PTERIDOPHYTA                                                            

Questo termine deriva dal greco pteron ala e phiton pianta, sono anche dette crittogame vascolari.

Sono piante aplodiplonti eteromorfe, con predominanza netta dello sporofito sul gametofito, che può assumere dimensioni molto ridotte. Sono caratterizzate da un’alternanza di generazioni, un’aploide, rappresentata dal gametofito e una diploide rappresentata dallo sporofito.

Il ciclo ontogenetico, ha inizio dalla germinazione della spora che origina il gametofito o protallo, rappresentato da una piccola lamina verde, che porta gli organi sessuali maschili o anteridi e gli organi sessuali femminili o archegoni. Questi origineranno i gameti maschili o anterozoi e i gameti femminili o ovocellule. Gli anterozoi, sono in grado, grazie alla presenza di ciglia, di muoversi nell’ambiente acquatico e penetrare nell’archegonio e fecondare in tal modo l’ovocellula.

Questa, fecondata, originerà lo sporofito che si differenzierà in fusto, foglie, radici.

Nelle pteridophyta, la presenza dell’acqua è ancora essenziale perché possa avvenire la fecondazione, per questo gli anterozoi sono provvisti di ciglia, che permettono il movimento nell’ambiente acquatico.

Le foglie, di varia forma secondo la specie, portano nella pagina inferiore gli organi di riproduzione asessuale, rappresentati dagli sporangi, racchiudenti le spore, oppure da sori che possono o no essere protetti da una membrana, detta indusio.

Il gametofito può essere tuberiforme, filiforme, cordato, nastriforme, digitiforme. Il tuberiforme è molto arcaico. In genere ha rizoidi, ma può anche esserne privo; in questo caso possiede internamente dei funghi endofitici che provvedono ad assorbire l’acqua dal terreno. Solitamente è autonomo, verde perché clorofillico. Importante è, che è il gametofito a portare anteridi e archegoni.

L’anteridio è più o meno sferico e nel suo interno produce gli spermatozoi o anterozoi; l’archegonio ha una parte slargata o ventre in cui è situata l’ovocellula o oosfera e a cui fa seguito una parte più allungata, detta collo, che sporge dal gametofito.

Gli anterozoi possono essere biflagellati o con un ciuffo notevole di ciglia, come nell’Equisetum. L’archegonio, fecondato in mezzo liquido, produce lo zigote, dapprima come cellula solitaria, che poi si segmenta in due, in senso trasversale, parallelamente alla lamina del gametofito (da ricordare che il collo dell’archegonio è rivolto verso il basso).

Di queste due cellule, la più bassa è detta ipobasale, l’altra epibasale. La cellula ipobasale darà il sospensore col compito di spingere verso l’alto la cellula che darà poi il corpo del gametofito, a funzione protettiva; è sempre questa che darà il piede e magari anche la radice che è accessoria, perché non si prolunga lungo l’asse dell’embrione.

La cellula epibasale dà origine all’apice vegetativo, cioè ad un fusticino minuto e ad un numero vario di cotiledoni. Si segmenta sino ad avere una serie di gruppi cellulari, ognuno formato da otto cellule e questo sino alla formazione completa dell’embrione, che vive a spese del gametofito, in certo senso parassitandolo e rendendosi indipendente solo quando emette le radici.

Ora l’embrione è costituito da apice vegetativo, foglioline, cotiledoni, radichetta. Da adulto le “foglie” sono più numerose e diconsi più propriamente fronde, in quanto sono foglie portanti gli apparati sessuali.

Queste fronde possono essere piccole (microfillata) o grandi (macrofillata). Le Licopodiaceae sono microfillata, l’Adianthus è macrofillata. Interessante da notare è che nelle felci, le fronde portano, nella parte sottostante, le parti destinate a dare le spore e il relativo complesso di sori e sporangi, per questo si dà il nome di sporofilli, alle fronde delle felci.

Accanto a queste, troviamo anche fronde senza spore dette trofofilli, che sono sterili e deputate a nutrire la pianta. Gli sporangi sulle foglie sono sempre ben visibili, oltre che nelle felci, anche alla base delle piccolissime foglioline del Licopodium, sottoforma di piccoli puntini gialli.

Sporangio è il concettacolo delle spore; se più sporangi sono raggruppati insieme, essi costituiscono un soro. Lo sporangio può essere ortotropo, se il suo asse è parallelo a quello del supporto; se invece è pendente, è anatropo; mentre il primo non ha bisogno di un grosso supporto, il secondo sì, perché deve essere sostenuto. All’interno dello sporangio troviamo una zona detta tappeto che serve per nutrire le spore. A volte, pezzi di questo tappeto si staccano con la spora e costituiscono attorno ad essa il perisporio o perina, responsabile diretta della superficie scolpita di molte spore

Più sporangi possono essere attaccati ad un asse unico, centrale e costituire quell’entità detta strobilo; attorno all’asse centrale dello strobilo, le varie entità fertili si dispongono a spirale.

Se gli sporangi sono inseriti al margine o sotto la fronda, parliamo di sporofilli; più sporangi possono raggrupparsi in una massa e dare i sori, parola che significa semplicemente mucchio. Le piante possono essere isosporee o eterosporee ed avere cioè, spore uguali o diverse; abbiamo anche un’eterosporia fisiologica come nell’Equisetum, dove le spore sono tutte uguali fra loro, almeno apparentemente, solo che alcune poi, daranno il gametofito maschile e altre il gametofito femminile.

Ciascuna spora è fatta da un involucro esterno o esina e uno interno o endina, spesso pluristratificato e talvolta ci può essere anche, interno, il residuo della perina. La cellula madre della spora, dividendosi, può dare origine a diversi tipi di spore; se disposte attorno ad una linea centrale, a 90° le une dalle altre, sono spore monolete (come gli spicchi di una mela tagliata in quattro); oppure abbiamo quattro spore convergenti verso un centro puntiforme, con tre linee di contatto le une con le altre. Sono spore trilete, a 120° le une dalle altre (4 tetraedri con la base curva accoppiati). È importante questa distinzione, perché spesso caratterizza tutti gli esemplari di un certo ordine. Il tipo trilete è il più antico e, infatti, lo troviamo nei Licopodi, mentre fra le felci, la Dryopteris ha il tipo monolete. Sono poi le monolete a presentare il residuo di tappeto, cioè il perisporio.

Per l’antichità, vale quanto detto parlando della legione; abbiamo cioè l’Aldanophyton come pianta più antica; le più antiche sono Lycopsida e Rhyniopsida, già sicuramente presenti nel Siluriano; nel Devoniano abbiamo poi già quattro linee filetiche ben distinte.

Le affinità sono evidenti con Angiosperme, Conifere e muschi. Possiamo dire che dopo la prima dicotomia, un ramo va alle felci e l’altro si divide ancora in due, dando da un lato le Rhyniopsida e dall’altro le Sphenopsida. Qui dovremo inserire le Lycopsida e le Filicopsdida. Ciò che si conclude è, che è un problema molto complesso, Alcuni tendono a fare degli Equiseti un gruppo separato. Hanno certamente un antenato comune, ma non la Rhynia, dato che quando queste compaiono le Lycopsida sono già molto sviluppate, inoltre le Rhynie non hanno lasciato discendenti. C’è l’antenato comune, forse in un essere tipo Rhynia, ma non certo la Rhynia che noi consideriamo oggi come linea filetica in parte a se stante. Alcuni ancora, riuniscono in un solo gruppo Lycopsida e Sphenopsida. Qui si considerano separati, per cui abbiamo quattro linee filetiche distinte.

