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Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 - 1831)

1. La formazione, gli studi, il periodo bernese

di Renzo Grassano



Gli anni della formazione intellettuale
Georg W. F. nacque il 27 agosto del 1770 a Stoccarda, la capitale del Granducato di Wüttemberg. La sua era una famiglia benestante, di religione luterana. Suo padre Georg Ludwig Hegel era stato segretario ducale della camera finanziaria, e poi, capo della cancelleria.
Studiò nel locale ginnasio e brillò sia nello studio delle lingue greca e latina, che nella stessa matematica. Lesse numerosi autori greci e latini, e come tutti i protestanti, studiò a fondo sia il Nuovo che l'Antico Testamento.
Ma, dai suoi diari, scopriamo un punto debole, di cui si farà gioco, più tardi, Schopenhauer.
Il libro che più appassionò il ginnasiale Hegel fu un romanzone in sei volumi, una specie di telenovela intitolata Il viaggio di Sofia Memel alla Sassonia scritto dall'illustre sconosciuto Johann Timotheus Hermes. Il romanzo raccontava le avventure di una fanciulla all'epoca della Guerra dei sette anni e dell'occupazione dei russi della Prussia orientale. In scena sono cuochi e staffieri, locande, affreschi popolareschi e squarci di vita quotidiana che, forse, rendevano più di tanti saggi storici e filosofici l'idea di cosa fosse lo "spirito di un popolo" e "lo spirito di popolo".

Passando all'università di Tubinga per studiare teologia, Hegel ottenne un posto come borsista nel collegio dello Stift, e qui strinse amicizia con il poeta Hölderlin e con Schelling, di cinque anni più giovane. I tre amici celebrarono la presa della Bastiglia piantando un simbolico "albero della libertà". In quegli anni di entusiasmi giovanili, essi simpatizzarono in modo acceso per le idee rivoluzionarie di libertà ed uguaglianza.

La formazione ricevuta da Hegel all'università corrispose grosso modo a quella di tutti i filosofi e gli intellettuali tedeschi del suo tempo, in linea con quella che si potrebbe chiamare ortodossia luterana, quanto meno in campo teologico. Sul piano strettamente filosofico, incominciò, al contrario, a subire l'influenza di Spinoza, di Rousseau e di Kant. Il nome sul quale dovremmo concentrare l'attenzione è indubbiamente quello di Spinoza.
Fin da quando studiavo all'università, anche se non ho mai osato dirlo o scriverlo, ho sempre nutrito questa convinzione: il sistema, cui Hegel diede luogo e forma, deriva in gran parte dallo sviluppo in senso dinamico del sistema spinoziano. Anche per Spinoza, infatti, l'uomo non è sostanza autonoma e libera, ma parte di un ingranaggio universale, qualcosa che non potrebbe sussistere venendo a mancare il "tutto", che poi, per Spinoza, è Dio, l'unica universale sostanza che regge il mondo. Il che, quantomeno in Spinoza, non contraddice l'elemento della libertà individuale e dell'autonomia del soggetto; gli conferisce solo una maggiore consapevolezza.
Questo rapporto Spinoza-Hegel andrebbe indagato, dunque, con cura ben maggiore, tanto più che, in Hegel, esso sembrò perdere, col passare del tempo, proprio quell'elemento di libertà che perdurava in Spinoza.

Quanto al rapporto con Kant, c'è da osservare che, a quei tempi, l'insegnamento kantiano circa la metafisica, ovvero la convinzione che non è conoscibile razionalmente ciò che si trova al di là dell'esperienza, veniva impiegato dai professori di teologia di Tubinga per difendere il carattere sovrannaturale, cioè divino, della Rivelazione. Abbiamo fede, dobbiamo fidarci della Parola di Dio, dicevano, perchè altrimenti non ci sono alternative: non sapremo mai come stanno le cose, al di là della sfera sensibile.

Fu sull'insieme di queste problematiche che il giovanissimo Hegel mosse i primi passi di un'incerta speculazione filosofica e teologica.
Conseguito il dottorato in teologia, nel 1793, alcuni anni dopo aver ottenuto il titolo di magister in filosofia, Hegel si traseferì a Berna, in Svizzera per svolgere funzioni di precettore presso una ricca famiglia borghese.
In questo periodo compose alcuni scritti, pubblicati postumi nel 1907 e raccolti sotto il titolo di Scritti teologici giovanili. Essi comprendono numerosi testi, tra i quali il più noto è La vita di Gesù, composta nel 1795.

