Cattolicesimo

Le Crociate

Mille anni di oscurità

La Prima Crociata

I Templari

Rex Deus

I Tarocchi

Le altre Crociate

Filippo IV detto "il Bello"

Jacques de Molay

Cronologia

 
 

Le Crociate

 

Mille anni di oscurità

All'indomani della distruzione della città di Gerusalemme da parte dei romani, i pochi israeliti scampati all'ira degli invasori dopo lo scontro finale per la presa della città vennero venduti come schiavi. È assai improbabile, tuttavia, che i nazarei abbiano scelto di farsi catturare vivi in gran numero. E così, mentre le ossa dei giudei cristiani si trasformavano in polvere, i loro preziosi manufatti rimanevano intatti e dimenticati sotto le rovine del Tempio.

Nel 135 d.C. l'imperatore Adriano fece ricostruire la città, ribattezzandola Aelia Capitolina, e attribuì alla provincia il nuovo nome di Siria-Palestina. Per una più efficace repressione del fervore nazionalistico ebraico egli proibì agli ebrei l'accesso alla Città Santa. Per cinque secoli dalla data della sua caduta Gerusalemme non potè ospitare una comunità israelitica permanente.

A Roma i gentili incorporarono i miti dei loro antichi dei nel culto ideato da Paolo, dando origine a una religione ibrida che esercitò un enorme fascino su moltissime persone. Il 20 maggio del 325 d.C. l'imperatore Costantino, di fede non cristiana, convocò il Concilio di Nicea, in occasione del quale si votò per stabilire se Gesù fosse o meno una divinità. Le dispute furono accese, ma al termine della giornata fu pronunciato il solenne verdetto secondo cui la guida spirituale degli ebrei vissuta nel I secolo era veramente un dio.

L'instaurazione dell'era cristiana romanizzata segnò l'inizio dei secoli bui, di quel periodo, cioè, della storia occidentale che durò fino a quando la Riforma non indebolì il potere della Chiesa cattolica, e nel quale le luci si spensero su tutto il sapere e la superstizione si sostituì alla conoscenza. L'ignoranza crebbe fino a divenire estremamente strutturata: in un solo giorno, ad Alessandria, sotto la guida del patriarca Teofilo i cristiani ridussero in cenere la più grande biblioteca del sapere umano esistente al mondo.

Le conquiste intellettuali e morali ben presto si fermarono e la civiltà occidentale regredì a uno stato di vera e propria barbarie. La Chiesa bandì l'istruzione con la motivazione che «la diffusione della conoscenza» sarebbe servita soltanto a incoraggiare l'eresia. Consapevole di essere un castello costruito sulla sabbia, la nuova Chiesa temeva che la libertà di pensiero avrebbe finito per mettere in evidenza questa sua instabilità e, di conseguenza, per travolgerla sotto un'ondata di argomentazioni razionali. Il livello di alfabetismo precipitò fin quasi allo zero in tutto l'Impero romano, la scienza cedette il passo alla superstizione e i progressi compiuti dall'ingegneria nei primi tempi dell'Impero vennero dimenticati. Tutto ciò che era buono e opportuno venne disprezzato e tutte le conquiste umane in ogni settore vennero ignorate nel nome di Gesù Cristo. L'arte, la filosofia, la letteratura secolare, l'astronomia, la matematica, la medicina e persino il sesso diventarono argomenti tabù. La Chiesa stabilì che il sesso doveva servire esclusivamente alla procreazione; una donna che avesse provato piacere nell'atto sessuale non avrebbe concepito un figlio, mentre un uomo che cercava di procurare piacere alla sua compagna durante il rapporto veniva bollato come «l'amante di Satana».

Le idee singolari ed estranee dei gentili trasformarono, fino a renderlo irriconoscibile, il credo che aveva avuto origine dalla morte di un capo messianico ebreo. Altre importanti aggiunte furono apportate ancora nel XIII secolo, quando il teologo Tommaso d'Aquino affermò che il pane e il vino consacrati nell'eucarestia diventano miracolosamente il corpo e il sangue di Cristo nel momento in cui vengono consumati dalla congregazione dei fedeli. Questa concezione cannibalesca della transustanziazione, così come essa viene chiamata in modo eufemistico, si fonda su un'idea che si può far risalire all'analisi aristotelica della natura della materia. È certo che qualunque membro della Chiesa primitiva di Gerusalemme avrebbe provato un profondo disgusto di fronte alla prospettiva che Dio potesse permettere l'avverarsi di un miracolo così cannibalesco, e non una ma milioni di volte al giorno. Dal Medio Evo la fede nella realtà fisica della «transustanziazione» è stata la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica apostolica romana .

Seicento anni dopo la distruzione del Tempio la storia di un nuovo profeta affascinò l'intero Medio Oriente e Gerusalemme assurse al rango di Città Santa per una terza grande religione. Maometto era salito al cielo dalla stessa roccia usata da Abramo per il sacrificio del figlio Isacco, e cioè la pietra posta al centro del sancta sanctorum, che un tempo era stato il sacrario più riposto del Tempio di Gerusalemme. Nel 691 d.C. sulla sommità del monte che aveva ospitato il Tempio ebraico, i musulmani innalzarono il meraviglioso edificio noto come «cupola della roccia».

La Prima Crociata

Nel 1071 la città fu presa e rasa al suolo dai turchi selgiuchidi. Ventotto anni dopo, il 15 luglio 1099, di venerdì, la Città Santa vide un nuovo demonio danzare nelle proprie strade: si trattava dell'esercito cristiano dei crociati, i quali si impadronirono di Gerusalemme e, con un'efficienza pari soltanto a quella dei romani, trucidarono uomini, donne e bambini, musulmani e israeliti nel nome del proprio dio.

L'idea di una santa crociata era venuta a papa Urbano II, che, come si narra, era preoccupato a causa del trattamento riservato ai pellegrini cristiani in Terra Santa. Il 27 novembre 1095, in un campo poco lontano dalle mura della città francese di Clermont-Ferrand, il pontefice chiamò alle armi il clero riunito in assemblea, suggerendo un piano che prevedeva la formazione di un nutrito esercito di cavalieri cristiani con lo scopo di cristianizzare la Terra Santa. La reazione dei vescovi fu positiva ed entusiastica. Essi ritornarono nelle proprie città decisi a fare proseliti per questa imponente crociata. I grandi signori europei si lasciarono sedurre dalla promessa di salvezza e dalla prospettiva di far man bassa di qualunque cosa avessero trovato, quale ricompensa per l'aiuto offerto all'opera di Dio.

In breve tempo papa Urbano ottenne il supporto che gli era necessario e potè definire la propria strategia. Alcuni gruppi di crociati avrebbero iniziato il viaggio nell'agosto del 1096. Ogni gruppo doveva autofinanziarsi e rispondere al proprio condottiero per tutta la durata del viaggio verso Costantinopoli, dove si sarebbe unito agli altri gruppi per formare un'unica forza combattente. Da qui, con l'appoggio dell'imperatore bizantino e del suo esercito, avrebbero sferrato l'attacco contro i conquistatori selgiuchidi dell'Anatolia. Una volta sottomessa l'intera regione al controllo cristiano, i crociati avrebbero marciato verso la Siria e la Palestina, occupate dai musulmani, riservandosi quale ultimo obiettivo la conquista di Gerusalemme.

Giunte a Costantinopoli come da programma nel novembre del 1096, nel maggio dell'anno successivo le truppe dei nobili crociati puntarono sul loro primo bersaglio, la capitale turca dell'Anatolia, Nicea, il luogo in cui il cristianesimo era stato riconosciuto con un atto formale. Dopo una serie di rapide vittorie, i crociati si accorsero della scarsa resistenza opposta dal nemico nella restante parte della campagna in Asia Minore. Il primo grosso ostacolo in cui si imbatterono fu la città di Antiochia, nel nord della Siria, che resistette per otto mesi all'assedio prima di soccombere il 3 giugno 1098. Nel maggio 1099 i crociati avevano raggiunto i confini settentrionali della Palestina. La sera del 7 giugno si accamparono in vista delle mura della Città Santa di Gerusalemme. Grazie ai rinforzi giunti da Genova e alle moderne macchine d'assedio, essi presero d'assalto Gerusalemme e si abbandonarono con gioia al sistematico massacro di tutti gli abitanti. La purificazione della città con il sangue dei nemici sconfitti di Cristo era motivo di esultanza per i soldati. Di lì a una settimana i crociati elessero governatore della città conquistata Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena. Sotto la sua guida, l'esercito combattè, quindi, la sua ultima battaglia, ed ebbe la meglio sull'armata egiziana ad Ascalona. Avendo ampiamente compiuto l'opera di Dio, la stragrande maggioranza dei crociati fece ritorno in Europa, lasciando Goffredo a mantenere l'ordine e la legge con un piccolo drappello dell'esercito originario. Curiosamente, sembra che il trentanovenne Goffredo sia morto in esatta concomitanza con il proprio trionfo, perché fu suo fratello a essere incoronato re di Gerusalemme con il titolo di Baldovino I nell'anno 1100.