Lycopsida

Sono molto antiche, enormi fossili di 20-25 m. d’altezza, con tronchi grossi. Il fusto non è articolato e i nodi sono portati su una spirale; anzi spesso abbiamo due linee a spirale fra i vari nodi, lungo il fusto. Anche le altre entità, oltre alle foglie, hanno questa disposizione elicoidale.

Le foglie sono molto piccole e strette, terminanti a punta nelle viventi e in genere biforcate nei fossili. Le dividiamo in due categorie:

- le più antiche, dagli apparati sporigeni, detti trofofilli.

- le più moderne dette impropriamente sporofilli, perché qui, gli sporangi non sono inseriti sulle foglioline, ma in

  zona ascellare.

Gli sporangi sono costituiti da un’entità uniloculare, cioè hanno una sola cavità, più o meno ampia, a ferro di cavallo. Di regola sono solitari e ciascun sporangio s’inserisce alla base della propria fogliolina; l’asse dello sporangio corrisponde sempre a quello della foglia.

Nelle piante più antiche, abbiamo uno strobilo con un suo asse, su cui si attacca la fogliolina; all’ascella di questa si attacca l’asse dello sporangio, con in cima lo sporangio.

Nel corso dell’evoluzione si mantiene la posizione reciproca di asse, strobilo, fogliolina, solo che l’asse dello sporangio si salda a quello della fogliolina, per una maggiore protezione. Successivamente lo sporangio scivola verso il punto di inserzione della foglia, per accorciamento del suo asse. È questo un esempio di slittamento filetico per una migliore e maggiore difesa.

A maturità le spore si staccano, solo eccezionalmente germinano dentro lo sporangio, fenomeno accompagnato da modificazioni profonde.

Gli spermatozoi sono biflagellati o con più flagelli, meglio detti allora, pluriciliati. Ciò importa ai fini della filogenesi; le più antiche hanno due flagelli, le più moderne sono pluriciliate.

Consideriamo le seguenti sottoclassi:

1) Protolepidodendridae: appartengono al Cambiano, Carbonifero e sono scomparse dopo il Paleozoico, per cui sono esistite da 440 a 200 milioni di anni fa. Appartengono a questa sottoclasse l’Aldanophyton e la Baragawanathia.

Le foglie mancano di ligula, sono forcate, talora spinescenti, ossia con indurimenti apicali. Gli sporangi, almeno quelli noti, sono portati da assi saldati alla foglia. Hanno una protostele senza midollo. Ricordiamo l’Aldanophyton, che, se datato bene, appartiene al Cambriano superiore. (è stato trovato in Siberia). Ancora da ricordare è la Baragawanathia, sicuramente del Siluriano, con foglie ben evidenti, più antica della Rhynia, in cui però non abbiamo foglie, per cui la presenza di foglie è carattere più antico dell’assenza. È una pianta fossile australiana, ben conservata.

Ancora da ricordare è il Drepanophycus.

2) Lycopodiidae: dal tardo Paleozoico arrivano sino a noi con un notevole numero di specie, che i “conservatori” classificano in un solo genere e i “divisori” in più gruppi, almeno quattro, in relazione al fatto che il Licopodio europeo ha gli strobili ben evidenti, mentre nell’etiopico no.

Vivono nella tundra, sopra i 2000 m., nelle foreste tropicali, pendenti dagli alberi.

Sono senza ligula, isosporee, con spermatozoi biflagellati; plectostele con protoxilema esarco.

Il caule dello sporofito, non presenta nodi e internodi; i microfilli possono essere sparsi o disposti in modo elicoidale, raramente a verticillo. Gli sporofilli, sono disposti all’estremità del caule, in verticilli. Gli sporangi, solitari, sono alla base della parte superiore dello sporofillo o all’ascella.

3) Selaginellidae: comprendono piante di varie dimensioni. Risalgono al Carbonifero – Cretaceo e arrivano sino a noi con 600 specie tropicali e 4-5 specie nostrane. Sono eterosporee, con spore maschili molto piccole e femminili grosse. Hanno la ligula, piccola appendice all’inserzione della foglia, con funzione assorbente. Gli spermatozoi sono biflagellati.

Hanno protostele o aciclostele, esclusiva di questo gruppo e totalmente asimmetrica. Le meristele sono sempre 2-3, raramente di più. Sotto le fronde presentano dei rizofori, appendici dicotomizzate  con struttura intermedia fra la radice e il fusto; ancorano la pianta al terreno e hanno funzione assorbente.

Sono considerabili come gli ultimi rappresentanti di quelle entità dicotomizzate, le stigmarie, che caratterizzeranno le fossili Lepidodendridae, ritrovate in una zona dell’Inghilterra, ancora in piedi, come una foresta pietrificata.

Ricordiamo la Selaginella, che nelle specie apus e rupestris, ha la macrospora che invece di staccarsi e germinare nel terreno, germina attaccata allo sporofito e anche la fecondazione avviene sullo sporofito; l’embrione stesso, per un po’ di tempo, si nutre a spese dello sporofito e poi si stacca. Questi fenomeni, si possono considerare come il preludio della condizione definitiva delle Angiosperme, solo che qui il gametofito è ben protetto, mentre per la Selaginella è all’aperto.

4) Lepidodendridae: risalgono al Devoniano e sono tutte fossili, eccetto il solo genere Isoetes, presente anche in Italia, e il genere Stilides, raccolto alcune volte sulle Ande e quivi presente in colonie limitatissime. Nel Carbonifero, costituiscono quelle imponenti foreste, che oggi ritroviamo pietrificate; erano piante alte 20 m. a fusto colonnare, terminante con una serie di dicotomie, ciascuna con all’apice gli strobili. Molti tronchi fossili, si trovano anche nel Sahara.

Sono eterosporee (spore maschile e femminili hanno dimensioni diverse) ed hanno uno strobilo con macro e micro sporangi. La ligula è presente. La stele è una protostele piena, con una massa interna di xilema ed un’esterna di floema. Gli spermatozoi sono pluriciliati, almeno per le piante viventi, per i fossili nulla sappiamo.

Hanno caratteristicamente le stigmarie, che sono una specie di radici biforcate all’apice; sono molto sviluppate in larghezza, che ci porta a pensare che vivessero in acquitrini. Le foglie quando cadono, lasciano una cicatrice caratteristica a forma di rombo. All’apice del rombo, troviamo traccia della ligula e al di sotto la traccia del vaso cribrolegnoso, poi troviamo quattro entità costituenti il parichnos, cioè le tracce di un particolare tessuto con ampi spazi intercellulari, che si ritiene essere fatto da cordoni aeriferi, per cui sarebbe confermata l’ipotesi di una vita in acquitrini per queste piante. Questa entità rombica è anche detta cuscinetto fogliare; le tracce del parichnos possono avere posizioni varie, restando fissa solo quella reciproca delle quattro entità, a formare una sorta di X. L’insieme dei cuscinetti, costituisce quella sorta di reticolato che è a maglie d’ampiezza variabile e che ci dà un’idea di come fossero inserite le foglie nel loro complesso.

