CENNI STORICI
La Chiesetta del Trebbio
(da una ricerca di Marsili Renzo)
Premessa
E’opinione ormai acquisita che lo studio del passato aiuta a comprendere il presente e che, conoscendo la storia dell’attività umana impariamo a conoscere noi stessi.
L’artista infatti è interprete della società entro cui opera, reagendo agli stimoli che provengono dal mondo esterno ed esprimendoli attraverso il linguaggio artistico.
Questo è stato uno dei principali motivi per cui è stata scelta l’opera di Matteo da Gualdo situata a Colpalombo, opera che si è messa sempre in contrapposizione alle leggende del paese e a cui questo lavoro, vuol dare una giusta interpretazione storico-artistica.
E’ per questo che tutte le ricerche che sono state effettuate hanno avuto come riferimento la verità sulla storia di un paese che ha avuto i suoi momenti di gloria fin dall’età più remote.
Il lavoro è stato svolto con molto ordine. Prima di tutto si è cercato di capire perché un’opera del 1484 si trovasse su una parete di una chiesetta edificata nel 1642. Quindi la prima parte è stata basata su attente ricerche d’archivio che purtroppo non hanno portato ai risultati desiderati.
Si è passati, in un secondo momento, alla schedatura dell’opera, utile per una più profonda analisi che ci ha permesso di conoscere in modo più particolareggiato l’opera e ha evidenziato dati tecnici che sono serviti come punto di riferimento per le fasi successive. Questi dati sono i seguenti: l’ubicazione,la provenienza, l’oggetto, l’epoca, l’autore, la materia e la tecnica, le misure la condizione giuridica e se sono presenti le iscrizioni riportate sull’opera.
Inoltre sono stati trattati in maniera ampia alcuni argomenti di rilevante importanza per una conoscenza dell’opera esaminata. La descrizione, lo stato di conservazione e l’ipotetico intervento di restauro sono elementi fondamentali per una schedatura, poiché mettono in luce aspetti tecnici e conoscitivi che potrebbero essere trascurati ad una prima visione.
In seguito si è esaminato l’affresco, nella sua composizione, approfondendo le tecniche e le materie che sono seguite con il passare degli anni. In conclusione si è affrontato il problema della materia dell’opera d’arte in quanto, durante la stesura dell’ipotetico intervento di restauro, è emerso alla luce tale problema.
Se nella primavera del 1981 non fosse caduta una trave della cappella e conseguentemente non avesse fatto crollare la metà del tetto, avremmo perduto per sempre un affresco di grande valore storico - artistico.
La cappella, infatti, adibita fin dalla seconda metà del Settecento a magazzino per attrezzi agricoli e foraggi, era quasi completamente ricoperta d’edera e rovi. La generosa disponibilità del proprietario Sig. Germano Magellano, la sensibilità artistica del parroco Don Giuseppe Borio, affermato artista e l’interessamento di tutta la popolazione di Colpalombo, che generosamente decideva di contribuire a proprie spese al restauro sia della cappella che dell’affresco, hanno permesso agli storici dell’arte locale di ammirare una pittura murale rinascimentale di grande valore.
La cappella fu costruitaprima del 2 settembre 1642 giorno in cui il vescovo Orazio Monaldi, insieme al canonico Accoromboni, visita l’oratorio di S. Maria del Trebbio, sito nella parrocchia di Sant’Egidio in Colpalombo, antico comune medioevale.
Nella prima visita pastorale a noi pervenuta si legge:
“Fu edificata a spese dlla Confraternita del S.S. Sacramento e Con le elemosine di Francesco Ercolano Spigarelli, che nel decreto, con il quale si concedeva di erigere il detto Oratorio, si obbligava a mantenere in buono stato sia l’edificio sia tutte le cose necessarie per l’altare e a far celebrare una messa all’anno. E ciò è avvenuto fino al 21 maggio 1642 senza pregiudizio della chiesa parrocchiale. A causa di dissenzi fu stabilito che la Confraternita e Francesco consegnassero le chiavi di detto Oratorio al Parroco sotto pena di sospensione a divinis di detta chiesa e al pagamento di scudi 200 e altre cose, come nell’ordinanza emanata il 15 luglio 1642, al cui precetto detti Priori e Francesco non ottemperarono, essendo la chiave dell’Oratorio stata reperita presso Francesco.