I Templari

I nove cavalieri che pronunciarono la solenne promessa reciproca di «castità, obbedienza e comunione di tutte le proprietà» si trovavano a Gerusalemme all'epoca in cui Baldovino fu nominato primo re cristiano.

I Templari originari erano:

  • Ugo di Payns, signore vassallo di Ugo di Champagne
  • Geoffrey de Saint Omer, figlio di Hugo de Saint Omer
  • Andre de Montbard, signore vassallo di Ugo di Champagne e zio di Bernardo di Chiaravalle
  • Payen de Montdidier, legato ai governatori delle Fiandre
  • Achambaud de Saint Amand, legato ai governatori delle Fiandre
  • Gondemare, nessun dettaglio noto
  • Rosai, nessun dettaglio noto
  • Godefroy, nessun dettaglio noto
  • Geoffroy Bisol, nessun dettaglio noto.
II capo dei Templari era Ugo di Payns, un membro della nobiltà media originario della regione dello Champagne, che nel 1101 sposò Catherine Saint Clair, nipote del suo compagno di crociata, il barone Henry Saint Clair di Roslin. Tre anni dopo, per motivi imprecisati, Ugo lasciò la moglie e il figlioletto Teobaldo per recarsi a Gerusalemme assieme a Ugo di Champagne. Vi sono, inoltre, alcune testimonianze scritte che attestano un suo ennesimo viaggio nella Città Santa nel 1114. Nel 1118, alla morte di Baldovino I, si presentò al cospetto del nuovo re Baldovino II con la sua compagnia di nove cavalieri appena costituita.

Urbano II, al secolo Ottone di Lagery, nacque in Francia e studiò a Reims prima di essere ammesso nel monastero benedettino di Cluny, di cui divenne priore nel 1073. Nel 1078 fu ordinato vescovo cardinale di Ostia da papa Gregorio VII, di cui fu il successore.

L'ordine benedettino, di cui Ottone faceva parte, era stato fondato nel VI secolo. L'abito originario dei suoi membri non era quello nero che avrebbero poi usato per secoli, bensì una lunga veste bianca con un cappuccio, simile a quella indossata dagli esseni e dai capi della Chiesa di Gerusalemme.

Un'altra importante figura religiosa del periodo successivo alla crociata fu Bernardo di Chiaravalle, il giovane cui spetta il merito di avere ottenuto per i Templari una «regola» pontificia nel 1128. Egli era un monaco cistercense, non benedettino.

L'ordine cistercense era stato fondato da un gruppo di monaci benedettini dell'abbazia di Molesme nel 1098, a pochi mesi dal saccheggio di Gerusalemme e dalla morte di Urbano II.

I monaci cistercensi fondatori affermavano di voler ritornare agli insegnamenti più puri e originari di San Benedetto, che fondò l'ordine omonimo all'inizio del VI secolo e passò poi alla storia come il padre del monachesimo occidentale. Questo santo, tanto ammirato dai cistercensi, discendeva da un'illustre famiglia di Norcia, nell'Italia centrale, e dopo avere trascorso gli anni giovanili studiando a Roma, si ritirò a vivere in una grotta per tre anni. Benedetto enunciò quella che egli chiamava una regola di vita e che poi divenne un elemento irrinunciabile di tutti gli ordini monastici. La regola sottolineava l'importanza della vita in comunità e della fatica fisica, vietava ai membri della congregazione il possesso dei beni, imponeva i pasti in comune e la rinuncia alle conversazioni superflue. Si trattava di una visione del mondo del tutto simile a quella degli esseni, che dovevano trascorrere tre anni nel deserto presso la comunità di Qumràn, per essere ammessi ai tre gradi di iniziazione, conclusi dalla cerimonia della «risurrezione dei vivi».

Cosa ancor più strana, i cistercensi venivano chiamati «monaci bianchi» a causa della veste candida che indossavano sotto gli scapolari neri. Se si aggiunge che anche il mantello originale dei Templari era di colore bianco candido (su cui in seguito sarebbe stata applicata la famosa croce rossa), si finirà con il domandarsi se, per caso, non stesse affiorando un sapere antico collegato ai valori nazarei e all'uso di portare l'abito bianco. I nazarei che avevano combattuto ed erano morti sul campo nell'anno della caduta di Gerusalemme, nel 70 d.C., indossavano vesti candide quali emblemi della risurrezione. E di lì a mille anni, in concomitanza con la riconquista di Gerusalemme, la veste bianca sembra essere diventata molto importante. C'era forse un nesso con la profezia contenuta nell'Apocalisse, secondo la quale i martiri di Gerusalemme sarebbero risorti dopo mille anni?

L'ascesa di san Bernardo si rivelò tanto strana in ogni sua tappa quanto quella dell'ordine dei Templari. Nato a Bigione nel 1090, all'età di ventitré anni egli annunciò ai familiari la propria decisione di farsi prete e di entrare nel nuovissimo ordine cistercense. La sua scelta incontrò una notevole resistenza da parte del fratello maggiore, il conte di Fontaine, inorridito dall'eventualità che Bernardo potesse diventare monaco. Ma qualche evento straordinario dovette far cambiare opinione al conte, visto che in meno di un anno egli stesso entrò a far parte i dell'ordine, seguito da almeno trentun membri della famiglia Fontaine!

Se si aggiunge a tutto ciò il fatto che quest'insigne, ancorché giovane, ministro di Dio era il nipote di Andre de Montbard, uno dei nove Cavalieri templari originari, la teoria di un «grandioso progetto» risulterà sempre più verosimile. Henry Saint Clair, Ugo di Champagne e Bernardo di Chiaravalle erano senza dubbio coinvolti, insieme con Ugo di Payns, Geoffrey de Saint Omer, Andre de Montbard e gli altri fondatori dell'ordine dei Templari in un piano di recupero dei manoscritti e dei tesori nascosti sotto le rovine del Tempio. È assai probabile, inoltre, che anche il re Baldovino II di Gerusalemme appartenesse a questo ordine.

Quanto al papa Urbano e a Goffredo di Buglione, erano forse delle pedine destinate a essere rimosse dalla scacchiera, una volta diventate inutili? All'epoca della sua misteriosa morte Goffredo di Buglione era un uomo relativamente giovane, sopravdosi poi per tutta l'Europalianrpagvissuto a violente battaglie; quanto al pontefice, morì all'età di cinquantanove anni nel 1099 - proprio nel momento della vittoria dei crociati - avendo sempre goduto di buona salute.

Rex Deus

Dopo la crocifissione di Gesù i pilastri principali della Chiesa di Gerusalemme erano Giacomo il Giusto, sostenuto da Pietro, e Giovanni, il discepolo prediletto di Cristo. Costoro formavano un triumvirato, che era la forma di governo tradizionale presso gli esseni. Mentre la morte di Gesù non aveva suscitato l'indignazione pubblica, perché egli non era popolare tra le masse, invece l'assassinio di Giacomo accese gli animi al punto da provocare in città una rivoluzione che segnò l'inizio della terribile guerra degli ebrei contro i romani.

All'interno della Chiesa di Gerusalemme, Giacomo era molto più importante di Gesù. Dopo la sua morte e prima della distruzione definitiva del Tempio alcuni sacerdoti nazarei fuggirono in un primo momento in Grecia, sparpagliandosi poi per tutta l'Europa. Avevano fatto un breve ritorno nella città distrutta per recuperare le spoglie di colui che chiamavano «il salvatore», portandole in salvo in Grecia, dove rimasero fino al 600 d.C, quando furono reinterrate sotto il Tempio, un nascondiglio più che sicuro, dal momento che nessuno poteva essere sepolto entro i confini del santuario.

Con la denominazione di Rex Deus, il gruppo di sopravvissuti riuscì a scampare alle persecuzioni dei giudei adottando le pratiche religiose in vigore nei territori in cui avevano trovato rifugio, a patto che non si chiedesse loro più della venerazione dell'unico vero Dio.

Il quadro che si andava delineando era quello di un gruppo di famiglie aristocratiche europee, discendenti delle stirpi ebraiche di Davide e Aronne, fuggite da Gerusalemme poco prima, o forse subito dopo, la caduta del Tempio. Questi individui avevano tramandato la notizia dell'esistenza di alcuni manufatti nascosti sotto le rovine del Tempio a un rampollo eletto (non necessariamente il maggiore) di ciascuna famiglia.

Goffredo di Buglione morì, forse ammazzato, prima della costituzione dei Templari. Per tutta una serie di motivi ci eravamo convinti che Gesù non fosse morto sulla croce, come confermerebbe il discorso pronunciato da Giacomo all'indomani della crocifissione. Se il gruppo dei Rex Deus esistette davvero, è facile intuire che la Prima crociata dovette offrire a queste famiglie un'opportunità «voluta da Dio» di fare ritorno al Tempio sacro per recuperare il tesoro che apparteneva loro per diritto di nascita, e per di più nel momento predetto dall'autore ebreo del Vangelo di Giovanni il Divino. Le famiglie dei Rex Deus parteciparono alla Prima crociata e a quelle successive. Per lungo tempo i medievalisti si sono interrogati sulle ragioni della presenza delle stesse famiglie alla testa delle milizie crociate per l'intera durata dei combattimenti... ebbene, noi avevamo forse trovato la risposta.

