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La rivoluzione industriale

capitolo 3: Come nacque l'industria del cotone: invenzione di congegni ed impiego di capitale
di Guido Marenco
Colli di bottiglia

«Alla domanda perchè la rivoluzione industriale non avvenne prima - scrive Ashton - si possono dare molte risposte. Nella prima parte del secolo XVIII l'ingegno e l'inventiva abbondarono, ma occorse del tempo perchè dessero i loro frutti. Alcune delle prime invenzioni fallirono perchè l'idea non era ancora perfetta, altre perchè non era disponibile il materiale adatto, per mancanza di qualificazione o di adattamento da parte dei lavoratori, o per la resistenza della società ai mutamenti. » (Ashton - cit.)
L'industria mancava ancora di capitali da investire in edifici ed attrezzature: si dovette anche attendere che una certa idea di progresso, che lo storico definisce come ideale e come realtà attiva nel corpo sociale, passasse dalla testa di pochi a quella di una maggioranza.
In ciascuno dei settori protoindustriali si incontravano dei colli di bottiglia da rimuovere.
L'industria mineraria non riusciva a trovare un rimedio agli allagamenti delle miniere. Gli scavi dovevano fermarsi a profondità relative. La produzione con metalli vili (per dirla con Adam Smith) era bloccata dal problema del combustibile adatto agli altiforni e dalla scarsità di materiale come il ferro, che doveva essere importato dalla Russia, addirittura dagli Urali, o dalla Svezia.
L'industria tessile si scontrava con un'inadeguata offerta di filati. « I trasporti, il commercio e il credito erano anch'essi soggetti alla manomorta dell'organizzazione monopolistica, e l'impaccio di questi servizi aveva conseguenze negative...Fu così che, pur essendoci una crescita in ogni campo dell'attività umana, il mutamento non fu mai tanto rapido da mettere in pericolo le istituzioni esistenti. » (Ashton - cit.)
Un vero e proprio collo di bottiglia era però rappresentato dalla legislazione protezionistica, dalle disposizioni sull'apprendistato in chiave corporativa risalenti al tempo di Elisabetta I, e da una legge del 1736 che, pur autorizzando la produzione di stoffe miste, vietava la produzione di cotone stampato. Si trattava di una legge fortemente voluta dalla corporazione dei lanieri, preoccupati dall'aumento della concorrenza del cotone, ma sostenuta dalla lobby della East India Company, che aveva interesse all'importazione dei prodotti finiti di cotone made in India. Essa verrà fatta valere ancora nel 1774, quando l'impero che Arkwright, associato a Need e Strutt, veniva edificando nel campo della filatura cotone, minacciò da vicino i livelli di produzione di manufatti di lana e i piccoli imprenditori del cotone.

In realtà i capitali c'erano: il problema era costituito dal fatto che nessuna impresa industriale aveva allora, agli occhi dei potenziali investitori, una sufficiente attrattiva. Meglio investire nei settori mercantili tradizionali, acquistare azioni delle Compagnie commerciali come la East Indian, o, appunto, nelle enclosures delle terre.
C'era una logica in tutto questo: i nuovi nababbi desideravano spesso acquistare, nel vero senso della parola, i tratti distintivi della nobiltà.
Divenendo proprietari terrieri, muovevano il primo passo nella direzione giusta. Era più facile maritare la propria figlia a qualche duca o barone, o a qualche cavaliere dello Shire che avesse accumulato debiti di troppo. L'idea fu rappresentata da Moliére nel suo Borghese Gentiluomo, ma era tratta da quanto accadeva realmente nel mondo.

Il possesso della terra è conveniente, ma l'agricoltura non fa ricchi...

Adam Smith, nel lungo capitolo dedicato alla rendita, svolse una serie impressionante di considerazioni sulla redditività dei suoli e dei terreni, dimostrando che la terra era un buon investimento, forse il migliore possibile ma, avvertendo, in un successivo capitolo sugli impieghi del capitale, che in nessuna parte d'Europa l'impegno diretto in agricoltura aveva reso ricco qualcuno. In sostanza, mentre la rendita fondiaria non era un cattivo investimento, secondo Smith, non era realmente conveniente impegnare il proprio denaro nell'acquisto o nel nolo di piccoli appezzamenti da lavorare in proprio o tramite braccianti.


...o invece sì

Di tutt'altra opinione era Arthur Young, il quale credeva fermamente nella possibilità di trasformare l'agricoltura in un business. In un opuscolo di sapore didattico spiegava quanto fosse dispendioso mantenere un fondo agricolo coltivandolo a metà a grano, e destinando l'altra parte a maggese, ovvero alternando la coltura in ciclo biennale. Per Young, una differenziazione dei diversi tipi di coltura, con la semina in diversi periodi dell'anno, avrebbe consentito un notevole risparmio basato sull'impiego di un minor numero di cavalli per l'aratura in autunno e il raccolto all'inizio dell'estate.
L'idea di Young era questa: suddividendo la terra in sette parti, ad esempio, si potevano seminare i fagioli in febbraio, l'avena bruna nell'ultima parte di febbraio ed agli inizi di marzo, l'orzo in aprile, la rape in giugno e luglio, il grano in settembr e, i piselli ad ottobre e novembre, un campo di trifoglio per un anno. «Con questa organizzazione delle colture la terra verrà mantenuta pulita e produttiva, perchè i raccolti che impoveriscono il suolo, quelli del grano, orzo e avena, non sono sproporzionati rispetto al resto. Lascio al lettore - prosegue Young - quale risparmio possa essere per il fittavolo tenere solo quattro cavalli al posto di sei od otto e ngrassare quattro giovenche o buoi o tenere quattro vacche al posto di quattro cavalli inutili.» (fonte: Farmer's Letters to the People of England, London, W. Nicoll, 1768)
La critica di Young, ovviamente, è comprensibile solo se si chiarisce che per ragioni ancora incerte, molti agricoltori avevano sostituito i cavalli ai buoi come energia trainante l'aratro ed i carri per il trasporto dei prodotti.
Il ragionamento di Young era significativo di quella mentalità orientata a spremere oro dalle rape che andava diffondendosi e che non coincideva esattamente con le metodiche e prudenti osservazioni di Adam Smith. Lo stesso Young, del resto, non aveva esitato ad incitare a far figli perchè "oggi valgono come mai in precedenza." (fonte: Christopher Harvie - Rivoluzione e dominio della legge - in Storia dell'Inghilterra a cura di Kenneth O. Morgan - cit.) Era un chiaro invito a far figli per spremere oro anche dal loro precoce impiego in attività lavorative. Ma, a prescindere da queste osservazioni quantomeno spregiudicate, stupisce che Young non contempli altro uso produttivo del cavallo, il quale poteva essere utilizzato come mezzo di trasporto per tutto il periodo nel quale non occorreva in agricoltura. Non si spiegherebbe altrimenti la sua sostituzione al tradizionale giogo di due buoi affiancati.

Ricapitolando: il possesso della terra favoriva un certo inserimento sociale ai piani nobili dell'edificio sociale inglese e dava qualche utile; il commercio continuava ad essere altamente remunerativo; lo sfruttamento del lavoro a domicilio consentiva un buon margine di profitti; l'agricoltura poteva consentire di vivacchiare; mentre l'investimento in attività artigianali o semi-industriali prometteva al momento solo lacrime e sangue, richiedendo un impegno estenuante anche da parte del padrone, senza promettere gli stessi risultati conseguibili con la speculazione sui fondi. Inoltre, la storia successiva si incaricherà di dimostrare un fatto inoppugnabile: l'innovazione tecnologica era mal vista perchè distruggeva l'equilibrio sociale ed economico e minacciava i livelli occupazionali. I principali oppositori attivi all'innovazione furono gli stessi imprenditori-mercanti ed i loro lavoranti salariati che godevano i privilegi di una sorta di aristocrazia operaia, in particolare gli operai tessitori.

