Corazzate classe Littorio :

Vittorio Veneto

Littorio 

Roma

Impero  


La La Vittorio Veneto in navigazione nei primi mesi di guerra

Unità      Vittorio Veneto   28 aprile 1940
     Littorio   6 maggio 1940
     Roma   14 giugno 1942
     Impero   non completata
Dislocamento a vuoto      41.167 tonn (Vittorio Veneto)
       41.377 tonn (Littorio)
       41.650 tonn (Roma)
Dislocamento standard      43.624 tonn (Vittorio Veneto)
       43.835 tonn (Littorio)
       44.050 tonn (Roma)
Dislocamento massimo      45.752 tonn (Vittorio Veneto)
       45.963 tonn (Littorio)
       46.215 tonn (Roma)
Dimensioni l x l x p      237.8 m (Roma : 240.7 m) x 32.9 m x 10.5 m
Apparato motore      8 caldaie Yarrow, 4 turbine Belluzzo, 140.000 hp, 4 eliche
Velocità massima      30 nodi
Carburante      4.000 tonn
Autonomia      4.580 miglia nautiche @ 16 nodi, 3.920 @ 20 nodi
Armamento       
AN        9 x 381/50
AN      12 x 152/55
AN / AA      12 x 90/50
AA      20 x 37/54
AA      28 x 20/65
AA      varie da 13.2/76
Corazzatura massima    
verticale      350 + 36 + 24 mm
orizzontale      207 mm
torrette      350 mm
barbette      350 mm
torrione      280 mm
Aerei      3, con una catapulta a poppa
Equipaggio      120 ufficiali, 1.800 sottufficiali e comuni

Le corazzate della Classe Littorio rappresentarono la massima espressione dell'ingegneria navale italiana nell'era delle grandi navi da battaglia.
La classe si sarebbe dovuta comporre di quattro unità, tuttavia una di esse, la Impero, non venne mai completata, mentre la Roma entrò in linea troppo tardi per poter partecipare attivamente al secondo conflitto mondiale.
In seguito alla stipula del Trattato di Washington, le principali navi da battaglia dovevano avere un tonnellaggio massimo pari a 35.000 tonnellate, ed armamenti di calibro non superiore ai 406 mm, e le quattro Littorio, concepite in ossequi a tali accordi, avrebbero dovuto rispettare quei dettami.
In realtà queste navi superarono abbondantemente quei limiti, soprattutto per quanti riguarda il tonnellaggio, che avrebbe imposto livelli di corazzatura ritenuti insufficienti.

La progettazione delle nuove grandi unità della Regia Marina, disegnate dal generale del genio Umberto Pugliese, ebbe inizio nel 1934, e prevedeva caratteristiche decisamente interessanti.   Venne ricercata fin da subito una elevata velocità, come d'uso all'epoca per le realizzazioni della cantieristica nazionale, ed un armamento superiore alla media, con un totale di nove cannoni da 381 mm.
La prima unità, la Vittorio Veneto, venne completata il 28 aprile 1940, la Littorio il successivo 6 maggio, mentre la Roma entrò in linea solo nel 1942.   
La Impero, invece, non venne terminata prima dell'armistizio del 1943.

E' interessante notare come nell'idea dei promotori tali unità dovessero costituire il nerbo della futura cosiddetta "flotta d'evasione" oceanica, ma in pratica, nonostante le caratteristiche belliche fossero di prim'ordine, si trattò di unità essenzialmente mediterranee, e questo principalmente a causa della scarsa autonomia.
 La dotazione di carburante era infatti pari a 4.000 tonnellate, il che significa un'autonomia di 3.000 km alla massima velocità di 30 nodi (c.a. 56 km/h), sufficienti per attraversare tutto il Mediterraneo, ma non per un'uscita nell'Oceano Atlantico.
Le unità tedesche come la Bismarck, dedicate ad un utilizzo oceanico principalmente pensate per la guerra di corsa, avevano una dotazione di 7.700 tonnellate.

Armamento

L'armamento principale era costituito di 9 cannoni da 381 mm lunghi 50 calibri (381/50) Modello 1934 disposti in tre torri trinate, due a prora ed una a poppa.
Erano le armi dalla più lunga gittata mai raggiunta da una nave da guerra, oltre 42.800 metri, e questo nonostante nella installazione a bordo avessero una elevazione di soli 35 gradi.   Nemmeno i cannoni americani da 406 mm delle Iowa e quelli titanici giapponesi da 460 mm delle Yamato avevano tale gittata.
I grossi calibri di queste unità sparavano proiettili del peso di 885 kg, a titolo di confronto i proiettili inglesi di ugual calibro pesavano 871 kg, mentre quelli tedeschi a bordo della Bismarck pesavano 800 kg.
Prestazioni elevatissime, che manifestavano però come ovvio il rovescio della medaglia.   Il peso del proietto e l'elevatissima velocità iniziale dello stesso (850 mps, contro i 749 inglesi) facevano sì che l'anima delle canne dei cannoni avesse una durata inferiore alla media, in particolare le canne andavano ritubate circa ogni 140 tiri, contro i 335 inglesi ed i circa 180 tedeschi.
Inoltre era piuttosto bassa la celerità di tiro, con circa 1.3 tiri al minuto, solo i francesi delle Richelieu erano più lenti, con 1.2 al minuto, contro i 2.3 tedeschi.
I cannoni erano installati in torri trinate, ovvero dotate ognuna di tre armi, del peso di 1570 tonnellate l'una, con un grado di elevazione che andava da -5° a +35°, e con una velocità di elevazione di 6 gradi al secondo.

