PAOLINO LE CROCIATE (1000-1100)
REP. di GENOVA (1200)
VIAGGIO di COLOMBO (1400-1500)
GUERRE e CRISI (1600-1700)
FINE della REPUBBLICA
La storia  della Liguria 2/2
A stöia  da Ligùria
PAOLINO
La storia  della Liguria 2/2
A stöia  da Ligùria

Lotte contro Pisa e Venezia (1200-1300) Genova aveva sempre fatto una politica di espansione commerciale marittima, riuscendo non senza contrasti, specialmente dopo le Crociate, a stabilire colonie nel Levante, come allora si diceva, cioè in Siria, nelle terre dell'Impero d'Oriente, ecc.
Pisa, gareggiò con Genova durante il Duecento, specialmente per il possesso dell'Elba, di porti e città in Corsica e Sardegna, disturbandone continuamente i commerci. Pisa, volendo sconfiggere Genova una volta per tutte, inviò una flotta di 72 galere al comando di Alberto Morosini; anche Genova era stufa di queste prepotenze, così inviò 88 galere verso Porto Pisano sperando di trovar le navi nemiche che però non c'erano. Allora il comandante della flotta genovese Oberto Doria si mise in attesa del loro rientro e portò le sue navi presso l'isola della Meloria (di fronte a Livorno); egli ebbe l'astuzia di dividere in due parti il complesso delle sue navi: una parte, comandata dall'esperto capitano Zaccaria, la fece nascondere dietro l'isola, mentre lui con l'altra si presentò davanti al porto nemico. I Pisani, che nel frattempo erano ritornati, esultarono perché essi avevano molte più navi di quante ne vedevano davanti al loro porto, ne uscirono correndo all'inseguimento di quelle genovesi che facevano finta di fuggire. Ad un certo momento, però, il Doria fece invertire la rotta: mise le prue delle sue navi verso quelle pisane che non si accorsero di quanto stava accadendo alle loro spalle: il comandante Zaccaria aveva fatto il giro dell'isola e stava piombando loro addosso. Fu una battaglia tremenda che vide i Pisani, nonostante il loro valore ed il loro eroismo, soccombere (6 agosto 1284). La flotta genovese, rientrò a Genova accolta dal popolo esultante: portava, oltre ai beni che aveva depredato e le catene del porto, ben 9000 prigionieri che furono concentrati in un luogo molto vasto (chiamato da secoli Campo Pisano) dove morirono tutti per malattie e stenti. Nel 1288 fu firmata la pace con Pisa che però non mantenne la parola, così nel 1290 i genovesi distrussero le fondamenta di Porto Pisano, demolirono totalmente il molo e riempirono di pietre lo specchio acqueo del porto.
Venezia gareggiava con Genova, specie per i possessi e i mercati del Levante. Con la 4° Crociata l'Impero d'Oriente si era trasformato nel cosiddetto Impero Latino sotto una dinastia francese, e da ciò i veneziani avevano ottenuto grandi privilegi e favori commerciali. Ecco allora Genova aiutare la vecchia dinastia greca a risorgere dopo la metà del Duecento: così molti privilegi e possessi furono tolti ai Veneziani e concessi ai genovesi, e vi furono varie lotte e scontri tra le due repubbliche marinare. Si ebbe una guerra vera e propria terminata con la battaglia di Curzola (Dalmazia) nel 1298 nella quale Genova sconfisse la rivale. Durante la battaglia di Curzola, guidata dall'ammiraglio Lamba Doria con 76 galere, caddero prigionieri dei Genovesi 7400 Veneziani tra cui Marco Polo che per 4 anni languì nelle carceri liguri. Qui egli dettò a un suo compagno di prigionia, Rustichello da Pisa, le memorie di viaggio, intitolate più tardi Il Milione. La guerra non aveva piegato Venezia, anzi le sue basi commerciali in Oriente continuarono a essere floridissime e i suoi commerci assai intensi. Genova ne era gelosa e vedeva limitate le sue possibilità di più vasta espansione commerciale. Ecco allora un'altra guerra a metà del Trecento. I Veneziani furono di nuovo sconfitti per mare. I Genovesi s'impadronirono di Chioggia, ma i Veneziani la liberarono quasi subito.
Questa guerra finì (per la mediazione di Amedeo VI d'Aosta) con la Pace di Torino del 1381; nessuna delle due rivali aveva vinto decisamente l'altra, ambedue erano piuttosto stremate: specialmente Genova, della quale cominciò allora la decadenza (tanto che non sarà più tra i principali Stati italiani).