Meglio far strade e canali navigabili

In un contesto simile, non vi erano particolari ragioni per investire nell'industria e nell'innovazione in generale, salvo che in casi del tutto particolari, o persino fortuiti. Uno di questi, come spesso accade, era l'amicizia o l'ammirazione che poteva suscitare un particolare talento, o la passione per una certa idea, come quella che spinse il duca di Bridgewater a far scavare i canali artificiali, investendo cifre esorbitanti. Se tutti questi soldi fossero stati investiti in fabbriche di cotone, probabilmente lo sviluppo sarebbe stato non più veloce, ma più lento nel vero senso del termine. I canali, facilitando enormemente i trasporti di materiali quali l'argilla, il carbone, il ferro, il sale, il legname, le balle di cotone, si sarebbero rivelati indispensabili allo sviluppo industriale molto più dell'industria stessa. Non diversamente si potrebbe dire per le strade. All'inizio del secolo occorrevano ancora circa 14 giorni per andare da Edimburgo a Londra. Grazie alle migliorie realizzate ed all'introduzione di pedaggi, peraltro contestati, molti privati investirono in queste opere civili, consentendo un netto incremento della velocità media. Il viaggio da Edimburgo a Londra, anche grazie al progresso realizzato nella costruzione di diligenze, poteva avvenire in 48 ore. Il sistema postale divenne più efficiente e ne trasse vantaggio ogni tipo di commercio: gli ordinativi viaggiavano molto più velocemente, mentre i tempi di consegna delle merci venivano più che dimezzati.


Miniere di carbone

Alcuni proprietari terrieri erano anche proprietari delle miniere di carbone. L'invenzione della macchina di Savery e, soprattutto il modello concepito più tardi da Newcomen, consentirono finalmente il pompaggio dell'acqua dalle miniere e quindi una maggiore produttività delle stesse. Anche quando esse erano date in affitto, vi era la possibilità di introdurre questa importante innovazione. Ashton presenta alcune descrizioni che, in parte, modificano il quadro tradizionale che abbiamo del lavoro in miniera con il sorvegliante schiavista che caccia giù i minatori riluttanti e malnutriti a suon di sferza.
Alcune miniere erano, per così dire, autogestite da gruppi di minatori, che non solo estraevano il carbone, ma lo consegnavano ai consumatori, incassavano il ricavato e pagavano quindi la rendita al proprietario. Spesso il lavoro di consegna era svolto dai loro figli. Sovente da loro stessi che, con il loro aspetto rude e minaccioso, il volto annerito, gli occhi semichiusi, un sorriso simile ad un solco di ruggine infernale, scoraggiavano qualsiasi tentativo di diluire il pagamento. Non è escluso che alcuni clienti fossero più che altro inteneriti dall'aspetto dei fornitori, ma il dato inconfutabile è che il carbone veniva consegnato in ceste od in sacche, e che il trasporto dal carro alla cantina od alla rimessa richiedeva uno sforzo da fisico erculeo.
Il carbone veniva estratto dai minatori, ma veniva portato in superficie dalle loro mogli e dai loro figli, che lo spingevano, o al più la facevano trainare da piccoli pony. Solo con i miglioramenti nella metallurgia divenne possibile costruire rotaie in ghisa che consentirono il trasporto in rudimentali carrelli. Ma queste migliorie furono possibili solo a seguito della sostituzione, o della trasformazione, delle compagnie di minatori con imprese estrattive di tipo capitalistico.
I soci delle vecchie compagnie non avrebbero potuto permettersi l'introduzione della macchina a vapore per il pompaggio dell'acqua. Fu questo a trasformare anche l'attività estrattiva in un business.

L'artigianato tessile ed il nuovo mercato

Su un piano più generale, tuttavia, le trasformazioni più rilevanti furono quelle che portarono al rifiorire dell'artigianato tessile nelle città. Il passaggio dalla manifattura decentrata alla fabbrica vera e propria fu non breve ma, comunque, intenso. Per lungo tempo i due sistemi vissero fianco a fianco, trovando più forme di convivenza che forme di vera e propria concorrenza. L'idea di Landes, per la quale dalla mano ruvida e callosa di un contadino abituato a lavorare di zappa e d'aratro, non poteva uscire un prodotto finale sopraffino, ritrae una particolare situazione nella quale il prodotto tessile, pur non essendo merce da battaglia, ovvero un prodotto scadente, era pur sempre un prodotto grezzo, a basso costo, dunque acquistabile anche dai meno abbienti.
La prima guerra che la rivoluzione industriale, prima ancora di cominciare, dovette affrontare, ancora secondo Landes, fu quella di rendere accessibile ad una larga massa di consumatori poveri prodotti a basso costo. Il prezzo dei filati fini di città era più alto, quello di campagna più basso. Ci sarà vera rivoluzione, pertanto, quando anche il prodotto fine diventerà accessibile, quando anche sulle mense più povere appariranno tovaglie colorate, ai vetri si metteranno tendine e quando nei letti dei nullatenenti ci saranno lenzuola fresche e pulite in luogo di squallidi giacigli di lana grezza e pidocchiosa. Allora molte donne del popolo avranno, come la regina Elisabetta I Tudor, le calze di lana aderenti, ed anche gli uomini potranno permettersi mutandoni di lana per difendersi dal freddo.
Per Landes questo nuovo consumismo fu decisivo per preparare il grande balzo. Ma esso era stato indotto in misura determinante dall'esigenza dettata dai mercanti con l'estero di avere assoluto bisogno di merci a buon mercato. In un primo tempo le argomentazioni di Landes mi erano parse piuttosto fantasiose, ma a rifletterci, ne ho visto la validità. Egli scrive:« Per L'Inghilterra i mercati più promettenti, nel Sei e Settecento, non erano in Europa ( cosa che afferma, come abbiamo visto, Ashton, nda) dove si stavano sviluppando industrie locali e dove governanti mercantilisti si mostravano sempre più avversi all'importazione di manufatti, ma piuttosto oltre oceano: nel Nuovo Mondo, in Africa, in Oriente. Fra queste regioni c'era grande diversità di bisogni e di gusti. La gente delle tribù africane ed i braccianti di piantagione delle Antille volevano stoffe fresche e sottili, colori vivaci, oggetti di metallo lucente - i tessuti di lana leggera, i quadrettati di tela di cotone di Manchester, gli oggetti stampati di poco prezzo delle fonderie di Birmingham; analoghe, ma più sobrie, erano le richieste del contadino indiano o cinese (esclusa la maggior parte dei cotonati); l'agricoltore del New England o il mercante di Filadelfia, alle prese con un clima più aspro e variabile e tecnologicamente più sofisticati, compravano tessuti più pesanti e articoli di ferramenta più robusti. Tutta questa clientela, comunque, aveva un denominatore comune, e di carattere negativo; aveva scarso interesse per i prodotti di lusso, costosi e molto rifiniti.» (Landes - cit.)
Questo elemento giocò, secondo Landes, a vantaggio della quantità anzichè della qualità. In sostanza i produttori misero da parte l'orgoglio, l'antico orgoglio artigiano, ed in tutta umiltà si misero a produrre oggetti per la massa. Più che a difendere il marchio della bottega, essi erano orientati al mercato. Il dato che sottolinea Landes ha una valenza, per così dire ideologica. In nessun altro paese del mondo, con l'eccezione della solita Olanda, le decisioni imprenditoriali erano più razionali, cioè meno influenzate da questioni di prestigio o di abitudine.

