viso si disegnò un sorrisetto
divertito.
- Ubbidisci al tuo capitano!! - .
- Ma la festa l’ho organizzata io!! - .
- Vuoi mollare quest’affare?! - .
- Neanche per sogno!! - .
Ed sospirò di nuovo, spazientito.
- Ma la volete finire!!! – gridò. – A
questo punto faremmo prima a parlare di persona!! - .
Silenzio. Mark strattonò la cornetta e
Danny fu costretto a mollare la presa.
- Pronto? Scusalo Ed... allora, tornando al discorso di prima...
ci sarai, vero? - .
- Sì, ci sarò, non vi preoccupate. - .
- E già che ci sei, porta anche qualche
amica carina! - la voce di Danny suonò lontana ma
chiara.
- Aspetta... - Mark appoggiò da
qualche parte il ricevitore per poi rivolgersi a Danny... – Ma la vuoi
piantare?? È solo un compleanno, non la fine del mondo!!
E ringrazia il cielo che oggi mi sono svegliato di
buonumore o ti avrei già distrutto!! - .
- Ed?? Sei ancora lì? - riprese a
parlare con il portiere.
- Avevo pensato di andarmi a fare un giro. - .
- Io me ne andrei volentieri se non
dovessi lavorare!... Comunque è deciso, ci sarai anche tu per fortuna. Non so
cosa gli sia preso, sarà l’euforia dei miei diciotto anni ma
temo che nemmeno un esercito riuscirebbe a farlo star buono! - .
- Lo sai com’è, ti stima moltissimo ed è felice per te... o
almeno spero! - .
- Cosa vorresti dire??... - .
Ed sogghignò.
- Niente, niente! Allora ci si vede! - .
- D’accordo. Ciao Ed!... e finiscila
tu!!!! - .
Il ragazzo riappese la cornetta sospirando nuovamente. Strano che Mark si sia lasciato
convincere da Danny nell’organizzare una festa per il
suo diciottesimo compleanno. Di solito era disinteressato a questo
genere di cose, ma fortunatamente doveva essere di buon umore. La festa si
sarebbe tenuta due giorni dopo a casa dell’amico più giovane, appena tornato
dalle vacanze, che si era offerto di organizzare tutto. A quanto aveva detto Mark ci sarebbe stata tutta la squadra e qualche ragazza.
Ed tornò in camera propria per prendere
degli abiti nuovi. Spiegò tutto alla madre, che gli rispose che qualche sera
prima, quando lui era fuori Danny aveva telefonato.
- Bene. Allora mi faccio una doccia e... - .
- ...e dove credi di andare? Tu ci stai sempre ore sotto la doccia e ormai tra poco è
mezzogiorno! - .
- Mi hai letto nel pensiero! Vorrà dire
che la radiosveglia nuova la comprerò questo pomeriggio! - .
La madre finì di ripiegare la leggera coperta e poi scese in
cucina, mentre Ed si dirigeva verso il bagno.
Si tolse la maglietta, scoprendo i pettorali tonificati e si
massaggiò il collo. [...ahhh...*sbav*...*sbav*... n.d.author^^].
Entrò velocemente nella doccia e chiuse gli occhi sentendo le goccioline
d’acqua tiepida battergli sulla pelle.
Rilassante... davvero rilassante...
Se la prese comoda. Indossò una maglietta a maniche
corte blu e un paio di pantaloni grigi. Poi si mise un asciugamano piccolo sulla
testa e cominciò a muovere la mano sui capelli.
Dopo pranzo tornò in camera propria a dare
un’occhiata al portafogli. Sì, aveva abbastanza soldi
da potersi permettere una sveglia nuova... Guardò l’orologio. Sì, ad
agosto solitamente era tutto chiuso ma c’erano molte
eccezioni, come quel negozio di qualche settimana prima. Col buonumore sarebbe riuscito sicuramente a farsi andar bene qualcosa, così uscì.
Si sedette scompostamente sulla panchina e si accese una
sigaretta. La fasciatura la dava fastidio, ma non se la sarebbe
di certo tolta. Era una bella giornata. Bella davvero! Quel giorno era uscita
per disperazione! A casa non c’era nessuno e starsene da sola non era
piacevole, almeno era uscita a prendere una boccata d’aria. Guardò la sigaretta
e tirò... già, una boccata d’aria. Fece uscire il fumo dal naso, poi aprì la
bocca e il resto passò di lì. Sarebbe potuta andare dall’altra parte della
città, dove stavano i suoi amici, ma chi aveva voglia di prendere il treno?... così ciondolava per quei quartieri senza meta. Ma era bello poter stare fuori, era rilassante. Volse lo
sguardo da sinistra a destra, notando una persona conosciuta che si dirigeva
verso di lei.
“Toh, guarda chi c’è...”
Rimasero a guardarsi per qualche secondo, poi lui sempre
camminando si avvicinò.
- Mi pareva che fossi tu. - .
- Ci si rivede, portiere! - .
La ragazza lo guardò negli occhi, che a sua volta la fissavano.
Occhi profondi e scuri... diversi dall’altro giorno.