Fino alla fine del 1400 la floridezza economica e commerciale dell'Italia fu meravigliosa (lo dimostrano le splendide città, con la loro vita politica di piccoli Stati indipendenti e lo splendore artistico) grazie agli intensi commerci marittimi tra Occidente e Oriente dove si costituirono lontane colonie da cui s'importavano merci preziose, lavorate in Italia, e poi esportate nel centro Europa. Nel corso del Trecento, però, i Turchi (Ottomani) invasero la Siria la Palestina e i Balcani chiudendo la via delle Indie e impedendo così di importare le merci dalle basi commerciali e dalle colonie che le città italiane (specialmente Genova e Venezia) avevano in Asia minore e Siria: era l'inizio di una grave crisi economica.
Nel 1492 vi fu il viaggio di Cristoforo Colombo e la scoperta dell'America; ciò rese meno florida la vita cittadina per la scarsità di traffici e di commerci provenienti dal Levante che dal Mediterraneo si spostarono all'Atlantico, poiché esso, bagnando le coste di Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra, Germania e Olanda, fece mutare la strada dei loro interessi verso l'America. La ricchezza e il lavoro diminuirono per cui i Liguri, ed i Genovesi in particolare, diventarono poveri e quelli che già lo erano, furono poverissimi.

1500 Questo fu un periodo travagliato con lotte intestine tra le famiglie Adorno Fieschi Fregoso e l'elezione di vari Dogi. Ne approfittarono Lombardi e Francesi. La popolazione di Genova era composta da nobili, popolari (la borghesia d'oggi) e dalla plebe (nullatenenti, poveri). Nel 1507 fu eletto Doge Paolo da Novi che tentò di liberare la città dai francesi, ma il 28 aprile 1507 Re Luigi XII entrò in Genova preceduto da molti soldati del suo esercito e il Doge dovette fuggire. Luigi XII, prima di tornare in Francia, ordinò di costruire alla base di Capo di Faro (il promontorio dove oggi sorge la Lanterna) una fortezza che chiamò La Briglia per bloccare ogni insurrezione dei cittadini: essa dominava il porto e al suo interno erano stati sistemati cannoni con i quali era possibile bombardare la città; fu espugnata e distrutta nel 1514.
La Lanterna venne costruita nel 1128 (non si conosce il nome di chi l'ideò e la costruì), in origine era formata solo dal primo tronco. Precedentemente sullo spiazzo, dove poi essa fu costruita, venivano accesi dei falò per guidare le navi al porto; per alimentare il fuoco si bruciavano fascine di steli di erica (brugo) o di ginestra (brisca) che crescevano lungo il Bisagno. La forma attuale della Lanterna risale al 1549 perché per espugnare la Briglia, anche dai Genovesi furono usati i cannoni per rispondere ai Francesi. La Lanterna ne uscì assai malconcia, per cui in seguito fu totalmente abbattuta e ricostruita più alta in due tronchi così come la vediamo oggi. Una grande carestia e un'epidemia di peste flagellò i Genovesi nel 1528 dopo un inverno particolarmente piovoso, e nel 1656 (è uscito il libro "La grande peste - Genova 1656-57" ediz. Nova Scripta-De Ferrari); per l'occasione il Senato della Repubblica commissionò al pittore D. Fiasella un quadro commemorativo che rappresenta, con impressionante verismo, la folla degli appestati, i beccamorti con i carri colmi di cadaveri, la morte con le sembianze di uno scheletro che brandisce una roncola: sullo sfondo la Lanterna, chiese e palazzi di una Superba desolata.
Seconda metà del 1500: la vecchia Repubblica Genovese si trasformò per un certo periodo in Signoria con a capo Andrea Doria, grande ammiraglio; egli tenne la Signoria con mano ferma, stroncando congiure e mantenendo l'indipendenza dello Stato.
Nel 1580 la Repubblica di Genova ottiene la concessione del titolo di Serenissima.