Il periodo bernese
Nella sua prima composizione, Religione popolare e cristianesimo, Hegel prendeva nettamente posizione a favore della religione popolare (Volkreligion) ovvero una religione condivisa da tutto il popolo, vissuta con il cuore e la fantasia e capace di animare tutta la vita umana.
Secondo Hegel tale tipo di religione si era espresso soprattutto nella polis greca, quindi non nell'ebraismo antico, che anzi, Hegel bollava come religione autoritaria, e come portatrice di una concezione di Dio totalmente altro, estraneo all'uomo, anzi, un padrone rispetto al quale l'uomo era poco più che uno schiavo obbediente o disobbediente.
Secondo questo giovanissimo Hegel, nella polis si era realizzata la piena armonia tra l'uomo e la divinità, ed anche tra l'uomo e lo stato, in una perfetta unità, definita unità originaria, espressa immediatamente nell'arte, cioè nella sfera del sentimento.
Al contrario, proprio perchè derivato dall'ebraismo, il cristianesimo era apparso al giovane precettore di Berna una religione di tipo privato, che per diventare autenticamente popolare, aveva dovuto nutrirsi di dogmi, snaturarsi, e diventare "oggettiva", cioè non sentita immediatamente dal soggetto come amore per Dio ed armonia con i propri sentimenti di appartenenza.

Ma, nella Vita di Gesù, Hegel riprese l'interpretazione kantiana del cristianesimo, e presentò Gesù come portatore di una nuova religione naturale, centrata sulla dottrina morale, che dovette trasformarsi in religione positiva, cioè rivelata, per l'incapacità dei suoi discepoli, prigionieri della mentalità ebraica, di accettare una religione puramente razionale.
Nel successivo scritto intitolato La positività della religione cristiana, Hegel criticò il carattere positivo del cristianesimo, cioè esteriore ed oggettivo, sostanzialmente autoritaristico, contrapponendolo nuovamente alla libertà della polis, dove gli uomini obbedivano alle leggi che essi stessi si erano dati.

Questa vicinanza alla soggettività greca si trova ben espressa nel poemetto Eleusi, dedicato a Hölderlin.

"In me e a me d'intorno è pace. Degli uomini operosi
Dorme l'instancabile affanno. Libertà
Mi danno, ed ozio. Ti ringrazio, o mia
Liberatrice, o Notte! - Di bianchi vapori
Cinge la luna i confini incerti
Dei colli lontani. La chiara striscia del lago
Luccica amica."


E nelle righe successive si affaccia persino il futuro programma filosofico:

"Vivere sol per la libera verità,
Con la norma che senso ed opinione
Regola, mai, mai stringere pace!"


E' grazie all'intervento dell'amico poeta che Hegel, nel gennaio del 1797, può lasciare Berna e trasferirsi a Francoforte, ottenendo un nuovo posto di precettore.
Tra il periodo di Berna e quello di Francoforte c'è continuità. Hegel compone altri scritti di carattere teologico, quali Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, e contemporaneamente comincia ad interessarsi di politica ed economia. Uno scritto su La Metafisica dei costumi di Kant è andato perduto. Ci rimane un commento all'economista inglese J.Steuart, insieme ad un saggetto sulla situazione politica nello Wüttemberg.
La svolta nella vita di Hegel interviene con la morte del padre, nel 1799. Riceve una eredità che gli consente di lasciare l'impiego e dedicarsi allo studio della filosofia.
Il periodo gli consente di produrre ancora nuovi scritti e rivedere quelli più antichi. Nel 1800 compose il System-Fragment e rifece la prima parte dell'opuscolo La positività della religione cristiana.

L'importanza dello scritto Lo spirito del cristianesimo e il suo destino consiste nel fatto che Hegel ridusse la precedente critica del cristianesimo ad una critica della religione ebraica. Nella sua nuova valutazione, il cristianesimo diventa il momento della riconciliazione storica tra uomo e Dio, separati dall'ebraismo.
E rispetto alla stessa religione greca, che non ha conosciuto il momento della scissione tra l'umano ed il divino, il cristianesimo fu dunque un passo in avanti, perchè nella religione greca, perdurando una unità indifferenziato tra uomo e divinità, non vi era, secondo Hegel, la consapevolezza dell'opposizione e della divergenza tra umano e divino.
E' grazie all'incarnazione di Cristo e del suo sacrificio che il rapporto si può nuovamente realizzare.
Il peccato commesso dall'uomo contro Dio, che non è tanto la disobbedienza al precetto, ma l'allontanamento di Dio dall'uomo, il considerare Dio totalmente altro (noi diremmo: un alieno), un despota, viene riscattato. Da qui in poi la redenzione è operante come nuova unità. E l'espressione di questa nuova unità è il "destino", da intendersi come sorte che l'uomo accetta come parte della sua stessa vita.

