DA PALERMO A TRAPANI: ALLA SCOPERTA DELL'OVEST SICILIANO

 

Si possono seguire due itinerari: il primo passando per Segesta, 100 Km. per mezzo strade statali n. 186 e 113; il secondo passando per Castellammare del Golfo, 106 Km. per le strade statali n. 113 e 117

PER SEGESTA

Da Palermo a Monreale (8 Km.). Al Km. 26, Borgetto da dove una piccola strada sale (4,5 Km.) al Santuado della Madonna del Romitello (718 m.). Festa il 10 Maggio. Panorama sul Golfo di Castellammare e su Segesta. Al Km. 29, Partinico. La strada gira intorno a questo centro agricolo di 25.000 abitanti situato in una regione fertile. Al Km. 49, Alcamo, centro industriale e agricolo di 43.000 abitanti, alle pendici del Monte Bonifato (826 m. d'altitudine, ascesa di un'ora). Hotel Centrale (4 Categ. - tf. 21549), Via Amendola. Alcamo, di origine araba (Alkamouk), possiede alcune chiese interessanti. In corso 6 Aprile, che attraversa tutta la città, si erge all'inizio, 5. Francesco: nell'interno, due statue di A. Gagini e una pala d'altare in marmo attribuita a G. Gagini. Un po' più lontano, sulla sinistra in Via G. Caruso, chiesa della Badia Nuova: facciata del XVIII secolo con cinque statue di Serpotta e, all'interno, una pittura di P. Novelli (5. Benedetto). Si arriva in seguito all'angolo di Via 5. Tommaso dove si trova l'ex-piccola chiesa di 5. Tommaso, che ha conservato, della sua costruzione del XV secolo, un ricco portale gotico. A destra, in Via Rossotti, la Chiesa della Badia Grande conserva delle statue allegoriche, un tabernacolo in marmo di A. Gagini e due tele di P. Novelli che rappresentano 5. Teresa e l'Assunzione. La Chiesa Madre o Cattedrale, in Piazza 4 Novembre, fu ricostruita nel 1669 ma ha conservato della sua costruzione originale un grazioso campanile del XIV secolo e un portale di marmo del XV secolo. Nella cupola, nell'abside, affreschi di G. Borremans (1787); sculture di A. Gagini e dei suoi allievi; nell'ultima cappella di destra, crocifisso dipinto del XV secolo. Di fronte si vede I'ex-chiesetta di 5. Nicolò. In Piazza Ciullo, si eleva la chiesa di 5. Ollva del XVII secolo. Nell'interno, nel 4 altare di destra, bella statua di 5. Oliva, opera di A. Gagini. Dal fondo della piazza è possibile salire al castello del XIV secolo con torri cilindriche e quadrate. Al nord della città, Santuario della Madonna dei Miracoli (festa verso il 20 Giugno). Una strada di 6 Km. permette di arrivare ad Alcamo Marina, piccola stazione balneare. Al Km. 58, una strada a destra, passando dalle Terme Segestane (stabilimento termale con acque solforose), permette di arrivare in 8 Km. a Castellammare del Golfo. Al Km. 64, una stradetta a destra, in bruttissimo stato, conduce in 3 Km. alle rovine di Segesta, servite anche da una linea ferroviaria a un Km. e mezzo (stazione Segesta Tempio). La strada sbocca al parking (buvette restaurant), ai piedi della collina dominata dal tempio. A sinistra, strada carrozzabile di un Km. che permette di accedere al teatro sul Monte Barbaro.