Una volta che le truppe cristiane ebbero conquistato Gerusalemme, i personaggi di spicco che non appartenevano al gruppo dei Rex Deus furono rapidamente destituiti dai propri incarichi e ai vertici della monarchia e della gerarchla ecclesiastica della città salirono gli appartenenti alle famiglie dei Rex Deus, perché il loro santo tentativo di riconquistare l'eredità affidata dagli antenati non venisse ostacolato.

La storia delle famiglie dei Rex Deus non solo chiariva come il gruppo di cavalieri cristiani conoscesse con esattezza l'oggetto delle proprie ricerche, ma rendeva del tutto sensato il significato del nome Roslin. Henry Saint Clair aveva scelto il titolo che più di tutti esprimeva il suo entusiasmo per la riconquista del «sapere segreto tramandato di generazione in generazione».

Un gruppo di anziani della Chiesa di Gerusalemme sfuggì alla carneficina successiva alla presa di Gerusalemme e si diresse verso Alessandria, la città che, per molti versi, era diventata la seconda per importanza agli occhi dei giudei. Qui, valutata attentamente la propria posizione, il gruppetto decise di proseguire per la Grecia, da dove si sparpagliò infine in varie città europee. Adottarono la religione del paese in cui si erano stabiliti e si integrarono nelle comunità di adozione, assumendo nomi che li facessero sembrare meno stranieri. I fuggitivi erano individui estremamente intelligenti, tutti discendenti dall'aristocrazia ebraica e assai facoltosi. Con il susseguirsi delle generazioni, tuttavia, il ricordo delle origini andò dissolvendosi, salvo che per un figlio maschio prescelto, che al raggiungimento dell'età adulta veniva messo a parte dei propri strani privilegi di nascita e dei segreti del Tempio. Più il tempo passava e più i singoli nuclei familiari perdevano i contatti reciproci. Ciò nonostante i figli eletti erano al corrente dell'esistenza di altri loro pari, che sapevano come riconoscere nell'eventualità in cui si fossero incontrati.

Nel 1095 tutti i membri del gruppo dei Rex Deus erano quasi certamente convertiti al cristianesimo, tuttavia ciascuno di loro deve aver avuto almeno un congiunto maschio che custodiva in cuor suo la tradizione delle nobili radici ebraiche. Non c'è dubbio che costoro si considerassero cristiani per eccellenza, gli eredi della Chiesa primitiva e i depositari del più grande segreto di questa metà del Cielo. Essi erano un'elite silenziosa, erano i Rex Deus.

Riconoscendo nella conquista di Gerusalemme da parte dei turchi selgiuchidi il preannunciato attacco di Gog e Magog, essi adoperarono tutta la loro formidabile influenza per far nascere nella mente di papa Urbano II l'idea di una grande crociata cristiana. Al pontefice spiegarono che la profezia di Giovanni il Divino si era avverata e che egli avrebbe dovuto assumersi l'importante compito di porsi alla guida del mondo cristiano per la liberazione della Città Santa dall'invasore infedele. La storiografia ci conferma, in effetti, che il ruolo centrale di Urbano II determinò l'assunzione da parte del papato della guida suprema della cristianità occidentale.

Com'è ovvio, le famiglie dei Rex Deus furono le prime a impegnarsi solennemente per la causa delle crociate e Urbano II dovette rimanere molto sorpreso nel ritrovarsi improvvisamente così influente: fino ad allora aveva trascorso i suoi sei anni di pontificato all'insegna della banalità, lontano da Roma, costretto all'esilio dall'antipapa Clemente III. Adesso, invece, era «l'uomo del momento».

Dopo la conquista di Gerusalemme è probabile che si fosse prodotta una spaccatura all'interno del gruppo dei Rex Deus: qualcuno di certo avrà voluto costituire sui due piedi una squadra di operai addetti agli scavi, mentre altri avranno giudicato rischiosa qualsiasi attività pubblica, sempre difficile da giustificare. Il papato si sarebbe subito interessato a qualsiasi campagna di scavo nei luoghi sacri del cristianesimo. Per nulla desideroso di attirare su di sé la diffidenza papale in qualunque modo, il nuovo re di Gerusalemme, Baldovino, si mise subito dalla parte dei cauti, proclamando che la cosa importante era il fatto di aver riconquistato il controllo del Tempio. I tesori, lamentava, erano sepolti sotto migliala di tonnellate di roccia. E poiché nessuno aveva la benché minima idea di dove cominciare a scavare, la cosa migliore, a sua detta, sarebbe stata di non lanciarsi in alcuna impresa.

Molti anziani ricorsero invano alla propria autorità per persuadere Baldovìno a dare il via libera agli scavi. La risposta del sovrano fu sempre la stessa: egli si trovava in una posizione difficile, per cui agire in segretezza sarebbe stato impossibile, mentre muoversi alla luce del giorno sarebbe stato suicida. Il primo viaggio a Gerusalemme di Ugo di Payns di cui si abbiano notizie risale al 1104, quando egli andò a perlustrare la zona di persona, in compagnia di Ugo di Champagne. Dopo aver interpellato Baldovino, i due fecero ritorno in Europa, portandosi appresso una mappa ben documentata dell'area del Tempio, che avrebbe permesso di preparare un piano d'azione.

Gli anni passavano e Baldovino rimaneva ostinatamente saldo nella sua opinione. Nel 1113, tuttavia, accadde qualcosa che creò una nuova opportunità. Un gruppo di cavalieri cristiani costituì l'ordine militare sovrano dell'Ospedale di san Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta, meglio noto come ordine dei Cavalieri ospedalieri. Costoro si proclamarono protettori di un ospedale fondato a Gerusalemme prima dell'inizio della crociata da Gerardo, giurando, entusiasti, di volersi porre a difesa della Città Santa.

Questo episodio fece balenare una nuova idea nelle menti dei Rex Deus. E così nel 1114 Ugo di Champagne e Ugo di Payns si recarono un'altra volta a Gerusalemme, per sottoporre all'attenzione del re un nuovo progetto, fiduciosi che sarebbe stato accolto favorevolmente. I due illustrarono a Baldovno la propria intenzione di dislocare a Gerusalemme un piccolo contingente di cavalieri addetti a una campagna esplorativa di scavi, con il pretesto che essi facevano parte di un ordine molto simile a quello degli Ospedalieri. Si avvalevano della copertura di guardiani delle principali vie battute dai pellegrini. Si propose che il nuovo ordine si stabilisse in prossimità delle scuderie di Erode, dove i cavalieri sarebbero stati al riparo da sguardi indiscreti e dove, trovandosi a un livello inferiore, avrebbero potuto scavare in orizzontale, direttamente nelle volte sotterranee che nascondevano i tesori. Ma la sorte volle che, per nulla convinto, il sovrano respingesse il nuovo progetto. I due signori ritornarono in patria avviliti.

Poiché su Baldovino non potevano contare, essi rivolsero la propria attenzione al cugino del sovrano, e suo successore al trono. Il futuro re, Baldovino anche lui, era stato tenuto prigioniero dai musulmani per quattro anni e aveva idee assai più radicali sul da farsi. Nel 1118 Baldovino I morì all'età di sessant'anni, presumibilmente per cause naturali, e fu sostituito in un battibaleno dal cugino, incoronato Baldovino II di Gerusalemme.

Di lì a qualche settimana i nove cavalieri francesi sotto il patrocinio di Baldovino II erano già sistemati nel luogo che un tempo ospitava le scuderie di Erode, e che ora faceva parte dell'edificio adiacente all'ex moschea di al-Aqsà. Per giustificare la presenza di questi cavalieri, si raccontò che avevano il compito di proteggere i pellegrini cristiani dalle grinfie dei malvagi banditi musulmani, quando invece la loro vera missione era la localizzazione e il recupero dei manoscritti e dei tesori della Chiesa di Gerusalemme. Il lavoro doveva essere estremamente difficile e le giornate dovevano sembrare interminabili. Aprire un nuovo cunicolo nella roccia viva con strumenti manuali era un'operazione molto faticosa. Ci vollero mesi persino per collegarsi con un vecchio passaggio, che conduceva fin sotto l'al-Haram, la gigantesca base su cui poggiava il Tempio. Ma una volta raggiunto il labirinto, i cavalieri ebbero l'impressione di procedere in modo più rapido.

Dapprima dovettero rinvenire una piccola ciotola contenente delle monete, poi diversi vasi d'oro e d'argento, e infine due scatole di legno ciascuna contenente un manoscritto. Una volta lucidati, i preziosi oggetti metallici si rivelarono di uno splendore abbagliante; quanto ai manoscritti, essi non dicevano proprio niente a quel gruppo di cavalieri illetterati, capaci di riconoscere a stento qualche vocabolo francese ma non certo di decifrare testi redatti in greco e aramaico. Questa squadra di rozzi archeologi cominciò ad avvertire un profondo desiderio di salvaguardare il materiale dissotterrato. Rispedito in Francia, Geoffrey de Saint Omer, il comandante in seconda del gruppo, affidò il compito di tradurre i rotoli a Lambert de Saint Omer, il quale riuscì a decifrare tutto ciò su cui i suoi occhi increduli si posavano. L'erudito chiese di poter custodire i manoscritti e, all'insaputa di Geoffrey, ne copiò uno in tutta fretta: una raffigurazione della Gerusalemme celeste. Abbiamo il sospetto che l'anziano ecclesiastico sia morto per mano di Geoffrey de Saint Omer, quando si seppe del suo gesto non autorizzato. Il cavaliere, tuttavia, non avrebbe mai più recuperato la copia del rotolo della Gerusalemme celeste, che si trova ora custodita nella biblioteca dell'università di Gand.

