«Anche
questa è vita
buttata
tra trascorsi
d’infiniti
inesplicabili.
Ma
che esistere è mai questo
che
non concede dubbi al domani,
dove
sono andati
quei
tramonti che fanno sognare?»
Questa
vita è ancora chiaramente legata alle esperienze precedenti; se
non altro per la presenza di qualche eco post-vociano di liriche
e prose poetiche. L’ultima preghiera è la lirica decisiva per
la costituzione di una grammatica post-ermetica, quale è stata
sviluppata in particolare da Luzi.
Io penso, invece che Francesca
Battaglia,
abbia voluto, in questa lirica, ricercare «assolutezza
naturale», un linguaggio rarefatto e provocatorio, con
grumi improvvisi di vissuto, così come vuole la poetica dell'«assenza»
e dello spazio vuoto visitato dalle precipitazioni del ricordo,
che in Battaglia, è anche reale distanza dal mondo
dell'infanzia e giovinezza, rievocato miticamente o in una sorta
di impressionismo memoriale Questa a mio avviso è la più
corretta chiave di lettura della lirica «L’Ultima
preghiera»
nata dopo la pubblicazione della prima raccolta di poesie, che
data 2000
«Là,
tra le macerie
un bimbo non ha
più lacrime ormai.
Qui, tra la
vita,
un bimbo ha
sempre lacrime da sprecare
per quello che
non ha».
La
situazione realistica di partenza potrebbe essere la
contemplazione o forse il ricordo di un bimbo che non ha più
lacrime e si sente perduto in un paesaggio autunno-invernale
bagnato dalle lacrime
sprecate
illuminate da una luce lunare che rende tutto quasi fiabesco,
poiché il bimbo continuerà a piangere, sprecando le «lacrime
per quello che non ha».
Un dolore forse ricoperto durante il viaggio da casa sua a
quella dei nonni materni: il primo viaggio della sua
fanciullezza che l’avrebbe tenuta lontano dalla madre per
qualche anno; si sente come una zingara, in una carovana di
zingari che sosta solo per la notte, la notte, la lunga notte
della fanciullezza con le sue paure, le ansie, i suoi desideri
frantumati, però com’erano belli i giorni quando ci si
trovava tutti della famiglia intorno alla tavola, e il
cicaleccio che accompagnava il pranzo e l’incontro: il
ritrovarsi.
Ammesso
che di questo si tratti, il testo nella sua trama di relazioni
analogiche trasfigura questo quadretto e la musica cantata in
coro, un coro fatto di voci allegre, ora le rivive attraverso il
bambino che non ha più lacrime, ed ha un grumo di sensazioni e
vibrazioni arcane, di misteriose presenze e assenze, in un
fascio di significati irriducibili a unità razionale. Sa che il
risveglio spazzerà via la gioia del giorno precedente, che non
godrà per molto tempo del tepore assaporato, proprio come gli
uccelli che dormono al freddo con il capo sotto le ali, in senso
proprio è probabile, che potrebbe essere un'espressione
metaforica. Come non è dato precisare quali precise assenze
evochino «le lacrime
sprecato del bimbo».
A
rendere evocativa e arcana questa immagine non contribuisce
artifici tipici del linguaggio ermetico in formazione proprio
con la precedente produzione della Battaglia,
in questa lirica l'indeterminatezza dell'espressione:
«Il
cielo rosso porpora
è macchiato di
sangue innocente,
dove l’oro
nero nasce
muore la vita».
ci
si colloca sulla terra illuminata dalla luce «rosso
porpora/macchiato di sangue innocente».
E scatta la denuncia, liberamente quasi contro la volontà del
subconscio, non è detto con una metafora di un silenzio che
peserebbe, ma la lascia esplodere senza fare nemmeno il più
piccolo gesto per spegnere la miccia: «Dove
l’oro nero nasce/ muore la vita»
perché indotta soprattutto dalla iniziale attribuzione «il
cielo rosso porpora/è macchiato di sangue innocente»,
senza essere enfatica e allusiva, la determinatezza del
partecipio passato del verbo macchiare e dell'intera frase; la
specificazione propria e fantastica replica semplicemente che al
risveglio si trova di nuovo ricoperta di solitudine incolmabile.
Qualche metafora d'ascendenza pascoliana non guasta, anzi
infittisce e accelera il ritmo, già sostenuto per la
drammaticità del racconto.
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