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Innamorarsi di Dio

Di: Antonio Sbisà

Vi sono nell’animo dell’uomo affetti costanti ed eterni, vivi nel passato, nel presente e nel futuro, dai quali la grande poesia trae ispirazione. Quando si parla d’affetti umani, subito il nostro pensiero corre alla famiglia, al vincolo naturale che lega il marito alla moglie, i figli ai genitori e viceversa, i fratelli ai fratelli. Credo che intorno a ciò non ci siano dispareri e che tutti quanti considerino l'affetto familiare come fondamentale per la società umana. C'è poi l'affetto dell'uomo per l'uomo. Il Cristianesimo dice: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» La società umana è fondata su questo principio ed è comune anche — credo — a tutte le altre religioni. Da un tale stato d'animo nasce il particolare affetto che si chiama sentimento di patria e l’avvicinamento a Dio che è forte in tutti e quasi direi anche in coloro che oggi dicono di non sentirlo. Inoltre l'uomo ama il bello e su questa sua innata passione è fondata la manifestazione artistica e, si può dire, tutto il progresso. In ogni uomo esiste il desiderio di sapere, il senso della giustizia, l'ammirazione per il sacrificio, per la bontà, per il perdono, per la tolleranza, insomma per quelle manifestazioni della spiritualità umana perciò veramente si può affermare che l'uomo è superiore a tutti gli altri esseri della terra.

Appunto perché esistono in noi, vivi, eterni e indistruttibili, questi affetti, possiamo affermare l'origine altissima dell'uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Non fa quindi meraviglia che tali sentimenti abbiano trovato nei poeti la loro più genuina ed efficace espressione. Una delle nostre prime letture scolastiche fu quella dell'Iliade e noi tutti ricordiamo i personaggi di Ettore, Andromaca ed Astianatte che Omero ha eternato nel famoso incontro descritto nel libro Sesto. Si tratta di parole scritte duemilaottocento anni fa e che sembrano di oggi, perché anche oggi conservano la loro efficacia, e i padri, le madri e i figli d'oggi nutrono gli stessi sentimenti delle famiglie dell'antica Grecia e di Roma. La stessa osservazione si può fare, ricordando l'incontro di Ulisse col figlio Telemaco, dello stesso eroe con la moglie Penelope e col padre Laerte e, aggiungiamo, con la madre Anticlea la quale, ormai negli Inferi, risveglia in lui la più profonda tenerezza.

Studiando l'antica storia greca, abbiamo imparato i versi di Tirteo che condusse alla vittoria gli Spartani, cantando:

«E bello e divino per l'uomo onorato

Morir per la patria, morir da soldato

Col ferro nel pugno, con l'ira nel cor».

Sono le stesse parole che noi troviamo nobilmente espresse nel «Marzo 1821» del Manzoni, nella canzone «All'Italia» del Leopardi, nei versi del Berchet, del Mameli che infiammarono, durante il Risorgimento, i nostri nonni i quali fecero l'Italia. Questo sentimento ha trovato la sua più alta espressione in Virgilio di cui si possono ricordare le alte parole con le quali celebrò la grandezza e la missione di Roma: «Tu, o Romano, ricordati di reggere col tuo coniando i popoli, di dare a tutti l'ordine e le leggi, di risparmiare quelli die obbediscono e di debellare i superbi».

Il nostro Antonio Sbisà unisce questo sentimento all’amore per Dio. La medesima esternazione l’abbiamo trovata nei versi Karol Woytila, di Santino Spartà il quale dopo la pubblicazione di «Mi sono innamorato» una raccolta di poesie edita da Dossier Editrice, ebbe l’incarico dalla Newton Compton di scrivere la presentazione alle poesia del Papa, la sua è una poesia che non agita i cuori, ma trasfonde questo suo sentimento, forte e deciso nel nostro animo di lettori.

«Dio mio, infinita fonte di gioia,

di mistero, di amore,

rivelami la tua presenza,

aiutami a sentirti, a pensarti,

a percepirti».

Come Dante esalta la fede in Dio, la speranza nella patria celeste, l'amore per la patria terrena, il desiderio della giustizia, della pace, il culto della bellezza. Basterà ricordare il suo incontro con Ciacco, dove domina Firenze, con Filippo Argenti dove sono riprovate la superbia, l'arroganza e la prepotenza, con Brunetto Latini dove è espresso, nella forma più tenera, il sentimento della gratitudine verso colui che al poeta aveva fatto del bene, l'episodio di Ulisse in cui è esaltato il sacrificio compiuto dall'uomo per acquistare la scienza ed estendere i confini del proprio sapere, l'episodio di Ugolino in cui è bollato di eterna infamia colui che è stato così crudele da punire degli innocenti per soddisfare un'ambizione politica; quello di Manfredi in cui si proclama il rispetto per i morti.

«Mio Dio

io so che sei infinitamente amabile:

lo so che ci si può innamorare di te,

molto meglio e più profondamente,

di quanto ci si possa innamorare

di un altro essere umano.

Ma la nostra mente è distratta,

il nostro cuore è pesante,

la nostra energia dispersa.

Aiutami ed aiutaci

a reinventare l’innamoramento di Dio».