L'armamento secondario era costituito principalmente da 12 cannoni da 152/55 mm Modello 1936, che costituiva l'armamento principale degli ultimi incrociatori leggeri, classe Garibaldi.
Anche queste armi avevano una gittata elevata, lanciavano infatti il proiettile da 50 kg a 25.700 metri di distanza, alla massima elevazione di 45 gradi.   Il rateo massimo di fuoco era pari a  5 colpi al minuto.
Erano anch'esse installate in quattro torri trinate, del peso di 134 tonnellate l'una, con una buona protezione, che arrivava a ben 100 mm di corazzatura.

Ottime armi erano i cannoni antiaerei da 90/50 Modello 1939, dalle qualità eccezionali, superiori persino a quelle del mitico Flak tedesco da 88 mm, ed infatti non solo vennero utilizzate come arma antiaerea su navi ed in installazioni fisse a terra, ma vennero pure installate a bordo di camion e, soprattutto, dei semoventi da 90/53.
Si trattava di armi di realizzazione molto recente e concezione decisamente moderna, forse troppo.   
Erano installate in affusti singoli corazzati, con un sistema di stabilizzazione molto sofisticato.
Avevano una cadenza di tiro di 12 colpi al minuto e lanciavano un proiettile antiaereo del peso di 10 kg a 10.800 metri di altezza.   In funzione antinave invece il proiettile pesava 18 kg e veniva sparato a 13.000 metri di distanza.
La precisione del fuoco di queste armi era eccellente.
La torretta singola in cui erano installati pesava 19 tonnellate.

Le mitragliere contraeree di piccolo calibro, da 37/54 mm e da 20/65 mm, erano ottime armi sviluppate autonomamente dall'Italia, installate inizialmente in numero totale di 36.
Quella da 37 mm in particolare aveva una cadenza di tiro di 120 colpi al minuto, e sparava un proiettile del peso di 1,63 kg alla quota di 5.000 metri.
In tutto erano presenti 20 mitragliere da 37 mm in 10 impianti binati e 28 da 20 mm in 14 impianti binati.
Vennero poi installate numerose altre mitragliere da 13,2 mm il cui numero andò via via aumentando durante il conflitto e non è stimabile in maniera univoca.

Completavano l'armamento di queste unità, prive di impianti lanciasiluri, 3 aerei, solitamente idrovolanti Ro.43, imbarcati a poppa, e lanciati in volo tramite una catapulta a vapore.
Verso la fine del conflitto vennero imbarcati anche aerei da caccia Re.2000, i quali però non essendo idrovolanti dovevano necessariamente tornare alle basi di terra una volta esaurito il carburante.

Corazzatura

Come disse l'ammiraglio tedesco von Scheer, una corazzata deve poter fare bene tre cose: galleggiare, galleggiare e galleggiare.
E sulle Littorio questo aspetto venne ricercato con molta cura e con soluzioni innovative.

La corazzatura verticale arrivava ad uno spessore massimo di ben 350 mm (contro i 320 della Bismarck), quella orizzontale arrivava a 207 mm, mentre le torri di grosso calibro erano protette frontalmente da 350 mm  di acciaio.   Il torrione di comando aveva le corazze dello spessore di 280 mm, stranamente meno di quanto avveniva nelle altre marine.
Ben protette risultarono anche le torri da 152 mm, che con uno spessore massimo di 100 mm erano progettate per resistere ad armi di pari calibro.

Decisamente interessante era la protezione subacquea, denominata "cilindri assorbitori modello Pugliese" dall'ingegnere navale che la ideò.  
Si trattava di due lunghi cilindri deformabili, posti lungo la murata, posti all'interno di una paratia piena, con il compito di assorbire la forza dell'onda d'urto provocata dall'esplosione di un siluro o di una mina.   
Questo sistema, oltre che provocare l'esplosione contro il cilindro e non contro la paratia, dava la possibilità di disperdere la forza dell'esplosione lungo l'interno del cilindro.
L'efficacia di tale sistema rimane comunque piuttosto controversa e non é confermata, né peraltro smentita, dalle vicende belliche.

 

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