Alle Lepidodendrales appartiene la Sigillaria, provvista di stigmarie, di un tronco dicotomizzato, da cui pendono gli strobili di forma ovoidale. Al di sopra di essi, si trova il complesso delle foglie.

Le Lepidocarpales possedevano una macrospora chiusa in un macrosporangio a sua volta chiuso da tegumenti. Le entità sono strettamente unite; è un qualcosa che prelude ad una difesa dell’ovulo; la macrospora germinava restando all’interno, ma poiché non si è dimostrato che la fecondazione fosse effettivamente interna, non si può parlare di seme, anche se il gametofito resta attaccato.

Nelle Isoetales, il tronco della Sigillaria si è raccorciato fino a dare la Pleuromeia; poi si è ancora raccorciato a dare la Nathorstiana (Cretaceo inferiore) e poi ancora fino allo Isoetes attuale, simile ad una comune erbaccia, dove il fusto è solo la parte nerastra terminale. Contemporaneamente si è ridotta la stigmaria a zaffo nella Pleuromeia ed è ancora più piccola nella Isoetes velata.

L’Isoetes, che risale al Cretaceo ed è giunto sino a noi, ha un fusto molto ridotto, da cui dipartono diverse foglie che sono anche sporofilli, provviste alla base di una piccola incavatura detta fovea. I macro e i microsporofilli sono inseriti sopra la fovea. Possiede la ligula. Sezionando troviamo traccia della ligula, del fascio cribrolegnoso, di sei canali, di cui quattro auriferi e due mucipari, ultimo residuo del parichnos.

È l’ultimo esemplare vivente di un gruppo molto importante del passato.

Le caratteristiche principali del gruppo sono: un caule bulboso, sporofilli e trofofilli simili, con ligula presente e con cavità ove ha sede lo sporangio che è ricoperto da una membrana, detta indusio. Il protallo molto piccolo, è localizzato all’interno della spora da cui è generato, è dioico in quanto le macrospore danno protalli femminili e le microspore protalli maschili. Le lunghe radici hanno una divisione dicotomica. Gli spermatozoi sono pluricigliati.

Le Miadesmiales vivevano nel Carbonifero ed erano piccole, più o meno erbacee.

Sphenopsida

Sono piante molto antiche, con molti fossili; sono giunte sino a noi con un solo genere e poche specie, presenti un po’ ovunque. Tipico rappresentante, è l’Equisetum, che può essere considerato come un fossile vivente, essendo tale e quale allora e risalente a più di due milioni d’anni fa.

Hanno fusto articolato, diviso in nodi e internodi, presenti anche nelle ramificazioni laterali. Dal nodo partono rami e foglie che sono a verticillo, per cui siamo alla presenza di un sistema multilacunare. I rami sono posti sotto le foglie ma su ortostiche diverse; le ortostiche diverse sono in relazione al fatto che, altrimenti la pianta non avrebbe più alcuna resistenza in quel punto e si affloscerebbe.

Le foglie sono piccole, per cui sono piante microfillata, possono essere più o meno lunghe, ma sempre strette e al più flagellate (foglie di Hyenia) e profondamente incise. Formano sempre uno o tre verticilli oppure sei, nove, dodici, ma sempre multipli di tre nelle più antiche.

Gli sporangi sono tutti anatropi, cioè il supporto si ripiega ad uncino ed il peduncolo dello sporangio viene così ad essere parallelo al sostegno. Interessante è la presenza di un lungo peduncolo che permette il rovesciamento dello sporangio, ciò ha poi permesso una maggiore difesa, fino ad aversi una sorta di scudo portante sotto gli sporangi.

Nella maggior parte dei casi c’è una sorta di strobilo, cioè un asse principale con attorno gli sporangi; in altre piante l’asse ha finito per saldarsi ad una foglia che protegge ora gli sporangi come nelle Sphaenophyllales.

Potremmo chiamare questa brattea, sporofillo, ma è sui generis, perché si è saldata all’asse dello strobilo. Sporangio, peduncolo portante, formano un insieme inscindibile; più sporangi insieme per dicotomizzazione del peduncolo, formano lo sporangioforo.

Le spore si staccano subito, per cui il gametofito si forma sempre nel terreno; esse non germinano mai sulla pianta. Gli spermatozoi sono provvisti di moltissime ciglia, da un solo lato.

Questo è un gruppo molto importante, risalente al Paleozoico; esistono Sphenopsida colonnari, cioè a grosso fusto, incapaci però di dare nuovi polloni; esistevano anche piante lianose o almeno molto deboli che si aggrappavano e attorcigliavano attorno ai fusti. Questo si deduce dai ritrovamenti fossili dei loro fusti che sono molto piccoli, sempre con un certo grado di torsione.

Come probabili antenati si citano il Climaciophyton e lo Spondilophyton, che però sono piante molto piccole e poco note, per cui i dubbi sono molti e validi.

Si dividono in:

Hyenidae: risalgono al Devoniano medio. Caratteristica fondamentale è che manca l’articolazione o è irregolare; anche le foglie, in numero di tre, sono irregolarmente verticillate (Hyenia), mentre nel Calamophyton, il fusto è articolato. In generale il fusto era bi-, tri-forcato e anche le foglie erano più o meno profondamente divise. Siamo però di fronte ad un’anisogamia, per cui le dicotomie non sono più uguali da ambedue le parti.

Interessante è la situazione per gli sporangiofori. Nel Calamophyton abbiamo un supporto che si divide apicalmente in due parti, ciascuna di esse porta il suo sporangio; l’Hyenia presenta successive divisione del peduncolo, per cui gli sporangi accoppiati sono almeno sei. La moltiplicazione degli sporangi determina il moltiplicarsi dei rami secondari del peduncolo.

Gli sporangiofori sono, nel complesso, organizzati a costituire uno strobilo, cioè un asse centrale, cui sono inseriti, a spirale o a verticillo, le parti produttive degli sporangi.

1 – Calamophyton  2 – Hyenia  3- Archaeocalamites  4- Equisetum 

5 – Lingularia  6 – Calamostachys  7 – Paleostachys

 

Pseudoborniidae: sono rappresentative del Devoniano superiore. Gruppo poco conosciuto, avevano foglie ripetutamente forcute, per successive anisodicotomie. Gli sporangi sono organizzati in sporangiofori e fra uno e l’altro di questi, compaiono delle brattee fogliari.

Sphenophyllidae: sono presenti dal Devoniano al Mesozoico. Sono piante probabilmente volubili, lianose; le foglie in numero di tre o multipli di tre, fino a dodici al massimo, flabellate, piccole, a forma di ventaglio, a volte divise in due. Gli sporangi si sono saldati alla brattea protettiva, ma l’asse dello sporangioforo è distinto da quello della fogliolina; sono entità saldate fra loro, non fuse. Erano iso o eterosporee, per cui gli strobili portavano micro e macrospore.

Anatomicamente presentavano, come struttura primaria, una stele triarca, fatta da una massa centrale di xilema, con protoxilema esarco. L’inserzione delle foglie avviene in corrispondenza dei “vertici del triangolo”, sono quindi, al minimo tre e per successive divisioni possono arrivare fino a dodici. Il fusto, nel corso del tempo, assume una struttura secondaria, proliferando il deuteroxilema in corrispondenza dei tre vertici. Lentamente si formano due anelli di floema e xilema. Questa stele è esclusiva del gruppo.