Nel 1600, dopo A. Doria, Genova (con la Corsica) restò una repubblica aristocratica. La potenza economica della città non era più quella di un tempo, avendo perduto molte basi commerciali nel Levante; tuttavia Genova seppe mantenere la sua indipendenza, nonostante che i suoi potenti vicini (Francia e Ducato di Savoia) cercassero continuamente di impadronirsi della città. Un esempio fu la congiura del genovese Raffaele Della Torre d'accordo col Duca di Savoia: progettò che l’esercito piemontese avrebbe assalito Savona mentre egli, con gente del Monferrato e del Parmense, sarebbe giunto a Genova seguendo la valle del Bisagno. La Repubblica ne fu informata e vi mandò dei soldati.
Il Duca di Savoia, visto che la congiura era stata scoperta e non volendo rinunciare al suo proposito di annettere in qualche modo il territorio della Repubblica ai suoi, decise di muovere guerra a Genova apertamente assaltando Porto Maurizio e Albenga. Tutto il popolo genovese collaborò con uomini, denaro, gioielli per la difesa della città; il Doge Grimaldo mandò la flotta a difendere le località del Ponente, mentre contro le truppe del Duca fu inviato un esercito. Gabriele di Savoia, congiunto del duca, venne in suo aiuto conquistando Castelvecchio, ma lo tenne per poco perché i Genovesi lo assalirono: fecero più di 1500 prigionieri fra i quali un marchese e un conte, 40 ufficiali e un bel bottino. Poi assaltarono Oneglia che riconquistarono con tutta la vallata alle spalle, presero 800 prigionieri, bandiere sabaude ed altro. La fama di queste vittorie si sparse in Europa: gli altri Stati ammirarono questa Repubblica, piccola di territorio in confronto ai possedimenti dei Savoia. Il Papa e il Re di Spagna s'interposero a favore di Genova perché fosse fatta la pace, ma il Re di Francia Luigi XIV, potente, amicissimo dei Savoia, volle essere lui il mediatore: pretese la restituzione di Oneglia, che dal Senato fu negata. Allora quello s'impadronì di Ovada, poi di Oneglia protetto dalle armi francesi. Genova protestò ma dovette cedere (1673).
Il 15 maggio 1684 il Re di Francia Luigi XIV dichiarò, senza preavviso, guerra alla Repubblica di Genova dopo aver inviato circa 140 navi. Nel frattempo era stata composta una "Giunta di Guerra" comprendente il Doge e altre 7 persone con pieni poteri. Il comandante francese intimò a una commissione di 6 persone nobili genovesi di consegnargli subito 4 navi nuove costruite per combattere i pirati, di mandare 6 Senatori da Re Luigi XIV per chiedergli perdono delle disubbidienze passate e promettergli che in futuro sarebbe stato immediatamente obbedito, minacciando altrimenti di bombardare la città. Il Governo e i Consigli il 17 maggio ordinarono di cominciare a bombardare le navi da sbarco che si stavano ormai avvicinando alle mura della città. Genova fu bombardata per 4 giorni consecutivi ricevendo dalla sua fermezza feriti, morti, distruzione di case, palazzi ed edifici pubblici. Al quinto giorno il generale francese mandò un suo ufficiale a intimare la resa: il Doge riunì il Governo ed i Consigli che stabilirono, d'accordo col popolo, di non scendere a patti col nemico. I tentativi francesi di sbarco furono ripresi con 3000 uomini: scesero ad Albaro, alla foce del Bisagno e a Sampierdarena, ma la resistenza forte e violenta della cittadinanza, esasperata da quei terribili bombardamenti, costrinse gli avversari a ritirarsi. Il bombardamento continuò fino a quando la flotta francese esaurì le munizioni e, con rabbia del suo comandante, dovette ritornare in Francia senza aver potuto ottenere la resa di Genova. Furono lanciate sulla città 13000 bombe.
Genova, immaginando che il Re non avrebbe accettato lo scacco inflittogli da una piccola Repubblica, pensò di organizzare ancora la difesa chiedendo aiuti al Papa e alla Spagna: purtroppo quest'ultima aveva firmato nell'agosto di quell'anno 1684 una tregua con la Francia. Non riuscendo a trovare aiuto da nessun Stato, Genova dovette capitolare. La pace fu firmata con Luigi XIV alle sue condizioni nel febbraio 1685.

