La situazione internazionale fra le due guerre mondiali

1. Quali furono le principali conseguenze economiche della prima guerra mondiale per l’Europa?

POSSIBILE RISPOSTA:   
La prima conseguenza fu che l’Europa, che sino al 1914 era stata creditrice nei confronti del resto del mondo, divenne debitrice verso gli USA e vide restringersi il proprio campo di esportazione, a causa dello sviluppo dei paesi extraeuropei. Il primo problema che si presentò all’industria europea fu quello della ricostruzione, della riconversione verso la produzione di beni di consumo; ma presto in questo campo si verificò una crisi di sovrapproduzione. La situazione fu aggravata dal problema del pagamento delle riparazioni di guerra imposto alla Germania.

 

2. Come si configurarono le relazioni internazionali nel periodo fra le due guerre?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Due furono i problemi principali per l’Europa: il problema della sicurezza e quello del pagamento delle riparazioni di guerra da parte della Germania.
A metà del 1923 in Germania si formò un gabinetto Stresemann (che in seguito terrà la guida del ministero degli esteri), che intraprese un’opera di pacificazione, per attirare capitali anglo-americani. Contemporaneamente avveniva una svolta a sinistra sia in Francia che in Inghilterra, il che favorì un rilancio della Società delle Nazioni come strumento di pace, senza però che si prevedesse la costituzione di alcuna forza armata che potesse farne rispettare le decisioni. Nel 1925 il trattato di Locarno fra Francia, Belgio e Germania, che si impegnavano a non violare le comuni frontiere, sotto la garanzia dell’Inghilterra e dell’Italia, sembrò portare ulteriori elementi di distensione, ma in realtà significava lasciare mano libera alla Germania verso est: il Ministro degli esteri inglese Chamberlain dichiarò che la Gran Bretagna non avrebbe mai arrischiato un sol uomo per il «corridoio» polacco. La Germania entrò nella Società delle Nazioni.
Nel 1928, cinquantasette stati firmarono il patto Briand-Kellog, promosso da Francia e USA, che ripudiava il ricorso alla guerra come mezzo per la soluzione delle controversie, non condannando però le «guerre difensive». In realtà, la Società delle Nazioni era impotente: la Germania ne uscì e iniziò una politica di riarmo. Sulla questione dell’Austria vi fu un contrasto fra Germania e Austria: i nazisti tentarono un colpo di mano con l’assassinio del cancelliere Dollfuss, ma l’Italia rispose con l’invio di due divisioni al Brennero, per scoraggiare l’annessione dell’Austria alla Germania. Nel 1935 l’Italia tentò un riavvicinamento alla Francia, nella prospettiva della guerra d’Etiopia; la Germania si riannetté la Saar; a Stresa furono ribaditi gli accordi di Locarno e la sovranità dell’Austria. Ma questi accordi crollarono quando l’Italia mosse guerra all’Etiopia, paese membro della Società delle Nazioni. La Germania rioccupò la Renania.
Le democrazie occidentali nei confronti della Germania condussero una politica di appeasement (acquiescenza), consentendo anche, di fatto, l’intervento italo-tedesco a fianco dei franchisti nella guerra di Spagna. Nel 1936 si poteva parlare di «Asse Roma-Berlino»: Mussolini guardava ormai soprattutto al Mediterraneo, abbandonando l’area danubiana. Alla fine del 1937 anche l’Italia aderì al Patto Antikomintern, già stipulato fra Germania e Giappone.
Nel 1938 l’Austria fu annessa alla Germania; fu quindi la volta dei Sudeti e nel marzo 1939 la Germania occupò anche la Boemia e la Moravia. L’Italia occupò l’Albania e strinse con la Germania il Patto d’Acciaio. A questo punto le potenze occidentali proclamarono la loro volontà di difendere l’integrità della Polonia e iniziarono trattative con l’URSS, che invece nell’agosto 1939 firmò un patto di non aggressione con la Germania.