Vi è solo un altare provvisto di tutto il necessario. Per la cassetta delle elemosine si facciano due chiavi, delle quali una sia presso il Parroco e l’altra presso i Priori della Confraternita e presso lo stesso Francesco, a parere dell’Illustrissimo.
In essa non possono celebrare sacerdoti di altra vicaria senza l’autorizzazione scritta del Parroco o senza che il Parroco ne sia stato preventivamente informato”.
Il documento, quindi, non ci dice in che anno sia stata edificata la cappella, anzi è ben chiara l’esistenza di un decreto con il quale si concedeva la facoltà di erigere detto oratorio. Ma di tale decreto a tutt’oggi non c’è traccia, è molto probabile che esso fosse stato emanato più tardi sotto l’episcopato di Andrea Sorbolonghi, che caldamente consigliava isuoi parroci a istituire in ogni parrocchia la Confraternita del S.S. Sacramento.
La graduale decadenza della cappella sembra incominciareproprio dai litigi tra le due parti. Ad ogni modo l’oratorio per tutto il Seicento fu gestito dalla Confraternita e dal Sig Spigarelli, patroni che gradualmente dimenticarono gli impegni assunti con l’atto di fondazione dell’oratorio.
Nel 1701, infatti, il vescovo Sebastiano Pompilio Bonaventura obbligava i patroni a restaurare e imbiancare la cappella, anche se trovò “sufficienti” le suppellettili….Anche il vescovo Fabio Manciforti nel 1722 trovò la chiesetta in uno stato pietoso, perché dovette ordinare di ridipingere i candelieri, rifare il tetto e ridipingere le pareti. Cose che non furono mai eseguite, tanto che il vescovo Sostegno Maria Cavalli nel 1727 non soltanto reiterava il decreto del suo predecessore ma ordinava di cambiare alcuni travi del tetto. Nella successiva visita pastorale del 1731 lo stesso vescovo minacciava di sequestrare i beni di Francesco Spigarelli, naturalmente discendente del fondatore, siti nel voc. Cerreto.
Nel 1734 unico patrono fu la Confraternita del S.S. Sacramento e la cappella della Madonna del Trebbio fu completamente restaurata ma le suppellettili venivano portate dalla chiesa parrocchiale in occasione della celebrazione della Messa. Si notava però che all’ingresso della chiesa apparivano minacciose macchie di umidità. Il vescovo Paolo Orefici nel 1756 prescriveva un paliotto da mettere davanti all’altare e sopra quest’ultimo un baldacchino; obbligava poi la Confraternita a riattare la chiesetta nella parte interna e a costruire un porticato avanti la porta centrale entro sei mesi. Fino al 1818 il diritto di patronato spetta alla Confraternita, ma dal 1843 apparteneva a Luigi Elisei probabilmente nuovo proprietario del podere in cui sorgeva la cappella.
Nella divisione del patrimonio di Luigi Elisei l’Oratorio del Trebbio spetta al figlio Settimo mentre a Clemente quello di Vaccheria. Nel 1851 sorgeva una questione giuridica: non si riusciva a sapere se il patronato degli Spigarelli, eredi di Ercolano, fosse passata agli Elisei con l’onere della manutenzione, e ancora nel 1871 non si era risolta. Naturalmente in questo lasso di tempo la cappella continua ad essere usata come magazzino. Ormai il Vescovo Innocenzo Sannibali non minacciava più pene canoniche ma si rivolgeva al parroco affinchè “si procuri, per quanto possibile (espressione sottolineata) d’indurre i patroni a rispettare il luogo sacro e a non servirsene ad uso di magazzino, a restaurarla e a provvederla di sacre suppellettili, onde possa celebrarsi qualche Messa. Si auspica di demandare l’esecuzione del decreto ai fratelli Elisei. Ma temo che al presente, tempo di miserrime circostanze, ciò non avverrà, tuttavia non si ometta di fare il possibile”.