 

Equisettidae: è il gruppo più importante, che dal Devoniano superiore giunge fino a noi con l’Equisetum o coda di cavallo. I primi rappresentanti sono diversi dal nostro che compare solo nel Carbonifero.

Il caule dello sporofito è articolato, con evidenti nodi e internodi; sui nodi sono inseriti i rami verticillati, anche le foglie sono disposte in verticilli alterni fra loro. Le cellule sono silicizzate.

Gli sporangiofori sono inseriti su di un asse a dare una sorta di strobilo; possono mancare di parti intermedie fogliacee, per questo motivo le dividiamo in due gruppi sistematici. Sono iso o eterosporee; possono presentare eterosporia fisiologica, per cui spore uguali danno gametofiti diversi.

Calamitales: presenti dal Devoniano al Triassico e poi si estinguono. Le parti fogliacee sono intercalate agli sporangiofori per cui lo strobilo è fogliaceo; abbiamo tre tipi di brattee fogliari. Nella Cingularia, le foglie stanno sopra gli sporangiofori, nella Calamostachys sono presenti anche due foglie, nella Paleostachys abbiamo una foglia sola. In realtà abbiamo avuto uno slittamento filetico; la forma più primitiva era quella della Cingularia in cui il ramo era considerabile quale sporangio, data l’equivalenza delle due posizioni. Per gli altri due tipi, si ammette, o uno spostarsi della brattea, o dello sporangioforo. Non si sa con precisione, ma si conviene sia la brattea; essa si sposta verso l’alto e viene ad essere intermedia o sottostante gli sporangi, realizzando così una difesa maggiore di prima, perché protegge anche l’ultimo sporangioforo.

Equisetales: mancano di brattee intermedie difensive; questo è in relazione al moltiplicarsi del numero di sporangi per sporangioforo e dei relativi peduncoli di II ordine, anzi, tutti gli assi secondari, si sono saldati insieme in una sorta di scudo od ombrello, che porta ora al di sotto tutti gli sporangi. Gli ombrellini, tutti inseriti sull’asse centrale dello strobilo, da giovani sono tutti a stretto contatto, si ha così una difesa degli sporangi. Allungandosi l’asse dello strobilo contemporaneamente alla maturazione delle spore, gli ombrellini si distanziano e si ha la dispersione delle spore.

L’Equisetum è il solo rappresentante vivente; è un genere con circa 20 specie, alcuni non molto grandi, altri alti fino a 3-4 metri, come quelli tropicali. Compare nel Carbonifero inferiore come Equisetites e poi prospera, con esemplari del Mesozoico in tutto uguale ai nostri, fino a noi.

Hanno fusto con lacuna centrale, per alleggerimento, e distinguiamo tre tipi di stele, in relazione al comportamento dell’endodermide. Nel I tipo troviamo lacune periferiche in corrispondenza alle coste del fusto, dette lacune carinali, accompagnate da lacune vallecolari più grosse ed in corrispondenza degli avvallamenti. I fasci vascolari sono equidistanti dal centro, separati da raggi midollari ed è presente un’unica endodermide. Nel II tipo compare una seconda endodermide, più interna; è questo un raddoppiamento di entità, che ritroveremo anche nelle piante superiori, in relazione alla presenza di cavità (fasci bicollaterali nelle zucche, piante con cavità centrale). Nel III tipo, abbiamo un’endodermide unica, ma divisa e ogni fascio e lacuna carinale, si circonda di un proprio endoderma. Il I tipo è definibile quale eustele; il III tipo come dictiostele; il II tipo, è considerato come termine di passaggio, dato che le due endodermidi sono festonate in senso opposto.

Hanno un corredo cromosomico di 108 cromosomi, numero alto, derivante da poliploidia che si conserva regolarmente in tutti gli individui.

Le spore sono di tipo particolare; oltre ad avere l’esosporio e l’endosporio, comuni a tutte le spore, ne possiedono un terzo, l’episporio che quando la spora è matura si divide in quattro “nastri” detti apteri o amplessori. Queste appendici sono igroscopiche, e in ambiente secco sono arrotolate alla spora, in ambiente umido si aprono distendendosi e aiutano la spora a fissarsi nel terreno per poter germinare. Dalle spore nascono gametofiti diversi, si ha quindi eterosporia fisiologica. Gli anteridi sono portati alla sommità del gametofito maschile, mentre l’archegonio è completamente infossato. Gli spermatozoi hanno un ciuffo di ciglia apicali. Lo sporangioforo è fatto dalle parti apicali saldate in un pileo o scudo; i vari scudi sono da giovani ravvicinati alla sommità del gametofito femminile, poi per un allungamento dell’asse, si allontanano e le spore possono disseminarsi.

Per i rami valgono le regole generali: sono inseriti sotto il punto d’inserzione delle foglie.

Si conoscono 25 specie presenti in tutti i continenti, ad eccezione dell’Australia.

Ricordiamo l’Equisetum arvense o coda di cavallo, presente nei luoghi umidi, l’Equisetum fluvialis, l’Equisetum hyemale, l’Equisetum palustre.

L’Equisetum arvense è il più tipico, ha un rizoma sotterraneo molto sviluppato e, in primavera sviluppa piante fertili, di piccole dimensioni, di colore bruno, non ramificate, terminanti con una spiga che racchiude gli sporangi. In estate, sviluppa steli sterili, alti sino ad un metro e con rami uniti a verticillo che fuoriescono dai nodi del fusto.

Noeggerathiopsida

 

Sono tutte fossili. Sono state aggregate ai gruppi più disparati, di esse si conosceva solo la parte sterile e così furono messe insieme alle Cycas; dopo la scoperta della parte fertile, sono state inserite fra le Pteridophyte, cosa migliore è isolarle.

Per l’inserzione delle foglie, ricordano le Sphenopsida e pur non avendo il fusto articolato, hanno le foglie inserite su ortostiche diverse.

Gli sporangi sono molto numerosi, inseriti all’apice del fusto, sulla pagina superiore della foglia trasformata. Sono eterosporee. I macrosporangi sono inseriti su squame che s’incastrano una con l’altra, formando così un ambiente protettivo. Gli strobili sono di tipo particolare, perché mentre nelle Sphenopsida c’è una disposizione a verticillo e nelle Lycopsida una disposizione a spirale, qui invece, sono su due o quattro ortostiche. Questa disposizione è stata vista con difficoltà e solo nel 1915 si vide questa rispondenza nella disposizione delle parti fertili e delle sterili.

Si suddividono in due sottoclassi: Noeggerathiidae e Tingiidae.

Le Noeggerathiidae risalgono al Carbonifero e vanno fino al Permiano; le Tingiidae vanno dal Permiano al Triassico. È difficile ammettere una discendenza diretta delle une dalle altre.

Le Noeggerathiidae hanno due serie di foglie, uguali fra loro e disposte in due file diverse; la stessa disposizione è per gli strobili, ogni pinna è una foglia, l’insieme delle foglie è sormontato dagli apparati microsporangiali, caratterizzati dal gioco d’incastro delle diverse unità.