SEGESTA O LA PERFEZIONE DELL'ORDINE DORICO

Segesta, in greco Egesta, capitale degli Elimi, era situata sull'altopiano di fronte alla collina, dove si erge ancora il suo tempio. È il solo vestigio, con il Teatro, di questa città che giuoca un ruolo considerevole, non soltanto nella storia della Sicilia greca ma anche in quella dei Greci. Secondo la leggenda, la città sarebbe stata fondata da Aegestes, re di Erice per accogliere i profughi di Troia. Secondo i cronisti greci, gli Elimi erano un miscuglio di popolazioni sicane, troiane, e focesi dalle tradizioni religiose ereditate da antichi culti neolitici. Vicino a Selinunte e in perpetuo conflitto con essa, Segesta si allea agli Ateniesi fin dal 453 a.c., ma sarà costantemente vittima delle lotte che oppongono Cartaginesi e Greci. Agatocle nel 307 a.c. farà conoscere ai Segestini un destino orrendo. "Alcuni ebbero le membra sfasciate da una ruota; altri, legati a delle catapulte, furono lanciati lontano. Agatocle ideò un altro genere di supplizio, paragonabile al toro di Falaride: egli fece fabbricare un letto di bronzo avente la forma di un corpo umano fornito di una graticola sul quale i pazienti venivano legati, e accendendovi il fuoco, li bruciava vivi'> e "anche le mogli dei cittadini ricchi non sfuggirono a queste torture: alcune ebbero i talloni stritolati da tenaglie, altre i seni tagliati. Alle donne incinte veniva compresso il basso ventre per mezzo di mattoni ammonticchiati, finché il peso delle pietre le faceva abortire. Questi furono i mezzi di cui si servì il tiranno per scoprire le ricchezze e riempire la città di terrore>' (Diodoro Siculo). Coloro che sfuggirono a questo orribile massacro furono deportati come schiavi. Ciò nonostante, la città che tutto perdette, finanche il suo nome, rinacque dalle sue ceneri sotto il nome di Diakaiopolis. Ma nel 260, al tempo della prima guerra punica, essa fu nuovamente attaccata dai Cartaginesi. Liberata dai romani, conobbe infine un breve periodo di calma; dopo di ché fu saccheggiata da Verro e infine distrutta dai Vandali e dai Saraceni. Il Tempio. È un miracolo che il tempio ci sia pervenuto intatto. Strano sopravvissuto di una città saccheggiata, testimone di tanti conflitti e di delitti, si innalza come una gabbia di pietra su una collina coperta di fiori e di abe. Immerso nella solitudine di uno scenario grandioso e desertico, questo tempio è, fra tutti gli edifici antichi della Sicilia, quello che dà, in maniera più sorprendente, il senso del divino. La sua costruzione risale probabilmente al 425 a.c., ma la si sarebbe interrotta nel 409, al tempo della prima distruzione della città. Il santuario (periptero di 36 colonne doriche, 6 sulle facciate e 14 sui lati) presenta una particolarità: soltanto il cornicione, i colonnati e i frontoni sono stati edificati. Non si ritrova alcuna traccia di lastricatura nè di sistemazione interna. Inoltre, le colonne non sono scanalate e le fondamenta portano ancora i teloni che ne facilitavano il trasporto. Tutti questi dettagli provano che il tempio è rimasto incompiuto. Alcuni archeologi pensano, al contrario, che esso non fosse stato concepito per esser chiuso ma come "un reliquario vuoto" che circondava l'altare dei sacrifici. Comunque sia, il tempio di Segesta, uno dei più bei campioni dello stile dorico, appare come un edificio di grande perfezione e come "una testimonianza di ragione, di ordine, di intelligenza, in mezzo al caos, all'indifferenza e all'anarchia della natura" (B. Berenson, Viaggio in Italia). Bisogna notare il leggero rigonfiamento delle colonne destinato a correggere le illusioni ottiche, raffinatezza che si può osservare anche nel Partenone. Il Teatro. Scavato sulla cima del Monte Barbaro, dove sorgeva la città, questo teatro, costruito nel III secolo a.c., quando Segesta liberata dai Cartaginesi, conobbe un nuovo sviluppo, occupa una posizione eccezionale. Il panorama si estende sulla pianura e sulle montagne che circondano il Golfo di Castellammare. Le venti rampe di scalini (63 m. di diametro) sono divise in sette settori da scalinate. Le parti murali sono ben conservate e si distingue ancora la scena. Scavi effettua i in questi ultimi dieci anni hanno permesso di portare alla luce, ai piedi del Monte Barbaro, in località detta Mango, un santuario rettangolare chiuso da un muro (87 m. x 43) all'interno del quale sono venuti alla luce i resti di due templi dorici del VI e V secolo a.c. Da Segesta è possibile arrivare a Trapani, sia dall'autostrada, sia continuando la statale n. 113 che passa in prossimità di Calatafimi. Questo centro agricolo, di origine araba, come dice il suo nome (Kalat-al-Fimi), deve la sua notorietà a una delle prime vittorie riportate da Garibaldi sui borboni, il 15 Maggio 1860. La strada si addentra in un paesaggio montagnoso prima di arrivare nella piana di Trapani. A destra, veduta sul monte Erice (75 m). Al Km. 100, Trapani.

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