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La Stampa

NUOVA EUROPA OGGI CADE L’ULTIMO MURO
di Romano Prodi
30-04-2004

IL progetto di integrazione europea è un progetto antico con profonde radici politiche, culturali e storiche e in questi anni, per la prima volta nella storia, stiamo riuscendo a unificare il continente in pace e in democrazia. Da domani, 75 milioni di persone in dieci nuovi Stati saranno a tutti gli effetti nostri concittadini europei. Anche se si tratta del più grande allargamento della nostra storia, quella di domani resta una tappa del processo che in futuro coinvolgerà altri Paesi. Sulla Turchia, la Commissione invierà al Consiglio le sue raccomandazioni circa l’avvio dei negoziati entro l’autunno, mentre Bulgaria e Romania, salvo imprevisti, entreranno nell’Unione nel 2007. Per la Croazia, la Commissione ha appena raccomandato di dare il via ai negoziati di adesione e abbiamo già ricevuto segnali dalla Macedonia prima della traumatica scomparsa del presidente Trajkovski. In buona sostanza, penso che l’allargamento sia il capolavoro politico dell’Unione. Non dimentichiamo che non molto tempo fa una cortina di ferro correva ancora da «Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico», e oggi ci sarà il crollo simbolico del suo ultimo frammento. In pochissimi anni, tutti i nuovi Stati membri hanno coperto una distanza gigantesca. La storia ricorderà il loro cammino in questi anni come una marcia epica. Abbiamo assistito a una rivoluzione silenziosa e paziente che ha trasformato interamente la struttura statale, politica ed economica di questi Paesi. Da Tallinn a La Valletta, i nostri nuovi concittadini hanno saputo costruire un’economia di mercato e una società aperta e democratica secondo i severi standard che avevamo definito nel 1993. Certo, i criteri per l’adesione - che sono criteri politici, economici e giuridici - hanno guidato questo sviluppo; ma una cosa è indicare una meta, tutt’altra cosa è mettersi in cammino e raggiungerla. Devo confessare che quello che ho visto nei Paesi dell’allargamento sarà il ricordo più intenso e commovente di questi anni passati a Bruxelles come presidente della Commissione. I loro Parlamenti hanno lavorato, si può dire, giorno e notte per trasporre in legislazione nazionale tutta la massa di norme e leggi comunitarie che noi abbiamo sviluppato in diversi decenni. Proprio in uno di questi Parlamenti ho ascoltato la più bella definizione dell’Unione europea. Quando un parlamentare mi ha detto che si sentiva sicuro del rispetto delle minoranze perché nell’Unione nessun popolo, per quanto grande, è in maggioranza. Questo parlamentare mi ha fatto capire che l’Unione europea è una Unione di minoranze. Si tratta di un fatto importante perché costituisce la miglior garanzia per conservare e sviluppare l’identità di tutte le popolazioni associate nell’Unione. Le riforme politiche ed economiche realizzate nei nuovi Stati membri e l’attuazione del diritto comunitario creano inoltre un ambiente favorevole per gli investimenti e per l’attività economica. Anche se i nuovi Paesi sono più poveri della media europea attuale, la loro economia è in rapida espansione. Negli ultimi anni il tasso di crescita medio dei 12 candidati è stato del 4,2%, uno dei più alti al mondo. Anche per il futuro il potenziale di crescita resta molto alto e l’allargamento riuscirà a catalizzare questo potenziale trasformandolo in sviluppo effettivo, soprattutto perché i nuovi Paesi portano in dote un aumento del 25% del potenziale europeo di ricercatori, scienziati, studiosi e tecnici specializzati che ci rinforzano nel punto in cui l’Europa è più debole: la ricerca. Certo, molto dipende dalla capacità di ciascun Paese di sfruttare queste opportunità, ma prevediamo che nel decennio in corso l’allargamento porterà ai nuovi Stati membri un tasso di crescita supplementare attorno al 2 per cento annuo. Oltre agli effetti diretti, l’impatto maggiore dell’allargamento nel tempo verrà dall’estensione del mercato interno. Nasce un mercato unico nel quale vivono e lavorano quasi mezzo miliardo di persone, un mercato caratterizzato da inflazione bassa, buona disciplina fiscale e alto potenziale di crescita. Nell’epoca della globalizzazione, questo mercato interno è il nostro vero capitale e dobbiamo fare di tutto per farlo fruttare. Ciò significa soprattutto che dobbiamo approfittare della spinta e dell’entusiasmo dell’allargamento per dare un nuovo impulso alla strategia di Lisbona. Come sapete, la strategia di Lisbona è nata quattro anni fa per riformare l’economia dell’Unione, trasformandola nell’economia della conoscenza più dinamica del mondo e per generare più crescita e più occupazione, ma dopo quattro anni i progressi, che pure si vedono, non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati. Mi auguro vivamente che non si perda questo treno. Sarebbe un errore imperdonabile.

Romano Prodi