Secondo Landes, inoltre, solo la conquista di una quota così ampia del mercato dei manufatti, spiegherebbe come l'Inghilterra sia riuscita a "compiere il salto al modo superiore di produzione".
Ma, è singolare che tutto questo avvenne prima della stessa rivoluzione industriale, e che a partire dal 1760, secondo uno studio che cita lo stesso Landes, in piena rivoluzione industriale, il commercio con l'estero conobbe una grave flessione. Gran parte della fortuna industriale, quindi, si giocò su fattori favorevoli di mercato interno. Secondo David Eversley, già nel sesto decennio del Settecento diminuirono le spedizioni di lana, i cotoni entrarono in crisi tra il 1760 ed il 1770; più tardi, e fino al 1790, ci fu un calo dell'esportazione di ferro ed acciaio.
Su questa base, tuttavia, ed io mi permetto di farlo, si potrebbe avanzare un'ipotesi non del tutto peregrina: le esportazioni diminuirono non perchè c'era minore richiesta all'estero, ma perchè c'era più richiesta in patria, ed era più conveniente vendere nelle vicinanze, ricavando immediatamente gli utili, anzichè attendere mesi, se non anni, per godere dei profitti.
Adam Smith, del resto lo aveva appena scritto: il ciclo del commercio interno è più breve, i capitali investiti ritornano, con profitto, in un tempo molto minore nel commercio a breve raggio d'azione. Epperò i commerci con i paesi lontani, consentono profitti più alti, specie se di mezzo c'è la tratta degli schiavi, se si portano questi in Giamaica, se si barattano con il rum e se si porta questo nella Virginia e se si riparte dalla Virginia con il tabacco, il rum rimasto, il cotone e li si portano in Inghilterra e poi li si distribuisce ancora in quella parte d'Europa che è ricettiva. Adam Smith notava che solo il 15% del tabacco importato rimaneva in Inghilterra; il resto serviva tutta l'Europa, e se non passava regolarmente le dogane, entrava, comunque, di contrabbando.

Il balzo tecnologico (e la maledizione di Prometeo)

La storia delle tecniche di produzione è più lunga di quanto generalmente si creda e mostra quante difficoltà dovettero essere superate. Ma fu anche una storia sfortunata, una vicenda che farebbe pensare più al Prometeo incatenato che al Prometeo liberato cantato da Landes. Il destino di molti innovatori fu segnato da una specie di maledizione che non solo impedì loro di beneficiare dei guadagni possibili, me che li gettò in un mare di guai e di disavventure.
Il primo significativo progresso, e il primo disastro esistenziale, si verificarono nel campo della produzione tessile.
Già ai tempi di Elisabetta I esisteva una rete di produttori a mano di calze localizzata nelle campagne. Proprio in quel periodo un pastore anglicano, William Lee, inventò un telaio per fare le calze e questo consentì la nascita di una maglieria a Londra, già organizzata su basi semiindustriali.
E' interessante notare che Lee non solo non riuscì ad arricchirsi per l'invenzione, ma dovette riparare in Francia perchè minacciato dagli operai e dagli artigiani concorrenti che vedevano in essa un pericolo. Qui si stabilì a Rouen con una decina di operai, ma morto l'illuminato sovrano Enrico IV che lo aveva protetto, incominciò una persecuzione contro di lui anche un Francia. Lee aveva anche il torto di non essere cattolico, quindi ancora più sospetto. Dovette chiudere bottega e riparare a Parigi dove morì solo e dimenticato. Una parte dei suoi compagni ritornò invece in Inghilterra, si stabilì nei dintorni di Nottingham e qui, finalmente, il telaio di Lee prese a funzionare regolarmente.

« Ma già durante la prima metà del secolo - scrive Ashton - c'erano dei presagi di mutamenti nell'industria tessile. Qua e là, per ragioni tecniche, piccoli gruppi di operai venivano raccogliendosi in laboratori e in piccoli opifici funzionanti ad energia idraulica. Le innovazioni e gli esperimenti erano numerosi. Nel 1717 Thomas Lombe, il cui fratello aveva portato dall'Italia (si badi: dall'Italia! nda) disegni di macchine, impiantò un vero e proprio stabilimento sul fiume Derwent, dove circa trecento operai lavoravano a filare la seta; questo stabilmento fu il precursore di una serie di fabbriche analoghe, anche se poche di esse lavoravano la seta, che in Inghilterra non ha mai trovato condizioni proprie per un forte sviluppo.»
Ashton per la verità non precisa, come Landes, che John Lombe aveva sottratto i disegni gelosamente custoditi come un segreto e che dovette fuggire avventurosamente, inseguito da una nave. (vedi Landes - cit.). Non solo, secondo alcuni, egli morì in circostanze oscure, e alcuni insinuarono che fosse stato avvelenato a causa di un complotto dei produttori di seta italiani che volevano vendicarsi.

Nel 1733 un giovane chiamato John Kay, nato a Bury, posto nella contea di Lancaster, nel 1704, apprendista e poi operaio alle dipendenze di un tessitore di panni a Colchester, ma poi passato alla costruzione di pettini per telai, scoprì un nuovo procedimento per "cardare e torcere il mohair e la lana pettinata". (fonte Mantoux: R.W. Cooke-Taylor - Introduction to the History of The Factory System, pag 403 - data e luogo di pubblicazione ignoti)
L'invenzione di Kay era un semplice perfezionamento del telaio esistente, ma assunse un nome leggiadro, fly-shuttle, navetta volante, e fu stimolata "da una difficoltà pratica sperimentata quotidianamente dai fabbricanti. Era impossibile ottenere pezze di una certa lunghezza senza impiegarvi due o più operai, poichè un solo operaio, passando la navetta da una mano all'altra, era costretto, ovviamente, a regolare la dimensione della stoffa sull'apertura delle sue braccia. Kay pensò di lanciare la navetta da una parte all'altra del telaio, e per questo la munì di rotelle e la pose su di una specie di guida, disposta in maniera tale da non impedire il ritmico abbassarsi ed alzarsi dei fili dell'ordito. A destra ed a sinistra, per impedirgli un movimento di andirivieni, egli mise due racchette di legno fissate a regoli orizzontali; queste due racchette erano collegate da funicelle ad un'unica impugnatura in modo da poter lanciare con una sola mano la navetta nei due sensi." (fonte Mantoux: R.W. Cooke-Taylor - Introduction to the History of The Factory System, pag 403 - data e luogo di pubblicazione ignoti)
Nelle note sterminate che accompagnano ogni capitolo del suo lavoro, Mantoux specifica anche, in modo non chiarissimo, che il telaio olandese, modello che peraltro non era molto diffuso in Inghilterra, non consentiva la produzione di nastri, mentre la fly-shuttle ovviava anche a questa difficoltà.
In ogni caso, l'invenzione attirò su Kay grandi disgrazie. I tessitori di Colchester lo accusarono, se non di stregoneria e commercio con il diavolo, di volerli privare del pane. Kay dovette emigrare a Leeds, ma anche qui non ebbe fortuna. I tessitori volevano usare la sua invenzione, ma rifiutavano di pagargli i diritti. Iniziò allora un contenzioso legale senza fine, un John Kay vs l'associazione dei tessitori denominata Shuttle-Club, ed il povero ragazzo di Bury, Lancaster, ne uscì rovinato.
Tornato nel 1745 al villaggio natio, forse per sottrarsi a vere e proprie persecuzioni, non riuscì comunque a sfuggire al suo triste destino di Prometeo incatenato. Nel corso di una sommossa popolare una folla inferocita gli saccheggiò la casa. John Kay raggiunse Manchester e si imbarcò per la Francia nascosto in un sacco di lana.
Ma se John Kay dovette mangiarsi il fegato più volte, la sua creatura ebbe successo. Nel 1760, grazie alla fly-shuttle , l'industria tessile poteva godere di una tecnologia molto migliore.