 

3. Come si caratterizzarono gli anni Venti negli USA?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Gli anni Venti negli USA, i cosiddetti «anni ruggenti», sono caratterizzati da:
a) isolazionismo (gli USA non entrano nella Società delle Nazioni); freno alle immigrazioni; protezionismo;
b) prosperità economica: capitale finanziario e capitale industriale si intrecciano sempre più strettamente con il potere statale: crescono le concentrazioni monopolistiche: 200 grandi imprese assorbono il 50% delle industrie; forte terziarizzazione della società, le ristrutturazioni tecnologiche (taylorismo e fordismo) colpiscono la classe operaia, riducendone l’importanza sociale: nasce l’«operaio-massa», non qualificato;
c) violenta campagna contro tutte le opposizioni e le minoranze etniche: è del 1927 l’ingiusta condanna dei due anarchici italiani Sacco e Vanzetti per una rapina mai commessa;
d) come contraccolpo si ha una drastica riduzione degli iscritti ai sindacati;
e) nasce la cosiddetta «civiltà dei consumi»: questa età è caratterizzata dal jazz, dall’automobile, dal cinema, dal proibizionismo e dal gangsterismo;
f) la Borsa vede speculazioni sfrenate, è l’età «del denaro facile».

 

4. Come si giunse alla crisi del ‘29?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Negli anni Venti le speculazioni in Borsa erano state sfrenate.
Il primo collasso si verifica il 24 ottobre 1929; nel giro di pochi mesi falliscono migliaia di piccole e medie imprese, il commercio si arresta, il sistema bancario crolla, cresce spaventosamente la disoccupazione.
Sulle cause della crisi le opinioni degli storici sono discordanti; tuttavia l’elemento più grave, se non quello scatenante, sembra essere stata la crisi agricola, susseguente alla ripresa dell’economia europea, che torna a essere in parte autosufficiente dopo la guerra; la recessione agricola coinvolge l’industria, con una reazione a catena. A questo vanno aggiunte le speculazioni finanziarie, che porteranno al crollo della Borsa, che secondo alcuni storici sarebbe l’unica causa della crisi.
La crisi dagli USA si diffuse su scala mondiale, soprattutto nelle aree più legate all’economia americana, come quella germanica, quella danubiano-balcanica e i paesi produttori di materie prime e derrate alimentari.

 

5. Quali sono le risposte politiche alla crisi del ‘29?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Sul piano politico le risposte alla crisi furono diverse. In linea generale:
- i paesi a capitalismo maturo e con una consolidata esperienza democratica (USA, Inghilterra, Francia), non alterarono il loro quadro politico, anche se diedero maggiori poteri di intervento all’esecutivo;
- i paesi a capitalismo più debole o con esperienze democratiche più fragili (Germania, Italia), imboccarono o rafforzarono la strada della dittatura totalitaria;
- i paesi con una economia preindustriale (paesi iberici e balcanici), approntarono soluzioni di dittature militari-confessionali.

 

6. Quali sono le ripercussioni della crisi del ‘29 sul piano della teoria economica?

POSSIBILE RISPOSTA:   
In campo dottrinario la crisi del ‘29 investe la fiducia liberista nei meccanismi di mercato ribadita dalla corrente economica «neoclassica». Secondo questa scuola l’economia capitalistica rappresenta la forma «naturale» dell’economia, differenziandosi dagli altri stati economici semplicemente per un più alto livello tecnologico. I neoclassici riprendono l’ottimismo smithiano, che vede il mercato spontaneamente volto all’equilibrio e alla massima utilizzazione delle risorse (piena occupazione). Di fronte alla crisi del ‘29 l’economia neoclassica si dimostra impreparata.
Convinto che la crisi significhi la fine del laissez faire è invece l’economista inglese J.M. Keynes, che fu a più riprese consigliere economico del governo britannico. L’analisi di Keynes si rivolge alla struttura economica nel suo complesso, è una analisi macroeconomica: il capitalismo, se lasciato libero nei suoi meccanismi, si dimostra incapace di raggiungere la piena occupazione e di evitare la crisi, è quindi essenziale l’intervento dello stato come promotore e regolatore del ciclo economico. Poiché la depressione è causata da un difetto di domanda, lo stato deve intervenire con propri investimenti in quei settori in cui il capitalismo privato non interverrà mai, al fine di creare reddito e quindi rilanciare la domanda e con ciò la produzione. Lo stato non deve attuare una politica deflattiva, che restringe i consumi popolari e l’occupazione, in quanto questa politica non rilancia l’occupazione ed è pericolosa sul piano sociale, comportando quindi la necessità di soluzioni autoritarie. La soluzione keynesiana abbina invece l’intervento dello stato e la salvaguardia della democrazia.