Il concetto di destino e la dialettica
E' quasi certo che questo concetto di destino Hegel lo abbia ricavato dai tragici greci. Esso consente ad Hegel di stabilire un rapporto tra "qualcuno" che viene considerato nella sua individualità e questo stesso "qualcuno" che viene visto come parte di un insieme. Se Antigone, ad esempio, compie una determinata azione convinta che ad ispirarla siano la sua passione e la sua volontà, ella, comunque non sa che la sua azione è già prevista in un disegno totale, in una necessità insieme storica e trascendente. Più, sembra dire Hegel, si afferma l'individualità del libero agire di Antigone, più si realizza la necessità superiore che ha posto Antigone in quella condizione e di fronte a quelle scelte.
Questo concetto duplice di destino, posto da un lato come l'indeterminismo del singolo che ignora, e dall'altro come il determinismo della totalità, che si realizza, viene così a costituire un primo momento dialettico, che è poi il destino e la chiave dell'intera filosofia hegeliana. Avere un destino, significa, per Hegel, essere inseriti in una totalità infinita dell'accadere. Il modo in cui ogni singolo determinato realizza il proprio destino, sia gli sembri liberamente scelto, sia che gli sembri imposto, non può comunque sottrarsi alla necessità dell'accadere.

Cristianesimo, amore, contraddizione nell'amore e crisi del cristianesimo
Ritornando all'unità originaria tra divino ed umano, ma forti della consapevolezza dell'opposizione che si è realizzata nell'ebraismo, si ha il trionfo dell'amore soggettivo sull'etica oggettiva.
Dio ama l'uomo e viene a morire per lui, l'uomo Cristo ama Dio e muore per affermarne la paternità e non la dispoticità arbitraria.
Ma anche l'amore, per Hegel, cercando di realizzarsi nel mondo, va incontro alla propria scissione: o rinuncia all'universalità e si concretizza e vive in un piccolo gruppo distinto dal resto dell'umanità, o se tiene ferma l'universalità, disperde il proprio calore originario, e diviene un'ideologia come tutte le altre, che Hegel chiama filantropia, che non è più amore, ma moralità che comanda sull'amore fino a snaturarlo.
E' in questo che la religione cristiana tocca la propria contraddizione e la porta all'esito della crisi.
In questo quadro, secondo Hegel, il filosofo non ha più il compito di criticare il cristianesimo teistico alla maniera dei deisti o degli illuministi, denunciandone la fine e le contraddizioni.
Questi rappresentano solo l'antitesi. Avendo elaborato, al livello di Hegel, si intende, la dialettica del trapasso, la dialettica che consente di vedere come ogni spirito finito incontri una contraddizione nella sua negazione, e dalla miscela di incontro e scontro emerga una sintesi che insieme mantiene e toglie qualcosa della tesi originaria, il compito del filosofo si riduce alla spiegazione dell'accaduto, ed essa si trova solo nella teoria della totalità del processo.

Questa prima arditissima riflessione, di carattere insieme teologico e filosofico, trova una provvisoria conclusione nel System-Fragment che concluse il periodo di permanenza di Hegel a Francoforte.
In questo scritto, Hegel asserisce l'esistenza di una vita "indivisa", rispetto alla quale i singoli viventi sono una molteplicità di estrinsecazioni finite, così come ce le presenta la riflessione sulle cose.
Ma, la religione cristiana riporta il finito all'infinito, che essa chiama Dio, ma che un filosofo potrebbe chiamare Spirito, intendolo come "unione dell'unione e della non-unione".
Ritroviamo qui riproposto lo schema dialettico, cioè il procedimento che muove dalla riflessione come momento del pensiero che spezza l'unità originaria, attraverso l'intelletto separante capace di comprendere i fenomeni, come mostrato da Kant. Ma la separazione intellettuale centrata sulla sola realtà fenomenica e non sull'intero processo è proprio ciò che la filosofia deve superare, attraverso lo Spirito, ritrovando l'unione dell'unione e della non-unione, cioè l'unità con il molteplice.

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RG - 5 gennaio 2002