Adesso mancava il filato

Ma proprio l'invenzione della fly-shuttle fece esplodere una contraddizione: il filato non era mai sufficiente. Ecco uno dei colli di bottiglia descritti da Ashton. Se prima della fly-shuttle occorrevano da cinque a sei filatoi per rifornire un telaio tradizionale, ora ne occorrevano molti di più. Ciò portò ad un aumento del prezzo del filo, determinato dalla scarsità, ma anche dal costo del lavoro. Era nell'aria l'esigenza di una rivoluzione tecnica nel campo della filatura e questa avvenne non nel campo della lana, ma in quello del cotone, grazie a John Wyatt e Lewis Paul, forse il vero inventore del filatoio automatico, che egli aveva denominato confidenzialmente gimcrack, gingillo.
Diciamo subito che anche la storia di Wyatt e Paul non fu più fortunata di quella di Kay. Paul finì addirittura in galera per debiti, mentre Wyatt conobbe la fame. Secondo Mantoux il loro torto fu quello di essere in anticipo sui tempi. La loro invenzione era già pronta nel 1738, ma tutti i filatori erano ostili perchè un simile congegno avrebbe potuto condurre ad una riduzione di manodopera fino al 33% . Wyatt provò a scrivere qualche riga a sostegno della sua invenzione, argomentando che l'occupazione sarebbe cresciuta negli altri comparti del settore tessile, in particolare la tessitura, e che questo avrebbe indotto un ulteriore fabbisogno anche nella filatura. Ma non ebbe successo. I due provarono anche ad impiantare un laboratorio con i soldi che Paul diceva di avere, e non aveva, e si trovarono subito in difficoltà. Questo sembrerebbe dare ragione a quelli che sostengono che il loro vero torto fu quello di inventare una macchina poco efficiente, che non tutti riuscivano a maneggiare. Paul scaricò questo difetto sull'imperizia dei lavoratori, probabilmente per evitare di rendersi conto dei limiti dell'aggeggio inventato.
E' possibile che la verità stia a metà st rada, anche se sono poco persuaso dell'idea che tutti i filatori formassero un fronte compatto ostile all'innovazione. Una macchina efficiente avrebbe certamente migliorato la produttività del settore, consentito di lavorare in condizioni mugliori, e portato ad un incremento salariale, perchè la base del salario era a quel tempo il cottimo, cioè "tanti pezzi produci, tanto ti pago." Di fronte alla solidità di simili argomenti, anche considerando l'ottusità sociale, ingrediente che non manca mai in queste situazioni, si fatica a credere che un congegno veramente efficiente avrebbe incontrato tante resistenze.
La storia del filatoio meccanico cominciò quindi in circostanze che ancor oggi sono oggetto di controversia. Storie si sovrappongono a storie la cui natura non è affatto chiara. Quella di Wyatt sembrerebbe essere quella del cavaliere disinteressato che combatte per una causa e conosce rovesci su rovesci. Il vero talento inventivo era probabilmente il suo, ma aveva venduto la sua creazione a Paul per un piatto di lenticchie. Paul, a sua volta, non riuscì mai a commercializzare il prodotto e nemmeno a metterlo a frutto in proprio. Quando finì in prigione per debiti, la macchina originale venne sequestrata. Paul e Wyatt riuscirono più tardi ad aprire un piccolo stabilimento a Birmingham, con i denari prestati da alcuni amici di Paul. Scrive Mantoux: «La macchina che vi funzionava era messa in movimento da due asini, e manovrata da 10 operaie. E' stato sostenuto che questa macchina funzionava male e produceva filo di pessima qualità; e questo servirebbe a spiegare l'insuccesso dell'impresa. » (Mantoux - cit.)
Però alcune testimonianze sembrano contraddire questa versione, la macchina era efficiente. Ma nel 1742 i due dichiararono fallimento. Il congegno fu venduta a Edward Cave, editore della rivista Gentleman's magazine, che installò uno stabilimento a Northampton, con cinque macchine da 50 fusi l'una che funzionavano grazie all'energia idraulica del fiume Nen.
«La cardatura veniva eseguita con cardi cilindrici inventati da Lewis Paul. Metà del personale, composto da 50 fra operai ed operaie, provvedeva a cardare il cotone, mentre l'altra metà sorvegliava le macchine e riannodava i fili che si spezzavano. Questa volta ciò che mancava non erano i capitali, ma un elemento altrettanto indispensabile per il successo di un'impresa industriale: una buona amministrazione tanto dal punto di vista commerciale, quanto da quello tecnico. Secondo i calcoli di Wyatt, l'impresa avrebbe dovuto produrre un introito annuo superiore alle 1300 sterline. Ma, sia per la non completa efficienza della macchina, sia per l'inesperienza e l'incuria di chi l'adoperava, essa diede frutti mediocri, riuscendo a sopravvivere fino al 1764, quando l'impianto fu rilevato da Richard Arkwright. Nonostante la sua esistenza precaria - conclude Mantoux - la fabbrica di Northampton fu la prima filanda di cotone esistita in Ingh ilterra...» La rivoluzione industriale era davvero incominciata.
Nel 1760 la filatrice meccanica fece la sua comparsa anche nel settore della lana.

Ma gli avvenimenti decisivi della rivoluzione industriale dovevano, in realtà ancora arrivare.

Spinning-jenny e water-frame

La spinning-jenny e il water-frame furono rispettivamente inventati nel 1765 e nel 1767. Cominciarono ad essere commercializzati nel 1769 e nel 1770, con tanto di brevetto, ma già nel 1768 erano in uso. Alla jenny è legato il nome di un ex-operaio, James Hargreaves, tanto per cambiare costretto a qualche disavventura e mal ripagato dalla sorte.
Al water-frame che, come dice espressamente il nome, era un filatoio automatico azionato ad energia idraulica, è legato il nome di Richard Arkwright, un barbiere e parrucchiere che sarebbe diventato in breve il prototipo del capitalista riuscito, l'uomo fatto da sé, una sorta di Paperon de Paperoni del cotone. Dunque un uomo fortunato, e discusso, perchè arrivò al successo con metodi e comportamenti non sempre limpidi, anche se sorretto da una forza d'animo incrollabile. Certamente non era un inventore. Eppure, per lungo tempo egli fu il proprietario del brevetto del water-frame e di altri congegni per la cardatura e la torcitura del cotone.

