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Il sentiero di Dio

Di: Remil

 

Amici carissimi, Buongiorno e ben trovati, almeno me lo auguro, poiché non ho nessun riscontro visto che tutto tace: è il silenzio più sepolcrale che abbia mai udito, dopo questi e-mail.

Oggi mi trovo davanti a un grosso dilemma: due poesie una più virile dell’altra ed entrambe trattano su per giù il medesimo argomento.

Il numero mi ha detto che vi devo parlare prima della poesia «Il sentiero di Dio» di Remil. Ebbene qui, siamo di fronte all’eterno dubbio dell’uomo e il desiderio sempre più potente di incontrare Dio:

«Signore

sono venuto in questa pineta a cercarti

ma non ho trovato nessuno.

Perché dunque il mio destino

è così vuoto d'amore?

Quante coppe di amaro liquore

devo ancora bere

prima che tu venga ad aiutarmi?»

Dai versi iniziali, il poeta si è spinto indietro! Indietro! Quest’umanità - egli medita – ha vanificato la sua ricerca, senza pensare minimamente che l’uomo, è un animale fiero e semplice, finché non subentra il dubbio. E, proprio per questo, il poeta vede intorno a sé quello, che gli altri non vedono: la poesia sa quello che la storia tace. La storia registra i fatti accaduti: la poesia intuisce e scopre le cagioni dei fatti nelle anime delle persone, siano individui, siano moltitudini, integrando, compiendo e interpretando sia la storia, sia il pensiero dell’individuo. Parlando con un Dio che passa come il messaggero e mostra il segnale, indica come fare per ritrovarsi e il luogo del convegno, allontanandosi poi con la celerità del vento, lasciando dietro a sé sorpresa e interrogativi.

«Io ti ho detto di seguire la tua strada.

Tu hai scelto questa pineta per venirmi a cercare.

Bene, mi hai trovato!»

Quale impeto pirico sostituisce la lentezza dell’esposizione, quanto calore infuso nella rappresentazione! Non simbolo, non messaggero; ma un grido, un grido sorto dagli antri profondi dell’anima si leva ed echeggia intorno, - e quel grido è comando, - comando, che coglie improvviso l'uomo intento alle solite occupazioni, e lo scuote, lo svelle, e lo insegue incessante, pungente nella corsa animosa.

«Io sto facendo solo quello che credo sia giusto

per il mio destino di uomo,

io sto facendo solo quello che credo sia giusto

per non pentirmi mai davanti a Dio

perché mai dovrei ascoltare i vostri giudizi? -

Se proseguirai in questo modo

mi troverai alla fine del sentiero.»

Ad una serie di chiamate, che paiono i suoni ritmati di un telefono occupato, segue un crescendo d'ingiunzioni

«Se proseguirai in questo modo

mi troverai alla fine del sentiero.»

al quale immediato tiene dietro un crescendo più forte, più rapido, irresistibile, di esortazioni:

«Vuol dire che ti sei fermato ad ascoltare i giudizi degli uomini,

togliendo a te stesso il tuo tempo,

prosegui senza più ascoltare nessuno

e il tuo tempo si unirà nel mio!»

Si dice che quando Michelangelo ebbe compiuto il meraviglioso Mosè, lo percosse forte del martello e gli gridò: «Parla!» Remil ha aggiunto all'immobilità del pensiero il frenetico movimento del corpo che corre, corre, corre più veloce delle macchine che l’uomo ha costruito.

A un tratto, il tono si abbassa, e gli sguardi del poeta si chinano, si fissano (come se vedesse realmente la sua e l’altrui anima che ha avuto sempre dinanzi agli occhi e che per correre non riusciva a vedere), ad esaminare, ad interrogare. Ora Egli guarda, e pare che non abbia altra cura.

«Vuol dire che ti sei fermato ad ascoltare i giudizi degli uomini,

togliendo a te stesso il tuo tempo,

prosegui senza più ascoltare nessuno

e il tuo tempo si unirà nel mio!»

Ora tutto tace: sull'ardore dei versi precedenti, pare un getto di acqua gelida. Tutto è concordato: il tumulto dei ricordi e degli affetti, finalmente il poeta può disegnare e colorire un quadretto di esattezza e di evidenza mirabile; può osservare e ritrarre ciò, che sfugge agli altri, aggiungendo una dolce e forte sinfonia di Beethoven rilassandosi, pago di aver ritrovato la sua anima, pago di poter, ora che conosce sé stesso, dire agli altri il suo pensiero.

Sono stato un po’ troppo analitico? Non è colpa mia, la poesia lo richiedeva, vi abbraccio con tutto l’amore cui sono capace e vi do appuntamento a lunedì, con l’altra poesia, ugualmente forte e virile cui vi parlavo all’inizio.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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