Le Tingiidae, che sono rinvenibili solo in Asia, hanno le pinne disposte su quattro fila, di diversa dimensione. Le bratte stesse, sono entità strette, portanti quattro sporangi per ciascuna brattea; qui si potrebbe pensare ad una fusione o saldatura di più sporangi fra loro. Ogni Tingiida, possedeva solo due strobili, appaiati su rami biforcati. L’avere le foglie disposte su quattro fila, cioè su due piani fra loro perpendicolari, fa pensare ad una sorta di verticillo, che le riavvicinerebbe alle Sphenopsida; gli sporangi su brattee, ricordano le Sphenofillales, ma con la grandissima differenza, che là gli sporangi sono anatropi, qui ortotropi; là abbiamo saldatura degli sporangiofori alla costa centrale della lamina fogliare, per cui non c’è uno sporofillo, mentre qui, si ha un vero sporofillo.

D’altra parte, non possiamo per questo mettere le Noeggerathopsida fra le Felci, perché fra le Felci, gli sporangi sono sulla parte dorsale delle foglie, qui sulla ventrale; non si può ammettere una rotazione degli apparati, perché questa avviene lentamente e raramente.

Psilotopsida

Pochi sono i rappresentanti viventi e solo due le famiglie: le Psilotaceae e le Tmesipteraceae. È da distinguere nettamente dalle Psilophytopsida, nome un tempo usato per indicare quelle che oggi sono le Rhyniopsida e poi abbandonato per evitare confusioni, dato il suono similare.

Non conosciamo fossili. Il fusto non è articolato e i fusticini sono diritti con una dicotomia o con una serie d’isodicotomie, sfasate fra loro di 90°; all’interno del caule è presente un piccolo vaso conduttore assiale. Le foglie sono piccolissime in Psilotum, più grandi in Tmesipteris, in relazione al fatto che nel primo non sono vascolarizzate e nel secondo sì. Lo Psilotum, manca pure di stomi. Sporofilli e trofofilli sono diversi, i primi fertili, sono biforcati.

Gli sporangi sono riuniti a dare dei sinangi, termine con cui intendiamo la fusione di sporangi, che in Tmesipteris sono due entità e in Psilotum tre.

Ciascuno sporangio ha un proprio tessuto vascolare e le varie entità sono unite, ma al centro hanno una colonnina nutriente. Non danno strobili, ma sono solo portati dal fusto. Fino ad ora era stato sempre presente un asse centrale portante le diverse unità, questo è il tipo più primitivo da cui deriveranno i tipi con disseminazione lungo il fusto e più tardi, quelli lungo la foglia.

Lo Psilotum è una pianta molto caratteristica con rizoma e gametofito uguali, per cui li riconosciamo solo se il primo ha apparato radicale e il secondo anteridi e archegoni. Questo gametofito ha accrescimento indefinito, manca di rizoidi e vive in simbiosi con funghi endofitici (micorriza). In certi fossili di zone vulcaniche, il gametofito è vascolarizzato. Il sinangio è fatto da tre entità. Esso è accompagnato, alla base, da due piccole squamette che interpretiamo come foglie, ma non stomi né vascolarizzazione. Nella Rhyniopsida, il sinangio è fatto da due entità unite, accompagnate da squame molto lunghe e vascolarizzate. La differenza fra le due famiglie di Psilotaceae e Tmesipteraceae è il numero degli sporangi per sinangio, nelle squame e nella vascolarizzazione.

Le Psilotopsida sono assai vicino alle Rhyniopsida e anzi alcuni le considerano come gli ultimi discendenti. Me nelle Rhyniopsida non abbiamo appendici fogliari né sinangi apicali; inoltre sono già estinte all’inizio del Carbonifero e le conosciamo solo come fossili.

Psilotum e Tmesipteris non hanno fossili ed è difficile ammettere una discendenza non conoscendo la catena d’esseri intermedi.

Le Rhyniopsida danno fossili nel Devoniano, con struttura conservata anche del citoplasma, quindi ci si chiede come non abbiano dato più fossili in epoche successive, se così bene fossilizzavano.

Rhyniopsida

Dette Psilotophytopsida e poi diversamente battezzate per evitare confusione, sono tutte fossili. È un gruppo comparso nel Siluriano e scomparso nel Devoniano.

La loro scoperta risale ai primi del secolo, quando furono trovate, ben conservate, in Gran Bretagna. Consideriamo la Rhynia più primitiva e l’Asteroxilon più evoluto.

Il fusto non è articolato, raggiunge i 45 cm. nella Rhynia, un metro in Asteroxilon. Il fusto ha una parte sotterranea, circa ad angolo retto con la parte superiore, senza radici, tuberiforme, per cui si pensa esistessero funghi endofitici simbionti. Incerta è l’interpretazione del rizoma.

 

Il fusto è portato dal rizoma e le ramificazioni erano completamente afille nella Rhynia, o con numerose appendici in Asteroxilon, non ci sono foglie ma emergenze spinose; sono presenti gli stomi e sembrerebbe fossero verdi.

Gli apparati sporigeni sono apicali e in Asteroxilon su rami ben distinti. Le spore sono tetradi, cioè quattro entità unite insieme, ciò fa pensare che la meiosi non portasse alla separazione delle quattro entità, era cioè una meiosi imperfetta e di queste entità una sola germinava e le altre servivano probabilmente per nutrimento. Erano spore trilete, con tre linee di contatto fra le entità, ulteriore conferma che il tipo trilete, già visto nel Lycopodium, era più primitivo dell’altro, monolite, a quattro spicchi di mela. Notevole in questi fossili l’evidenza del floema. La stele è una protostele stellata, con coste e valli; tutta la massa xilematica è intera senza midollazione, di tipo primitivo, in corrispondenza con i caratteri arcaici del gruppo. Hanno endodermide ed epidermide e tessuti parenchimatici tipo canali aeriferi, in relazione a una loro probabile vita in paludi. Prima della scoperta dello Psilotum, si parlava di un rizoma con parte basale ed aerea, quando si vide che lo Psilotum vulcanico della Nuova Zelanda aveva il gametofito vascolarizzato, il rizoma fu detto gametofito e la parte aerea erano i rami sporofitici che da esso partivano. Venivano perciò ad avere un termine di passaggio fra muschi e felci, perché la parte sporofitica viveva a carico del gametofito ma era vascolarizzata. Era così un gruppo intermedio. Il fatto è stato molto discusso, ma per accettarlo senza riserva, sarebbe necessario trovare un fossile con residui di archegonio e anteridio sul gametofito-rizoma, ma non è mai stato trovato alcunché del genere. Per ora, quindi, ci conviene ammettere che il tutto è sporofito, anche perché di sicuro si sa poco. Talvolta troviamo anteridi e archegoni sul rizoma, ma senza rami e quelle che erano considerate come due specie con gametofito e sporofito distinti, sono in realtà una sola specie, con gametofito e sporofito insieme sulla stessa pianta.

Anteridi e archegoni sono di tipo pteridofitico, per cui non possono essere considerati anelli di congiunzione fra muschi e felci.

 

Rhyniidae: la Rhynia, è il tipico esemplare per la teoria del teloma, secondo cui il fusto è la parte fondamentale e le foglie sarebbero nate per una coalescenza dei rami del teloma.

Ha fusto afillo, sporangi terminali, con spore interne, sparse.

