Le Poesie della Porta Rosa

Dove tuffi la tua giovane vita? In quale mare di eternità affondi le agili membra uomo di 2500 anni fa? intorno a te c'è allegria e gioia di vivere; si beve si suona, si fa l'amore con sguardi d'intesa. Nel gioco di Kottabos la posta in palio è l'illusione di continuare la vita oltre le porte degli inferi. Com'è intenso il tuo sguardo, che punta, come sparviero, le onde in cui navigare per tempo indefinito! Anche morto l'uomo insegue sogni che rendano meno triste la fine della breve avventura sotto il sole. Tra brandelli di carne in sfacelo, tra scene di convito e di gioco, in un contrasto potente di morte reale e di vita apparente, tu, giovane uomo dalla piccola barba, sospeso a mezz'aria, sei rimasto a guardare i piccoli flutti di un mare dove non sei mai giunto... Così i sogni dell'uomo che frenano a metà il desiserio immortale e non c'è prova contraria a dirci che siamo in errore, nemmeno tu, antico e moderno tuffatore, che ancora ti libri come uccello senza dirci perchè non sei mai arrivato. Dall'acqua venimmo e all'acqua torniamo, dopo il breve viaggio sui sentieri di vita; pura, fresca, stupenda acqua che accompagni dal nascere l'esistenza fino al tuffo finale che chiude il cerchio dell'umana avventura! Nelle tue molecole di idrogeno forse lo spirito spegnerà la sete e l'angoscia di conoscere chi fummo, chi siamo e dove arriveremo passata la breve stagione di canti, di suoni e di allegri conviti. Con te situffa anche il mio pensiero, tuffatore antico di Paestum, in tanti perchè fino al naufragio e ne i tuoi filosofi coevi ne noi sappiamo dove mai approdiamo. (Il Tuffatore di Paestum, G. D'Aiuto)

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Fu forse in sogno che visitai quella terra abitata da uomini dalle fisionomie orientali e greche, e dai linguaggi sconosciuti. Terra impareggiabile, che non saprei descrivervi, né potrei paragonare di lei niente a ciò che voi conoscete. Non sono pari al suo rosso quello dei nostri migliori tramonti o del sangue coraggioso dei cuori, o dei cesti di ciliege, doni alle madri delle bambine a primavera. Non reggono il suo splendore i più radiosi dei giochi di luce nel mare, la luna argentea degli innamorati, la possenza dei più immensi eterni ghiacciai. Né tantomeno troverei qui Dei capaci delle sue terrificanti tempeste, magnifiche assassine della terra e del cielo. Ma come tacervi... Aahh soli verdi, rosa, azzurri, con avidità scoprii i gusti dei vostri frutti e bevvi i mieli delle terre alate e dei mari sussultanti di velluti. Mi persi nel canto delle lande fin dove alle nubi si stagliavano i templi, le pagode, le arti maestose, fin dove la pietra, padrona dei misteri, mi lasciò ascoltar e i sussurri dei tempi. Le fanciulle dalle bocche d'arancio nei girotondi di veli vermigli, per gioco, mi baciarono e mi cantarono le leggende ed i proverbi. Fu così che ritrovai la mia famiglia, vestita di lucenti risposte, e, poco più in la, nell'erba, il temibile lupo ed i vecchi giochi, stretti nell'abbraccio del fanciullo. Terra dove rinascere, lontano dalle città, ne avrei costruite di nuove solo con un gesto. Ma ecco immancabilmente che due signori, ben vestiti e dall'elegante portamento, con un aria molto seria vennero a me, e non persero tempo ad istruirmi sulle dogmatiche religioni e sulle inconfutabili leggi di quel luogo.
Il giorno del nasci e culo rosa ed alba gialla ed orovapore Ah tripudio! Ah! immacolate creature vestono il greto dei fiumi nell'ora primordiale E' vinofragola seno fanciullo caldo feromonliquore è colore verde misto a noce è bambino perfettoimperfettibile lungo la riva come solo l'ANGELO! E'madre assoluta spiaggia ed eremo ed onda E'figlia struggente suono gambaporporalunare ed occhiolanguore Ah candore! l'ora in cui non credete! l'ora in cui non credete! l'uomo dalla grande barba di leone marino l'ora in cui non credete è qui che nasce
 
SULLE ROVINE DI PAESTUM (Giuseppe Lauriello): Templi, colonne, profumi di donne/ percorrono l'anfiteatro./ salta una mucca sui rocchi/ dispersi nell'erba intrisa di brina/ e sorride alla luna./ Porta Sirena, che occhieggi la quieta stazione,/ ricordi l'amena stagione di anni lontani,/ ristori la cara visione,/ che torna costante nel fine merletto,/ trapunto di viola passione e di rosso scarlatto./ Rovine, statuine. Nettuno./ Tra i volti di brune fanciulle danzanti/ son tanti ippogrifi rampanti/ e capitelli festanti/ rincorrono un cielo in colore/ da pleistocene inferiore./ E sogno l'antico sereno/ e l'arcobaleno sul foro romano./ E allora mi guardo allo specchio,/ svanisce il passato incantato/ e mi riscopro più vecchio./
La pioggia modula antico suono sulle mura antiche. L'acqua che gia' bagno' i miei capelli, grigia cenere ora, fresca scende ancora e colora quei muri e le vie di toni ormai persi nel tempo. Scioglie il duro asfalto e gli edifici e il nuovo quadro per uno remoto, dimenticato. Come i miei passi quali piedi su questo fango ? Silenziosi, incerti. E quale vita in questa polvere che il vento versa sul mio viso ! Due occhi mi guardano. Tristi ? Cosa temono ? Umidi occhi. Piangono forse? Piove sulle mura antiche .
Tra gli archi bianchi del cortile di gesso si è posata la gazza come un pensiero distratto e mentre il pendio riprende fiato ad est ed i ragazzi giocano oltre il muro obliquo come le ombre dei pini ecco che si accendono tra i sospiri della sera le stelle di sale sulle foglie del glicine



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