Di James Hargreaves sappiamo solo che era mezzo tessitore e mezzo carpentiere, e che tra il 1740 ed il 1760 si trovava nei dintorni di Blackburn, nel Lancashire. Nel 1762 costruì una macchina per cardare che ricalcava con qualche modifica il modello di Lewis Paul. Rispetto al filatoio di Paul, l'arnese di Hargreaves presentava il grande vantaggio di consentire ad un solo operaio di lavorare più fili contemporaneamente. I primi modelli erano a otto fusi., ma il numero poteva essere aumentato, e si arrivò presto a costruire delle jenny con 80 fusi.
Trascorsero tuttavia cinque anni prima che Hargreaves decidesse di rendere nota la sua invenzione. Solo nel 1767 deliberò di costruire alcune macchine per la vendita, attirandosi così la maledizione di Prometeo.
Secondo Mantoux, «gli operai di Blackburn forzarono la porta della sua casa e ruppero le macchine. Egli andò a stabilirsi a Nottingham dove, come nel Lancashire, l'industria tessile attraversava una crisi provocata dall'inadeguatezza degli antichi procedimenti di filatura. Fu allora che prese un brevetto e cominciò lo sfruttamento sistematico della sua invenzione. Vendè un gran numero di jenny e avrebbe fatto fortuna se non avesse dovuto lottare, come John Kay, contro la malafede dei fabbricanti. Quando decise di impiantare un processo contro coloro che si rifiutavano di pagarlo, gli interessi in gioco erano ormai talmente considerevoli che egli rifiutò le 3.000 sterline offertegli per raggiungere un accomodamento.
Sfortunatamente per lui, il tribunale stabilì che il modello della jenny era in commercio prima del rilascio del brevetto, e dichiarò decaduti i suoi diritti.» ( Mantoux -cit.)
Mantoux sostiene anche che Hargreaves non morì in miseria, ma lasciò ai suoi eredi un patrimonio di 4.000 sterline. Questo si spiega col fatto che, comunque sia, l'impresa di Hargreaves gli consentì di ricavare qualche utile. Ma, se si pensa che nel 1778 erano all'opera oltre 20.000 esemplari della spinning-jenny, in grado ognuna di filare il cotone che un tempo richiedeva il lavoro di otto operai, si ha un'idea esatta di quanto avrebbe potuto guadagnare Hargreaves vincendo la causa.
La diffusione della jenny portò ad un fortissimo sviluppo dell'industria cotoniera nel Lancashire e soprattutto a Manchester, ed ad un relativo declino sel settore laniero.
Mantoux argomenta che nella sua versione più piccola e maneggevole la jenny era una macchina semplice, che occupava poco spazio e non doveva essere installata in locali speciali. Non aveva bisogno di forza motrice artificiale per funzionare, e, soprattutto non modificava sostanzialmente le abitudini degli operai e l'organizzazione del lavoro.
« Lungi dal distruggere l'industria domestica, essa sembrò, anzi, ringiovanirla; comparve nelle piccole botteghe dei mastri artigiani, nelle case coloniche in cui il prodotto del filatoio veniva ad integrare da generazioni e generazioni, quello dell'aratro. Ma l'aumento enorme della produzione, la crescente importanza dell'attrezzatura meccanica di gran lunga superiore a quella della manodopera, preannunciavano l'avvento della grande industria. Mentre la jenny di Hargreaves sostituiva nei cottages i filatoi delle nonne, a Nottigham, a Cromford, a Derby, a Belper, a Chorley, a Manchester, sorgevano le filande di Richard Arkwright.» (Mantoux - cit.)

La storia di Arkwright

La storia di Richard Arkwright richiederebbe la mano di uno scrittore di gialli e spionaggio industriale tanto è punteggiata da misteri, possibili truffe e svolte repentine che modificarono il corso degli eventi senza che noi si sia in grado di offrire sufficienti spiegazioni.
L'uomo stesso richiederebbe una descrizione particolareggiata. Era un barbiere ed un parruchiere e una certa letteratura d'appendice potrebbe anche descriverlo come un tizio che dedica determinate ore del suo tempo a cercare fanciulle con chiome fluenti non per adescarle, ma per comprare le loro chiome e riutilizzarle come parrucche per i notabili del circondario e le loro mogli.
Si fece degli amici attraverso la scelta clientela che andava a farsi radere ed incipriare. Ad un certo punto venne in possesso di qualche disegno di macchina per filare, il cui autore, pare, fosse un John Kay orologiaio di Warrington, semplice omonimo del Kay che abbiamo già conosciuto.
Grazie a questo, Arkwright, deciso come pochi altri nella storia del mondo a fare fortuna e diventare ricco, ad un certo punto andò all'ufficio brevetti e fece registrare il progetto di una macchina, avendo cura di precisare che la sua professione era quella di orologiaio e non già quella di barbiere. Era un modo per anticipare la possibile obiezione che un barbiere non avrebbe mai potuto avere la perizia tecnica e l'ingegno necessari all'invenzione. Ma il dato più interessante, che si rivelerà decisivo più avanti, consisteva in questo: la descrizione tecnica della macchina era fatta in un linguaggio piuttosto oscuro ed incomprensibile. Leggendolo si capiva ben poco del funzionamento della macchina stessa. Questo farebbe pensare ad una precauzione: temendo che qualcuno all'ufficio brevetti potesse vendere sottobanco la sua idea, Arkwright mise le cose in modo tale da rendergli la cosa difficile, se non impossibile. Questa precauzione si rivelò decisiva in un secondo momento, ma per motivi in parte diversi.
Comunque sia, nonostante Mantoux affermi che tutti sapevano bene che ci sarebbe stato molto da guadagnare investendo in un filatoio meccanico, Arkwright incontrò inizialmente non pochi problemi a trovare dei finanziatori o dei soci danarosi. Solo un oste suo a mico, tale John Smalley, lo prese sul serio. Ma Smalley non era abbastanza ricco e così Arkwright cercò fortuna a Nottingham, ormai uno dei poli trainanti della maglieria. Arkwright riuscì ad interessare la famiglia Wright, proprietaria della banche provinciali, ed ottenne un credito in cambio di una partecipazione sugli utili futuri ma, poichè l'impresa stentava a decollare, essi interruppero il finanziamento dopo un anno. Fu allora che Arkwright riuscì ad entrare in società con due facoltosi mercanti-imprenditori, Samuel Need di Nottingham e Jedediah Strutt di Derby. Di qui la marcia trionfale di Arkwright, che riuscì ad aprire uno stabilimento dopo l'altro, prima a Nottingham, poi a Derby ed a Belper. Il fatto rilevante è che nelle fabbriche di Arkwright lavoravano soprattutto bambini e donne, con un salario decisamente inferiore a quello dei filatori tradizionali. La produttività era elevata perchè un fanciullo riusciva ad azionare anche fino a due filatoi meccanici ed a produrre quattro volte di più di un lavorante a domicilio.
Bertrand Russell, in un interessante libro tradotto in italiano con un titolo che non rende l'idea esatta del suo contenuto (Storia delle idee del XIX secolo), Freedom and Organization, denunciò in modo vibrante il fatto che lo sfruttamento del lavoro minorile era stato uno degli aspetti decisivi della rivoluzione del cotone. I ragazzi vivevano, lavoravano e dormivano in fabbrica, erano impegnati fino a dodici ore al giorno e privati di ogni istruzione. Il vitto era quello che si può immaginare. Le condizioni igieniche inesistenti.
Ma anche sul piano della qualità, Arkwright si rivelò vincente, specie dopo l'acquisizione dei brevetti per una serie di macchine, ottenuta il 16 dicembre 1775, "fra le quali quella per cardare, per la stiratura e per la torcitura". (fonte: E.Baines - History of the Cotton Manufacture In Great Britain, London, 1835)
Ma, grande sfruttatore del lavoro altrui, a beneficio di Arkwright si potrebbe dire che non si risparmiò un solo secondo.
Baines lo descrive così: « Arkwright soleva far fronte ai suoi molteplici interessi impegnandosi nel lavoro dalle cinque del mattino alle nove di sera., anche se da un pezzo aveva superato i cinquantanni. Rendendosi poi conto che la sua scarsa istruzione gli rendeva difficile il disbrigo della corrispondenza e dei suoi affari in generale, sottrasse altre due ore al sonno per dedicarle all'apprendimento della grammatica., dell'ortografia e della calligrafia. Non tollerava comunque quanto poteva interferire in qualsiasi maniera con il suo lavoro; è noto infatti che si separò dalla moglie dopo pochi anni di matrimonio, perchè costei, convinta che egli avrebbe ridotto alla fame la famiglia con i suoi progetti e la sua mania d'accumulare risparmi, arrivò a rompere deliberatamente alcuni modelli sperimentali delle sue macchine.» (E. Baines - idem)