- Sembri di buonumore. - commentò lei facendo un altro tiro.
- Mh, - Ed alzò le spalle sorridendo -
...può darsi. - .
Silenzio. I due rimasero in silenzio.
- Non frequenti il Toho, vero? -
chiese lui rompendo il ghiaccio.
- Tra un mese non sarà più così. Mi sono
trasferita all’inizio dell’estate, prima vivevo dall’altra parte della
città. - fece lei.
- Beh, spero che ti trovi bene qui. - .
“Ma che stai dicendo, stupido!! Cos’è?! Un villaggio turistico!! Ah,
potevo dirle qualcosa di meglio!!”
La ragazza gli tolse tutti i dubbi con un sorriso.
- Sì, non è male. - .
- Ehi, stiamo parlando da un po’ e non mi hai ancora detto il
tuo nome. Io sono... - .
- Warner. - lo interruppe lei. – So
chi sei, abbastanza famoso da queste parti. Avevo già letto il tuo nome e visto
la tua faccia su qualche giornale. Ti chiami Ed, non è
così? - .
- Esatto. E tu... - .
- Eve. - .
- Eve. - ripeté più volte il ragazzo.
- ...mh, è un bel nome. - .
- Grazie. - disse distogliendo lo sguardo.
- Ce l’hai un cognome o devo chiamarti
soltanto Eve? - chiese Ed
sorridendo.
- Springer. - .
Ed le tese una mano, l’altra la tenne
nella tasca posteriore dei jeans.
- Piacere di conoscerti Eve Springer. - .
La ragazza passò la sigaretta all’altra mano.
- Piacere mio, Ed Warner.
- .
Il portiere si scostò un ciuffo di capelli dagli occhi e Eve si alzò, lasciando cadere il
mozzicone per terra. Ed la guardò.
- Dove andavi di bello, eh? - .
- Veramente... dovevo comprarmi una radiosveglia nuova... l’ho praticamente disintegrata... e tu che fai? - .
- Nulla. Semplicemente giro senza meta. - .
- Ti... ti andrebbe di venire con me? - disse lui mettendosi una
mano dietro alla testa.
“Ecco, un’altra delle tue. Invitare una ragazza a comprare una
sveglia!! Grandioso!!”
- Ok. - fece lei portandosi le mani
nelle tasche dei pantaloni.
I due cominciarono a camminare parallelamente, sul largo
marciapiede di mattoni.
- E così ti piace frantumare le
radiosveglie? - sorrise la ragazza.
- Diciamo che era un momento no. - le rispose.
- Quanto ti capisco!... però povere
sveglie, sono sempre loro ad andarci di mezzo! - .
I due si guardarono e risero.
- Allora, soddisfatto, portiere? - .
- Mi accontento. - .
Eve mangiava tranquillamente un cono
gelato all’arancia, mentre Ed si era portato la borsa
di plastica bianca su una spalla, avevano ricominciato a camminare.
- Che hai fatto al braccio? - si decise
a chiedere lui.
La ragazza si fermò di scatto. Ed,
qualche passo avanti si voltò.
- Qualcosa non va? - le domandò.
- No, no. Tutto ok.
- fu la risposta di Eve. -
... un piccolo incidente. Una cosa da niente... dì un po’ ma tu non sarai il
figlio del signor Warner, il proprietario della
palestra di karate? - .
Era riuscita a cambiare discorso. Ed
sospirò.
- Eh, purtroppo sono io. - .
Eve non volle andare oltre, si vedeva
chiaramente che non gli faceva piacere parlare di suo padre. Quel “purtroppo”
era la prova evidente.
Si sedettero in un parco, poco più in là della gelateria dove la
ragazza aveva comprato quel cono, ormai finito.
- Accidenti, sei golosa! - sorrise Ed.
- Già, adoro l’arancia! - rispose lei con lo stesso sorriso.
Il ragazzo si appoggiò con la schiena alla panchina, mentre lei
si accendeva un’altra sigaretta.
- Da quanto tempo giochi nel Toho? -
gli chiese.
- Circa cinque anni, ormai. - .
Eve rimase zitta. Il ragazzo la guardò,
aveva i capelli biondi, e gli occhi di un azzurro intenso che ora fissavano il
vuoto. Di sicuro non era di origine giapponese. Non
voleva che smettessero di parlare, gli piaceva la sua compagnia,
quel pomeriggio era stato veramente bello.
- Gioco a calcio da quando avevo undici anni... – riprese lui. -
...inizialmente giocavo nella Muppet per migliorare
la tecnica del karate, però poi... beh diciamo che mi sono appassionato troppo! - .
- È bello avere una passione? - .
- Meraviglioso! - gli occhi di lui
s’illuminarono. – Ci metto tutto me stesso in questo sport! - tornò a guardarla, sorrideva. – Tu non hai una passione? - .
- Mh?...
Passione... - .
- Sì, un interesse... una mania,
qualcosa di cui ti importa veramente. - esclamò Ed con
entusiasmo.
Eve pensò... che cosa poteva interessarla
davvero?... a che cosa non avrebbe mai rinunciato?
- Il disegno. - fece alla fine.