 

7. Come rispondono gli USA alla crisi del ‘29?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Tra il ‘29 e il ‘32 l’amministrazione Hoover rimase ligia ai principi del liberismo: la crisi si accentuò maggiormente. Nel ‘32 venne eletto F.D. Roosevelt, con un programma progressista di New Deal (Nuovo Corso) volto alla ripresa economica degli Stati Uniti, visti come soli garanti delle sorti della democrazia nel mondo. In questo programma lo stato deve avere una funzione centrale di controllo e di pianificazione:
a) vengono regolamentati la produzione, i prezzi e i salari della maggior parte delle imprese industriali;
b) vengono promosse una serie di opere pubbliche, che impiegano quattro milioni di disoccupati;
c) vengono definiti i salari minimi e la settimana lavorativa di quaranta ore;
d) viene imposto l’obbligo di riconoscere i sindacati e di rispettare la contrattazione collettiva; questo fatto favorisce una forte ripresa della sindacalizzazione, con l’intento di sbloccare la crisi di sovrapproduzione facendo crescere la domanda (la crescita del salario favorisce lo sviluppo);
e) viene svalutata la moneta per rilanciare le esportazioni;
f) viene istituita la Tennessee Valley Authority per lo sviluppo agricolo e industriale della vallata del Tennessee.
Il New Deal si può dividere in due fasi:
1) una prima fase, quella della ripresa, dal 1932 al 1935, che vede l’accordo fra governo, capitalisti, sindacati;
2) una seconda fase, dal 1935 al 1937, che vede l’opposizione sia del partito repubblicano, schierato su posizioni conservatrici, sia di movimenti neopopulisti che spingono per una accentuazione delle riforme.
Una nuova recessione nel 1937 viene fronteggiata con un nuovo ricorso all’intervento dello stato, ma la disoccupazione diminuirà solo tra il ‘39 e il ‘40, anche sotto l’effetto propulsivo del riarmo mondiale.

 

8. Come si configura la situazione dell’Inghilterra fra le due guerre?

POSSIBILE RISPOSTA:   
L’Inghilterra nel dopoguerra dovette recedere dalla sua posizione di primato economico e commerciale a favore degli Stati Uniti; dovette concedere l’autonomia all’Irlanda. La crisi economica seguente alla fine della guerra portò a forti tensioni sociali: nel 1926 si ebbe uno sciopero generale durato nove giorni; tra il 1929 e il 1931 il governo fu tenuto dai laburisti, che però non riuscirono a risolvere la crisi, per cui tornarono al potere i conservatori.
Nel 1931 venne istituito il Commonwealth fra le ex colonie Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, che ottenevano la piena sovranità, ma rimanevano legate alla Gran Bretagna da vincoli di natura politica ed economica.

 

9. Come si caratterizza la vita della Francia fra le due guerre?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Al termine della guerra la Francia si trovò a dover affrontare una immane opera di ricostruzione, che portò a un assorbimento della disoccupazione e a uno sviluppo del settore industriale, anche in relazione al recupero dell’Alsazia e della Lorena. La rapida ripresa comportò però alcuni problemi: inflazione; crescita delle organizzazioni e delle lotte operaie; orientamenti conservatori, in direzione delle destre, delle classi medie, che portarono alla vittoria, nelle elezioni del 1919, del Blocco Nazionale (Clemenceau) antisocialista e intransigente nei confronti della Germania. Gli anni del dopoguerra videro un alternarsi di governi conservatori e di governi di sinistra (1924 «Cartello delle Sinistre», fra socialisti e radicali, con esclusione dei comunisti). A partire dal 1932 la Francia iniziò a risentire i contraccolpi della crisi del ‘29, che vennero aggravati dall’affermazione del nazismo in Germania. Le organizzazioni di destra divennero particolarmente attive e tentarono persino di assaltare il Parlamento, ma le elezioni del 1936 videro una grande vittoria del Fronte Popolare (radicali, comunisti, socialisti) e diedero vita al governo del socialista Léon Blum, che attuò una serie di riforme, quali:
- settimana lavorativa di quaranta ore;
- aumento dei salari;
- ferie retribuite;
- riconoscimento dei diritti sindacali.
Le maggiori difficoltà vennero dalla politica estera, in cui la Francia non riuscì a trovare una propria posizione autonoma, schiacciata com’era tra Germania e Inghilterra; esemplare a questo proposito è l’atteggiamento di passività al momento della guerra di Spagna. L’esperienza del governo di sinistra era quindi esaurita quando Léon Blum si dimise, nel 1938.