Il successo, secondo varie testimonianze, fu rapido perchè la water-frame riusciva a fabbricare un filato molto più forte di quello prodotto con i vecchi sistemi. Secondo Mantoux, « In luogo di stoffe miste di lino e cotone, si potevano, dunque, tessere pezze di cotone puro, di qualità non inferiore ai prodotti indiani...A questo punto sorse il primo ostacolo. I piccoli fabbricanti che vedevano di malanimo questa temibile concorrenza, credettero di aver trovato il mezzo per arrestarla. La legge del 1736, pur autorizzando la fabbricazione di stoffe miste, aveva confermato le misure di proibizione contro i tessuti stampati in cotone. Ma in tale legge non era però previsto il caso in cui un'industria analoga fosse venuta a stabilirsi in Inghilterra. Essa poteva ora essere invocata contro Arkwright, e i tessuti di cotone, già gravati di tasse assai pesanti, correvano il rischio, se considerati come stoffe indiane allora di moda, di essere trattati come merci proibite.» (Mantoux - cit.)
Arkwright fu costretto a difendere la propria libertà d'impresa davanti al parlamento. L'argomento forte verteva su una domanda per nulla retorica: era logico applicare a merci inglesi, prodotte da operai inglesi una legislazione destinata ad impedire l'ingresso di merci straniere? In realtà, la nuova industria poteva diventare una fonte di ricchezza per il paese intero, dando lavoro a migliaia di poveri e aumentando le risorse del regno. L'industria del cotone, ribadiva Arkwright, opportunamente ed equamente tassata, avrebbe arrichito anche le casse dell'erario.
Arkwright vinse questa battaglia, ma non è specificabile se la vinse politicamente, in virtù della forza dei suoi argomenti, o la vinse tramite manovre di tipo lobbistico, o persino attraverso al corruzione di alcuni parlamentari del fronte favorevole alla legge proibizionistica.
Ma la sua smisurata ambizione lo portò presto a nuove durissime prove.
Tentò presto di rientrare nel Lancashire ed aprire nuovi stabilimenti sul l'onda dei facili guadagni conseguiti. Ma qui una folla di operai, aizzati dai piccoli imprenditori della zona, distrusse la nuova fabbrica di Birkacre, vicino a Chorley, nel 1779. Era la più grande fabbrica mai vista prima di allora in Inghilterra. Arkwright subì un danno di 4.400 sterline. Ma, sebbene provato, non mostrò particolari segni di cedimento.
Nonostante il rovescio, le industrie Arkwright, si svilupparono ulteriormente, fino a diventare un vero e proprio impero produttivo e finanziario che occupava migliaia di lavoratori. Il nostro morì nel 1792, a soli sessantanni, indubbiamente perchè il suo fisico crollò a causa del superimpegno e, non senza aver subito l'onta di un processo perso per una causa sui brevetti delle sue invenzioni, nel corso del quale emerse che persino i disegni dell'orologiaio Kay non erano originali, ma erano stati sottratti ad un certo Thomas Highs. I moralisti fanno bene a sdegnarsi, e potrei fare loro buona compagnia. Solo non potrei accondiscendere a quanti vorrebbero sostenere che questa slealtà è l'essenza del capitalismo, od ancora, che è la logica del capitalismo stesso a costringere a tali forme di disonestà. Esse possono essere rintracciabili in qualsiasi regime economico o politico e la storia di tante carriere burocratiche, militari, accademiche è così segnata da individui simili ad Arkwright, che sarebbe pedante e lezioso proseguire il discorso. Sei anni prima di morire, secondo Baines, il colmo di tutti i paradossi, accadde che quest'uomo abile, intraprendente ma, disonesto, fosse nominato giudice del Derbyshire (si suppone che allora avesse imparato quantomeno a scrivere). Poco tempo dopo fu insignito del titolo di baronetto.

Collo di bottiglia capovolto, frattanto la mule

E' necessario osservare che con il water-frame si era ad un capovolgimento del collo di bottiglia. Ora non era più la filatura ad essere in ritardo, ma era la tessitura che non riusciva ad assorbire tutta la produzione di filati di cotone, perchè mancava un telaio meccanico adeguato. La risposta si fece attendere per un periodo che sembra breve ma, in realtà è ragionevolmente lungo in un ciclo economico incalzante. Nel frattempo Samuel Crompton aveva portato un ulteriore innovazione nel campo delle tecniche di filatura, accrescendo così il divario.
La macchina ideata da Crompton, la mule, era una macchina ibrida, come del resto dice il nome. Mantoux afferma che nacque dalla combinanzione di due principi distinti, quello della jenny e quello del water frame. Della jenny ricalcava il carrello mobile su cui erano disposti i fusi; dal water frame traeva l'idea dei cilindri attraverso i quali si formavano i fili.
La mule consentì alle filande inglesi di demolire finalmente ogni concorrenza artigianale. Grazie all'eccezionale finezza del filo che produceva, fu in grado di produrre mussole di straordinaria finezza che resero inutile l'importazione di filati di qualità dall'India.
In questo periodo di inversione del rapporto diseguale tra filatura e tessitura, prolungatosi per quasi un ventennio, gli operai tessitori erano richiestissimi e super pagati in virtù della loro scarsità e della loro specializzazione. Si formò per la prima volta un nucleo di aristocrazia operaia che sfoggiava, a volte in modo folkloristico e ridicolo, i segni distintivi della propria relativa ricchezza.
Scrive Mantoux: « Nel 1792, a Bolton, i tessitori di mussole di fantasia, erano pagati fino a 3 scellini e 6 pence per yard, mentre i tessitori di velluto di cotone, guadagnavano 35 scellini la settimana. Per questo si davano grande importanza e passeggiavano per le strade con il bastone in mano e con un biglietto da 5 sterline ostentatamente infilato nel nastro del cappello. Vestivano come borghesi e vietavano agli operai degli altri mestieri di entrare nei locali che frequentavano.» (Mantoux - cit.)
Ma se questo esibizionismo cafone sembra solo la classica storia del piccolo arrivato che si crede chissà chi, gli operai tessitori di Manchester che, nel 1791 esultarono alla notizia che la fabbrica dei fratelli Grimshaw , nella quale erano stati installati i primi telai meccanici ideati da Edmund Cartwright, era andata a fuoco, dimostrarono a che punto può arrivare non la lotta di classe, che qui c'entra poco o nulla, ma la lotta contro la concorrenza e l'innovazione. Fu il trionfo della slealtà, altro che fair-play. I fatti narrano che i Grimshaw ricevettero lettere minatorie; un mese dopo un colossale incendio distruggeva in modo terroristico e mafioso i loro impianti.
Non si può dire se all'origine del complotto vi sia stata un'organizzazzione clandestina operaia, od un piano criminoso attuato dalla concorrenza degli imprenditori cotonieri. Ma entrambi ne trassero un vantaggio immediato e relativamente duraturo perchè il progetto di meccanizzare la tessitura fu scoraggiato per un periodo piuttost o lungo. Lo stesso Cartwright conobbe la triste sorte dei suoi compagni, fratelli di Prometeo incatenato. Perse tutti i profitti derivanti dal contratto firmato con i Grimshaw e non trovò più nessuno disposto ad investire nel suo telaio.
Fu la Scozia a consentire, tuttavia, al mutamento. A Glasgow, nel 1793, James Lewis Robertson installò due telai sfruttando l'energia motrice prodotta da un cane Terranova. Sulla scia di questo riuscito esperimento, nel 1794, a Dumbarton, fu inaugurata una fabbrica con 400 operai addetti alla tessitura.
Sicuramente, a questo punto, ebbe buon gioco quella che si potrebbe chiamare una vera e propria campagna politico-culturale contro l'inevitabile esportazione dei filati in sovrabbondanza. L'ostilità contro i telai meccanici costringeva i proprietari delle filande ad esportare i loro prodotti e quindi a favorire le manifatture europee in Francia, in Olanda, nella stessa Germania. E questo nonostante il blocco continentale delle merci inglesi voluto da Napoleone. Tutto viaggiava di contrabbando, ed i capaci marinai inglesi fecero più volte la barba alle corvette francesi lanciate in una vana opera d'intercettazione.
Qualcuno, sia tra i tessitori che tra i filatori, che tra gli stessi parlamentari, comprese che non era conveniente incentivare in tal modo l'industria tessile continentale. Si videro così tessitori ampliare la propria ditta con l'inaugurazione di un reparto per la filatura, e filatori che convertirono una parte dei propri stabilimenti alla tessitura, anche per evitare l'esportazione di tutte le eccedenze. Questo ulteriore processo di innovazione fece sicuramente bene ai produttori, e favorì ulteriormente la selezione "naturale" dei capitalisti. Crescevano i migliori, i più flessibili, oppure i più spregiudicati, quelli più abili nello sfruttare il lavoro, ed il processo fu accentuato durante il lungo periodo di guerra, contro la Francia repubblicana e poi Napoleone.

