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Robert Nozick - Puzzle socratici - Raffaello Cortina Editore, 1999
di Guido Marenco
Di Nozick e del suo libro ritenuto più importante ha già parlato Renzo Grassano; si tratta di Anarchia, Stato ed Utopia.
Era un manifesto dell'individualismo nordamericano. Rivendicava il diritto a pagare meno tasse, non ritenendosi giusto che la società imponga ai singoli di essere solidali con i deboli. Teorizzava lo stato minimo, che è qualcosa che non esiste nemmeno laddove lo si vorrebbe di più, cioè negli USA.
Lo stato sociale fu sostanzialmente un'invenzione degli inglesi in conseguenza alla rivoluzione francese. In alcune contee vennero raccolti fondi ed elargiti sussidi ai disoccupati ed alle famiglie più povere. Fu un modo per bloccare il virus della rivoluzione.
Da allora, lo stato sociale inteso come sussidi e servizi gratis od a basso costo quali istruzione, sanità e previdenza, è diventato il mezzo più utile ed efficace per impedire la protesta sociale. Come dimostra l'esperienza italiana, può anche essere usato in modo clientelare al fine di organizzare il consenso. Può degenerare mostruosamente in qualcosa che divora l'economia, il lavoro, fino a soffocarci. Ma, indubbiamente ha un pregio e porta direttamente a prendere due piccioni con una sola fava, ovvero impedire che dilaghi la protesta sociale ed allo stesso tempo predisporre interventi concreti per aiutare i bisognosi, che è cosa buona e giusta.
Tale politica può essere realizzata da sinistra come da destra. La prima la deve fare per ispirazione fondamentale; la seconda la può seguire, quantomeno parzialmente, onde evitare complicazioni inutili..
Occorrono intelligenza e lungimiranza, sia per attuare queste politiche quando necessario, sia per allentare la morsa fiscale quando non se ne può più, incentivando così la ripresa degli investimenti, dei mercati e dei consumi.
Come ha insegnato Niklas Luhmann, si tratta sempre e solo di interpretare l'orizzonte delle aspettative della maggioranza ed anche dei più giovani. Occorre evitare di promettere la "luna" e sforzarsi di mantenere basso il livello di aspettative. Ed è così che il potere logora chi non ce l'ha.
Il libro di Nozick rimaneva al di sotto di questa semplice linea di ragionamento, era la protesta di un libertario puro, in nome di principi astratti e non di una visione razionale e di governo. Mostrava il tipico gretto egoismo dei piccoli uomini (non mi piace usare il termine marxista di piccolo borghesi, perché anche gli operai ed i grandi borghesi possono essere piccoli e miopi, la cosa non dipende dalla classe sociale). Il tutto servì a Reagan ed a John Wayne per mostrare che c'erano sinistri e radicals pentiti dei loro furori giovanili e che era tempo di cambiar musica, liberando l'egoismo (il cosiddetto edonismo reaganiano) dalle catene in cui l'avevano costretto i presidenti democratici come Jimmy Carter.

Orbene, nel corso degli anni Robert Nozick è maturato, come dimostrano alcune parti di Puzzle socratici, ma non a sufficienza come dimostrano altre parti; ha un difetto che personalmente reputo una sorta di peccato mortale. Complica le questioni anzichè semplificarle. Il che non significa che io voglia negare il diritto al filosofo di problematizzare od introdurre legittimi momenti di dubbio: questo, anzi, è proprio il mestiere del filosofo; significa che personalmente sono contrario a creare artificiosi ostacoli alla risoluzione di problemi etici ed alla deliberazione su cosa è meglio-giusto fare. E quindi, sono non solo contrario, ma anche allergico a discussioni cervellotiche.

Puzzle socratici non è un saggio filosofico organico bensì, una raccolta di testi nei quali è difficile trovare un filo conduttore che non sia la complicazione.
Affronta problemi che vanno dal linguaggio alla logica, dall'etica alla politica e sembra concentrarsi in particolare su questioni intricate, su domande rimaste ancora senza risposte convincenti.
In americano problemi di questa natura sono puzzles, sfide per la ragione, problemi al limite della risolvibilità o persino irrisolvibili, ma in un senso che dovrebbe essere più pratico di quanto si sia abituati dalle nostre parti. Invece no. Leggendo Nozick, ti viene persino il dubbio che avesse ragione Hegel a bollare il ragionamento finito e circoscritto come astratto. Ma tranquilli, non è così. C'è sempre una dimensione concreta che non è astratta, tutta sta a saperla individuare.