Nel 1121, dopo i primi ritrovamenti, giunse a Gerusalemme un conte di nome Folco d'Angiò, per fare degli accertamenti sull'andamento degli scavi. Ma per poter essere ammesso sul luogo dei lavori, egli fu costretto a pronunciare il voto di affiliazione all'ordine. Prima di rientrare in patria, Folco, che in futuro sarebbe diventato re di Gerusalemme, lasciò ai cavalieri un'annualità pari a trenta libbre angioine.

Intanto Bernardo di Fontaines-lès-Dijon (il futuro abate di Chiaravalle) era impegnato ad accrescere la propria fama di personaggio eminente della Chiesa, in modo da potersi avvalere del proprio status per persuadere il papa Callista I della necessità di costituire formalmente un ordine militare a difesa del regno di Gerusalemme. Le reali intenzioni del gruppo dei Rex Deus erano di mantenere segrete le proprie attività, nonostante il viavai di numerose personalità di rango. Si faceva pertanto sempre più pressante la necessità di architettare una storia verosimile per giustificare le ingenti ricchezze, che non sarebbero più potute passare inosservate.

Ugo di Champagne era ancora una volta a Gerusalemme nel 1124. In occasione di quel viaggio anch'egli pronunciò il giuramento e si affiliò all'ordine dei Templari, i cui membri salirono pertanto a undici.

Si è detto dell'impossibilità di individuare il personaggio a cui questa confraternita prometteva con solennità «obbedienza». Ma se si trattava di Ugo di Payns, allora colui che si era affiliato per ultimo aveva appena dichiarato di essere pronto a sottomettersi al proprio vassallo; un'eventualità, questa, molto insolita, che potrebbe essere il sintomo di una «febbre del tesoro» oppure potrebbe dimostrare l'esistenza di un vincolo di obbedienza a un consiglio di membri del gruppo dei Rex Deus.

La squadra continuò a scavare fino al Natale del 1127, quando i cavalieri si ritennero certi di avere scoperto anche il più piccolo frammento di tesoro e tutti i manoscritti. Di lì a una i settimana Ugo di Payns lasciò la Città Santa diretto a Troyes, dove ricevette la bozza della regola, scritta da Bernardo ma consegnatagli dal cardinale di Albano. Dopodiché intraprese un viaggio di reclutamento in Europa, stabilendo delle tappe in modo da poter dare istruzioni ai vari affiliati del gruppo dei Rex Deus lungo il tragitto. Fu in quest'occasione che si fermò per una visita lampo in Scozia, presso la famiglia della moglie, a cui presumibilmente affidò i preziosi manoscritti.

Essendo il luogo più lontano da Roma ove rifugiarsi, quello era anche il nascondiglio più sicuro per documenti eretici, contenenti resoconti della vita di Gesù e Giacomo che raccontavano la storia dei paladini della libertà del popolo ebraico piuttosto che dell'avvento del figlio di Dio.

Al termine del suo viaggio in Europa, Ugo di Payns, divenuto primo Gran maestro dei Templari, ritornò a Gerusalemme con trecento cavalieri pronti a eseguire i suoi ordini. Era anche riuscito a strappare la promessa di un sostegno finanziario e a ottenere in dono diverse proprietà, che sarebbero state ottime coperture per gli inestimabili tesori di cui erano venuti improvvisamente in possesso.

Per la prima volta dopo oltre un millennio le famiglie dei Rex Deus erano rientrate in possesso dei propri beni e detenevano nuovamente il controllo di Gerusalemme e del Tempio. Ma nell'aria aleggiavano già i timori per la successione di Baldovino II, che non aveva eredi maschi. La successione di un membro del gruppo fu garantita dal matrimonio di Folco d'Angiò, rimasto vedovo, con la figlia di Baldovino, Melisenda.

Una volta raggiunto lo scopo originario, l'ordine dei Templari cominciò una vita indipendente, quasi certamente in conseguenza dei documenti rinvenuti sotto le rovine del Tempio. Nel giro di pochi anni cominciarono a circolare voci di strani rituali praticati dagli affiliati e si raccontarono storie sulle imprese dei Templari. I manoscritti dei nazarei che costoro si erano fatti tradurre tramandavano una versione dei fatti riguardante Gesù e la Chiesa di Gerusalemme ben diversa da quella ufficiale. Avevano così appreso che Gesù era un capo regale, non un dio, e che la Risurrezione era un malinteso di Paolo. I riti celebrati da Gesù e dai suoi seguaci erano antichi anche per loro e coinvolgevano nel gruppo i candidati iniziati sottoponendoli alla risurrezione dei vivi, durante la quale essi attraversavano una fase di morte metaforica ed erano avvolti in teli funerali bianchi. Risuscitando poi dalla tomba con l'ausilio di un rito sacro, il «risorto» diventava un membro della confraternita, un nuovo «soldato del Tempio», pronto a seguire le orme degli uomini morti in difesa della Città Santa nel 70 d.C.

I Templari intrapresero un cammino indipendente a partire dal 1128 e le persone, chiunque esse fossero, responsabili dell'istituzione di quest'ordine continuarono a interagire con esso e a partecipare insieme con gli affiliati a un grande periodo dell'architettura europea. Nei diciassette anni successivi Bernardo di Chiaravalle fondò più di novanta monasteri e i Templari non smisero di dare il loro contributo alla progettazione e alla costruzione di chiese e di comunità su tutto il territorio europeo, nonché di ottanta grandi cattedrali, la più famosa delle quali è la splendida Notre-Dame a Chartres.

L'ordine dei Cavalieri templari era sorto grazie agli sforzi congiunti di un certo numero di Rex Deus infiltra tisi in posizioni chiave per garantire la buona riuscita dell'ambizioso progetto di recupero di alcuni manufatti da sotto le rovine del Tempio di Erode. Una volta costituito secondo le aspettative dei suoi ideatori, l'ordine crebbe rapidamente, acquisendo fama e fortuna. Alla morte di Ugo di Payns i Templari erano già impegnati nell'edificazione di comunità e di chiese in tutta Europa. E non appena il loro nome cominciò a diffondersi, si sentì dire che erano loro i custodi del Santo Graal.

I Tarocchi

Si diceva che i Templari avessero fatto propria una tecnica orientale di narrare storie in varie versioni, a seconda di come le carte venivano mescolate e descritte. Secondo alcuni, i tarocchi sarebbero nati in Cina o in India e sarebbero stati in origine molto diversi, per forma e per aspetto, dalle carte usate in Europa. Molti storici sono convinti che la paternità dei tarocchi sia da attribuire ai Templari.

I tarocchi sono costituiti da cinquantasei carte note come minori e da ventidue carte illustrate, dette arcani maggiori. Dagli arcani minori si svilupparono le moderne carte da gioco, consistenti di serie di bastoni (fiori), coppe (cuori), spade (picche) e ori (quadri). Inizialmente ciascuna sequenza era formata da quattordici carte: quattro figure (re, regina, cavallo e fante, o Jack) e le carte numerate dall'asso al dieci. I quattro pezzi mancanti al moderno mazzo di cinquantadue carte sono i cavalieri di ciascun seme, che scomparvero subito dopo l'accusa di eresia rivolta ai Templari, quando la Chiesa si risolse a cancellare ogni traccia dell'ordine.

La carta più immediatamente offensiva per la Chiesa era quella della grande sacerdotessa, o papessa, un pontefice al femminile. È cosa nota, per quanto singolare, che nella Chiesa cristiana primitiva si fosse diffusa la convinzione che il primo papa non fosse stato san Pietro, bensì Maria Maddalena, la quale avrebbe ricevuto la propria autorità spirituale da Gesù in persona.

Si legge nel Vangelo di Maria che il privilegio delle apparizioni e del discernimento fosse accordato più a Maria Maddalena che a Pietro. Un altro testo, il Dialogo del Redentore, la descrive come l'apostolo eccellente, superiore a tutti gli altri... «una donna che sapeva tutto». La Chiesa cattolica respinse i vangeli contenenti allusioni all'eguaglianza della donna con l'accusa di gnosticismo. Ma proprio da queste versioni emerse con chiarezza la lotta per il potere che oppose Pietro a Maria Maddalena. Non è difficile comprendere allora perché mille anni dopo l'enunciazione ufficiale del credo romano cattolico apostolico da parte del Concilio di Nicea, l'ultimo desiderio della Chiesa fosse la circolazione di notizie che potessero insidiare la sua pretesa all'autorevolissima successione apostolica attraverso Pietro. La Chiesa cattolica apostolica romana si fondava sull'idea del dominio dell'uomo sulla donna. Persino oggi il Vaticano mostra un certo fastidio nei confronti del sempre più diffuso fenomeno della liberalizzazione messa in atto da altre comunità religiose, che riconoscono alle donne il diritto al sacerdozio.