Tempo di guerra

L'idea che la guerra sia comunque un affare è dura a morire, ma la realtà storica indica che l'intera campagna antinapoleonica sarebbe costata all'erario inglese qualcosa come 1.500 milioni di sterline. (fonte: Christopher Harvie - Rivoluzione e dominio della legge - in Storia dell'Inghilterra a cura di Kenneth O. Morgan - cit.) Il che significa che l'equivalente, o quasi, fu spremuto ai contribuenti. In qualche modo essa rallentò l'espansione economica e provocò stati di crisi ed un netto peggioramento delle condizioni di vita dei meno abbienti. Che poi qualcuno sia riuscito a spremere oro anche dai cadaveri, oltre che dalle rape, non muta il giudizio di fondo.
Non solo: Harvie nota che l'Inghilterra fu per tutto il periodo, cioè fino al 1815, un campo militare, e ci furono momenti nei quali fino ad un sesto della popolazione adulta era sotto le armi. Ebbe 210.000 caduti complessivi, compresi gli ammutinati sulle navi che non sopportavano l'infernale disciplina imposta dagli ufficiali, come a Spithead ed Nore nel 1797.
Gli storici notano spesso che durante buona parte della guerra gli inglesi evitarono intelligemente di impegnarsi direttamente nei conflitti europei, preferendo sovvenzionare le varie coalizioni promosse in chiave antifrancese. Altri osservano che, di riffa e di raffa, molti mercanti riuscirono ad arricchirsi vestendo l'intero esercito inglese e parte di quello delle coalizioni. Sul traffico d'armi di contrabbando, i dati sono incerti, ma non è escluso che persino fucili, cannoni e baionette, fossero in parte di produzione inglese.
Ciò che conta, infine, è che dal 1815 l'Inghilterra trasse dalla pace uscita dal Congresso di Vienna considerevoli vantaggi globali, diventando di fatto la prima potenza mondiale, se non sul piano strettamente militare, certamente su quello economico.
Ma questa vicenda sarà affrontata meglio in un capitolo successivo. Qui urgeva un chiarimento sul contesto nel quale accaddero gli eventi che segnarono una svolta irreversibile nella crescita economica dell'ultimo decennio del Settecento.
Sebbene costretta dalla logica dell'economia di guerra a diversi sforzi supplementari, ad una tassazione più alta, ad un restringimento della base salariale e, sia pure in misura discutibile, ad una riduzione dei profitti, l'intera economia inglese, ed in particolare il settore tessile, continuarono a girare con il motore ben al di sopra del minimo. Questo fu uno dei fattori decisivi della vittoria inglese. Il morale, per quanto provato, rimase, se non alto, nel senso di quella particolare euforia che si può provare quandi si ha il vento in poppa, comunque solido. Era possibile combattere, lavorare e guadagnare allo stesso tempo. Cosa assai difficile per il resto d'Europa.
In sostanza, le guerre napoleoniche ritardarono il compimento della rivoluzione industriale in Inghilterra, ma la impedirono e la condizionarono negativamente nel resto d' Europa. E questo non solo perchè le risorse erano distratte dalla guerra, ma perchè la stessa politica di Napoleone era volta ad impedire l'industrializzazione al di fuori della Francia.
Nell'Italia settentrionale, ad esempio, come documenta il bel libro di Rodolfo Morandi, Storia della grande industria in Italia, Napoleone svolse una politica dissuasiva, proibendo l'acquisto di macchine a vapore.

Il ruolo del governo

Mantoux sostiene che i governi inglesi non condussero una politica di limpido sostegno allo sviluppo industriale, ma concepirono la stessa industria tessile nulla più che un frutto da spremere con la tassazione. Studiosi come Ashton e Landes hanno sempre insistito sul carattere individualistico (persino eroico) della nascita dell'industria e non hanno sufficientemente indagato il rapporto tra politiche governative e sviluppo. La verità ha probabilmente tinte meno estremistiche, oscillando tra momenti ed impostazioni del tutto diverse. Le pressioni delle lobbies, in particolare quella dei lanieri, giocarono indubbiamente un ruolo nelle scelte politiche, e le ragion di stato condizionarono le attività economiche. Se si sostiene che l'unica politica dei governi fu quella del laissez-faire, predicato da Adam Smith, ci si scontra con una serie di atti legislativi che dimostrano il contrario, con una legislazione faziosa e protezionistica che da un lato favorì l'imprenditore in generale contro il lavoratore, ad esempio vietando le associazioni operaie, e quindi ritardando la nascita di un sindacato moderno, e dall'altro favorì alcuni settori contro altri.
Nel 1785, quindi prima della rivoluzione francese e dell'entrata in una fase di economia di guerra, il governo guidato da William Pitt "il giovane" decise di aumentare le tasse sulla produzione del cotone. Il governo - secondo Mantoux - considerò che "un'industria fiorente in cui lavoravano giù più di 80.000 operai, mentre i fabbricanti accumulavano grandi fortune, fosse in grado di sopportare una imposizione più pesante."
Le reazioni furono immediate. A Manchester si formò un comitato contro la nuova tassa. Dal Lancashire alla Scozia filatori, tessitori, stampatori e tintori levarono petizioni al Parlamento. L'opposizione venne mobilitata ed alla Camera dei comuni si svolse un dibattito acceso, nel quale si distinsero, secondo Mantoux, sia Sheridan che Fox, il nome di un capo del partito whigs nome sul quale accentreremo l'attenzione.
Dopo qualche resistenza, Pitt fu costretto a fare marcia indietro. Alle manifestazioni di esultanza per la vittoria ottenuta parteciparono soprattutto gli operai. Ciò dimostra che in alcuni casi, e ben prima che qualche testa d'uovo l'avesse teorizzato, anche l'idea di un fronte comune dei produttori non discese dal cielo ma, si verificò sulla terra.
Rematori, timoniere e passeggeri che vivono di rendita sono sulla stessa barca, e se essa rischia di affondare i primi a crepare saranno i rematori, ma nessuno riuscirà a salvarsi, a meno di risorse nascoste.
I libri di storia sono spesso carenti sul perchè delle cose ed anche Mantoux non sfugge a questa particolare maledizione che colpisce lo storico. Il tentativo di Pitt non aveva ancora alcuna ragion di stato alle spalle; Annibale, cioè la rivoluzione francese, non era ancora alle porte. E nemmeno la situazione dell'erario inglese, per quanto perennemente in affanno, duramente provato dalla guerra d'indipendenza americana, poteva giustificare il rischio di tanta impopolarità. Una spiegazione a questo goffo tentativo di penalizzare il settore cotoniero era che Pitt doveva saldare un debito con la lobby della East India Company, che lo aveva appoggiato nella battaglia contro Fox per succedere al padre, William Pitt il "vecchio", alla guida del governo. In altre parole: il giovane Pitt cercò di favorire le importazioni di cotone indiano lavorato a danno del cotone prodotto in madre patria. Ma, a questo argomento di bottega, uno storico di vedute più ampie potrebbe aggiungere, o contrapporre, un ragionamento più profondo: tassando il cotone, Pitt pensava ad un alleggerimento del peso fiscale sopportato dai contadini e persino dagli aristocratici.
Se questi, come pare logico, furono gli unici veri moventi dell'azione di Pitt, il successo del fronte dei filatori e dei tessitori di cotone inglesi rappresentò un punto importante nella lotta alla tradizionale corruzione del sistema politico inglese ed al blocco sociale e politico che lo esprimeva: aristocrazia terriera, resa più forte dalle enclosures, e grandi mercanti associati nelle compagnie. Non fu una vittoria decisiva, ma fu un importante passo avanti nell'affermazione di due soggetti storici del tutto nuovi: il primo si trovava in una fase adolescenziale, ed era la borghesia industriale dei cotonieri di Manchester e dintorni. Il secondo era il proletariato, nulla più che un neonato ai primi vagiti e già privato del latte. Era prematuro pensare di spremerli.
Tuttavia, concludendo il ragionamento in modo il più possibile obiettivo, pareva profilarsi il momento di una più equa distribuzione del peso fiscale. E Pitt "il giovane", nonostante tutto quello che si può pensare e sospettare, si era semplicemente mosso nella direzione giusta, ma troppo in anticipo.