 

10. Qual era la situazione della società spagnola ai primi del 900?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Si trattava di una società per molti aspetti arcaica:
- la Chiesa cattolica manteneva un vastissimo potere, sia economico sia culturale (controllo sull’educazione);
- la nobiltà deteneva gran parte della proprietà della terra:
-
l’aristocrazia militare era forte e prestigiosa;
- l’alta borghesia aveva pochi tratti capitalistici e gravitava piuttosto nell’orbita della nobiltà;
-
la media e piccola borghesia non aveva particolari caratteristiche autonome;
-
i contadini erano in grande maggioranza senza terra;
- la classe operaia era poco numerosa (Asturie, Catalogna), ma assai combattiva e si esprimeva in due organizzazioni sindacali, una socialista e una anarco-sindacalista; sul piano politico erano particolarmente forti il partito socialista e il movimento anarchico.

 

11. Come si sviluppò la guerra civile spagnola?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Nel 1923 in Spagna fu instaurata una dittatura militare da parte di Miguel Primo di Rivera, in accordo con il re Alfonso XIII, che però se ne liberò nel 1930, in seguito al radicalizzarsi delle tensioni interne. Le elezioni del 1931 segnarono una vittoria schiacciante dei partiti repubblicani, tanto che il re abbandonò il trono e fu varata una nuova costituzione, di impronta fortemente democratica. Negli anni 1931-33 il governo fu tenuto dal socialista Azaña, che procedette ad alcune riforme, senza però toccare il punto nodale della riforma agraria e tuttavia suscitando le opposizioni e la ricomposizione delle destre. Gli anni 1933-35 furono definiti per questo «il biennio nero». Le sinistre di fronte al pericolo riuscirono a trovare una unità, che alle elezioni del 1936 portò alla vittoria del Fronte Popolare (repubblicani, socialisti, comunisti, trotskisti, anarchici), ma si trattava di una unità assai precaria. In particolare, si scatenò la violenza delle masse operaie e contadine contro proprietari ed ecclesiastici; a questa fecero eco le violenze dei gruppi fascisti, organizzati nella «Falange», un movimento fondato da José Antonio Primo de Rivera.
La guerra civile iniziò con la rivolta della guarnigione del Marocco, guidata dal generale Francisco Franco;la rivolta si propagò alla Spagna, che venne spezzata in due. La guerra assunse subito una forte rilevanza in campo internazionale e fu marcatamente connotata in senso ideologico. Essa si protrasse dall’estate del 1936 alla primavera del 1939 e si concluse con l’instaurazione di un regime di stampo fascista. Germania e Italia appoggiarono i franchisti con invio di uomini e di armi. Francia e Inghilterra decisero di non intervenire, sia per timore di una avanzata delle sinistre che portasse alla formazione di uno stato di tipo sovietico, (Inghilterra), sia per debolezze interne, (Francia), sia per timore di estendere il conflitto su scala europea. L’unico stato che si schierò ufficialmente con il legittimo governo repubblicano spagnolo fu l’URSS, che inviò uomini e materiale bellico, favorendo soprattutto il partito comunista, a scapito di trotskisti e anarchici. Particolarmente importante e significativo fu l’intervento dei volontari antifascisti provenienti da tutta Europa e dagli Stati Uniti, inquadrati nelle Brigate Internazionali.

 

12. In che modo si afferma l’imperialismo del Giappone?

POSSIBILE RISPOSTA:   
L’economia giapponese risentì fortemente dei contraccolpi della crisi del ‘29, sia nel settore industriale sia in quello agricolo. Sul piano politico si sviluppò un orientamento di tipo fascista, volto a superare la crisi con una politica di riarmo e di espansione imperialistica: nel 1931 iniziò l’invasione della Cina, favorita anche dalla guerra civile cinese che opponeva le forze del Kuomintang e quelle rivoluzionarie di ispirazione sovietica, in pochi anni il Giappone si impadronì di tutta la Cina orientale, giungendo addirittura nel 1940 a costituire un governo cinese fantoccio. L’intervento in Cina portò a un avvicinamento del Giappone alla Germania e provocò in Cina un riaccostamento fra i nazionalisti del Kuomintang e i comunisti di Mao Tse Tung.

 

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