Nella guerra di successione austriaca (1740-1748), la Francia aveva invaso il Piemonte. Un esercito austriaco, accorso in aiuto del Piemonte, ricacciò gli invasori; poi si diresse contro Genova, alleata della Francia, e se ne impadronì. Enormi furono le gravezze imposte ai Genovesi; gravi gli abusi commessi: continue richieste di denaro, ordine di consegnare tutte le armi all'esercito austro-piemontese. La rapacità austriaca stancò la pazienza dei Genovesi: la scintilla della sollevazione generale fu data dall'eroico gesto di un ragazzo, soprannominato Balilla (Giovanni Battista Perasso), che diede il segnale della rivolta al grido "Che l'inse?", incominciando una sassaiola contro gli stranieri (5 dicembre 1746). Intanto un esercito Francese, entrato in Italia per aiutare i Genovesi, fu sconfitto sulle Alpi Cozie. Alla fine gli austriaci furono sconfitti dagli abitanti che li assalirono con furia facendo molti prigionieri.
Con la pace di Aquisgrana (F) dell'ottobre 1748 Genova tornò ad essere padrona di tutto il suo antico territorio, l'Italia passò dal predominio spagnolo a quello austriaco e quasi tutti gli stati ne subirono il dominio indiretto; questo assetto durò fino alle guerre napoleoniche.
Fino al 1768 la Repubblica di Genova comprendeva anche la Corsica. In quell'anno nell'isola, che Genova possedeva da secoli, sorse un moto rivoluzionario che mirava all'indipendenza della Corsica. Ma Genova, non riuscendo a domare l'insurrezione, cedette l'isola alla Francia. Vediamo lo svolgersi degli eventi: nel 1727 scoppiò una rivolta a causa di una tassa, inoltre i Corsi già mal tolleravano la signoria di Genova, anche famiglie d'origine genovese, da anni stabilitesi là, erano malcontente perché considerate di grado inferiore dal parentado rimasto nel capoluogo ligure. Genova non riuscendo a domare la rivolta chiese aiuto ai tedeschi e agli austriaci che inviarono rispettivamente 3000 e 5500 soldati che costarono forti somme di denaro. La rivolta fu domata e sottoscritta la pace. Ma appena i soldati tedeschi e austriaci lasciarono l’isola, i Corsi ricominciarono e proclamarono l'isola indipendente (1735). Il governo genovese tentò di riavere la Corsica con concessioni e perdono per tutti i rivoltosi, ma i Corsi non accettarono. La Repubblica allora chiese aiuto alla Francia dove regnava Luigi XV che inviò 6 battaglioni che costarono molti soldi. I Francesi stabilirono la tranquillità sull'isola, difendendo la dominazione genovese e nel contempo garantendo equità e libertà; ma i Corsi non erano contenti neanche così. Le truppe francesi rimasero fino al 1752 quando il re le richiamò in patria lasciando Genova sola a controllare l'isola. I Corsi, sempre desiderosi di esser indipendenti, nominarono loro capo Pasquale Paoli, buon diplomatico che governò con capacità e astuzia (1755). Il doge Agostino Armellini tentò la pacificazione offrendogli il titolo di "Doge a vita dei Corsi" e forti somme di denaro. Egli domandò al suo popolo se doveva accettare, i Corsi gli risposero di no e proclamarono l'indipendenza della Corsica. Genova chiese aiuto alla Francia, che mise come condizione che la Repubblica accettasse la supremazia francese sull'isola (1764). Fu chiara l'impossibilità di mantenere il possesso della Corsica, perciò fu deciso a parlamento di cederla alla Francia: avvenne il 15 maggio 1768 dopo lunghe e laboriose trattative dietro compenso a Genova di 2 milioni. I Corsi passarono da un padrone all'altro. L'anno dopo ad Ajaccio nasceva Napoleone Bonaparte (sembra accertato che gli antenati fossero, al servizio di Genova, immigrati in Corsica da Sarzana nel XVI secolo).