L’espressione del ragazzo si fece interessata, ma non perse il
suo entusiasmo:
- Parlamene. - .
La giovane si stupì. Era la prima volta che qualcuno le chiedeva
di parlare delle sue passioni, dei suoi interessi...
poi spense la sigaretta.
- Io... io disegno da quando ero
piccola. Quando ho in mano una matita, una penna... o qualunque cosa che scriva
mi sento libera di poter tracciare linee che compongono un viso... un corpo... un oggetto. E i miei sentimenti... beh... li esprimo tramite il disegno. - poi sorrise, guardandolo. –
Pensa che a volte sto anche più di tre ore su un progetto! - .
- Senza smettere? - .
- Senza smettere. - .
Si guardarono ancora, sorridendosi. Eve
si alzò di nuovo per prima e Ed fu come svegliato da
un sogno. Guardò l’orologio... le 18.30!!!!!!!!!!
- Accidenti!!!!! - gridò alzandosi di scatto.
- Che cosa?? Che c’è?!?!
- la ragazza si spaventò facendo un passo indietro.
- Eheh eh... – sorrise preoccupato. –
…Di solito quanto ci si mette per comprare una sveglia? - le chiese.
- Non lo so... una mezz’ora, penso. - .
- Ecco. Credo che sei ore siano un po’ troppe! - .
- Sei ore?? Vuoi dire
che siamo in giro da sei ore?? - Eve sgranò gli
occhi.
- Appunto. - si strinse nelle spalle.
- Accipicchia come vola il tempo! - pensò ad alta voce.
- Beh, ora è meglio che vada, prima che mettano in giro delle
mie foto segnaletiche! - .
Ed rimase a fissarla... gli balenò in
testa un’idea...
- Hai da fare domenica? - .
- Credo... credo di no, perché? -
rispose lei stranita.
- Ecco... volevo chiederti... un mio amico
compie diciotto anni. Che ne diresti di venire
con me alla festa?... ci sarà il Toho al completo...
e le ragazze di qualcuno di loro. - .
“Ma che le stai chiedendo?!?!... la
conosco da poche ore!!... se mi manda a quel paese le do pienamente ragione!!”
- Mh... non saprei se... - .
“Una festa... che devo fare??...
accidenti Eve!! Possibile che li debba incontrare
tutti tu i tipi così?? Hai il lanternino???... al diavolo! Diciotto anni e mi faccio di questi
problemi???”
- D’accordo! - sorrise.
- Che??? - si stupì Ed -... cioè volevo
dire... bene!! - .
Eve si limitò a sorridergli divertita. Il
portiere era in imbarazzo... vedeva quegli occhi scuri
guardare dappertutto tranne che il proprio viso.
- Sai dov’è la palestra, giusto? Ti aspetto lì alle otto? - le
chiese lui sempre muovendo lentamente gli occhi da una parte all’altra.
- D’accordo. Ci sarò. -
I due si salutarono, poi ognuno andò
per la propria strada.
Accidenti!! Ma cosa gli era saltato in mente!?
Tutta colpa di Danny!! Era
stato lui a chiedergli di portare delle amiche!!... Sì
ma quella ragazza non era sua amica... la conosceva da appena qualche ora!...
Perché?! Perché non aveva resistito e le aveva proposto di uscire??... uscire?? Ma era solo una stupida festa!... Ok, Ed... calma... dopotutto
l’aveva fatto per Danny... giusto! Quello era come
impazzito al solo sentir parlare di ragazze carine!...
E ripensò... quegli occhi azzurri... no, erano blu... uno strano colore così
intenso... occhi che però sembravano tristi... anche quando sorrideva... c’era
una vena di malinconia che non era riuscito a comprendere. Ora l’avrebbe
rivista. Già... strano che avesse accettato l’invito... dopotutto non conosceva nessuno dei suoi compagni, forse si sarebbe
trovata come un pesce fuor d’acqua... Ehi!! Ma non aveva deciso di avere più
fiducia in sé stesso?? Complimenti, Ed! Quando ti prefiggi di fare una cosa sei il massimo!
Il ragazzo si passò una mano sui capelli, affacciandosi alla
finestra tenne le dita sul collo, fermando i fili sottilissimi e bruni che gli
scivolavano sulle spalle. Fissò i suoi occhi scuri e penetranti al cielo che
per l’ennesima volta si persero nelle tenebre. Sospirando spostò la mano dal
collo al davanzale, poté sentire il vento caldo della notte sfiorargli la
fronte... un’altra giornata era giunta al termine... ma
quel giorno era stato bene, non aveva avuto litigate con suo padre, anche
perché praticamente l’aveva visto solamente a pranzo e a cena. E poi niente più
problemi interiori... era tutto ok.
Stava cominciando ad avere più fiducia in sé stesso...
anche se non l’aveva ancora dimostrato lo sentiva dentro. Tutto era diverso e
piacevole. Sarebbe anche andato alla festa per Mark
col sorriso sulle labbra. Tra pochi giorni poi sarebbe stato anche il suo di
compleanno!... Già! Possibile? Se
lo stava addirittura dimenticando!