Il mondo della donna

                                                                                  

                                                                              Costume   pag 2                   

                                                           
                                          



Anche se è riconosciuta l' uguaglianza tra uomo e donna, tuttavia alcuni trovano differenze tra la  parte spirituale dell'uomo e quella della donna, ritenendo quest'ultima inferiore al primo.

La nuova società era basata sulla vecchia ,che era piena di pregiudizi, di conseguenza la nuova varisente della precedente:

la donna rimarrà sempre sia fisicamente sia spiritualmente inferiore all’uomo;

la donna possiede meno cultura e quindi meno intelligenza rispetto all’uomo;

a donna più dell’uomo è soggetta alle passioni ed è più sensibile.

L’origine di questi pregiudizi va ricercata nella storia passata.

A causa di grandi guerre e battaglie la virtù più importante era la forza, vista come strumento per esercitare violenza. La donna non possedendo queste qualità, era costretta a sottomettersi all’uomo.

Secondo il punto di vista maschile le donne non possedevano la virtù del coraggio, quindi l’uomo le ha sempre convinte della loro inferiorità promettendole il suo amore e la sua protezione in cambio della sua perfetta ignoranza.

La Donna per natura più sensibile e più sentimentalmente pronta, si lasciò sottomettere negando e sottovalutando la sua intelligenza per timore della società .

                                                         

                                                                             

La donna e il fascismo

Per consolidare il proprio regime improntato sull'autoritarismo, Mussolini adottò una politica anti-femminista, che impose alla donna l'esclusivo ruolo di madre-casalinga e facendo così della maternità, oggetto di pubblica esaltazione, a sostegno della forza nazionalista dello Stato.

Le donne, intese come portatrici di interessi privati (familiari) furono così escluse da tutto ciò, che aveva attinenza con la sfera pubblica; anche la questione demografica fu affrontata in nome del superiore interesse dello Stato, in termini di quantità, anziché di qualità.

Allo scopo di incrementare le nascite, lo Stato fascista vietò l'uso di anticoncezionali e il ricorso all'aborto, nonché qualsiasi forma di educazione sessuale.

Come si è accennato, ogni aspetto della vita delle donne fu subordinato agli interessi dello Stato, al punto da negare, in assoluto, ogni forma di emancipazione femminile.

Le femministe storiche, in testa alle quali si ricorda Anna Kuliscioff, per la sua coraggiosa battaglia, a favore del voto alle donne, dopo la sconfitta del 1925, furono costrette a volgere il loro impegno nel volontariato sociale o nell'attivismo culturale, ma con crescenti ostacoli e limitazioni.

Il diritto di famiglia, disciplinato dal 1865 dal Codice Pisanelli, improntato sulla supremazia maschile, precludeva alle donne ogni decisione, di natura giuridica o commerciale (atti legali e notarili, stipule, contratti, firme di assegni e accensione di prestiti), senza l'autorizzazione del marito o del padre.

La stessa tutela dei figli era esclusiva prerogativa maschile.

Anche la Chiesa, ostile all'emancipazione femminile, attraverso l'enciclica papale Arcanum del 1880, esaltò il ruolo della maternità e dei valori della famiglia, contrapponendoli alla modernità, portatrice di corruzione dei costumi.

Dal 1926, con la soppressione di tutti i partiti politici, fenomeno che imbavagliò la stampa nonché l'attivismo femminista delle socialiste e delle giovani militanti del P.C.I., il regime riconobbe solo due movimenti femminili: quello fascista, che venne incoraggiato e quello cattolico, che fu tollerato.

"Lo scopo della vita di ogni donna è il figlio. […] La sua maternità psichica e fisica non ha che questo unico scopo". Così si legge in un manuale di igiene, divulgato dal regime alla fine degli anni '30.

Non a caso, tra i fasti imperialisti del ventennio, si annoverano le cerimonie presiedute dal Duce, con le quali li madri più prolifiche ottenevano riconoscimenti ufficiali e privilegi.

 

Nel suo romanzo Pane Nero, Miriam Mafai evidenzia come la politica fascista e l'ideologia cattolica "si intrecciano e si sostengono a vicenda, imponendo alla donna un destino tutto biologico" e la sua subalternità nella famiglia e nella società.

Fra le prime misure pro-nataliste, introdotte dal regime, peraltro con evidenti intenti punitivi, ricordiamo la c.d. tassa sul celibato (D. L. 2132 del 19/12/1926), che da molte donne fu considerata come l'unico provvedimento normativo, a sfavore dell'uomo.

La funzione procreativa femminile, come si è preannunciato, determinò un progressivo allontanamento della donna dalla sfera pubblica.

La riforma della scuola fascista, che ai giorni nostri è ricordata ancora con il nome del suo promotore, Giovanni Gentile, Ministro dell'Educazione Nazionale (1922-1924) fu improntata su due precisi obiettivi: inculcare nei giovani l'ideologia dello stato fascista e selezionare e promuovere solo l'elite, in modo da far accedere all'istruzione secondaria e all'Università, un numero ristretto di studenti, provenienti dalle famiglie più agiate. La riforma Gentile era "dichiaratamente anti-femminile", come sottolinea la storica Victoria De Grazia in Le donne del regime fascista: "per essere pregiata, rispettata, esaltata, la donna doveva accettare e non tentare di negare i limiti della sua diversità".

Negando alla donna qualsiasi capacità come educatrice, la riforma della scuola, operata da Gentile, produsse una vera e propria defeminilizzazione del corpo insegnante.

L'insegnamento di molte materie fu precluso alle donne: esse non poterono accedere ai concorsi pubblici per insegnare nei licei lettere, latino, greco, storia e filosofia o per insegnare italiano negli istituti tecnici.

Un Decreto Legge del 05/09/1938, infine imponendo una riduzione al 5% del personale femminile, impiegato nella Pubblica Amministrazione, rappresentò il culmine della discriminazione sessuale.

Poiché le opportunità occupazionali per le donne, andarono drasticamente riducendosi, sino allo scoppio del secondo conflitto bellico, ogni ragazza non riceveva incoraggiamenti a proseguire gli studi.

La controtendenza al fenomeno del calo occupazionale femminile iniziò a manifestarsi nel 1940 e ad accentuarsi per tutta la durata della seconda guerra mondiale, perché giovani e meno giovani furono chiamati alle armi e i loro posti di lavoro furono così ricoperti da mogli, sorelle e donne che si ritrovarono, all'improvviso, nella necessità di provvedere al sostentamento di famiglie con prole numerosa e private del capo-famiglia.