parroco di convincere gli Elisei, anche se non credeva nel suo intimo, che questi eseguissero il decreto. Ed ebbe ragione. Finchè arrivò il 1925 quando la cappella fu definitivamente sconsacrata. I tempi mutano, gli uomini passano, i tarli e l’umidità, che ordinariamente rovinano le opere d’arte, questa volta hanno contribuito a far scoprire un’opera d’arte di eccezionale valore storico edartistico nel momento giusto: un proprietario generoso, un parroco artista, una Pro Loco ben organizzata e decisa a ricostruire le proprie radici, quelle di un paese che ebbe nei secoli i suoi momenti di gloria. La cappella del Trebbio ha ricominciato una nuova vita: ogni anno l’8 ottobre, tutta la popolazione affolla l’antico Oratorio.
Particolare attenzione merita il termine “Trebbio”,perché “un toponimo non è un’etichetta ma una testimonianza”.
Secondo alcuni storici dell’arte locale esso deriverebbe dal latino “trivium”: luogo dove fanno capo tre vie, o incrocio di strade, secondo altri invece deriverebbe da “Trebula”: fattoria contadina o casale posta in luogo sopraelevato. Nelle Tavole Eugubine, infatti, Trebu è il Dio della casa ed il verbo tratto da treb- rappresenta, secondo il Devoto, il muoversi in un tutto circoscritto, mentre il più complicato concetto dell’edificio viene espresso con un composto Trybarakkyf, bene attestato in esso, che significa “edificio”, cioè una casa ben definita nella sua costruzione. A Gubbio esisteva un’antica porta Trebulana dalla quale si usciva per andare in un Trebulum che sussiste probabilmente nelle odierne tre località dette Trebbio ad est di Gubbio. E’ il Trebbio di Colpalombo?
Certo è che le pestilenze che colpirono l’Europa nei secoli quattordicesimo e quindicesimo furono gravi e ripetute, tanto da far supporre la presenza costante della malattia, che periodicamente si riacutizzava per effetto di particolari cuircostanze. Una chiave di lettura della leggenda può essere mutata dal Villani, il quale interpretava la peste secondo la concezione religiosa tradizionale: come i diluvi, le carestie e altri mali, essa è punizione che Dio infligge agli uomini per i loro peccati. Un ex voto quindi era necessario come riconciliazione degli uomini con Dio, attraverso l’intercezione con la Madonna e di alcuni precisi Santi intercessori.
Rimane ora da interpretare la causa che spinse gli abitanti di Colpalombo a far costruire una maestà soltanto quando videro morire due giovani ragazze. Forse perché dopo la peste vi era una sorta di naturale propensione da parte di ogni comunità di ricostruire i propri ranghi (Romano).
Morti i giovani questa comunità non si poteva ripristinare il cronista aquilano Buccio di Ranallo scriveva:”Finita l’epidemia, gli uomini ripresero vigore; quelli che non avevano moglie, se la presero, vecchie e fanciullini. E non solo le altre donne, ma anche le terziarie laiche e religiose gettarono in molte l’abito e si maritarono; molti frati uscirono dall’ordine per prendere moglie. Un uomo di novant’anni si prese una fanciullina, tanto grande era la fretta di maritarsi”. Se la leggenda ha un fondamento storico i Santi presenti nell’affresco potrebbero essere due dei tanti protettori della peste. Il Santo Vescovo, dal volto calmo e Tranquillo, coperto da una folta barba, segno di autorità e solcato da profonde rughe, fissa il Bambino con uno sguardo penetrante, mentre con la sinistra sostiene un libro e con la destra il pastorale, simbolo della giurisdizione spirituale della sua Diocesi.