Analizzando più da vicino il testo, proprio la logica viene a presentare qualche incrinatura, come vedremo, fin dal primo capitolo.
Inoltre c'è un rischio:quello di bloccarsi sulle pagine dove la spiegazione nozickiana della teoria delle decisione può provocare autentici crampi mentali senza condurre poi da nessuna parte perché presuppone l'azzardo. Chi diffida del gioco d'azzardo e non scommette mai, non crede nella probabilità di vincere e vede soprattutto la probabilità di perdere. Forse, non è solo pessimismo, visto che il giocatore ha sempre di fronte un mazziere od un croupier che ne sanno una più del diavolo.
Io non so se Nozick abbia mai vinto qualcosa, il problema è che gli scenari che propone non sono affatto realistici. Sarà mai vero che può succedere di trovarsi nell'alternativa di scegliere se prendere una busta che contiene sicuramente mille dollari, un 'altra che ne contiene (probabilmente) un milione, oppure tutte due?
Sarà mai vero che l'essere che ha inventato questo gioco sia benigno nei nostri confronti ed anche onnisciente, cioè in grado di prevedere cosa faremo? E proprio perché in grado di prevedere la nostra mossa, anche in grado di punire la nostra avidità oppure premiare la nostra parsimonia?
Beh, la situazione è questa e Nozick impiega molte pagine per guidarci in ragionamenti che formalmente potrebbero non fare una grinza ma, che alla fine lasciano il tempo che trovano, giacché l'essere benigno, se è benigno sul serio, potendo prevedere che faremo, ci anticiperà in ogni caso. Ed allora, che stiamo a perdere tempo in congetture siffatte? Siamo solo apparentemente in condizioni di libero arbitrio. Sappiamo che l'altro ha già deciso, non ci resta che contare sulla nostra credenza che l'essere sia davvero benigno, abbia quindi infilato il milione di cocuzze nella seconda busta e noi si prenda solo quella. Male che vada, perderemo, ma saremo pur sempre liberi di mandare al diavolo l'ideatore di una simile tortura psichica.
Ma c'è un altro aspetto della questione che Nozick trascura: una volta posto che l'essere onnisciente è davvero benigno, perché mai dovrebbe mettere il malloppo nella busta? Siamo sicuri cioè, che il nostro bene consista nel vincere un milione di dollari? Personalmente credo di sì, cominciamo a prenderli, poi si vedrà se dilapidarli, oppure investirli, od anche darli per beneficienza. Ma non sono affatto certo che l'essere in questione la pensi così. In sostanza, Nozick trascura un punto niente affatto trascurabile da un punto di vista socratico, ovvero che il nostro bene non sta nel vincere un milione di dollari. Naturalmente, io non sono d'accordo con Socrate ed in genere con quelli che separano a colpi di spada materiale e spirituale. Ma è chiaro che, se posti con le spalle al muro, in condizioni di scelta drastica, non ci si possa che orientare a salvarsi l'anima e la libertà interiore. Questo non fa problema e non lo dovrebbe fare mai più, sia che esista un al di là, sia che non esista.

Il primo capitolo si intitola significativamente Coercizioni ed è un tentativo più sofistico che socratico di definire il concetto di coercizione che però Nozick dichiara fallimentare (cioè irrisolvibile) fin dall'inizio.
Vediamo qualcosina: «Inizierò -scrive il nostro - da una descrizione della coercizione ottenuta combinando alcune cose dette in merito al volume Causation In The Law di Hart e Honore con alcune considerazioni fatte da Hart nel suo Il concetto di diritto. Secondo questa descrizione una persona P costringe la persona Q a non fare l'azione A se e solo se:

1) P minaccia di fare qualcosa se Q fa A ( e P sa di fare questa minaccia)
2) Questa minaccia rende il fare di A una condotta sostanzialmente meno preferibile per Q che il non fare A
3) P fa questa minaccia per spingere Q a non fare A, nel senso che Q si rende conto di essere minacciato da P
4) Q non fa A
5) Le parole o i fatti di P fanno parte delle ragioni che spingono Q a non fare A.