Sapevamo che gli insegnamenti del cristianesimo delle origini non contaminati dall'influenza di Roma erano ispirati a una concezione ben diversa del ruolo della donna. La Chiesa celtica, che aveva le sue radici nel cristianesimo alessandrino ed era diffusa in Irlanda, Scozia, Galles e Inghilterra settentrionale, credeva che la donna avesse lo stesso diritto dell'uomo al sacerdozio e conservò quest'idea finché non venne assorbita dalla Chiesa cattolica nel 625 d.C, in occasione del Sinodo di Whitby. Stando alle cronache, i primi Padri della Chiesa riconoscevano l'autorità di Maria, ma gli storici ecclesiastici di epoca successiva avevano finito per mettere l'accento sulla sua reputazione di prostituta.

A quanto pare Maria Maddalena, la meretrice divenuta somma sacerdotessa, era una figura fondamentale per i Templari.

Due secoli dopo Bernardo, mentre la Chiesa faceva sparire la carta della papessa, si diffusero delle voci sull'esistenza, in tempi recenti, di un pontefice donna di nome Giovanna. Si diceva che Giovanna, figlia di genitori inglesi, si fosse invaghita di un monaco benedettino e fosse fuggita con lui ad Atene, travestita da uomo. Alla morte dell'amato, fingendosi ancora una volta uomo, la futura papessa si sarebbe fatta sacerdote percorrendo tutti i gradi fino a diventare cardinale e, quindi, a occupare il seggio di Pietro con il nome di papa Giovanni VIII. La papessa sarebbe morta di parto durante una processione papale, nell'imbarazzo generale.

Benché non ci siano prove della veridicità di questa storia, essa godette del pieno credito sia della Chiesa sia dell'opinione pubblica. Il busto della donna, recante la didascalia «Johannes VIII, femina ex Anglia» (papa Giovanni VIII, donna inglese), è ancora oggi presente in mezzo ad altri busti papali nella cattedrale di Siena.

La vicenda dovette causare non pochi fastidi al papato, che prese provvedimenti affinchè uno scandalo simile non dovesse più ripetersi in futuro. Tutti i cardinali candidati al seggio pontificio erano obbligati a sedere nudi accanto alla propria tunica, su un sedile appositamente costruito, rialzato e aperto come la tazza del gabinetto, in modo che i compagni potessero ispezionarne i genitali da sotto e pronunciare, al termine della visita, il seguente verdetto formale: «Testiculos habet, et bene pendentes» (Ha i testicoli, e sono ben attaccati).

I tarocchi comunicano la convinzione ebraica e templare che il matto (metafora del novizio) possa guadagnarsi la salvezza mediante le proprie azioni, senza la mediazione di Cristo o della sua Chiesa, quando invece la Chiesa insegna che si può ricevere la grazia di Dio soltanto attraverso la fede esclusiva in Gesù Cristo.

Le altre Crociate

La Prima crociata, nel 1096, si era conclusa con la conquista cristiana della Terra Santa e con la formazione del regno latino di Gerusalemme. Tutt'altro che disposti a mettersi in disparte, gli eserciti musulmani ripresero possesso della regione di Edessa, fornendo così il pretesto per la Seconda crociata nel 1147, durante il regno di Luigi VII di Francia e dell'imperatore Corrado III. Un'impresa che, tuttavia, non fu gloriosa quanto la precedente, visto che il suo unico successo fu la presa di Lisbona, in Portogallo, da parte di crociati inglesi e frisoni diretti per nave in Terra Santa.

La Terza crociata ebbe tra i suoi condottieri i ben noti re Riccardo I (Cuor di leone) d'Inghilterra, Federico I (Barbarossa) di Germania e Filippo II (Augusto) di, Francia, ma anch'essa non conseguì alcun risultato importante. Federico morì annegato durante la traversata verso la Glieia, e da quel momento in poi la missione perse la sua compattezza, perché Riccardo e Filippo cercarono di seguire ciascuno la propria strada, anziché collaborare. Alla fine i porti di Acri e Giaffa furono conquistati, ma questo fu l'unico risultato significativo ottenuto dalle milizie crociate.

La Quarta crociata (1202-1204) vide l'attacco alla città cristiana di Zara, in Dalmazia, e la presa di Costantinopoli, saccheggiata dei suoi tesori e delle sue reliquie sacre prima dell'ascesa di Baldovino, conte di Fiandra, sul trono imperiale latino di Costantinopoli.

La Quinta crociata vide Federico II incoronatore di Gerusalemme (1229), un titolo che mantenne fino alla sua deposizione da parte dei tartari quattordici anni più tardi. Quando, nel 1244, Gerusalemme cadde nelle mani dei mussulmani, re Luigi IX di Francia progettò e finanziò un'ingente spedizione in Medio Oriente, che gli costò quattro anni di ambiziosi progetti. Alla fine di agosto del 1248 il re s'imbarcò con il suo esercito alla volta di Cipro, dove trascorse l'inverno completando i preparativi per la conquista della Terra Santa. Adottando la stessa strategia applicata durante la Quinta crociata, Luigi sbarcò in Egitto e il giorno seguente espugnò Damietta senza alcuna difficoltà. Il bersaglio del suo attacco successivo, che tuttavia si risolse in un disastro totale, fu Il Cairo, nella primavera seguente.

Il fallimento dell'esercito francese veniva a confermare l'impressione che si stava consolidando tra i nobili d'Europa e cioè che le crociate fossero inutili. Re Luigi ora aveva tutto il tempo di dedicarsi alle difficoltà interne al suo regno, fra cui l'annosa questione dei rapporti con gli inglesi, che possedevano una buona parte del Regno di Francia.

Allo scopo di avviare con lui un dialogo proficuo, Luigi invitò Enrico III d'Inghilterra a Parigi nel 12543 e lo fece alloggiare con il suo seguito nel Tempio della città, presso i Templari, poiché era quello l'unico luogo sufficientemente ampio e spazioso nelle vicinanze. Il risultato di questo raduno conviviale fu la stesura del Trattato di Parigi nel 1259, che restituì al re inglese i diritti sulla Guascogna, che si trovava sotto il dominio del re francese.

Dopo avere fissato i confini del regno, Luigi annunciò la propria intenzione di mettersi alla testa di un'altra crociata, nonostante la forte opposizione della nobiltà. Durante questo periodo in cui spese militari straordinarie gravavano sulla Francia, il papa concesse al sovrano il permesso di riscuotere le tasse anche dal clero francese, una concessione che il futuro re di Francia, nipote di Luigi, avrebbe interpretato come un proprio diritto. L'imbarco del nuovo esercito cristiano fu posticipato a causa di una malattia del re. Rimessosi in forze quel tanto che bastava a prendere il largo, a Tunisi Luigi si ammalò di nuovo e morì, prima che l'esercito avesse intrapreso una qualsiasi importante azione militare. I visceri del re vennero sepolti a Monreale, mentre le ossa furono riportate a Saint-Denis dove vennero tumulate nel 1271. Qui le reliquie del sovrano divennero il centro di un culto in espansione, che ufficiosamente riconosceva al defunto la dignità di santo, anche se la canonizzazione vera e propria avvenne soltanto qualche anno dopo.

Sembra che, a quel tempo, i culti sorti attorno a reliquie sacre fossero un fenomeno alquanto diffuso. In un'epoca arretrata dal punto di vista del sapere scientifico quasi tutti erano soggiogati dalle superstizioni, e le parti del corpo di persone famose, così come altre reliquie a esse legate, erano spesso considerate sante e capaci di indurre guarigioni miracolose. Il fatto che di tanto in tanto sorgessero centri di culto eterodosso attorno alle mistiche reliquie di individui un tempo potenti rappresentò spesso un problema per la Chiesa, perché il popolino poteva, tutto d'un tratto, accordare la propria devozione a icone e idee che sfuggivano al controllo ecclesiastico.

La Chiesa da sempre reagisce alle nuove credenze, che incontra in altri paesi o che si diffondono nel suo territorio, con una procedura in tre fasi:

  1. Irrisione. Le opinioni non gradite vengono dapprima ridicolizzate e criticate. Se ciò risulta impraticabile, o semplicemente infruttuoso, si passa alla seconda fase.
  2. Assimilazione. La Chiesa fa proprie le suddette credenze, sottoponendole a un processo di cristianizzazione. Si tratta di un fenomeno che ha investito tutte le culture del mondo. Oggi i sacerdoti cattolici operanti in alcune regioni dell'Africa sono autorizzati non soltanto a sposarsi, ma persino ad avere più mogli, perché le antiche usanze tribali sono state assorbite dal «nuovo» cammino cristiano verso Dio. Se questo processo di assimilazione non da risultati, la Chiesa passa all'ultima fase.
  3. Eliminazione. La Chiesa ha torturato, menomato e ucciso individui decisi a non sacrificare la propria libertà di pensiero al papato.