La Rhynia avrebbe perso le foglie nel corso dell’evoluzione, non come condizione primigenia, infatti, si sono trovati fossili più antichi e completamente fogliati.

Nell’Horneophyton c’è invece nello sporangio, una columella interna, considerata la prova dell’origine di questa classe dai muschi.

Ricordiamo ancora la Yarravia del Siluriano, singolarmente provvista di sinangi, fatto che la ravvicina alle Psilotopsida.

 

Zosterophyliidae: gruppo male conosciuto, afille con sporangi portati in una sorta di spiga all’apice di rametti. Si pensa vivessero in acqua ed emergessero con solo la spiga.

 

Psilophytiidae: afille, con fusto sotterraneo e sporgenti dal terreno solo con rametti spinosi; gli sporangi erano portati nella parte terminale senza spine.

 

Asteroxylidae: il fusto di Asteroxylon è completamente fogliato, ma all’apice, i rami sono senza foglie e portano gli sporangi. Questi hanno all’apice un piccolo forellino, verso cui confluiscono degli ispessimenti cellulari, in una sorta di primo abbozzo di un apparato di deiscenza che avrà maggiore sviluppo nelle felci. Le spore sembrano trilete, infatti ci sono quattro entità fossili che non si sa come fossero organizzati fra loro; i rametti sporigeni non sono mai stati trovati attaccati all’Asteroxylon.

Filicopsida

È un gruppo assai vasto, presenti soprattutto nei paesi tropicali; si ritengono esistenti circa 15.000 specie note, di cui solo 60 europee. I nostri rappresentanti sono piccoli, erbacei, mentre nei paesi d’origine, le felci sono alte 6-7 m., la Cyathea raggiunge i 20 m. d’altezza e 50 cm. di diametro.

Il fusto dello sporofito, ipogeo, non è mai articolato, cioè non ha nodi né internodi; le fronde, trofofilli (senza sporangi e a funzione trofica) e sporofilli (portanti gli sporangi), sono uguali fra loro. Anatomicamente ricordano più un ramo che una foglia, sono ampie, perciò sono piante macrofillata. Il gametofito o protallo, generalmente monoico, può assumere diverse forme, con rizoidi e può o no essere clorofillico.

Gli sporangi sono a grappolo (Osmunda), lineari (Asplenium), puntiformi (Polipodium) ecc. Sono fatti in modo diverso da pianta a pianta; in genere abbiamo più sporangi riuniti insieme a costituire i sori che, possono essere portati sulla pagina inferiore o dorsale della foglia, al margine, al centro, lungo le nervature; qualora costituiscano grappoli, sono sempre disposti lungo una foglia che ha avuto una contrazione delle parti laminari. La forma e la disposizione degli sporangi, ha carattere diagnostico. Le spore si staccano prima di germinare; talvolta si stacca tutto lo sporangio, talvolta si ha germinazione dentro il macrosporangio. Gli spermatozoi hanno numerose ciglia, a volte elicate. Schematicamente, possiamo rappresentare il ciclo ontogenetico con la spora che germinando origina il gametofito o protallo. Esso porta anteridi e archegoni. Gli spermatozoi, prodotti dagli anteridi, penetrano, in presenza d’acqua, negli archegoni e fecondano l’oosfera. Lo zigote formatosi, come prodotto della fecondazione, dà origine all’embrione che si svilupperà in sporofito sfruttando il protallo. Sulle foglie dello sporofito, si formeranno gli sporangi entro i quali si sviluppano le spore. Il gametofito rappresenta la fase aploide, lo sporofito, predominante, la fase diploide.

Ciclo ontogenetico di felce isosporea (Dryopteris)

Le spore germinano dando ciascuna il gametofito giovane, che poi diventa adulto, ed è rappresentato da una piccola laminetta di 2-3 mm., cuoriforme, plagiotropo, con rizoidi e parte femminile e maschile. In genere la parte femminile sta nell’insenatura a cuore, la maschile più in basso vicino ai rizoidi. L’archegonio è fatto da una parte basale o ventre, inserita dentro il gametofito e proseguente col collo, allungato e sporgente. Nel ventre c’è l’oosfera. L’anteridio, più o meno ovoidale, con parete sottile, contiene i gameti maschili o spermatozoi (anterozoi), provvisti di sfera basale, appendice elicoidale con ciglia terminali.

Quando nell’ambiente c’è acqua a sufficienza, si rompe e gli spermatozoi fuoriescono; attratti dall’acido malico prodotto dal collo dell’archegonio, entrano in esso e fecondano l’oosfera, formando ora lo zigote. Esso si divide in due cellule, l’ipobasale e l’epibasale, da cui deriverà l’embrione, che vive ora a spese del gametofito, cui è attaccato col piede. Quando si è accresciuto abbastanza, emette una radice, la prima fronda e diventa indipendente. Si sviluppa ora la giovane pianta che si accrescerà fino allo stato adulto. Veniamo così ad avere una fronda fertile, che si trova attaccata ad un rizoma sotterraneo, rappresentante il fusto. Questa fronda, a maturità produrrà gli apparati sporigeni sulla pagina inferiore. Ingranditi appaiono come piccole laminette reniformi. Ciascuna di esse è un soro, cioè un complesso di sporangi. Il soro è ricoperto da una membranella detta indusio, che può anche mancare, secondo i generi. Dentro troviamo gli sporangi; nello sporangio, hanno origine le spore. In esso, infatti, abbiamo un archesporio che si moltiplica, dando le cellule madri delle spore, ciascuna delle quali, per meiosi, da quattro, o multipli di quattro, spore. Qui lo sporangio è fatto da pareti molto tenui, unistratificate, che nella parte terminale portano un anello di cellule ispessite. L’anello non è continuo, perché interrotto dall’inserzione del peduncolo e dal punto di rottura prestabilito detto stomio.

All’interno dello sporangio troviamo il tappeto che nutre le spore e il cui residuo costituisce il perisporio o perina. Lo sporangio è provvisto di un anello, fatto da una fila di cellule con parete tangenziale ispessita ad U ed una parete più sottile alla sommità della U, con all’interno una gran quantità di citoplasma. Con la maturazione delle spore, le cellule dell’anello disseccano, e così tendono a congiungersi, facendo pressione verso l’esterno; le spore fuoriescono e il ciclo ricomincia. Quest’ultimo fenomeno è detto eversione dell’anello.

 

Complessa è l’anatomia delle felci; abbiamo, infatti, protostele, protostele stellata, sifonostele, dictiostele, sifonostele anfifloica, polistele, policiclodictiostele; abbiamo cioè, un’infinità di tipi di stele. I più comuni sono sifonostele e dictiostele che si possono considerare derivate da un tipo primitivo che per midollazione ha dato i due tipi con cilindri concentrici di floema e xilema interi, dapprima e poi spezzettati in tante meristele. Come meristemi né abbiamo una varietà molto grande. Quando dal fusto a sifonostele escono le tracce fogliari che daranno la fronda, in definitiva è un pezzetto di sifonostele che sporge fuori e migra nello stipite (picciolo della fronda), formando la parete vascolare della fronda stessa. Se sezionassimo uno stipite, troviamo endodermide, floema, xilema, cioè una zona corticale con endodermide, periciclo e dentro floema e xilema. Anche l’endodermide migra nella foglia e circonda la meristele, cioè la porzione di stele che è migrata. Nella dictiostele è addirittura un’intera meristele che migra nello stipite, anche qui con l’endodermide; da cui si deduce che la fronda è qualcosa di più simile ad un ramo che ad una foglia. Svariatissima è la forma delle pareti vascolari all’interno dello stipite; abbiamo tipi a C, X, H, V, U, T, ciò ha valore diagnostico e ci permette di riconoscere un genere dalla sezione. Nello stipite, possiamo avere due fasci con la loro endodermide. Nello stipite di Pteridium aquilinum, una felce abbastanza comune, troviamo anche 20 meristeli, derivanti da un’iniziale, che si è suddivisa; nell’insieme le meristeli danno una sezione a omega.