Le condizioni 1-5 non sembrano sufficienti per la coercizione. Ad esempio P minaccia Q del fatto che, se Q esegue una determinata azione, cadrà una pietra che lo ucciderà. P pensa che Q sia a conoscenza di questo suo (di P) infame metodo per uccidere le persone, ma Q pensa che P gli stia parlando di una qualche strana legge di natura indipendente dall'azione umana per la quale , ogni volta che qualcuno esegue quest'azione, viene ucciso da una pietra che precipita. In altre parole Q interpreta quanto viene detto da P non come una minaccia, ma come un avvertimento. Se Q si astiene dall'eseguire l'azione, P non lo ha costretto a non farla, anche se le cinque condizioni sono soddisfatte.» (1)

Le mie conclusioni sono che Q non è molto sveglio... Ma dal punto di vista formale, appare chiaro che Nozick o ha esposto male le condizioni o ha perso di vista il punto 1) P minaccia di fare qualcosa se Q fa A. Non c'è scritto che accadrà qualcosa (in tipico linguaggio mafioso) tipo una pietra cadrà dal cielo, c'è scritto che P minaccia di fare qualcosa senza precisare se Q ha capito bene o ha capito male, o persino se è al corrente della minaccia. Ma questa precisazione arriva al punto 3). Rileggetelo.