L'umanità ha attraversato nel corso dei secoli momenti di splendore e momenti di crisi. Spesso ha assistito a modi o costumanze assolutamente indegne, imposte magari da una minoranza ma abominate dai più. Voglio qui accennare, per esempio, al cicisbeismo, al cavalier servente, a questa balorda e stupida istituzione del Seicento e del Settecento italiano e francese. L'interprete dell'anima popolare contro quella indegna moda fu in Italia un poeta, Giuseppe Parini nel «Giorno», e la sua voce fu così efficace che egli non poté nemmeno porre termine all'opera sua perché, mentre ancora continuavano a uscire i suoi versi, il disgusto popolare a cui il poeta aveva dato espressione concreta, spazzava via la balorda costumanza.

«Quante sensazioni ci da

di piacere, di felicità,

di entusiasmo,

l’innamoramento comune:

sono sì riferite all’essere umano,

alla presenza dell’amato,

ma prima di tutto sono sensazioni

che abbiamo dentro di noi, sono nostre.

L’amore, l’innamoramento,

la meraviglia,

vivono dentro di noi.

Possiamo quindi certamente

rivolgerle a te, riferirle a te».

Indubbiamente il poeta, è l'interprete vero e più efficace del sentimento umano.

Antonio Sbisà sfoga in questo gamico tutta la piena del suo amore verso Dio, altissimo, onnipotente e buono, tanto che a Lui solo si devono la lode, la gloria, l'onore e le benedizioni. Come afferma San Francesco nessun uomo è degno di pronunciare il nome di Lui. Unica lode confacente all'Altissimo è quella che noi possiamo rivolgergli, esaltando la bellezza e l'utilità delle sue creature. Grande è Dio il cui splendore ci è rivelato dalla luce stessa del sole, di cui l'Onnipotente si serve per dare il giorno e la vita a tutte le creature. La potenza di Lui risplende anche nella luce della luna e delle stelle che Egli ha collocate nel cielo.
«
Certamente, mio Dio,
non puoi rivelarti a noi
nella tua bellezza, nella tua potenza:
non riusciremmo a contenere tanto amore,
a percepire tanti misteri.
Tu ci doni il libero arbitrio,
affinché noi impariamo ad amare, a credere,
anche senza vedere, senza avere
una rivelazione improvvisa davanti,
Non possiamo vedere ed abbracciare Dio
come possiamo vedere ed abbracciare
una donna, un uomo.
Se io mi innamoro di una donna,
se contemplo
i suoi occhi, la sua anima, le sue forme,
certamente arde la fiamma del mio amore,
ed essa si erge, si eleva, si slancia,
fino a raggiungere
il tuo cuore, o mio  Dio.
Mi innamoro di Dio
riconoscendolo
nella donna amata.
Se contemplo la natura,
 
sensazioni di bellezza e di espansione
attraversano il mio cuore,
e si elevano a te,
principio infinito,
una gratitudine immensa,
un innamoramento gentile.
Ogni amore, ogni felicità,
parla di Dio.
Mio Dio,
tu sei innamorato di me.
Sorgente infinita ed eterna, ami me,
tua creatura, ami me,
scintilla divina nel tuo grembo.
Sei infinito, bello e sapiente,
fonte di meraviglie e di misteri:
per questo, mio Dio, sono innamorato di te.
Mi ami, mi cerchi, mi scruti, mi stimoli,
sei innamorato di me: anche per questo,
mio Dio, sono innamorato di te.
Certamente, mio Dio, tu ti nascondi:
la tua prova d’amore non è il rivelarti
esplicito ed immenso,
ma il porre gli indizi, gli stimoli,
nel cuore della natura,
nel cuore delle
persone schiave e sofferenti
nel cuore delle persone
gioiose e creative,
nel cuore degli eventi.
Aiutami mio Dio a scoprire le tue tracce,
aiutami ad innamorarmi di te.
Credo in Te,
credo nella tua presenza in me:
ovunque tu sei, ami e crei.
Concedi, mio Dio, agli esseri
di comprendere
che cosa voglia dire
innamorarsi di te,
anche partendo dai nostri limiti.
Allora sarai sempre
nel cuore e nelle menti degli esseri.
Come l’innamorato pensa sempre all’amato,
e gioisce, e desidera,
e fantastica, e ne parla a tutti,
come l’amore provoca ondate
di entusiasmo e di creatività,
così, a maggior ragione, o amante divino
tutti parlerebbero e vivrebbero te
nell’entusiasmo, nell’abbandono,
nell’amore, nella creazione».

Come il Poverello di Assisi, il nostro Sbisà richiama l'occhio nostro anche a contemplare le vicissitudini della natura, il vento, le nuvole, il sereno, l'acqua, il fuoco e infine l’amore per una donna che ci allieti con la sua bellezza.

Il Canto è bello, soprattutto perché in esso penetra la natura in tutto il suo splendore con un’intensità che credo difficile poter trovare altrove, forte e potente come il sentimento che l’ha animato:

«tutti parlerebbero e vivrebbero te
nell’entusiasmo, nell’abbandono,
nell’amore, nella creazione».

Io credo che Sbisà abbia pensato intensamente, preso d’amore ardente, alla genialità di San Francesco nell'aver trovato questi aggettivi così appropriati, così espressivi, così potenti. Egli ha cercato di maneggiare la lingua che ha infinite trazioni letterarie; ciò nonostante è riuscito a trovare aggettivi appropriati ed efficaci, così ricchi di quel fascino che mette in moto la nostra fantasia ed eccita il nostro sentimento.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

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