La classificazione è difficile, perché è un gruppo molto antico che ha enormemente prolificato fino a noi, possiamo asserire che l’evoluzione sia ancora in atto.

Modernamente, lo studio dei cromosomi ha portato un contributo insperato, perché mantenendosi costante il loro numero, si possono determinare famiglie ben definite a 13n, 29n, 31n, e altre. Questi studi cariologici hanno confermato l’alto numero di famiglie.

Possiamo classificarle in base alla posizione dei sori, ma anche alla loro origine, da cui, la divisione in Eusporangiate, se gli sporangi derivano da un gruppo di cellule e in Leptosporangiate, se gli sporangi derivano da una cellula unica. Si è visto, però, che entità eusporangiate possono essere leptosporangiate, per cui si va pian piano abbandonando detta divisione. Si è parlato anche di Hydropterideae, come gruppo a sé, ma lo stare in acqua non è carattere sistematico così differenziato. Le dividiamo in diverse sottoclassi, rispecchianti l’antichità dell’origine.

 

Primofilicidae

Hanno fronde composte di un insieme di assi su piani diversi, così da costituire una serie di ramificazioni dicotomizzate e anche tricotomiche. Gli assi sono posti in piani diversi da quello del supporto, per cui i diversi piani s’intersecano. È questa una disposizione strana ma interessante ai fini della teoria della cladodificazione; questo, perché la precisa disposizione in più piani, può fare pensare che si sia avuta cladodificazione, che però, ha interessato solo alcuni piani, per successivo raccorciamento e contrazione dei rami stessi, che nel corso dell’evoluzione si sarebbero organizzati al massimo solo su tre piani.

Hanno appendici molto evidenti, dette aflebie, mancanti di tessuto vascolare e che oggi ritroviamo in alcune piante viventi, ma solo come appendici rudimentali. Gli sporangi erano terminali, ben distinti, sferici, aprentisi per la fuoriuscita delle spore, con pareti pluristratificate. Si estinsero molto presto, durando solo dal Devoniano medio al Permiano; gli unici loro discendenti potrebbero essere le Ophioglossidae, ma è incerto.

Ricordiamo Arachnoxylon, Iridopteris, Botryopteris, Stauropteris, alcune iso- e altre etero-sporee. Si è giunti alla conclusione che questo è un gruppo molto complesso; forse i generi eterosporei non sarebbero felci, ma una linea filetica a sé che potrebbe essere l’antenata delle Pteridospermopsida.

 

Ophioglossidae

Ai tropici sono rappresentate con 3-4 generi, da noi esiste l’Ophyoglossum vulgare e l’Ophyoglossum lusitanicum, presente nell’isola di Linosa. Non abbiamo fossili, ma per le loro caratteristiche, sono sicuramente arcaiche.

Hanno prefogliazione diritta e non circinnata, come normalmente, fatto eccezionale; le parti giovani sono chiuse da guaine che si aprono quando spunta la foglia; la parte fertile è una spiga o un complesso di spighe; la parte sterile è una lamina a mo’ di foglia.

Gli sporangi non hanno l’anello, ma un punto di rottura netto, senza una struttura deiscente differenziata; la parete è pluristratificata, carattere arcaico; sono eusporangiate.

Il gametofito è più o meno cilindrico, tuberiforme, allungato e bitorzoluto, con accrescimento indefinito; talvolta è quiescente così a lungo da dare gli apparati riproduttivi solo ogni dieci anni. Sono piante micorriziche e anzi alcuni pensano che la quiescenza della pianta sia da mettersi in relazione ad una quiescenza da parte del fungo endofitico; si avrebbe lo sporofito solo quando sono “svegli” entrambi.

 

Marrattiidae

Sono piante viventi dal Carbonifero superiori ad oggi. I generi di allora, erano diversi dagli odierni. Le fronde hanno prefogliazione circinnata e le pinne misurano sino ad un metro e mezzo d’altezza. Alla base della foglia, troviamo due grandi stipole che riparano la fronda e si aprono come due grandi conchiglie protettive. Hanno canali lisigeni con abbondante mucillagine. Sono tropicali e di difficile coltivazione in serra perché vogliono un’umidità del 100%. Vivono in vicinanza dei ruscelli. Hanno sporangi eusporangiati, senza indusio, senza anello, distinti o fusi in sinangi a sfera o a rosetta.

 

Osmundidae

Compaiono nel Permiano e giungono sino a noi. È sicuramente una linea conservatrice, rappresentata da piante che vivono in presenza d’acqua, non sono molto comuni e si suddividono in tre generi. Hanno una rappresentazione cromosomica di 2n=22 per cui n=11, numero molto basso, singolare omogeneità cromosomica, carattere d’accordo con altri fatti convergenti verso la linea conservatrice. Fossile dell’ultimo paleozoico e simile agli attuali è l’Osmundides

Gli sporangi sono di tipo intermedio fra Eurosporangiate e Leptosporangiate. La prefogliazione è circinnata, le fronde possono essere pelose, talvolta ghiandolari, con parte fertile e sterile insieme o no. Certe fronde di Leptopteris sono a tre soli strati di cellule, qualcosa di simile ai filloidi dei muschi. Gli sporangi hanno i primi cenni di un apparato di deiscenza con cellule periferiche a pera, ispessite, deiscenti, ma senza anello. Le spore sono autonome, in quanto hanno la clorofilla.

Il gametofito è perenne, appiattito, più o meno simile a quello delle Filicidae.

 

Filicidae

È il gruppo più complesso è più rappresentativo. Sono piante molto diverse fra loro, il che giustifica la divisione in tante famiglie. Sono del tardo Paleozoico e giunte fino a noi, con dapprima un periodo di sviluppo limitato e poi abbondante prolificazione nel terziario, dando più di 12.000 specie.

La prefogliazione è circinnata, sono prive d’appendici stipuliformi, ma spesso alla base delle fronde, troviamo peli o appendici squamiformi, dette palee. Sono importanti per il significato nel gruppo delle felci, in quanto importante carattere diagnostico per il genere e per la specie. Talvolta invece delle palee, abbiamo peli di 3-4 cm. a dare un rivestimento giallino. Sono leptosporangiate, con gli sporangi raggruppati in sori, ricoperti o no dall’indusio. Detto indusio può essere fatto a rene, a cerniera, a scudo; è un carattere diagnostico.

C’è sempre l’anello, che non ha avuto sempre la stessa posizione, ma ha subito uno slittamento filetico. Infatti, può essere una linea, tipo l’equatore terrestre, presente in sporangi primitivi, poi diventa obliquo, poi verticale con passaggi intermedi. Quando è equatoriale, si ha libertà d’espansione in tutta la circonferenza, quando è verticale è interrotto nel punto d’inserzione del peduncolo.