Problema mal posto fin dall'inizio, in condizioni di scarso rigore linguistico. Se rileggiamo daccapo tutte e cinque le condizioni ci accorgeremo che è impossibile che Q non abbia capito che "P minaccia di fare qualcosa" se Q fa A.
Dunque da un punto di vista strettamente logico il punto è che, date le cinque condizioni astratte ben determinate, queste non sono applicabili alla situazione concreta scelta da Nozick, ovvero quella di un Q che non capisce la minaccia di P, o non ne è al corrente, e si limita a credere che gli potrebbe cadere in testa una pietra proveniente dal cielo per una strana legge di natura.
Nozick conclude che per parlare di coercizione è necessaria una sesta condizione, ovvero che:
"6) Q sa che P ha minacciato di fare quanto detto in 1), se lui, Q, fa A."
Miracolo, scoperta dell'acqua calda! Il problema è che questa sesta condizione era implicita nella prima, nella seconda, nella quale è ben specificato: Questa minaccia rende il fare di A una condotta sostanzialmente meno preferibile per Q che il non fare A, e nella 3) dove leggiamo che Q si rende conto di essere minacciato da P.
In sostanza, abbiamo che tutte le condizioni formali esposte sono sufficienti a far capire a Q di essere stato minacciato, e niente giustifica la sua superstiziosa credenza nelle pietre che cadono dal cielo. La condizione 6 invocata da Nozick non è una condizione ma, una conseguenza.
Nonostante tale non trascurabile vizio formale iniziale, Nozick prosegue la disanima di una astratta situazione di coercizione rimanendo sul concreto, cioè sulla situazione da lui scelta.
Ora non è questa la sede per approfondire la linea logica seguita da Nozick. Nonostante i logici contemporanei facciano di tutto per rendere difficile la vita ai logici naturali ignari delle regole formali, ognuno di noi è in grado di seguire e capire se vi siano altri vizi di forma.
Richiamerei invece l'attenzione sul fatto che l'argomento coercizione non è una scelta casuale. Si riconnette direttamente al chiodo fisso di Nozick, cioè il problema della libertà individuale e dell'autonomia delle scelte che gli individui possono comunque esercitare vivendo in società.
Questo diventa un puzzle non perché lo sia, ma perché Nozick vuole che lo sia. Definire una condizione di coercizione, o meglio, le condizioni nelle quali noi saremmo in grado di agire più o meno liberamente ed autonomamente non è affatto semplice; possiamo riconoscerlo. Ma la strada seguita da Nozick non porta ad alcun chiarimento perché pretende di descrivere con un linguaggio formale ciò che sarebbe molto più corretto e funzionale descrivere con un linguaggio ordinario.
Non dando alcun chiarimento su P e Q e sui rapporti che intrattengono l'uno con l'altro, diventa possibile qualsiasi interpretazione sulle rispettive funzioni sociali.
P potrebbe essere un padrone e Q un operaio. "Se ritardi un'altra volta, io ti licenzio, o ti faccio una multa." Minaccia che fa appello a regolamenti noti. Definirla coercizione non mi pare corretto in quanto è una norma di cui il signor Q è venuto a conoscenza al momento dell'assunzione. Fa parte del contratto al capitolo Rispetto dell'orario di lavoro. Si potrebbe obiettare, ovviamente, che Q al momento di sottoscrivere il contratto agiva in stato di necessità, cioè doveva trovar lavoro a tutti i costi. Certo, l'obiezione è plausibile, ma serve solo a dimostrare che nessuno è veramente libero in modo totale e che è impossibile che lo sia, visto che deve rispondere sempre in primo luogo ai propri bisogni primari di mangiare, bere e coprirsi.
P potrebbe essere un poliziotto e Q un ladruncolo abituale. L'avvertimento di P "Se ti becco un'altra volta a girare qui attorno, ti do una manganellata sul cranio" non è legale. E' un tipo di minaccia diffuso, ma non ha alcuna validità legale ed anzi, direi che rappresenta un abuso di potere al quale, in una società democratica Q potrebbe opporre un'altra minaccia del tutto legittima: "se lo dici un'altra volta io ti denuncio." Ma sarebbe questa "coercizione" ? Non scherziamo, nel momento in cui P ha giurato di rispettare leggi e regolamenti in quanto poliziotto, sapeva benissimo che non avrebbe potuto assumere atteggiamenti da sceriffo del Far West. E gli esempi potrebbero proseguire all'infinito. P potrebbe essere un imprenditore contrario alla costituzione di una rappresentanza sindacale aziendale. Minaccia gli operai di chiudere la fabbrichetta se nasce il sindacato.
E ancora: P potrebbe essere il sindacato e Q il governo. P minaccia il governo di uno sciopero generale se farà la riforma delle pensioni.
Come si vede, ognuna delle situazioni possibili può essere ridotta ad un linguaggio formale, ma nel farlo va perso qualcosa di decisivo ai fini della nostra comprensione di una determinata situazione. Sicché, anche quando ci si trova, in forza di una legge che minaccia sanzioni, nella condizione di minacciati, si rischia di parlare di coercizione se e solo se, in linea di principio, noi siamo contro la legge (che in realtà ci tutela dagli abusi degli altri) per motivi ideologici di tipo anarco-libertario, o per motivi pratici e prettamente egoistici. "Visto che tutti rubano, perché non dovrei rubare anch'io?" O infine, ma questo è un caso davvero estremo, perché la legge è semplicemente ingiusta, cioè prodotta da uomini o corrotti, o rigidi come stoccafissi.
C'è un punto del libro, per la verità, in cui Nozick arriva a parlare di discrezionalità del giudice di fronte all'enorme numero di eccezioni che potrebbero mettere in discussione la validità universale di un dettato giuridico. Ma lo fa in modo talmente confuso e cervellotico che alla fine ti rimangono in pugno solo dubbi che non hanno alcuna concreta ragione di esistere, visto che la regola della discrezionalità non porta in sé a negare il dettato giuridico, ma solo a considerare tutte le circostanze attenuanti (legittima difesa ecc...) sia estensivamente che intensivamente.