Del trattamento riservato a chi non voleva sottomettersi al dogma papale la Chiesa aveva già dato una dimostrazione all'inizio del XIII secolo, durante la cosiddetta Crociata contro gli albigesi, che aveva sconvolto gran parte della Francia in un processo di purificazione religiosa. In un primo tempo il papato aveva cercato di riconvertire gli eretici con mezzi pacifici. Fallito il tentativo, tuttavia, papa Innocenzo III aveva ordinato la costituzione di un esercito crociato che, in vent'anni, avrebbe annientato centinaia di migliaia di persone e risparmiato soltanto piccoli gruppi di albigesi, riparatisi in zone isolate. L'Inquisizione avrebbe poi continuato la persecuzione di questi sfortunati fino al XIV secolo. Il massacro degli abitanti di Béziers a opera di Simone di Montfort durante quest'empia crociata è la dimostrazione della crudeltà con cui la Chiesa trattò coloro che erano tacciati di eresia. Fu in quest'occasione che, alla domanda su come un soldato avrebbe potuto distinguere un eretico da un cristiano, Montfort diede l'infame risposta: «Ammazzateli tutti. Sarà Dio a decidere chi sta dalla sua parte».

L'esito di questa crociata nazionale fu un immenso bagno di sangue sia tra gli albigesi sia tra i cristiani innocenti, ma nonostante la sua spieiata offensiva la Chiesa non riuscì a tenere sotto controllo il movimento eretico.

Divenendo sempre più evidente l'inadeguatezza delle autorità tradizionali, la tendenza naturale è quella di rivolgersi a nuove fonti di potere. E tali possono essere considerate, per l'appunto, le reliquie capaci di interventi miracolosi a favore dei loro devoti. Così, quando il culto delle reliquie di Luigi IX acquisì troppa importanza, trasformandosi in un elemento di forza per i re di Francia, nel tentativo di attenuarne la portata papa Bonifacio VIII neutralizzò la nuova minaccia accogliendo una petizione inviata dai fedeli di Saint-Denis e includendo subito Luigi IX nel novero dei santi della Chiesa cattolica apostolica romana.

Che l'epoca delle crociate fosse per sempre tramontata fu un dettaglio che certo sfuggì all'attenzione del figlio di Luigi, Filippo III, il quale partecipò a una fallimentare Crociata aragonese, che costò a lui la vita e al paese 1 milione 229.000 sterline, una cifra davvero astronomica per quei tempi. Le imprese insensate di Filippo III fecero precipitare l'economia francese a un livello tale da rendere impensabile qualsiasi possibilità di recupero attraverso le consuete risorse della corona. Le entrate annuali della monarchia francese ammontavano in quell'epoca a 656.000 sterline, e le normali spese di esercizio dello Stato a 652.000 sterline. I costi della spedizione militare fallita di Filippo aprirono un debito enorme, che avrebbe avuto notevoli ripercussioni sia sullo Stato sia sulla Chiesa. Sarebbe spettato al figlio di Filippo III, Filippo IV, il compito di dimostrare che l'epoca delle crociate e degli ordini militari cristiani cui esse avevano dato vita era ormai tramontata.

Filippo IV detto "Il Bello"

Pur non avendo conosciuto il nonno santificato, Filippo IV, detto «il Bello», che alla morte di Luigi IX aveva soltanto tre anni, crebbe nell'ombra delle devote imprese dell'avo. Memore, non senza una certa amarezza, della riluttanza dei Templari a pagare il riscatto del nonno dopo la fallita spedizione militare, Filippo avrebbe rievocato questo incidente durante il suo attacco all'ordine. Con la corona il giovane Filippo ereditò anche la tradizione di un nonno santo a cui tener fede e un paese in totale bancarotta. Il culto di san Luigi, a cui si votò, rappresentava ai suoi occhi il culmine della potenza della monarchia francese, con l'unione dei ruoli di re e di sacerdote in una sola persona. L'istruzione di Filippo fu affidata a Egidio Romano, il futuro arcivescovo di Bourges, un uomo dalla forte personalità e dalle opinioni precise circa i doveri e le responsabilità della monarchia. All'epoca della sua ascesa al trono, il diciassettenne Filippo aveva già sviluppato una presunzione profonda, fondata sulla fiducia in ciò che il suo mentore gli aveva detto: «Gesù Cristo non ha conferito alla sua Chiesa la sovranità temporale; il re di Francia deriva la propria autorità soltanto da Dio». Se già il fatto di essere il nipote di un santo era assai importante per Filippo, l'educazione impartitagli da Giles de Colonna fece di lui un monarca refrattario a inchinarsi dinanzi a qualsiasi uomo e indocile al volere della Chiesa.

Dal padre Filippo IV ereditava tre cose: un regno gravato di debiti, un matrimonio combinato e l'amore per la caccia. Incoronato re nel 1285, il diciassettenne Filippo calcolò che per estinguere il debito accumulato dal padre gli ci sarebbero voluti più di tre secoli anche se avesse usufruito di tutte le entrate a sua disposizione, e senza includere gli interessi. Ed egli non aveva alcuna intenzione di affrontare un'intera vita di stenti.

È opinione di alcuni storici che Filippo fosse ossessionato dall'idea di dover emulare le imprese militari del nonno, Luigi IX, e che il declino dei due principali ordini crociati, quello dei Templari e quello degli Ospedalieri, gli avesse dato l'opportunità di unirli sotto l'autorità di un unico capo, ruolo al quale egli stesso ambiva. Si è persino avanzata l'ipotesi che Filippo avesse preso in considerazione la possibilità di rinunciare al trono francese per poter essere incoronato re di Gerusalemme, alla testa di un ordine unificato. Un'ipotesi che ci sembra alquanto improbabile, dal momento che dal suo comportamento non trapelava alcun interesse particolare per quest'idea: nei suoi ventinove anni di regno non cercò mai, nemmeno per una volta, di partecipare a una crociata, mentre l'attenzione mostrata per il tesoro dell'ordine dei Templari di Parigi sembrerebbe confermare il movente finanziario. Per ridare stabilità alla valuta francese, il re avrebbe avuto bisogno di una nuova fonte di metalli preziosi per la coniazione. E il tesoro templare era proprio ciò che faceva al caso suo. Le tecniche di amministrazione delle ricchezze studiate dai tesorieri templari per finanziare le crociate comprendevano la custodia di atti legali, disposizioni testamentarie e oggetti di valore e la contabilità dei pagamenti per la gestione dei beni patrimoniali. Grazie a questi sistemi un qualsiasi governo sarebbe stato in grado di incrementare al massimo gli introiti fiscali. I sovrani d'Europa compresero ben presto che i Templari possedevano le competenze finanziarie che a loro mancavano, e i Templari, fiduciosi nella propria indipendenza temporale, furono contenti di collaborare alla fornitura dei primi servizi bancari del mondo. Le ricchezze e la rete finanziaria dei Templari avrebbero esercitato sul re francese una sorta di attrazione fatale. L'unico problema era costituito dal fatto che i Templari rispondevano non a lui ma solo al papa.

Al nonno di Filippo il Bello il pontefice aveva assicurato il diritto, in tempo di guerra, di imporre alla Chiesa e alla collettività una tassa straordinaria, per soddisfare le esigenze dello Stato e per garantire la difesa del regno. Nel tentativo di ridurre la mole dei debiti, Filippo ripristinò la tradizione e tassò la Chiesa come ulteriore, regolare e conveniente fonte di reddito. Per impedire al sovrano di ricorrere a questo sistema per pagarsi le spese militari, nel 1302 papa Bonifacio VIII emanò una bolla che vietava al clero l'elargizione di sussidi alle autorità laiche senza il permesso del papato. L'immediata reazione di Filippo fu schietta e sincera. Il sovrano emanò un'ordinanza che proibiva l'esportazione di oro, argento e di altre merci dalla Francia, impedendo di fatto il trasferimento di fondi dal suo paese a Roma e mettendo fine, in un sol colpo, a buona parte degli introiti ponti fici.

Ai tempi in cui era soltanto il cardinale Benedetto Caetani, Bonifacio VIII aveva avuto una movimentata serie di avventure amorose, venne accusato, tra le altre cose, di volgare condotta sessuale. Il papa era bisessuale e sicuramente eclettico nei suoi gusti amorosi, avendo avuto come amanti una donna sposata e sua figlia e avendo tentato di sedurre, a quanto pare con buoni risultati, un certo numero di affascinanti giovanotti. Viene attribuita a lui l'affermazione che l'atto sessuale «non è più peccaminoso che fregarsi le mani». Che Bonifacio praticasse l'adulterio e la sodomia è cosa risaputa, ma è alquanto improbabile che egli sia arrivato agli eccessi di cui parlava Nogaret: convocati gli Stati generali, il cancelliere accusò il papa di simonia e stregoneria. In particolare, Bonifacio avrebbe custodito nell'anello un docile demonietto, che appariva nottetempo e si abbandonava insieme a lui a ineffabili depravazioni nel talamo pontificio.