Altra cosa interessante è la posizione dei sori, posti in posizione marginale o nella pagina inferiore. Si ritiene che il tipo marginale sia più antico, ma in ciascun ordine abbiamo uno slittamento filetico, per cui troviamo insieme gruppi più primitivi con sori al margine e gruppi più moderni con sori in superficie. È evidentemente, quest’ultima, una posizione di vantaggio, perché tutta la fronda è a funzione protettiva.

Per la forma dei sori distinguiamo: sori lineari o cenosori; sori puntiformi o semplici.

Fondamentalmente due sono i tipi di spore: trilete o monolete. Nel primo caso è il solito insieme di spore a dare una cellula tetraedrica a base curva, con tre linee di contatto fra le spore; nel secondo caso, è la solita “mela tagliata in quattro”, con una sola linea di contatto fra una spora e l’altra.

I principali ordini sono: Schizeales, a sori marginali; Cyatheales, cui appartengono le Cyatheae, felci arboree, formanti imponenti aggruppamenti nel sottobosco; presenti in Etiopia, nella regione del Caffà; Blechnales, che hanno gli sporangi sulla pagina inferiore; Polypodiales, con i sori a puntini; Hymenophyllales, a fronde molto delicate, monostromatiche, molto simili ai muschi e di piccole dimensioni, misurando 4-5 cm.              

Marsileidae

Eterosporee e differenziate sessualmente a livello del gametofito; abbiamo anche macro e micro sporangi diversi, per cui la differenziazione è spinta e precoce. Sono acquatiche, radicanti e assomigliano a quadrifogli; sono presenti negli acquitrini.

Hanno prefogliazione circinnata. Ciò che è interessante, sono le profonde trasformazioni delle pinne per dare il sorocarpo. È fatto da due pinne che si chiudono una sull’altra come due valve di conchiglia, saldandosi lungo il bordo, sono anche provviste di un anello gelatinoso lungo la saldatura. Dentro questa conchiglia e attaccati all’anello, stanno i sori, non più aperti, ma completamente chiusi, per cui troviamo i macrosporangi centrali e i microsporangi periferici. Non è completamente un’entità chiusa, ma può avere un orifizio verso l’alto, solo che in genere è otturato. Il nome sorocarpo è comprensivo di quell’entità costituita da due pinne chiuse, ornate di un anello gelatinoso della stessa lunghezza del perimetro delle pinne chiuse. A maturità, quando le pinne si aprono, l’anello stesso si allunga, permettendo l’uscita degli sporocarpi.

Il sorocarpo è completamente chiuso, salvo che per l’orifizio; la sua parete non è altro che un indusio che si è completamente chiuso. Le macrospore sono in genere una per macrosporangio, perché delle quattro entità generate per meiosi, tre degenerano.

I microsporangi producono invece da 32 a 64 microspore.

Ciclo ontogenetico di Marsilia quadrifoglia

Rappresentiamo lo sporofito (1), con parte sterile fatta da quattro pinne disposte a quadrifoglio e alla base i sorocarpi a diverso grado di sviluppo. Dentro i sorocarpi (2) ci sono gli sporangi (3) e il tutto è circondato dall’anello gelatinoso. Al (4) c’è un solo sporocarpo con al centro quattro macrosporangi e alla periferia i microsporangi. Aprendosi, lasciano uscire le microspore (7) che germinano per successive moltiplicazioni cellulari. Nascono, ora, due soli anteridi (11), scarsi nella produzione in quanto danno solo 16 spermatozoi ciascuno. La macrospora germina all’interno del macrosporangio e si ha la formazione di un gametofito a funzione trofica eccetto che per la cellula apicale, che darà un solo archegonio. Avviene la fecondazione fra lo spermatozoide (12) e l’oosfera, all’interno dell’archegonio (6) e si forma l’embrione (13), che nutrito dal gametofito, per un certo periodo, emette una radichetta, l’abbozzo delle foglioline (14) e infine, ridà lo sporofito adulto. Da ricordare che la differenza sessuale è già a livello di macro e microsporangio.

 

Salviniidae

Sono piante antiche risalenti all’Eocene (terziario) e giunte sino a noi; sono comuni ed hanno un’estrema velocità di riproduzione. Sono natanti, acquatiche, liberamente galleggianti. Hanno prefogliazione diritta, cosa eccezionale per delle felci e difficile da spiegare, perché non si conoscono gli antenati; la prefogliazione diritta esisteva nelle Ophyoglossidae, ma la parentela è assurda. Le radici della Salvinia sono foglie trasformate. La pianta in origine ha un verticillo di tre foglie, di cui due restano in superficie come tali, mentre la terza, si affonda e si trasforma in radice. Per la riproduzione, non abbiamo sorocarpi, cioè si ha una semplificazione rispetto alle precedenti. Abbiamo solo gli sporocarpi per cui la differenziazione sessuale è ancora più precoce, già a livello dello sporocarpo. L’archegonio delle Marsileidae era unico, qui n’abbiamo diversi per gametofito femminile; nel gametofito delle Marsileidae non abbiamo parti verdi, mentre qui abbiamo una parte a ventaglio verde, su cui stanno gli archegoni. Lo sporocarpo delle Marsileidae ha pareti monostratificate, mentre qui la parete, cioè l’indusio, è doppia, ma tra i due strati di cellule c’è una camera d’aria per il galleggiamento; gli sporocarpi galleggiano, fatto questo importante, perché sono piante natanti. È un adattamento spinto alla vita acquatica. La pianta ha un fusticino piuttosto allungato, verticilli di tre foglie di cui una si trasforma in radice. Produce gli sporocarpi sessuati, distinti in maschio e femmina. Nel primo troviamo numerosi microsporangi con lunghi pedicelli, nel secondo il numero di macrosporangi è ridotto. Anche qui abbiamo una sola macrospora, sempre per il fatto della degenerazione degli altri tre nuclei meiotici. Nel microsporangio, invece, si formano numerose spore. Entrambi i tipi di spore germinano internamente alle pareti dei propri sporangi, perciò dal macrosporangio, sporge in fuori, dalla parete, la lamina a ventaglio, che non è altro che il gametofito femminile con gli archegoni. La parte maschile, germina all’interno del microsporangio e dà due anteridi, a volte uno solo. Il numero di spermatozoi è ridotto, sei nel primo caso, quattro al massimo nel secondo. È un sistema primitivo, in contrasto con il fatto che sono piante evolute più delle felci. Si ha poi fecondazione e lo zigote cresce protetto dalla parete della macrospora e del macrosporangio, fino a raggiunta indipendenza.

Salviniidae e Marsileidae costituivano il gruppo delle Hydropteryidae, ma si è visto che sono piante molto diverse fra loro, quindi sono state separate. Alle Marsileidae si fanno appartenere i generi Marsilea a quattro pinne, Renellidium a due pinne, Pilularia con una sola pinna, molto ridotta, tutte appartenenti ad una sola famiglia.

Alle Salviniidae appartengono due famiglie, le Salviniaceae e le Azolaceae, quest’ultime presenti anche da noi, ma americane come origine, sebbene da noi si siano trovati dei fossili. Si ricordi che nell’Azolla vive l’Anabaena, una Cyanophyta.