Spingendo un po' sull'accelleratore delle conclusioni, oserei dire che Nozick ha mancato il bersaglio e non ha risolto il puzzle che in qualche modo lo tormentava, perché non si è concentrato su una tematica più ristretta e meno formalizzata.
Ad esempio, si può parlare di coercizione in una situazione di ricatto. "Se spifferi quello che sai sul mio conto alla polizia, io ti ammazzo moglie e figli". Qui, giustamente, anche Nozick ammetterebbe che la responsabilità dell'individuo ricattato non è più totale. Egli deve scegliere tra il comportarsi come un cittadino modello o come un padre responsabile e naturalmente preoccupato.
Forse, è questo il vero puzzle. Ma se lo descriviamo con un linguaggio formalizzato ne va del pathos della situazione. Sebbene in altri termini, affrontarono la tematica della scelta tra doveri verso la famiglia e doveri verso la legge (umana o divina non ha molta importanza) già Confucio, lo stesso Socrate, ed in ultimo Gesù Cristo.
Confucio disse che non è naturale, e quindi nemmeno giusto, che un figlio denunci il padre all'autorità giudiziaria. Socrate eluse il problema posto da Eutifrone nell'omonimo dialogo platonico e Gesù Cristo proclamò che era venuto a portare la spada, a mettere i figli contro i padri, suppongo proprio per ragioni di giustizia, certamente più per problemi di giustizia che di ortodossia religiosa.
Riproporre la questione nei termini nozickiani, vista la posta in gioco in questo ulteriore puzzle, non credo ci faccia fare molta strada. Converrebbe ripartire da Confucio e da Gesù, ma dubito che in una discussione astratta su questo si potrebbe trovare un accordo in grado di soddisfare chiunque.

Ovviamente, le questioni sollevate da Nozick sono molte di più ed ancora più complesse, anche se a volte solo complicate da un approccio non lineare.
Chi fosse interessato ad un ulteriore approfondimento potrà consultare http://www.swif.uniba.it/lei/recensioni/crono/2000-01/nozick.htm dove Vincenzo Cuomo recensisce il lavoro di Nozick con molta acribia ma senza una sufficiente distanza critica.
Le mie opinioni sull'insieme del libro di Nozick sono, al contrario, piuttosto negative e chiudo con un esempio. Andando subito al capitolo numero 10 intitolato significativamente Complicazioni morali e strutture morali, ci si trova alle prese con un complicato discorso sulla massimizzazione utilitaristica della morale che non giova alla chiarezza delle situazioni. In genere gli individui tendono a farsi una propria morale indipendente dalle norme civili e religiose ed essa è spesso una morale di tipo utilitaristico. Non sono molti quelli che arrivano ad intendere, tuttavia, che anche un'azione egoistica ha comunque un effetto altruistico, anche se mediato e secondario, tuttavia è possibile che questo accada visto anche il tam tam incessante dei media sul liberismo che poggia prevalentemente su valori utilitaristici.
Personalmente, ho molte riserve sull'utilitarismo morale perchè non credo affatto che l'azione egoistica porti tutti i benefici di cui si ciancia se non nei seguenti termini: io accumulo denaro, io spendo, io favorisco i consumi e l'economia, io concorro a creare posti di lavoro.
Ben detto, ma mi devi anche spiegare come accumuli denaro, se lavorando, organizzando truffe, spacciando droga, trafficando in armi, rubando o riciclando denaro sporco. Così si capisce qual è il problema che sta a monte, e non a valle dell'utilitarismo. Nozick non chiarifica e non concorre a chiarificare. Terminiamo la lettura con le idee molto confuse su ciò che è moralmente lecito, con Nozick concludiamo che l'utilitarismo è insufficiente, anzi, non è una teoria morale, ma solo una giustificazione dell'economia reale, ma poi ci perdiamo in improbabili tabelle che propongono in A tutto ciò che è lecito, in B tutto ciò che non lo è, e veniamo consigliati di verificare se alle nostre azioni appartengano elementi dell'insieme B.
Vorrei sottolineare che tra gli elementi di B potrebbero stare sia l'omicidio che la strage, che una semplice bugia, che una complicata trama di complotti volti a far crollare la stima nei confronti di qualcuno. Le cose non stanno dunque sullo stesso piano; ognuna delle immoralità ha un suo grado di intensità particolare e cento bugie del tipo questo olio che ti vendo è fatto solo con olive raccolte in Italia non hanno evidentemente lo stessa intensità dell'omicidio della vecchietta per impadronirsi della sua pensione.
Insomma, è di fronte a questi problemi che l'approccio nozickiano vacilla, anzi, si rivela come qualcosa di molto simile ad una chiacchiera inconcludente, con gran ricorso ad un tipo di formalizzazione che confonde solo le idee.

gm - 16 marzo 2004