Nel 1796 Napoleone entrò in Italia, attraverso la Repubblica di Genova, arrivò in Piemonte e poi in Lombardia affrontando e battendo separatamente Austriaci e Piemontesi. Dopo la prima campagna Napoleonica l'Italia era praticamente tutta nelle mani dei Francesi nonostante che apparisse costituita da stati indipendenti. La Repubblica di Genova, come altri stati, dovette darsi un nuovo ordinamento e cambiò il nome in Repubblica Ligure (1797). L'ultimo Doge della Repubblica fu Gerolamo Durazzo (1802).
Nel 1805 la vecchia Repubblica di Genova, come altri stati, fu annessa all'Impero Francese. Nel periodo Napoleonico, dopo secoli di divisioni in vari stati, buona parte dell'Italia si trova unita sotto un solo sistema di misure (metrico decimale), una sola legge (codice Napoleone), una sola bandiera, un solo esercito. Cominciò così a farsi breccia l'idea di una Italia unita e indipendente.
Dopo la fine di Napoleone, le Potenze europee vollero ripristinare gli Stati nei loro vecchi confini. Gli Inglesi, sbarcati a Chiavari, assicurarono che sarebbe stata ricostituita la Repubblica libera ed indipendente. In seguito però giunse la notizia che la Liguria sarebbe entrata a far parte del Regno di Sardegna affinché i possedimenti dei Savoia avessero confini più estesi verso la Francia. Al Congresso di Vienna, nonostante le valide ragioni storiche e morali addotte dal marchese Antonio Brignole Sale a difesa degli interessi di Genova, gli Stati deliberarono l'annessione della Liguria al Piemonte. Il 26 dicembre 1814, prima di lasciare Palazzo Ducale, i governanti genovesi emanarono un Proclama.
Nell'aprile 1849 Genova dovette subire la durissima repressione condotta dal generale La Marmora per incarico del Re sabaudo Vittorio Emanuele II. Tale repressione, spesso ignorata dai libri di storia, è nota a Genova col nome di «Sacco di Genova».

Genova fu ancora protagonista nella storia dando alla luce personaggi come il grande violinista Nicolò Paganini (27/10/1782 - 27/5/1840), Giuseppe Mazzini (22/6/1805 - 10/3/1872) padre del Risorgimento, Giuseppe Garibaldi (nato a Nizza il 4/7/1807 allora appartenente al Regno di Sardegna, 2/6/1882), Raffaele Rubattino (10/10/1810 - 2/11/1881) primo armatore italiano di vascelli a vapore, Michele Novaro (23/10/1818 - 21/10/1885) compositore della musica dell'inno nazionale italiano, Nino Bixio (2/10/1821 - 16/12/1873) politico e patriota italiano del Risorgimento, Goffredo Mameli (5/9/1827 - 6/7/1849) poeta e scrittore autore del testo dell'inno nazionale, Gilberto Govi attore teatrale dialettale (22/10/1885 - 28/4/1966), oltre a Cristoforo Colombo (1450 - 1506) grande navigatore e scopritore dell'America.

  Curiosità: il Carroccio
Cominciò nel 1039 a Milano (poi per lungo tempo anche negli altri Comuni) l'usanza di portare sul campo di battaglia il cosiddetto Carroccio, cioè un grande carro montato su 4 ruote e trascinato da altrettanti buoi. Progettato dall'arcivescovo Ariberto, sopra reca una specie di torre quadrata in legno, addobbata di drappi bianchi e rossi (i colori di Milano) che scendono a coprire tutto il carro. In cima alla torre si innalza un alto pennone su cui sventola il gonfalone bianco con una croce rossa, e una campana per dare i segnali di guerra. Il carroccio accompagnava sempre le truppe durante i combattimenti e serviva da punto di orientamento e osservazione nella battaglia, ma anche di incitamento; veniva difeso strenuamente. Ogni giorno vi era celebrata la Messa e vi si somministravano gli ultimi Sacramenti dei soldati moribondi. Era il simbolo della città, anzi del Comune.
  Libri:
"Storia della Repubblica Ligure 1797-1799" Antonino Ronco Fratelli Frilli ed. Ge - pag. 464 € 22
"Le famiglie nobili genovesi" Angelo M.G. Scorza fratelli Frilli ed. Ge - pag. 232 € 16,50
  Notizie storiche da altri siti:
Le pagine della Storia: Repubblica e Stemma di Genova
La Repubblica di Genova diventa Serenissima (1580)
Breve storia di ogni Comune della Liguria
Cartina della Liguria nel 1771

  Bibliografia: "L'uomo e la sua storia" Nicolini-Consonni vol.I-II SEI 1979;  "I PRIMI LIGURI" del Maestro Antonio Piero Fioravanti - Genova.

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