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E fu subito notte

Di: Cesare Pavel Berlenghi

CESARE PAVEL BERLENGHI, è il pseudonimo di Giuseppe Polselli, nato a Roma sotto il segno del Cancro nel 1963. Diversi episodi della sua vita ne segnano la personalità: da un grave incidente automobilistico in cui rischia la vita, al tumore benigno alla mandibola, alla morte del padre, di parenti ed amici cari, all'episodio in cui lo vede vittima e protagonista di un’estorsione, in cui diventa eroe anti-estorsione nazionale, di cui se ne occupò Rai Tre e le maggiori testate.

Di temperamento caparbio, ostinato, insistente, coraggioso, temerario ed amante del rischio ma anche prudente e cinico, il professore di lettere al liceo lo chiamava «vulcano» di se stesso l'autore in tale materia afferma «sono come il fegato mi rigenero sempre».

La sua poetica è caratterizzata dalle influenze dei poeti ermetici, di quelli Simbolisti, dei poeti francesi maledetti e dei filosofi esistenzialisti.

Finora ha scritto tre raccolte poetiche, «Oltre le barriere d'Ercole», «Le Colline lontane (dei fiori del male)», «Apostrofi ariani» e l'ultimo, ancora in ultimazione, «Anche le scimmie pensano»

«Il mio dolore è la sofferenza d'amarci

Che neanche le luci dell'alba

Possono placare né contenere

Lo stesso dolore che irradia la luna

Che ruba la luce del sole

Ed in questo dolore nessuna gioia

Potrà appagare

L'inesauribile sazietà

Che sopraggiunge al tramonto del sole

Ed all'apparire delle prime luci della luna

Ed io con te mi sento vicino

A quell'insondabile mistero divino

Che regola i cicli dell'astro nascente»

Non è tema facile affrontare il commento di un argomento così complesso per qualsiasi critico, e neppure si presenta agevole alla comprensione a causa della intensità della parola e della originalità delle immagini. Ma di questo parleremo dopo.

Vi dirò subito, che dopo più di un anno che commento o recensisco, dite come volete, poesie del sito Poeticamente, mai era capitata una poesia così complessa, perché ricca di metafore che sprigionano immagini dai colori sgargianti e a volte opachi, spesso in bianco e nero:

«Possono placare né contenere

Lo stesso dolore che irradia la luna

Che ruba la luce del sole

Ed in questo dolore nessuna gioia»

Ciò mi impressiona, perché dalla luce rubata forma un quadro in bianco e nero, non la luna ladra di luce, ma nel dolore cui non riesce a trovare un po’ di gioia. Lui afferma di avere per maestri spirituali, i peti maledetti, ma non si è accorto di aver compreso nella lirica   Quasimodo e Ungaretti; Quasimodo per la classicità dell’espressione poetica, Ungaretti per la essenzialità della narrazione poetica. Per non scavare e veder spuntare Dino Campana per «l’inesauribile sazietà» in cui il dolore non potrà essere appagato da nessuna gioia.

Meno male che c’è il Mistero Divino che regola i cicli. La conoscenza della sua opera nel corso del tempo conferma la profondità e intensità della sua dizione poetica.

Questa lirica è per me particolarmente fruttuosa perché mi dà modo di conoscere un tipo di poesia nuova, antiscolastica, e sono contento di farla conoscere ai miei amici lettori, quelli che mi seguono da anni, anche nelle narrazioni storico-letterarie.

Da questa lirica, spazio per l’antica Grecia per i richiami ispirati a quella terra che in questi versi esiste e coesiste, ed anche ad altre poesie italiane, tra i poeti che il Berlenghi inconsciamente predilige: Montale, Cesare Pavese, Salvatore Quasimodo, Vincenzo Cardarelli, Umberto Saba.

«E fu subito notte

Il giorno andò via

Presto amor mio

Prima che sopraggiunga il giorno

E le luci dell'alba

Ci sorprendano e mettano

A nudo i nostri segreti

Le nostre celate nudità»

E anche un dotato musicista e tra i migliori cantori in versi, tanta è la melodia che si leva dalla lettura di questi versi; non è dunque senza significato che anche il titolo «E fu subito notte»  chiarisce le intenzioni poetiche espresse nella sua sintesi di lirica musicale.

Il Poeta Berlenghi, romano di Roma può essere considerato, insieme con Saya, Spagnolo, Sorrentino, Santamaria, Anna Petraroli, Marina Torossi Tevini e in qualche modo anche Piero Donato e Renato Milleri, uno dei pionieri della nuova poesia.

Il suo nome, ora sconosciuto ai più sarà, domani, rispettabile anche per i furiosi innovatori del verso, per quelli che ballano il valzer del surrealismo europeo e per quelli che cercano l'ignoto attraverso nuovi sentieri non calpestati. La poesia di Berlenghi è improntata dal sigillo della sensibilità del nostro secolo. Se il poeta che esprime psicologicamente, l'uomo contemporaneo, l'uomo ipersensibile, afflitto, troppo consapevole e privo d’ogni certa fede, nell'articolazione del suo discorso conserva o ritrova alcune antichissime ed eterne virtù, nell'italiano e più tardi nella tradizione universale.

«Non prendiamo tempo

Lasciamoci trafiggere

Dai dardi del Sagittario

Seguiti amorevolmente

Dalla Vergine e dall'Acquario

Difesi dal Leone

Sbrigati, amor mio,

la Luna è in Giove

altre costellazioni

dovranno nascere stanotte

questa notte è la nostra notte

nessuno può rubarcela

sbrigati

sbrigati

la notte è lunga un dito

Psyche ed Eros incalzano

Impazienti

Imperiosi

Tempestosi

Sbrigati

Sbrigati amor mio

questa è la nostra notte».

Molto elegiaca questa terza parte della lirica riversata all’astrologia, mi ricorda il mio «Canti del Viandante notturno». A me pare che questa breve nota critica sia più saggia ed acuta d’ogni altra, in quanto evita esaltazioni esagerate sia detrazioni fatte per ignoranza o eccesso di zelo. Meglio parlare della sua opera senza fare confronti. Io non sono un negatore della poesia italiana contemporanea, tutt'altro; cerco d’essere giusto nei miei giudizi.

Lasciamo che la lirica del Berlenghi parli da sé della sua grandezza, se questa veramente esiste. Basta che sia stato segnalato e meritatamente, basta anche che sia amato e stimato, basta che abbia scritto una pagina nuova, della poesia contemporanea.

Queste cose avevo da dire intorno a un degno poeta e questo valga anche come ammonimento per chi recensisce «non poesia» facendo inchini e «salamelecchi» illudendo chi poeta non è.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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