Gli attributi iconografici ci portano a riconoscere nel vescovo Sant’Ubaldo, venerato come protettore contro la peste. Il tono di squisita eleganza propria del quattrocento impronta l’abbigliamento dell’altro Santo. Il volto rasato e la capigliatura fluente sul collo e sulle spalle completano l’eleganza delle vesti aderenti al corpo ed il fluttuare morbido delle sopravvesti leggermente più lunghe dietro che avanti. La freccia e l’arco sono attributi che si riconoscono a San Sebastiano, protettore anch’egli contro la peste. Non è ,però, da scartare l’ipotesi che l’opera fosse stata commissionata dallo stesso comune di Colpalombo in onore di Federico da Montefeltro (1422-1482) per ricordare la presenza del duca il quale era solito venire a Colpalombo, che prediligeva per la sua passione per la caccia ed abitava in tale periodo a Col Tidone, nel luogo che ancora oggi viene detto “Casella”. Così scriveva il parroco don Borio nelle “Memorie” della parrocchia, notando che “nel riccio, sulla gamba destra del S. Sebastiano venne ritrovata una moneta molto sottile del diametro di 15 mm. Vi è raffigurata da un lato al centro lo stemma della città di Gubbio ed attorno la scritta “Eugubium” dall’altro all’interno è indecifrabile lo stemma, mentre attorno si legge “Federicus con”(Federico conte) e conclude affermando che l’affresco risale attorno al 1470, perché dopo il 1475 le monete di Federico portano la scritta Federicus dux.
Questa seconda ipotesi ha, in verità, qualche fondamento storico: documentata è la presenza dei duchi di Urbino a Colpalombo e dintorni, luoghi privilegiati per la caccia e la pesca; è documentata la “Casella” di Federico nella curia di Colpalombo, quando Federico nacque a Petroia il capitano del castello di Colpalombo era contemporaneamente capitano del castello di Petroia.
Non è inoltre da sottovalutare la scelta compiuta dal pittore tra l’ampia iconografia con cui viene indicato nei secoli S. Sebastiano. Egli sceglie il modulo meno seguito nei secoli che presenta il Santo vestito da nobile cacciatore con la freccia e l’arco. E’ probabile, infatti, che Federico abbia elargito alla comunità di Colpalombo qualche privilegio tale da rendere più solida la sua economia.
Il 12 luglio 1504, la duchessa di Urbino, Elisabetta Gonzaga rispondeva ad una supplica degli uomini della corte e del castello in questi termini: “ Spectabiles dilectissimi nostri. Havendo fatto intendere a lo Ill.mo S. N.ro consorte il desiderio che havete chel castello de Colpalombo ritorni a li termini et gradi de prima, la Sua ex. è stata contenta condiscendere a questa vostra domanda et cusì se scrive al Locotenente che debba eseguire tal cosa.” Urbini XII Julii 1504. Elisabeth Feltrio Gonzaga Ducisse Urbini.
Il prof. Enzo Storelli attribuisce l’opera a Matteo da Gualdo(1435) Notaio, pittore errabondo, con spostamenti e soste nei territori prossimi a quello della sua città.
La sua presenza nel territorio eugubino è documentata dal lacerto di “Madonna con Bambino” a Montefiore, dalla sua attività nelle vicinanze di Giomici, Casa Castalda e Caprara; sua moglie era di Crocicchio e nel 1503 inviava un braccio di cera ad un luogo sacro di Serra Brunamonti.
Stilisticamente l’affresco si colloca fra il “trittico di Pastina di Gualdo”(1477) e la “Mater Misericordiae” dipinta nel 1484 in S. Maria di Villa Scirca presso Sigillo.
Per la datazione più probabile l’opera può essere collocata intorno al 1484.
I confronti più significativi con le altre opere ci riportano all’Oratorio assisiate dei Pellegrini per la fastosa inquadratura del trono e il suo forte timbro rinascimentale; il colore violaceo, il rosso cupo e il bianco ci richiamano agli affreschi della Scirca; l’impianto frontale collega il volto della Madonna dai grandi occhi melanconici a quello della “Misericordia” della Scirca e per la particolarità del velo bianco al frammento di Montefiore; l’incavo della spalliera del trono è coronato da lunetta di conchiglia come nella “Santa Anna” della chiesa dell’Olmo a Casa Castalda.
CHIESETTA DEL TREBBIO
CHIESETTA DEL TREBBIO
sotto la neve
CHIESETTA DE TREBBIO
prima del restauro
CHIESETTA DE TREBBIO
prima del restauro
CHIESETTA DE TREBBIO
adibita a rimessa attrezzi
CHIESETTA DE TREBBIO
adibita a rimessa attrezzi
CHIESETTA DE TREBBIO
vista dall'aereo
CHIESETTA DE TREBBIO
vista dall'aereo
La MADONNA del TREBBIO