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La filosofia politica di Karl Popper - 4
Il punto di vista selettivo

a cura di Renzo Grassano
Terminata la pars destruens, cosa riesce a dire Popper per sostituire lo storicismo ed i suoi gravi errori con "qualcosa di meglio"?
Devo dire di essere rimasto deluso dal basso profilo del capitoletto finale.
Riconoscendo che si deve assumere un punto di vista selettivo, che chiama addirittura preconcetto (ma questo è tipico di Popper), afferma che occorre scrivere "quella storia che ci interessa".
«Ciò non significa che possiamo deformare i fatti, costringendoli entro i limiti di idee preconcette o che possiamo tralasciare i fatti che non quadrano con quelle idee. Al contrario... [...] ... Scrivere quella storia che ci interessa significa che non dobbiamo preoccuparci di tutti quei fatti e aspetti che non riguardano il nostro punto di vista e che perciò non interessano. » (1)
E qui sorgono difficoltà che Popper non ignora del tutto. I punti di vista selettivi sono ipotesi sperimentali e quindi teorie.
«Ma di regola i punti di vista storici non possono essere sperimentati.» (1)
Non essendo formulabile come ipotesi sperimentale, diventa interpretazione storica.
E qui una precisazione polemica: «Lo storicismo confonde interpretazioni e teorie.» (1)
Non è una battuta felice, visto che lo stesso Popper non sa dire in modo convincente dove stia la differenza.
L'errore dello storicista non sembra già quello di interpretare la storia come lotta di classi, o lotta fra le razze, o lotta per le idee religiose, o perfino tra società aperta o società chiusa. «Tutti questi sono punti di vista più o meno interessanti, e, in quanto tali, assolutamente ineccepibili. Ma gli storicisti non li presentano come tali, essi non si accorgono che vi è necessariamente una pluralità di interpretazioni che sono fondamentalmente equivalenti (benchè alcune di esse possano distinguersi per la loro fertilità... [...] ... Invece li presentano come dottrine o teorie... affermano che "tutta la storia è storia di lotte sociali ecc...» (1)
E con gli storici di impostazione tradizionale, le cose non vanno meglio. Aspirando all'obiettività evitano la selezione e si trovano affogati in un mare di dati ed un'accozzaglia di sottostorie inutili e confuse. (Qui, forse, Popper avrebbe voluto che gli storici si trasformassero in romanzieri!)

Popper, non avendo, però, uno straccio di proposta capace di individuare un metodo storico diverso, di fatto non fa che riformulare con altre parole la teoria della libertà di John Stuart Mill, senza nemmeno nominarla una sola volta. Essa, com'è noto, consiste nell'evidenziare che è grazie alla libera concorrenza di opinioni, e quindi anche di interpretazioni storiche, che si contribuisce alla verità, o comunque a performances intellettuali e ricerche che che avvicinano la verità.
Il concetto, peraltro, era già stato espresso da Aristotele: tutti gli uomini concorrono alla verità.
Ma il punto, è che a Popper di Mill e dello stesso Comte, interessava solo il lato negativo e la critica al fondamento del loro ottimismo storico, ovvero ad una psicologia che creda esista nell'uomo una inarrestabile spinta al miglioramento, e quindi al progresso.
Non da importanza alcuna all'antipsicologismo di Comte. E nemmeno crede degno di nota il fatto che Comte muoveva da un'analisi della realtà storica del suo tempo che considerava di crisi e di disorientamento, non propriamente di progresso in senso generale, ma solo di progresso in senso tecnico e materiale.
Nemmeno sembra rendersi conto che l'aspirazione al miglioramento è una spinta talmente diffusa che solo la prudenza non consente di riconoscerla come universale.
Il problema semmai è dato da altri fattori: a parte le diverse opinioni su cosa è effettivamente progresso (progresso potrebbe essere la rinuncia all'uso dell'energia nucleare), possiamo solo constatare che le spinte al miglioramento a volte peggiorano le cose, ovvero che non tutto va secondo programma ed intenzioni.
Potremmo notare che in generale si spaccia tante volte per progresso la semplice introduzione di tecniche miranti a sfruttare meglio i lavoratori.
Insomma, il discorso ci porterebbe lontano, e qui occorre rimanere in tema.
Popper ignora ancora, si vedano gli scritti di Guido Marenco (2), che Mill ha fortemente polemizzato con il naturalismo ed il generico appello, spesso presente nei filosofi, "ad agire secondo natura", come se l'uomo fosse "buono di natura". Mill aveva una pessima opinione della natura in generale, e considerava molto problematica quella umana.
Ma il punto che desta maggiore perplessità è che la soluzione ai mali dello storicismo non va oltre a quella che proprio Stuart Mill aveva evidenziato: la democrazia, la libertà di ricerca, il fecondo confronto di ipotesi e "teorie rivali", possono aiutare in genere a progredire nell'organizzazione sociale ed economica. Purché le ragioni del conflitto non prevalgano su quelle del dialogo e la scelta tra teorie migliori non sia dettata da interessi esasperati e prevaricanti, ma da un fine comune.
Ed è questo il vero problema: sarà mai così?
note:
(1) Karl Raimund Popper - Miseria dello storicismo - Feltrinelli 1975
(2) Guido Marenco - Dio, natura e religione in John Stuart Mill - moses 2001

RG - 1 marzo 2004