Per nulla scoraggiato da questa fantasiosa offensiva, il papa inviò in Francia dei commissari insistendo affinchè il clero francese si conformasse alle sue istruzioni e sembra che ci sia stata una violenta discussione prima che il sovrano, sua moglie e suo figlio si impegnassero solennemente a difendere tutti gli uomini di Chiesa che si fossero schierati a favore dell'indipendenza del paese contro le usurpazioni del papato. Quando il re intercettò la bolla papale contenente la scomunica diretta a lui e riuscì a impedirne la pubblicazione, gli eventi avevano ormai preso una piega farsesca. Fu allora che, perso del tutto l'autocontrollo, Bonifacio offrì il trono di Francia all'imperatore Alberto in virtù della donazione di Costantino, che gli dava l'autorità di incoronare o di destituire un re. La diatriba assunse, così, toni estremamente gravi. Nessuna delle due parti era intenzionata a desistere e Filippo aveva in serbo un colpo da maestro contro l'ottantaquattrenne papa. Giocando sul presupposto che ogni nemico del suo nemico doveva essere un suo alleato, Filippo diede asilo ai membri della famiglia Colonna, avversari personali di Bonifacio. No-garet partì per l'Italia con Sciarra Colonna e un drappello di trecento cavalieri, e assunse un numero sufficiente di «patrioti francesi» per improvvisare una sommossa davanti ai cancelli del palazzo pontificio ad Anagni la mattina del 7 settembre 1303.

Un servitore del papa, corrotto a dovere, aprì i cancelli ai «patrioti», che si sparpagliarono dappertutto gridando: «Lunga vita al re di Francia, morte a Bonifacio». Approfittando di questo diversivo, Colonna e gli altri italiani si fecero strada fino a Bonifacio, che attendeva la morte, inginocchiato dinanzi all'altare con indosso i paramenti pontifici. Se, per un eccesso di timor sacro, non uccisero il papa, gli italiani lo tennero però prigioniero per tre giorni, durante i quali lo sottoposero a pesanti maltrattamenti fisici, finché i cittadini di Anagni non riuscirono a liberarlo, allontanando le forze francesi.

Il fallimento del tentato sequestro non impedì a Filippo di convocare gli Stati generali a Parigi, allo scopo di processare Bonifacio in absentia. All'elenco dei capi di accusa contestati al pontefice, oltre alle incriminazioni già citate, vennero ad aggiungersi l'eresia, la mancata fede nella vita oltre la morte e l'assassinio del suo predecessore, Celestino V. Sfortuna volle, però, che Bonifacio morisse d'infarto, forse in conseguenza dello stress della prigionia, poche settimane dopo il rientro a Roma, cosicché le accuse non poterono mai essere esaminate da un tribunale. Quando Bonifacio morì, la Chiesa cattolica si trovava in una situazione di gravissimo disordine spirituale e politico. Poiché la gerarchia ecclesiastica rappresentava il regno sovrano di Cristo sulla Terra, la Chiesa aveva sempre considerato come un proprio diritto legittimo la gestione degli affari temporali del mondo. Vescovi e sacerdoti, cioè, avrebbero dovuto esercitare la sovranità di Cristo negli affari delle nazioni, mentre al papa sarebbe spettato il ruolo di dominatore assoluto, essendo la supremazia del pontefice uno degli enunciati fondamentali della religione cattolica.

Il predominio ecclesiastico e una crescente consapevolezza della corruzione a esso legata portarono a poco a poco a interrogarsi più in generale sul ruolo della Chiesa e ciò non fece che rendere quest'ultima sempre più irritabile nei confronti delle «eresie», ossia di tutti i modi di pensare che non erano emanazioni del papato. All'interno della Chiesa andava crescendo il dissenso dottrinale e il mondo sembrava perseguitato da un numero insolitamente alto di calamità naturali, che cominciavano a far nascere nella collettività l'idea che Dio non fosse a fianco della Chiesa.

In simili periodi il culto delle reliquie e la nostalgia per un'età dell'oro ormai passata diventano importanti fonti di conforto per la gente comune, che ha perduto fiducia in coloro cui soleva rivolgersi per ricevere un sostegno e una guida. Le crociate cattoliche avevano ridotto diversi Stati sul lastrico, senza redimere la Terra Santa, e all'inizio del XIV secolo i primi focolai della peste bubbonica esplosero con violenza, come se provenissero dall'inferno. Se la responsabilità della malevolen- za divina non poteva addebitarsi alla Chiesa, occorreva trovare un altro capro espiatorio. Gli ebrei, come si è visto, erano già stati perseguitati. Nel giro di poco tempo sarebbe stato necessario rintracciare nuove vittime. In un primo tempo il successore di Bonifacio, papa Benedetto XI, incontrò l'approvazione di Filippo ritirando la scomunica emanata dal suo predecessore contro il sovrano francese. Ma, una volta consolidato il proprio pontificato, il nuovo papa sentì l'obbligo di adoperarsi per la restaurazione dell'autorità della Santa Sede, che Bonifacio non era stato in grado di conservare. Dal canto suo, Filippo, che non aveva alcuna intenzione di riaccendere la lotta per la supremazia temporale, da cui riteneva di essere uscito vincitore in passato, evitò una discussione inutile e indesiderata disponendo che Benedetto fosse avvelenato. Il papato rimase vacante, ma non fu così facile eleggere un nuovo pontefice.

Le proposte dei cardinali francesi controbilanciavano quelle dei loro colleghi italiani. Nel conclave la situazione di stallo si protrasse per dieci mesi. Per uscire da questo vicolo cieco, gli agenti di Filippo suggerirono che una parte selezionasse tre candidati, tra i quali l'altra parte avrebbe poi eletto il pontefice. Il candidato scelto da entrambe le parti fu Bertrand de Got, arcivescovo di Bordeaux, un uomo che aveva non poche ragioni per disprezzare sia il re sia suo fratello, Carlo di Valois. Il cardinale di Prato avvertì Filippo che Bertrand aveva un carattere ambizioso e malleabile che sarebbe stato perfetto per gli scopi del re e, se il re gli avesse parlato, avrebbe potuto rendersi conto di quelli che erano i suoi interessi.

Senza indugi Filippo predispose un incontro privato con Bertrand presso l'abbazia di Saint Jean d'Angely nella Guascogna, dove comunicò al prelato che, in virtù della propria autorità, avrebbe potuto nominarlo papa, a patto che fossero concordate sei indispensabili condizioni. I servigi richiesti da Filippo in cambio del trono di Pietro erano i seguenti:

  • l'assoluta riconciliazione con la Chiesa;
  • l'ammissione alla comunione per lui e per le persone da lui nominate;
  • la consegna, per cinque anni, delle decime del clero francese, necessarie a finanziare la guerra nelle Fiandre;
  • la persecuzione e l'annientamento della memoria di papa Bonifacio Vili;
  • la nomina al titolo di cardinale di Giacomo e Pietro Colonna.
Filippo non volle definire la sesta condizione e disse: «II sesto favore è grande e segreto. Mi riservo il diritto di richiederlo nel luogo e nel momento opportuni».

Il comportamento tenuto in seguito da Filippo lascia intendere che questa misteriosa condizione non poteva essere nient'altro che la condiscendenza e la collaborazione del papa all'arresto dei Templari con l'accusa di eresia e, di conseguenza, l'autorizzazione al trasferimento dei beni dell'ordine nelle casse dello Stato francese. Poiché i Templari erano responsabili soltanto dinanzi al papa, Filippo sapeva benissimo che non avrebbe mai potuto farla franca nel svio progetto piratesco se non avesse dato l'impressione di agire con la benedizione del papa.

Non correva buon sangue tra il re e l'arcivescovo, ma Bertrand era un uomo ambizioso e accettò le condizioni di Filippo, che comprendevano l'impegno da parte del futuro papa di risiedere in territorio francese, rendendo in tal modo necessario il trasferimento della sede pontificia. Bertrand fu eletto papa, con il nome di Clemente V, a Lione il 17 dicembre 1305. Accettando le condizioni poste dal monarca francese, il nuovo vescovo di Roma compromise l'autorità del papato per i successivi cinquant'anni, noti nel loro insieme come «cattività avignonese» e da allora assimilati dalla Chiesa cattolica all'epoca della cattività babilonese degli ebrei.

Il primissimo atto del nuovo pontefice fu la nomina a cardinali di dodici seguaci di Filippo, tra cui i fratelli Colonna, seguita in breve tempo dall'adempimento delle restanti promesse, fatta eccezione per la distruzione della memoria di papa Bonifacio, un favore a cui Filippo rinunciò su consiglio del cardinale di Prato. In cambio, e anche per contribuire a risolvere le difficoltà finanziarie del regno, Clemente diede la sua approvazione per la messa al bando degli ebrei dalla Francia e per la confisca dei loro beni, che confluirono nelle casse vuote dello Stato. In quest'epoca era diffusa tra i nobili europei la convinzione che fosse ormai impossibile per loro sottomettere i musulmani i d'Oriente con la sola forza delle armi. Per questo molti di loro cominciarono a mettere in dubbio la necessità degli ordini militari, visto che non erano capaci di proteggere la Terra Santa. Nel periodo successivo alla Settima crociata, nel 1274, durante il II Concilio di Lione si era discussa l'eventualità di unire gli Ospedalieri e i Templari in un unico ordine militare, un progetto respinto con forza dai capi dei due ordini, i quali, per nulla propensi a rinunciare alle ricchezze e allo status privilegiato, fecero ricorso a tutta la loro influenza per scongiurare l'ipotesi della fusione. Ciò nonostante, questa eventualità non fu mai scartata del tutto, perché molti erano invidiosi dei privilegi, tra cui l'esenzione dalla gran parte delle decime e delle imposte, riservati ai cavalieri di entrambi gli ordini.