La perizia tecnica inglese

«Sembrerebbe chiaro a prima vista - scrive Landes - anche se non è affatto facile dimostrarlo, che nell'Inghilterra settecentesca esistessero un più alto grado di perizia tecnica e un interesse per macchine ed "aggeggi" maggiore che in qualsiasi altro paese d'Europa. Ciò non è da confondere con la conoscenza scientifica; nonostante gli sforzi per collegare la Rivoluzione industriale alla rivoluzione scientifica del XVI e del XVII secolo, il nesso sembra essere stato molto generico; entrambe furono il riflesso di un accresciuto interesse per i fenomeni naturali e fisici e di un'applicazione più sistematica della ricerca empirica. Se mai - continua Landes - lo sviluppo delle conoscenze scientifiche dovette molto agli interessi e alle realizzazioni della tecnologia; il flusso di idee e metodi in senso inverso fu assai minore, e tale sarebbe rimasto fino a Ottocento inoltrato. » (Landes -cit.)
L'idea di Landes non è nuova. Gli stessi argomenti erano stati avanzati dall'avvocato di Arkwright, tale Adair, nel 1785, durante il processo per i diritti sui brevetti. Adair, secondo Mantoux, aveva detto che: « E' un fatto assai noto che le invenzioni più utili in ogni settore artistico e produttivo, sono opera non di filosofi speculativi chiusi nei loro studi, ma di artigiani ingegnosi, al corrente dei procedimenti in uso, e dotati di nozioni pratiche sul soggetto delle loro ricerche.»
Anch'io aveva questa idea che mi frullava nel cervello prima di leggere Landes; devo però dire non tanto che ho cambiato idea, quanto che mi parrebbe ingiusto dimenticare che furono proprio gli scienziati, o s e si preferisce, i filosofi naturali, a dare il buon esempio, costruendo da sè stessi i loro strumenti. Fu Galileo a farsi da solo il cannocchiale, fu Van Leewenoeck a costruire il microscopio, e furono gli scienziati, in particolare quelli francesi, a dare una descrizione del mondo e delle proprietà dei materiali, dei gas, del calore e dell'energia, senza dimenticare che furono i progressi in chimica a consentire un miglioramento nelle tecniche di tintura dei tessuti. Il che significa, quanto meno, che non è una categoria sociale, il filosofo speculativo contrapposto all'artigiano ingegnoso, a determinare il risultato, ma una qualità individuale, lo spirito pratico, ed esso può trovarsi sia nel filosofo, che nello scienziato, che nel bracciante, che nel barbiere semianalfabeta Arkwright.
Inoltre, spesso si dimentica che un balzo considerevole era già avvenuto grazie alla stampa realizzata da Gutenberg in Germania. Erano in circolazione più libri, e più gente era in condizione di imparare, più individui erano stimolati a riflettere non contemplando il proprio ombelico, ma cercando strade e modi di sopravvivenza, impiegando il proprio talento in modo produttivo. Il libro metteva in condizione gli spiriti pratici di conoscere tecniche nuove, di ricevere idee diverse da quelle tramandate oralmente dalla tradizione e dalla pratica artigiana. Erano stati i libri di Jethro Tull e Arthur Young, di tanti altri studiosi, a spingere il pedale dell'acceleratore della rivoluzione in agricoltura. Il problema, semmai, starebbe nel chiedersi del perchè uno storico della scienza fatichi a considerare il sapere tecnico in agricoltura come scienza, ed invece accetti che sia scienza la botanica, quand'è evidente che senza una scienza pratica dell'agricoltura, non vi sarebbe mai stata una botanica, perchè non vi sarebbe mai stata nemmeno la carta per scrivere di botanica.

(continua)
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Bibliografia essenziale utilizzata:
Cristopher Hill - La formazione della potenza inglese Dal 1530 al 1780 - Einaudi - Torino 1977
Pierre Mantoux - La rivoluzione industriale - Editori Riuniti
David Landes - Prometeo liberato - Einaudi -Torino, 1973 (or. The unbound Prometeus, 1969)
T.S. Ashton - La rivoluzione industriale 1760-1830 - Laterza - Bari, 1953
Valerio Castronovo - La rivoluzione industriale - Sansoni - Firenze, 1988
Phyllis Deane - La prima rivoluzione industriale - Il Mulino - Bologna, 1977
Sydney Pollard - La conquista pacifica / L'industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970 - Il Mulino - Bologna, 1984
Karl Polanyi - La grande trasformazione - Einaudi - Torino, 1974 (ed or. New York, 1944)
Eric R. Wolf - L'Europa e i popoli senza storia - Il Mulino -Bologna, 1990
George Rudé - L'Europa del Settecento / Storia e cultura - Laterza, 1974
Alexander Koirè - Dal mondo del pressapoco all'universo della precisione - Einaudi, Torino 1967
Adriano Prosperi e Paolo Viola - Storia moderna e contemporanea - vol. II - Dalla Rivoluzione inglese alla Rivoluzione francese - Einaudi - Torino, 2000
Rodolfo Morandi - Storia della grande industria in Italia - Einaudi, 1959
Valerio Castronovo - L'industria italiana dall'Ottocento ad oggi - Mondadori, 1980
Paolo Rossi/AA VV - Storia della scienza moderna e contemporanea - UTET 1988
Anonimo - Considerations upon East-India Trade, 1701- ristampato nel 1856 nell'antologia A select Collection of Early English Tracts on Commerce, pubblicata a cura di J.R. Mac Culloch)


Guido Marenco - 14 aprile 2004 - su questo file esiste il copyright - può essere riprodotto solo su permesso dell'autore