Nella primavera del 1291 il porto di Acri cadde in mano ai musulmani dopo una battaglia in cui morirono il Gran maestro e moltissimi cavalieri. Il mondo cristiano perdeva così la sua ultima postazione sicura in Terra Santa. A quel punto i Templari, rifugiati a Cipro, dovevano considerare il proprio futuro con estrema attenzione, consapevoli che, in breve tempo, gli appelli alla riorganizzazione e al ripensamento sarebbero stati sempre più energici.

La posizione pubblica dei Templari si era fatta estremamente delicata. Per molti anni i cavalieri si erano deliziati dei sempre più numerosi racconti sulle loro quasi sovrannaturali doti di combattenti; si erano beati dell'importanza che di riflesso veniva loro concessa in virtù del leggendario legame con i mitici guardiani del Graal; e si erano compiaciuti di essere considerati i moderni cavalieri della Tavola rotonda. In effetti, tra il 1190 e il 1212, i Templari si erano fatti promotori di una versione della leggenda del Graal, nota con il titolo di Perlesvaus, che era stata scritta da uno dei loro affiliati e nella quale i monaci guerrieri sono chiaramente indicati come i custodi del Graal e i successori di re Artù. Ma la festa sembrava sul punto di finire.

Cacciati dalla Terra Santa dai musulmani, i Templari vivevano ora in qualità di ospiti poco graditi alla corte di Enrico di Cipro e avrebbero ben presto dovuto ripensarsi in un ruolo completamente nuovo oppure affrontare l'eventualità degli insistenti inviti alla fusione con gli Ospedalieri. Per rivitalizzare e ricostruire l'ordine in un periodo tanto difficile c'era bisogno di un Gran maestro forte, lungimirante, un degno prosecutore della tradizione di leadership che discendeva da Ugo di Payns. Il successore del Gran maestro Guglielmo di Beaujeu, morto in battaglia ad Acri, fu Teobaldo Gaudin, che però morì anche lui dopo qualche mese. Anziché Hugo de Pairaud, giunto secondo nelle precedenti elezioni, a capo dell'ordine fu posto, contro ogni aspettativa, un cavaliere originario di un paesello vicino a Besancon, nella Francia orientale, che sarebbe stato l'ultimo Gran maestro dei Templari e che, dopo la sua morte, sarebbe stato guardato con timore dalla Chiesa come un secondo messia.

Jacques De Molay

Nato in una famiglia della piccola nobiltà nel 1244, Jacques de Molay fu iniziato all'ordine dei Templari all'età di ventun anni, nella città di Beaune, nella Costa d'Oro. Il giovane Templare prestò servizio nell'ordine in Oriente sotto la guida del Gran maestro Guglielmo di Beaujeu, giungendo nell'Outremer (così venivano designate le terre d'Oriente) molto probabilmente dopo il Concilio di Lione del 1275, all'età di trent'anni circa. Visitò, quindi, l'Inghilterra, diventando, a detta di alcuni storici, Maestro del Tempio di quel paese, prima di essere eletto Gran maestro di tutto l'ordine.

Poco dopo la sua nomina, Molay fece visita al neoeletto papa Bonifacio VIII a Roma. Dopo le terribili perdite subite dai Templari durante la presa di Acri, il Gran maestro era comprensibilmente ansioso di ottenere il sostegno del pontefice per rafforzare la debole posizione dell'ordine. I due discussero del futuro dei Templari e il papa sollevò la questione di una loro eventuale fusione con gli Ospedalieri. Quando in seguito Filippo il Bello avanzò la stessa proposta, Molay dichiarò che Bonifacio l'aveva del tutto respinta. Al termine di quell'incontro, Bonifacio emanò una bolla papale con cui garantiva ai Templari stanziati a Cipro gli stessi diritti goduti in Terra Santa, un gesto questo che sembrerebbe confermare la dichiarazione di Molay, il quale, lasciata Roma, intraprese viaggi sia in Inghilterra sia in Francia, alla disperata ricerca di sostegno per una crociata in Terra Santa, che avrebbe ridato legittimità all'ordine.

Durante il viaggio verso Londra, dove avrebbe incontrato Edoardo I di Inghilterra, Molay si fermò nel Tempio di Parigi. All'epoca il Gran maestro doveva essere in ottimi rapporti con il sovrano francese, dal momento che fece da padrino a Roberto, il figlio di Filippo. Si mantenne senza dubbio in contatto con i monarchi visitati durante il viaggio europeo, perché si sa che ricevette una lettera di Edoardo I da Stirling, datata 13 maggio 1304, con cui il sovrano raccomandava il Maestro del Tempio di Inghilterra ai favori di Molay e annunciava che un giorno, in un futuro non precisato, avrebbe forse intrapreso una crociata per liberare la Terra Santa. Purtroppo Edoardo non riuscì mai a distogliersi dalle sue incursioni in Galles e in Scozia per un periodo abbastanza lungo da poter realizzare il suo devoto desiderio. Molay si trattenne a Cipro fino al 1306. Ma anche quest'isola era sempre più difficile da difendere: con i pirati saraceni che facevano incursione a Limassol quasi a proprio piacimento, l'unica risposta possibile per il Gran maestro era chiedere un riscatto per i prigionieri catturati. L'impopolarità di Molay e del suo ordine, tra l'altro, si era molto accresciuta quando i Templari avevano appoggiato un inutile colpo di Stato ai danni di Enrico, il re di Cipro, ordito dal fratello minore di costui, Amaury. Se il Gran maestro templare era costretto a credere nella riconquista della Terra Santa, perché questo era l'unico modo per assicurare un futuro ai Templari, i giochi politici della Francia gli erano spieiatamente avversi. Inutile era anche solo sperare di poter competere con la monarchia capetingia.

Nel 1306 gli Ospedalieri rinnovarono gli attacchi contro l'isola di Rodi, riuscendo infine a espellere i turchi; così, quando i Cavalieri teutonici spostarono il fulcro della propria attenzione sulla Russia, i Templari rimasero l'unico ordine inattivo. Il quartier generale di Molay e dei suoi uomini a Cipro continuava a subire assalti nemici e si dice che il Gran maestro stesse considerando l'idea di una completa ritirata in Francia. Tuttavia, poiché il re di Francia era in conflitto con il papato, un'azione del genere avrebbe potuto essere considerata una minaccia per Filippo, visto che i Templari rappresentavano ancora una forza militare seria, fedele al papa.

Crediamo che Filippo abbia comunicato l'ultima condizione segreta al suo papa-fantoccio soltanto sei mesi dopo l'elezione di Clemente, perché il 6 giugno 1306 il papa scrisse a Guglielmo di Villaret, Maestro degli Ospedalieri, e a Jacques de Molay invitandoli in Francia per discutere l'accorpamento dei due ordini. Secondo le istruzioni del sovrano, i due avrebbero dovuto «viaggiare con la massima segretezza e con un seguito ridotto, giacché troverete parecchi dei vostri cavalieri su queste rive». Villaret rispose di non poter partecipare all'incontro, perché impegnato in un importante attacco contro l'isola di Rodi, e qui non si può fare a meno di concludere che papa Clemente e re Filippo dovevano sapere perfettamente che l'Ospedaliere non avrebbe potuto piantare in asso la sua campagna offensiva nel bel mezzo di un'incursione e che Molay, occupato soltanto a fronteggiare i soliti assalti dei musulmani a Limassol, non avrebbe avuto alcun pretesto ammissibile per declinare l'invito. Il Gran maestro templare, probabilmente contento di potersi sottrarre a quelle incessanti scaramucce, salpò alla volta del porto francese di La Rochelle con una flotta di didotto navi.

L'idea che Molay avesse un «seguito ridotto» suona quanto meno strana, visto che esso comprendeva 60 tra i suoi più eminenti cavalieri, 150.000 fiorini d'oro e 12 cavalli da soma carichi d'argento ancora non battuto. L'ovvia conclusione è che, riconosciuto in Clemente un burattino governato da Filippo, Molay sperava di poter comperare il favore del re qualora la discussione fosse degenerata, evitando così la temuta fusione dei due ordini.

Lasciata la flotta all'ancora nel porto di La Rochelle, Molay e il suo seguito si diressero alla volta del Tempio di Parigi. All'arrivo del convoglio in città, il re salutò il Gran maestro e il suo tesoro con gran sfoggio di cerimoniali sfarzosi. Molay depositò la cassetta del tesoro dell'ordine nei recinti del Tempio, affidandone la custodia a un sovrano pieno di debiti e assillato dai problemi finanziari.

Molay non poteva rivelare il vero motivo per cui i Templari non potevano unirsi agli Ospedalieri, e cioè il fatto che essi rappresentavano il clero segretamente ripristinato del Tempio di Gerusalemme. Dopo aver discusso la possibilità di una nuova crociata in Oriente, che riteneva insensata senza lo sforzo congiunto di tutte le potenze cristiane, il Gran maestro prese congedo dal papa e ritornò a Parigi.

(Tratto da "Il secondo Messia" di Christopher Knight e Robert Lomas)